Germania e Francia spengono la ripresa dell’eurozona, mentre i prezzi risalgono

A giugno, le proiezioni della Bce prevedevano una crescita del Pil nell’eurozona pari allo 0,4% trimestre su trimestre nel periodo aprile-giugno e sostanzialmente si aspettavano che rimanesse a quel livello fino alla fine del 2026. È stato con queste previsioni che la banca centrale ha anticipato per la prima volta il profilo trimestrale della ripresa dell’eurozona, una mossa che, con il senno di poi e tenendo conto degli ultimi sviluppi, sembra sempre più prematura. Probabilmente la Bce avrebbe dovuto ritardare la ripresa economica, come è accaduto negli ultimi due anni, sovrastimando strutturalmente la forza e la tempistica della ripresa. Infatti, i dati previsionali dell’indagine Pmi di luglio hanno registrato una quasi-stagnazione del settore privato dell’eurozona, che ha indicato un progressivo affievolimento della ripresa economica del blocco valutario. I nuovi ordini sono diminuiti per il secondo mese consecutivo e la fiducia è scesa ai minimi in sei mesi, ponendo fine alla sequenza mensile ininterrotta di assunzioni avutasi dall’inizio del 2024. Allo stesso tempo, il tasso di inflazione dei costi è accelerato, ma la debolezza della domanda ha spinto le aziende ad un minore aumento dei prezzi di vendita, il cui tasso di inflazione è infatti stato il più lento dallo scorso ottobre.

A causare la debolezza dell’eurozona è ancora una volta il settore manifatturiero. La produzione di luglio è crollata nettamente e al tasso maggiore dell’anno in corso. In tale contesto, l’aumento dell’attività del terziario ha evitato all’intero settore privato di finire in contrazione, tuttavia l’espansione dei servizi è stata solo modesta e la più debole da marzo. Le due economie principali della regione hanno continuato a frenare la ripresa dell’area euro. Per la prima volta in quattro mesi, la produzione della Germania è scesa, mentre la Francia ha segnato il terzo mese consecutivo di contrazione dell’attività economica. Valori che contrastano con la continua crescita registrata nel resto dell’eurozona, anche se l’ultimo incremento della produzione è stato il meno forte da gennaio.

Nel dettaglio l’indice destagionalizzato Flash Pmi Composito della Produzione dell’eurozona, calcolato sulla base dell’85% circa delle risposte finali solitamente raccolte a fine indagine e redatto da S&P Global, a luglio si è posizionato su 50.1 scendendo da 50.9 di giugno, mostrandosi quindi solo marginalmente superiore alla soglia di non cambiamento e registrando quindi quasi una stagnazione dell’attività del settore privato. In ciascuno dei cinque mesi passati, la produzione ha indicato una crescita, ma questa di luglio è stata la più contenuta della sequenza mostrando quindi un debole inizio per il terzo trimestre dell’anno. Il livello di crescita registrato a luglio è largamente collegato all’attività terziaria, in aumento per il sesto mese consecutivo, ma la cui espansione è stata modesta e la più lenta in quattro mesi. Allo stesso tempo, la produzione manifatturiera ha continuato a diminuire ad inizio del terzo trimestre, prolungando l’attuale sequenza di contrazione a 16 mesi. Il tasso di contrazione è stato oltretutto elevato, segnando il più rapido sinora registrato nel 2024.

Siamo di fronte ad una pausa estiva?”, si chiede Cyrus de la Rubia, capo economista di Hamburg Commercial Bank: “Sembra che l’economia a luglio si stia muovendo a malapena, ma oltre al fatto che stiamo analizzando valori destagionalizzati, osservando i due settori monitorati la situazione è peggiorata drasticamente nel settore manifatturiero in contrasto con la moderata crescita nel settore dei servizi. Le nostre previsioni sul Pil a brevissimo termine, tuttavia, lasciano intendere che una crescita durante il terzo trimestre è ancora possibile”. Il tema è che, “se da un lato la Germania sta apparentemente avendo difficoltà a crescere, l’economia francese è alimentata dalle Olimpiadi. Secondo i dati raccolti a luglio, le aziende dei servizi francesi hanno aumentato la loro attività in preparazione dei giochi olimpici. Al contrario, la domanda del settore manifatturiero tedesco pare abbia trascinato in basso la produzione generale del settore privato“, continua de la Rubia. “Qualora tenessimo in considerazione soltanto una crescita, ci sarebbero forti presupposti per un dibattito sul taglio dei tassi di interessi di settembre da parte della Bce. Tuttavia, i dati relativi ai prezzi non hanno fornito alcuna speranza di sollievo. I prezzi di acquisto del settore dei servizi sono aumentati ad un tasso più veloce e le tariffe ai clienti sono risultate in espansione ad un tasso simile a quello della precedente indagine. A peggiorare il tutto – conclude il capo economista di Hamburg Commercial Bank -. I prezzi di acquisto del settore manifatturiero, in contrazione per oltre un anno da marzo 2023 a maggio 2024, ora risultano maggiori per il secondo mese consecutivo. I prezzi di vendita sono diminuiti solo leggermente, rendendo più difficile per l’inflazione complessiva di avvicinarsi all’obiettivo di crescita del 2%“.

Ecologisti francesi plaudono a sconfitta Le Pen: “Avanti con transizione green”

Il mondo ecologista francese “non può che rallegrarsi del fatto che il fuoco di sbarramento dei repubblicani abbia funzionato: l’estrema destra non è neanche lontanamente potente come previsto”. Alla luce dei risultati elettorali – che di fatto hanno spezzato i sogni di gloria di Marine Le Pen e del giovane Jordan Bardella – la Rete di azione per il clima, la principale alleanza di associazioni ambientaliste, guarda con favore alla sconfitta della destra, ma accusa comunque la maggioranza presidenziale uscente di essere “ancora troppo poco ambiziosa sulla transizione ecologica”.

La Rete, che riunisce 37 associazioni tra cui Greenpeace, Oxfam Francia, Azione contro la fame e Lega per la protezione degli uccelli (LPO), avverte: “la ‘tregua’ non deve cancellare la necessità di un ripensamento completo del dibattito pubblico democratico e del modo di fare politica”. Molte delle associazioni aderenti fanno parte di numerosi organi consultivi, come il Conseil national de la transition écologique (CNTE).

Queste associazioni hanno più volte criticato l’esecutivo uscente per essersi seduto sui compromessi adottati in queste istituzioni di “democrazia ecologica”. “Tutto resta da costruire: qualunque sia il governo che emergerà da queste elezioni”, la dovrà “rafforzare l’ambizione della pianificazione ecologica e collegarla a politiche sociali, di bilancio e territoriali commisurate alle questioni in gioco”. Con l’auspicio, quindi, di una transizione ecologica “efficace e pienamente equa dal punto di vista sociale”.

“Questo è un enorme sollievo e una vittoria per la democrazia, i diritti umani e il pianeta (…), possiamo respirare di nuovo”, ha dichiarato Jean-François Julliard, direttore generale di Greenpeace Francia, in una nota. Greenpeace assicura che sarà “presente per garantire che le promesse del programma del Nuovo Fronte Popolare”, che ha vinto, “non siano solo parole vuote”. Tra queste, la cosiddetta tassa sulla ‘ricchezza verde’ (ISF), la riduzione dell’Iva sui trasporti pubblici, la riapertura delle piccole linee ferroviarie, il ripristino del piano Ecophyto, il divieto di glifosato, neonicotinoidi e Pfas, il sostegno all’agroecologia.

Francia al ballottaggio: le diverse posizioni su case green, pesticidi e auto elettriche

Auto elettriche, energia nucleare, pesticidi… i tre blocchi in corsa per il secondo turno delle elezioni legislative in Francia hanno visioni poco compatibili tra loro sulle questioni energetiche e ambientali. Il Rassemblement national è l’unico partito che spera ancora in una maggioranza assoluta domenica prossima, cosa che faciliterebbe l’applicazione del suo programma. Secondo i sondaggi, il blocco macronista o il Nuovo Fronte Popolare potrebbero essere in vantaggio con un’eventuale grande coalizione, impedendo però la completa applicazione dei loro programmi iniziali.

AUTO ELETTRICHE – Rn promette di rinunciare al divieto europeo “sulla vendita di auto a motore termico entro il 2035 e di incoraggiare i produttori francesi a sviluppare veicoli puliti a prezzi accessibili“, senza però fornire ulteriori dettagli. Promette di abbassare l’Iva sui prodotti energetici, ma questo teoricamente è contrario alle norme europee sui carburanti. Il partito di estrema destra vuole anche abolire le zone a basse emissioni (ZFE), che limitano la circolazione dei veicoli più inquinanti in alcune metropoli per combattere l’inquinamento atmosferico.
Il Nuovo Fronte Popolare (NFP) si batte per lo sviluppo del “trasporto pubblico ed ecologico” attraverso, ad esempio, la riduzione dell’Iva sui trasporti pubblici o la riapertura delle piccole linee ferroviarie. La maggioranza precedente voleva proporre di aumentare il numero di veicoli elettrici in leasing sociale a 100.000 all’anno, un programma creato di recente.

ENERGIE RINNOVABILI/NUCLEARE – Per far fronte all’aumento del fabbisogno di elettricità e di decarbonizzazione, il campo presidenziale ha lanciato un programma per 14 nuovi reattori nucleari, il primo dei quali è previsto nel 2035-37. Dal canto suo, RN assicura che sarà in grado di costruire dieci reattori nel 2033-37 e poi dieci nel 2037-42, mentre l’industria, in ripresa, si dice incapace di tenere questo ritmo. Prevede una moratoria sui progetti eolici. Il candidato premier Jordan Bardella ha parlato di “ricostruire il settore fotovoltaico francese”, ma “non c’è alcuna urgenza di passare al solare”, ha detto anche Jean-Philippe Tanguy, presentato come il “mister economia” della RN. In un’eventuale coalizione, la sinistra non sarebbe unita sul nucleare, poiché France Insoumise e gli ecologisti si oppongono mentre i socialisti sono a favore. NFP spingerebbe a incoraggiare l’energia marina (turbine eoliche e mareomotrici) e il settore solare francese.

CASE GREEN – Rn vuole “abrogare tutti i divieti e gli obblighi legati alla diagnosi della prestazione energetica (DPE)”, che vincolano notevolmente la vendita, la locazione. Promette invece un “sostegno pragmatico alle ristrutturazioni in collaborazione con i professionisti“, senza ulteriori dettagli su questa questione, cruciale per gli obiettivi climatici della Francia (gli edifici rappresentano quasi un quinto delle emissioni di gas serra del Paese). Nel campo di Emmanuel Macron, creatore del sistema MaPrimeRénov, è stato annunciato un nuovo “fondo per la ristrutturazione energetica delle abitazioni della classe media e operaia” che sarebbe stato “finanziato da una tassa sul riacquisto di azioni proprie“. Dal lato del NFP l’obiettivo è garantire “il completo isolamento degli alloggi, rafforzando gli aiuti a tutte le famiglie e garantendo il loro pieno sostegno alle famiglie a basso reddito“.

PESTICIDI- L’attuale politica francese è quella di dimezzare l’uso dei pesticidi entro il 2030 secondo un piano denominato Ecophyto e rivisto in primavera dalla vecchia maggioranza, con forti critiche da parte delle associazioni ambientaliste sul metodo di calcolo. La sinistra si batterà per “ristabilire il piano Ecophyto” precedente alla riforma e “vietare il glifosato”, così come i “neonicotinoidi”, come avviene in Francia, ma in modo reversibile per alcune sostanze, non vietate a livello europeo. Il Nuovo Fronte Popolare chiede anche una moratoria sui “megabacini”, mentre la legge sull’orientamento agricolo, il cui esame è stato sospeso con lo scioglimento del Parlamento, prevedeva di accelerare la creazione di questi bacini d’acqua per scopi agricoli.
La RN, denunciando “l’ecologia punitiva”, non dice nulla sulla questione dei pesticidi, segno del voltafaccia del partito: mentre Marine Le Pen da tempo criticava la lobby agrochimica e in precedenza invocava la messa al bando dei neonicotinoidi, la RN ora denuncia l’ambiente standard e ha chiesto in febbraio la cessazione totale del piano Ecophyto.

rinnovabili

In Francia settore energetico preoccupato per il futuro della transizione

Progetti urgenti nel limbo e minacce alla decarbonizzazione: il settore energetico francese teme ulteriori ritardi nella sua trasformazione, mentre anch’esso affronta l’inizio di una crisi politica sullo sfondo di un’ondata di estrema destra. Eolico, solare, biogas… il settore delle energie rinnovabili attende da mesi obiettivi di sviluppo quantificati per il 2035. Che ne sarà di questa tabella di marcia, per la quale il governo ha promesso un decreto se non dovesse passare in legge?

Quello che sta accadendo è grave”, afferma Jules Nyssen, presidente del Syndicat des Energies Renouvelables (SER). “Il governo ha tergiversato per mesi su questo programma, che avrebbe dovuto essere annunciato questa settimana e sottoposto a consultazione alla fine di giugno. Con ogni probabilità, non sarà adottato prima delle elezioni legislative del 30 giugno“, ha annunciato sulla scia del risultato record del Rassemblement National alle elezioni europee. Il ministero dell’Industria non ha risposto all’Afp su questo argomento.

“Siamo in uno stato di totale instabilità, in un momento in cui abbiamo bisogno di certezza del diritto e di visibilità. E pagheremo un prezzo elevato per questo. Oggi stiamo rimescolando le carte in tavola e il futuro governo sarà in grado di fare nuove scelte“, ha continuato Nyssen, per il quale ‘possiamo davvero biasimare’ il governo uscente per aver trascinato la questione. Senza un calendario ufficiale, che ne sarà della prevista “mega-gara” per l’energia eolica offshore, una volta rivelate le aree adatte ai futuri parchi eolici a settembre? O del sostegno al gas rinnovabile, che ha già raggiunto gli obiettivi di capacità fissati nel programma precedente? Allo stesso modo, a giugno, sotto la guida del ministro dell’Industria, era attesa una tappa fondamentale nell’attuazione dei contratti commerciali firmati da EDF, contratti destinati a garantire il futuro dell’indebitata società elettrica.

All’Uniden, che rappresenta le principali aziende industriali ad alta intensità energetica e potenziali clienti di questi contratti, “sperano che questo periodo di instabilità non rappresenti un problema”, anche se finora sono stati firmati solo quattro accordi. “Abbiamo una tabella di marcia chiara: dobbiamo decarbonizzare. La cosa più importante è avere accesso all’elettricità a basse emissioni di carbonio a un prezzo competitivo, che sia nucleare o rinnovabile“, spiega Nicolas de Warren, presidente dell’associazione. La stessa vaghezza si applica all’idrogeno verde, progettato per decarbonizzare l’industria pesante: “Da un anno il settore attende la revisione della strategia del governo”, osserva Mika Blugeon-Mered, docente di “mercati e geopolitica dell’idrogeno” a Sciences Po. Secondo il ministero, era attesa “per l’estate”, ma ora ci sono poche possibilità che venga pubblicata in tempo. Ma l’industria ha bisogno di sostegno per gli utenti, perché la strategia iniziale si concentrava solo” sui produttori.

Durante la sua campagna presidenziale nel 2022, Marine Le Pen ha promesso di costruire una ventina di nuovi reattori nucleari, di cui dieci da consegnare entro il 2031 – una scommessa irrealistica, secondo la stessa industria. Ha anche promesso una moratoria sull’energia eolica, con il graduale “smantellamento” dei parchi eolici. Nel 2023, il deputato del RN Pierre Meurin ha detto che è stato “sconcertante” durante i dibattiti sulla legge per accelerare le energie rinnovabili. Tuttavia, il rifiuto delle rinnovabili si scontra con tutti gli scenari di transizione energetica che, nucleare o meno, sottolineano la necessità di energia eolica e solare se la Francia vuole allontanarsi dai combustibili fossili e rispettare gli impegni climatici.

Il capo di un fornitore di energia elettrica rinnovabile prevede che “le leggi dell’economia e dell’energia (…) raggiungeranno” i leader della RN: “Avremo bisogno di più energia a basso costo. Ci vogliono 10-15 anni per costruire l’energia nucleare. Cosa facciamo nel frattempo? E come facciamo ad attirare le fabbriche di batterie se non vogliono più le auto elettriche?“, ha chiesto, parlando a condizione di anonimato, mentre la signora Le Pen vuole ‘ripristinare la libertà dei francesi’ di acquistare veicoli a combustione. Jules Nyssen, da parte sua, non vuole fare previsioni per queste elezioni legislative. “Tra le preoccupazioni dei nostri concittadini ci sono il cambiamento climatico, la sovranità della Francia e la necessità di reindustrializzare, e le energie rinnovabili hanno risposte da offrire su tutti e tre questi temi. La sfida per noi è quella di renderlo chiaro, per evitare una campagna basata unicamente sulla paura“.

Francia verso una legge per sanzionare il Fast Fashion

In piena Fashion Week, il governo francese annuncia che sosterrà una proposta di legge per sanzionare il ‘fast fashion’ e vietare la pubblicità dei suoi rivenditori. Ad annunciarlo è il ministro per la Transizione ecologica, Christophe Béchu.

Il testo, presentato da Anne-Cécile Violland, sarà difeso dai deputati del gruppo Horizons il 14 marzo. Si rivolge ai rivenditori di fast-fashion e ai siti di e-commerce, che offrono innumerevoli capi di abbigliamento a basso prezzo e di bassa qualità, per lo più importati dall’Asia. Prevede una modulazione dell”ecocontributo’ versato dalle aziende in base al loro impatto ambientale, per di ridurre il divario di prezzo tra i prodotti del fast-fashion e quelli provenienti da fonti più virtuose. L’obiettivo è quello di “ridurre l’impatto ambientale dell’industria tessile” attraverso una migliore informazione dei consumatori e il divieto di pubblicità per le aziende e i prodotti coinvolti. “Vendendo questi prodotti a questi prezzi, le aziende fanno profitto, ma sulle spalle del pianeta”, denuncia il ministro.

Ma Bechu va oltre: “Manca ancora qualcosa nel disegno di legge”, afferma, riferendosi in particolare ai “costi di disinquinamento” e alla “raccolta” degli abiti usati. Il Ministro per la Transizione Ecologica annuncia che una consultazione pubblica sull’etichettatura ambientale dei prodotti tessili sarà lanciata “a metà marzo”. L’obiettivo dichiarato è che “entro la fine di aprile avremo qualcosa che potrà essere oggetto di un decreto”. “Se gli operatori del settore approveranno tutto questo”, verrà poi definito un metodo per definire i criteri di etichettatura, spiega all’AFP.

Il governo condurrà poi una campagna pubblicitaria mirata contro il fast fashion, simile alla campagna ‘devendeurs’ dell’Ademe, che aveva suscitato scalpore, perché era rivolta ai negozi fisici. Alla fine dell’anno scorso, questa serie di spot televisivi umoristici dell’agenzia francese per la transizione ecologica, che promuoveva l’idea di ridurre i consumi, aveva suscitato le ire dei commercianti

Frejus riapre e traforo Monte Bianco chiude solo per 6-7 settimane. Pressing Italia su raddoppio

I lavori di manutenzione al traforo del Monte Bianco sono stati rinviati di un anno. Da qui a dicembre resterà chiuso per circa sei settimane, al posto delle 15 preventivate in un primo momento, per consentire interventi finalizzati a migliorare la sicurezza dell’infrastruttura. La decisione è arrivata ieri dalla Conferenza intergovernativa (Cig), composta di rappresentanti dei ministeri italiani e francesi e confermata oggi dai governi di Roma e Parigi. Allo stesso tempo, entro nel week-end riaprirà l’autostrada francese A43 e il tunnel del Frejus ai mezzi pesanti, entrambi chiusi dallo scorso 27 agosto, nel tratto della valle della Maurienne, in Savoia, per una frana dovuta alla forte ondata di maltempo che si era abbattuta sulla zona. Ad annunciarlo il ministro francese ai Trasporti Clement Beaune che in mattina ha effettuato un sopralluogo nell’area interessata.

Il governo italiano si era subito mobilitato per evitare la chiusura, in contemporanea, dei due maggiori valichi transalpini, così da scongiurare un intasamento dei flussi con la Francia, di traffico anche e soprattutto commerciale, dopo il blocco del Frejus. Ieri, l’organismo italofrancese doveva stabilire se posticipare l’inizio del cantiere – che sarebbe dovuto partire il 4 settembre per una durata di 106 giorni – alla prossima settimana (come auspicato da Parigi) o se rinviarlo di un anno, all’autunno 2024, su cui invece spingeva Roma. Alla fine, la Cig ha “deciso il rinvio di un anno della chiusura del Monte Bianco, portando avanti al tempo stesso i lavori necessari alla sicurezza”, ha spiegato il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. La Commissione intergovernativa ha stabilito inoltre che il traforo del Monte Bianco entro dicembre resterà chiuso per circa sei settimane per consentire interventi finalizzati a migliorare la sicurezza dell’infrastruttura. Sono anche previste delle chiusure notturne per lo stesso motivo. Inoltre, nel caso che la situazione al Frejus diventasse nuovamente critica nei prossimi mesi i lavori al traforo del Monte Bianco potranno essere sospesi e la viabilità ripristinata regolarmente. Il Bianco, ha aggiunto Tajani, “resterà dunque aperto durante la stagione invernale” per garantire “per l’afflusso dei turisti e per le nostre imprese che ricevono e fanno partire merci” verso la Francia.

I  lavori inizieranno dunque tra “pochi giorni” e dureranno “probabilmente intorno alle sette settimane” invece delle quindici inizialmente previste, ha confermato il ministro francese Beaune. Quindi “una chiusura un po’ scaglionata” e “un po’ più breve”, ha precisato.

Il governo italiano, però, ha colto l’occasione per ribadire la fragilità del sistema infrastrutturale transalpino e anche in sede di Cig ha ribadito la richiesta di individuare “le soluzioni tecniche più efficaci ed opportune per rendere la galleria del Bianco in linea con i più moderni standard di sicurezza, valutando anche l’ipotesi di aprire una seconda canna”, come ha fatto sapere il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in una nota. Non a caso, il 25 settembre Tajani sarà a Parigi per incontrare l’omologa francese Catherine Colonna, per discutere del raddoppiamento del Bianco. “Il 31 ottobre ho convocato il Comitato transfrontaliero a Torino per affrontare anche questo problema, cercheremo di convincere i francesi, che non mi sembrano ancora convinti di una seconda canna del tunnel”, ha spiegato.

Frejus in tilt, arriva l’accordo Italia-Francia: ok al rinvio della chiusura del Monte Bianco

In pieno caos trasporti tra Italia e Francia dopo la chiusura del Frejus a causa di una frana, la decisione è arrivata: i lavori che avrebbero portato alla chiusura del Monte Bianco da lunedì 4 settembre e fino al 18 dicembre non si faranno. O, quantomeno, non subito. Il vicepremier e ministro Matteo Salvini ha sentito il collega francese Clément Beaune e i due hanno condiviso l’opportunità di evitare, almeno in questa fase, la chiusura del Traforo del Monte Bianco. La decisione verrà formalizzata solo lunedì da parte della Conferenza Intergovernativa. Era questa la soluzione auspicata da Alberto Cirio: “Il Piemonte non può accettare soluzioni che contemplino la contemporanea chiusura dei due valichi transalpini“, aveva ribadito mercoledì il governatore della Regione. Fra i nodi dello slittamento, però, ci sono le date. La richiesta arriva direttamente dal presidente della Regione Valle d’Aosta, Renzo Testolin. Il ragionamento è: ok allo spostamento dei lavori, ma il traforo dovrà essere operativo per le festività natalizie, quelle con il maggior afflusso di turisti. E infatti sono fonti del Mit a fare sapere che i lavori per rifare la volta in cemento armato dei 12 km di galleria slitteranno probabilmente a settembre 2024, con un ritardo, quindi, di un anno.

Intanto permangono seri problemi di traffico dovuti alla grossa frana crollata domenica scorsa nella Maurienne, in territorio francese: i detriti hanno invaso l’autostrada A43, che collega Italia e Francia, e lo stesso Frejus è stato interdetto al traffico. Ciò ha ovviamente portato tutti i mezzi a convergere sul Monte Bianco: l’ingorgo è stato, purtroppo, inevitabile. Secondo fonti Mit il ministro francese ha sottolineato che l’autostrada dovrebbe riaprire, se tutto va bene, già entro la fine della prossima settimana. Problemi più gravi per la linea ferroviaria, che non ripartirà prima di ottobre.

E se si parla della questione trasporti Italia-Francia, non si può non citare la Tav. Lo stesso ministro Salvini, parlando con l’omologo francese, ha ribadito l’importanza della linea Torino-Lione dopo avere portato il suo saluto al nuovo consiglio di amministrazione di Telt. Cda che proprio giovedì ha dato il via libera alla firma del contratto per la realizzazione del tunnel di base del Moncenisio in Italia. L’appalto del valore di 1 miliardo di euro è stato assegnato al raggruppamento composto da Itinera (mandataria), Spie Batignolles e Ghella. Si completa in questo modo l’assegnazione di tutti i lavori per lo scavo dei 57,5 km del tunnel ferroviario sotto le Alpi cofinanziato da Europa, Francia e Italia. La realizzazione della sezione internazionale della nuova ferrovia per merci e passeggeri tra Saint-Jean-de-Maurienne e Susa/Bussoleno, anello centrale del Corridoio Mediterraneo della rete TEN-T, è in pieno svolgimento con dieci cantieri che avanzano all’aperto e in sotterraneo sui due lati delle Alpi. Venerdì 7 luglio è stata consegnata nella fabbrica della Herrenknecht in Germania, la prima delle 7 TBM che completeranno lo scavo delle due gallerie del tunnel di base, di cui due lavoreranno sul tratto italiano. Nei prossimi anni i cantieri in Italia e Francia vedranno impegnati fino a 8.000 lavoratori tra diretti e indotto.

Mercurio, pesticidi e terre rare nei capelli dei senatori francesi

Cosa si trova nei capelli di senatori e senatrici francesi? Mercurio, pesticidi, plastificanti, ma anche ‘terre rare’, i metalli utilizzati negli smartphone e in altri oggetti high-tech. Lo rivela un’analisi condotta su 26 eletti socialisti. Nel luglio 2022 hanno affidato una ciocca di capelli al laboratorio privato e indipendente tocSeek, che ha individuato e analizzato 1.800 inquinanti organici e 49 metalli. I risultati sono stati pubblicati martedì. “È un allarme che lanciamo”, ha dichiarato Angèle Préville, senatrice della regione del Lot, che ha promosso lo studio. “Se è nei nostri capelli, significa che siamo contaminati”, ha aggiunto la senatrice, che è molto impegnata nelle questioni ambientali, in particolare nell’inquinamento da plastica.

Le analisi hanno rivelato la presenza di terre rare nel 93% dei senatori, superiore alla popolazione di controllo del laboratorio. Le terre rare sono metalli e composti metallici utilizzati nella produzione di oggetti high-tech che hanno invaso la nostra vita quotidiana: chip di smartphone, schermi di laptop, batterie di auto elettriche e ibride, Led, ecc. Secondo tocSeek, questa prevalenza più elevata rispetto alla popolazione generale si spiega probabilmente con l’uso esteso e regolare di strumenti di comunicazione da parte dei rappresentanti eletti.

Non sorprende che il mercurio, un metallo pesante presente nelle amalgame dentali e in alcuni pesci, sia stato trovato in tutti i senatori esaminati. Tutti erano inoltre “contaminati” da almeno un pesticida. Sono stati identificati quarantacinque prodotti diversi (erbicidi, fungicidi, insetticidi), tra cui il carbofuran, un pesticida vietato in Europa dal 2008. Infine, il plastificante di-n-ottile ftalato (Dnop) è stato rilevato nel 69% degli eletti. I plastificanti sono utilizzati per rendere la plastica più flessibile.

Angèle Préville, la più impegnata nella lotta all’inquinamento, è anche la più libera da inquinanti. “È chiaro che il nostro stile di vita ha un impatto sulla nostra salute”, afferma Patrick Kanner, presidente del gruppo socialista e uno dei senatori testati. “Quando sono a Parigi, mangio fuori mattina, mezzogiorno e sera, e non ho alcun controllo su ciò che consumo”, afferma il senatore della regione Nord, che deve fare i conti con terre rare, mercurio, pesticidi, ftalati – sostanze chimiche utilizzate come plastificanti – e parabeni – un conservante utilizzato soprattutto nei cosmetici.

Per Matthieu Davoli, cofondatore del gruppo tocSeek, ad eccezione delle terre rare, i risultati “sono molto coerenti” con “ciò che vediamo di solito” nella popolazione generale. Ciò indica un’esposizione “ripetuta e regolare” agli inquinanti presenti negli alimenti, nei cosmetici e nei prodotti per l’igiene. L’esperto sottolinea che “la contaminazione a lungo termine può causare alterazioni del sistema endocrino e portare a malattie croniche, autoimmuni, neurodegenerative e tumorali”.

Per quanto riguarda le terre rare, sette senatori presentano una “contaminazione significativa”, tra cui Yan Chantrel, che rappresenta i cittadini francesi che vivono fuori dalla Francia, in questo caso il Canada. Dopo aver modificato le sue abitudini, ha accettato di essere ritestato il prossimo autunno, insieme a due suoi colleghi che hanno riportato sintomi che potrebbero essere associati all’intolleranza ai campi magnetici (forte stanchezza, mal di testa, ecc.).

Spegnere il wifi di notte, non usare lo smartphone come sveglia… sono solo alcune delle piccole cose che si possono fare per agire individualmente. Ma la senatrice insiste sul fatto che le questioni di salute pubblica devono essere “pienamente integrate” nelle politiche ambientali. “Questo solleva domande sui modelli di produzione e consumo della nostra società, che alla fine creano nuove malattie”, avverte.

L’Assemblea nazionale non è da meno. Domani il deputato ecologista Nicolas Thierry presenterà alla stampa i risultati di un’analisi delle sostanze per- e polifluoroalchiliche (Pfas), meglio conosciute come “inquinanti eterni”, condotta nei capelli di 14 deputati.

In Francia apre la prima fabbrica di batterie per auto del Paese

La Francia avrà la sua prima fabbrica di batterie per auto elettriche. Apre martedì prossimo, nei pressi di Lens: un evento industriale di rilievo per Parigi, che vuole garantirsi l’indipendenza dal colosso cinese e diventare addirittura esportatrice entro la fine del decennio.

È uno dei cavalli di battaglia di Emmanuel Macron: la reindustrializzazione comporterà la produzione di batterie in Francia e in Europa, in un momento in cui la Cina ha preso un notevole vantaggio in questo campo.

ACC (Automotive Cell Company), una joint venture al 50% tra TotalEnergies, Stellantis (nata dalla fusione di PSA e Fiat-Chrysler) e Mercedes-Benz, è quindi la prima ad aprire la sua “gigafactory” in Francia.

Attualmente in Europa ne sono in funzione solo pochi, ma i progetti sono fiorenti nel Vecchio Continente, dove negli ultimi anni ne sono stati annunciati circa cinquanta.
Nel nord della Francia, un’area emblematica della deindustrializzazione del Paese, quattro impianti dovrebbero entrare in funzione entro la fine del decennio.

Il primo di questi è l’ACC di Billy-Berclau, vicino al sito storico di PSA a Douvrin, che dovrebbe essere seguito da un progetto del gruppo sino-giapponese AESC-Envision a Douai (Nord), che produrrà per Renault dall’inizio del 2025. La start-up Verkor di Grenoble – sostenuta da Renault, Schneider Electric e Arkema – prevede di avviare la produzione nel suo impianto di Dunkerque a partire dalla metà del 2025, sempre per il gruppo Renault. Infine, ProLogium, gruppo taiwanese specializzato in batterie “solide”, ha annunciato a metà maggio il suo insediamento a Dunkerque, con inizio della produzione previsto per la fine del 2026.

Arriva il cemento green: niente acqua e cinque volte meno CO2 di quello tradizionale

A 70 chilometri a sud di Nantes sorge un’alta torre circolare rossa e bianca in mezzo al verde del paesaggio: è quella del cementificio della start-up francese Hoffmann Green, che ha l’ambizione di diventare il faro di un’industria del cemento carbon free, dopo due secoli di massicce emissioni di CO2. Inaugurato venerdì, il nuovissimo stabilimento è l’espressione concreta della strategia di reindustrializzazione verde auspicata dal governo. Promette di emettere da tre a cinque volte meno gas serra rispetto ai grandi produttori tradizionali di cemento ed è stato sostenuto finanziariamente dai piani di risanamento e da Francia 2030.

Nei piani, ogni anno dovrebbe produrre 250.000 tonnellate di cemento a basse emissioni di carbonio. Una pagliuzza rispetto al fabbisogno del Paese che ne consuma 18 milioni di tonnellate all’anno. Ma una rivoluzione in un settore che, dall’invenzione del cemento 200 anni fa, non ha quasi cambiato i suoi metodi di produzione altamente inquinanti. Il processo tradizionale – la cottura della farina di materie prime per 18 ore consecutive a oltre 1.400°C per ottenere l’elemento essenziale del cemento, il clinker – richiede enormi volumi di gas naturale ed emette quasi una tonnellata di CO2 per ogni tonnellata di cemento prodotti. In pratica, inquina di più del settore aereo.

Il cemento della Vandea di Hoffmann Green “non ha clinker”, emette “in media 200 kg di CO2” per tonnellata, è prodotto “senza cottura”, “senza gas”, “senza acqua” e “a temperatura ambiente”, “mescolando polvere di rifiuti industriali”, spiega Julien Blanchard, presidente del consiglio di amministrazione e co-fondatore della start-up nata nel 2015. I tre ingredienti principali sono gli scarti di lavorazione dell’acciaio, “i fanghi argillosi” recuperati dalle cave e il “gesso” contenuto nei pannelli di cartongesso provenienti dalla demolizione degli edifici. Gli additivi interni innescano quindi una reazione a freddo che consente al cemento di amalgamarsi. La ricetta è stata sviluppata da David Hoffmann, ingegnere chimico minerario ed ex co-fondatore della start-up Séché Environnement.

In questa fabbrica verticale dal concept unico, la torre alta 70 metri mescola gli ingredienti di 19 silos alti diverse decine di metri. Altro elemento essenziale della decarbonizzazione del processo, è che l’energia pesa appena per il 2% dei costi complessivi dell’azienda “rispetto al 20% del settore tradizionale”, secondo Blanchard. Una serie di pannelli fotovoltaici su palafitte, come grandi alberi di metallo che seguono l’orientamento del sole durante tutta la giornata, generano il 50% del consumo elettrico del sito.

“Tutti questi elementi fanno sì che nel complesso il nostro cemento generi cinque volte meno emissioni di CO2 rispetto al cemento tradizionale”, riassume Blanchard. Naturalmente anche il prezzo è “il doppio”, ammette. “Ma più produciamo, più i prezzi scenderanno”, dice, scommettendo su un “incrocio delle curve dei costi” tra il suo cemento e quello tradizionale “nel 2026-2027”. L’industria del settore “ci vede come i cattivi che vogliono chiudere i cementifici tradizionali”, osserva Stéphane Pierronnet, direttore operativo dell’impianto. Eppure gli ultimi cinque anni sono stati una strada lunga e onerosa. Soprattutto per ottenere le certificazioni che consentono a questo prodotto di entrare nella corte dei cementi standardizzati e referenziati. Sono stati necessari “tra i 5 ei 10 milioni di euro” per finanziare gli accertamenti che hanno permesso di ottenere la garanzia che “i nostri cementi sono altrettanto solidi”, “con una durata così lunga, la stessa resistenza al fuoco, ai sali marini..” dei cementi tradizionali, spiega Blanchard. L’azienda, che impiega 55 persone, di cui il 20% in ricerca e sviluppo, sta progettando un secondo stabilimento a Dunkerque. Ha anche progetti in Svizzera, Belgio e Regno Unito.

 

(Photocredit: AFP)