Ischia, cdm giovedì. Pichetto: In un Paese civile non si muore di pioggia

Un Dl ad hoc per potenziare gli aiuti per l’Isola di Ischia in ginocchio. Sarà sul tavolo del consiglio dei ministri, pronto a riunirsi di nuovo giovedì, dopo aver varato lo stato di emergenza domenica scorsa, all’indomani della tragedia che ha fatto già otto vittime accertare, dispersi, feriti e 230 sfollati, che saranno di più nei prossimi giorni.

Il ministro per la protezione civile e il mare, Nello Musumeci, riferisce in Senato giovedì mattina. Il presidente di Palazzo Madama, Ignazio La Russa, chiede all’Aula un minuti di silenzio per le vittime. Le cita tutte, ne elenca nomi ed età, a ricordare che non sono numeri ma vite spezzate. “Non è la prima volta che questa terra meravigliosa e conosciuta in tutto il mondo per le sue bellezze naturali e l’ospitalità della propria gente viene colpita in modo così violento. Ischia è stata più volte colpita da tragedie ambientali, anche per colpa dell’abusivismo edilizio. Ma non è e non deve essere questa la sede né il momento per cercare o accertare le responsabilità“, tiene a precisare. E’ il momento del cordoglio, dunque, e della vicinanza “forte e sincera” che il Senato vuole rendere ai parenti delle vittime.

Parola d’ordine, evitare di rifare gli stessi errori di sempre. Quelli che tornano ciclici, a fare vittime dove vittime non dovrebbero esserci. “Diciamo che in un Paese civile non si dovrebbe morire di pioggia“, tuona il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin. “Se accade così – afferma -, spesso significa che, fermi restando gli effetti dei cambiamenti climatici che enfatizzano gli eventi meteo estremi, non si è operato bene a livello di governo centrale, di Regione, di enti locali“.

Torna a spiegare le parole che hanno fatto scalpore, dopo aver detto che farebbe “arrestare” i sindaci e chi ha dato l’autorizzazione ai condoni: “Mi preme chiarire, anche per evitare ulteriori inutili polemiche dinanzi ad una tragedia di tali proporzioni e gravità. Ciò che esattamente intendevo dire è che non è più tempo di passare sopra a illeciti urbanistici che possono trasformarsi in elementi di nuove tragedie“, scandisce. Ci sono abusi e abusi, insiste, “taluni gravi ed altri ancora veniali. Chi ha compiti di vigilanza sul territorio deve evitare che si creino o aggravino situazioni di rischio“.

A Ischia, il 49% del territorio è classificato a pericolosità “elevata e molto elevata per frane nei Piani di Assetto Idrogeologico e sono oltre 13mila gli abitanti residenti nelle aree a maggiore pericolosità per frane. “E’ amaro ricordare che per la ‘messa in sicurezza della zona costiera’ e per ‘la riduzione dell’erosione e la stabilizzazione dei versanti nel comune di Casamicciola’ sono stati stanziati 12 anni fa dal Ministero dell’Ambiente complessivamente 3 milioni e 100 mila euro, ma gli interventi risultano ancora in fase di progettazione“, ricorda Pichetto. La sua è stata una “espressione infelice“, lo difende la premier Giorgia Meloni, “ma che voleva probabilmente sottolineare la necessità che le istituzioni siano chiamate a rispondere delle loro responsabilità”.

Bisogna inasprire le pene per chi non fa il proprio dovere e non riguarda solo i sindaci, “ma chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche, Pichetto è stato frainteso“, fa eco Musumeci. “Noi dobbiamo stare vicino ai sindaci che combattano abusivismo in zone controllate da organizzazioni criminali. Non è facile farlo con disinvoltura. Lì bisogna assicurare sostegno ai sindaci“.
Su Ischia ora “c’è da pregare e da approfondire e non da speculare come qualcuno sta facendo”, taglia corto Matteo Salvini. “Noi contiamo di stare al governo per i prossimi cinque anni – garantisce il vicepremier – e possiamo occuparci anche del dissesto idrogeologico“.

 

(Photo credit: AFP)

Assemblea Confartigianato 2022

Confartigianato chiede al Governo un nuovo “patto di fiducia” per affrontare il caro energia

Bene la legge di bilancio. Ma pressione fiscale e caro energia mordono e per le piccole imprese la manovra potrebbe non bastare. Dal palco dell’assemblea annuale, Confartigianato chiede al Governo un nuovo “patto di fiducia con lo Stato”, più attenzione per le piccole realtà, meno ostacoli “al nostro talento e alle nostre ambizioni”.

“Noi piccoli imprenditori siamo campioni del Made in Italy”, rivendicano, numeri alla mano. L’export delle Pmi tra agosto 2021 e luglio 2022 è stato di 141 miliardi, “un record!”, scandisce il presidente di Confartigianato, Marco Granelli. “Il Made in Italy è tra i nostri asset strategici”, tranquillizza la premier Giorgia Meloni. Arriva trafelata e in ritardo dopo la conferenza stampa sulla legge di bilancio varata nella notte dal Consiglio dei ministri, ma non manca l’appuntamento con la piccola imprenditoria. “Non potevo mancare, mi perdonerete”. Negli anni, denuncia, “abbiamo lasciato che l’Italia svendesse i marchi italiani, non deve accadere mai più”. E annuncia che la manovra sarà accompagnata da un allegato ad hoc di tutela delle produzioni italiane.
“Oggi abbiamo a che fare con un’emergenza energetica senza precedenti”, spiega Granelli. Le previsioni parlano di una spesa a carico delle piccole imprese da 24 miliardi in più nel 2022, rispetto al 2021, a causa dei rincari dell’elettricità e del gas. “Un impatto enorme”, tuona.

Questo non impedisce alla micro-piccola impresa di essere “motore dello sviluppo del Paese, nonostante sia addirittura considerata da alcuni la principale causa dei mali dell’economia italiana”, lamenta. E invece, afferma, è stata “la chiave della resistenza” del Paese nelle gravi crisi di questi lunghi anni, rappresentando circa il 94 per cento delle imprese italiane, con “importanti e decisivi apporti in termini di Pil”. E lo sarà, ne è convinto, anche per il futuro, con la sua “innovazione continua, l’attenzione alle nuove tecnologie, l’elasticità e soprattutto la ‘naturale’ sostenibilità ambientale e socio-economica”.

Sono tanti, troppi i comparti del tessuto produttivo impegnati ad affrontare l’instabilità economica, causata dalla pandemia e aggravata dall’aggressione della Russia all’Ucraina, dà atto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio inviato all’assemblea. Sono “significative” le ricadute sull’artigianato: “Si tratta di segmenti strategici dell’economia italiana ed è necessario sostenere l’efficienza dei loro processi produttivi attraverso gli strumenti di potenziamento e innovazione forniti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, nel pieno rispetto e in coerenza con gli obiettivi di sostenibilità ambientale”, afferma il capo dello Stato.

La ‘spina dorsale’ del Paese non sarà trascurata, assicura la premier. D’altra parte, ricorda, in un mese di governo ha già incontrato le categorie produttive e i corpi intermedi. “Credo nel valore centrale dei corpi intermedi e mi piacerebbe che questo confronto non fosse solo di carattere sindacale, ma che fosse stabile sulla strategia. Credo invece che oggi ci sia disperato bisogno di scegliere dove voglia andare e cosa voglia essere e di coinvolgere tutti gli attori”. Gli aiuti ci sono, la manovra pesa 35 miliardi, si può fare qualcosa in più con gli aggiustamenti al Pnrr e chiedendo aiuto all’Europa, ma la premier si rivolge anche alle banche: “Oggi ci ritroviamo con i cassetti fiscali delle banche pieni e le cessioni di nuovi crediti vuote. Lo Stato ce la mette tutta, ma le banche possono fare qualcosa di più”.

Photo credit: Confartigianato

Manovra, governo trova la quadra. Ma diminuisce sconto sui carburanti

C’è voluto tutto il tempo disponibile, fino all’ultimo minuto, ma la maggioranza sembra aver trovato la quadra sulla legge di Bilancio 2023. Dopo una lunga riunione alla Camera, alla presenza della premier, Giorgia Meloni. La cifra si aggira sui 35 miliardi circa, di cui 23 sono dedicati quasi esclusivamente al contrasto dei rincari dell’energia. Per le bollette di famiglie e imprese sono previsti aiuti per affrontare i mesi più duri della crisi, aspettando che l’Europa batta un colpo sul price cap (temporaneo) e magari inizi a mettere in cantiere una riforma del mercato dell’elettricità, oltre al disaccopiamento dal prezzo del gas. Di sicuro non sarà al Consiglio europeo di giovedì, visto che fonti di Bruxelles fanno sapere che non è in vista nessuna decisione su questi temi.

L’Italia così prova a organizzarsi da par suo. Con la proposta avanzata dal ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, di un tetto nazionale “che riguarda il sistema delle rinnovabili” di 180 euro al megawatt. “Si tratta comunque di un prezzo abbastanza remunerativo per il sistema“, ha spiegato. Sottolineando che da questa misura “ovviamente sono escluse le famiglie“. Il governo è al lavoro anche su altre iniziative che riguardano gli approvvigionamenti energetici. In particolare di metano, perché “il gas nazionale non è una soluzione per coprire” l’intero fabbisogno del Paese, che “solo di gas consuma circa 76 miliardi di metri cubi annui, finora il prelievo nazionale è stato di circa 3 miliardi di metri cubi che è una cifra minima, di conseguenza ce ne mancano 73“, dice Pichetto. Che conferma l’impegno dell’esecutivo sul rigassificatore di Piombino, sia per l’installazione sia per la rimozione “entro 3 anni“.

Del resto è “l’unica soluzione” per affrontare l’emergenza. Soprattutto quella che potrebbe verificarsi nell’inverno 2023-2024, che rappresenta “la preoccupazione maggiore, perché “dovremo ricostituire tutte le riserve e gli stoccaggi e non avremo più il gas russo“. Per quello in corso, invece, “con gli stoccaggi che abbiamo – sostiene il ministro –, con tutti i meccanismi messi a punto, con distinzioni tra gasivori e altri, con una graduatoria di interrompibilità temporanea a fronte di indennizzo, lo vedo con fiducia, si può superare“.

Anche per questi motivi a Palazzo Chigi c’è tutta l’intenzione di mettere in sicurezza le famiglie e imprese da gennaio contro i rincari. L’imperativo è non aggravare la situazione economica del Paese, evitando – fino a quando sarà possibile – il ricorso a uno scostamento di bilancio. Non sfonda, però, l’ipotesi di azzerare per un anno l’Iva su pane, pasta e latte: è “una possibilità menzionata nella riunione con i capigruppo di venerdì scorso, alla quale ho preso parte anche io, ma in linea di massima sembrerebbe accantonata“, conferma il capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan. Che fa un discorso di “efficacia della misura, e forse non è quella ideale da prendere“. Dunque, “meglio concentrare le risorse su altri interventi, ad esempio verso la produzione agricola nazionale“.

Un’altra novità della Manovra 2023 riguarda i carburanti. Cambiano, infatti, le accise fino al prossimo 31 dicembre. Sulla benzina saranno di 578,40 euro per mille litri anziché 478,40 euro, sul gasolio si a 467,40 euro per mille litri anziché 367,40 euro e sul Gpl saranno di 216,67 euro per mille litri invece di 182,61 euro. Una scelta che fa saltare dalla sedia le associazioni dei consumatori, ma che dal governo non vedono come un rischio per i cittadini. La strada per il 2023, comunque, è tracciata.

Stanziati 9,1 miliardi per caro bollette. Meloni: “Risposta a imprese e famiglie”

“Con il decreto energia stanziamo i primi 9,1 miliardi di euro destinati prevalentemente a dare una immediata risposta a famiglie e imprese per fronteggiare l’aumento del costo delle bollette in parte fino a fine anno ma anche inserendo nuove norme”. Così la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa a Palazzo Chigi, all’indomani del suo quarto Consiglio dei ministri, durante quale il governo si è ancora una volta occupato della grande emergenza energia, varando il  ‘Dl Aiuti Quater’.

Poco più di nove miliardi, quindi, provenienti dall’extragettito fiscale autorizzato dal Parlamento per finanziare interventi contro il caro energia. Passa anche la modifica al Superbonus, che scende dal 110% al 90% a partire dal 1° gennaio 2023. I benefit aziendali potranno essere esentasse e nel 2022 si alza il tetto dell’esenzione fiscale dei cosiddetti ‘fringe benefit’ aziendali fino a 3mila euro.

Nel decreto, per contribuire al rafforzamento della sicurezza degli approvvigionamenti di gas naturale è previsto un finanziamento a copertura delle spese sostenute dal Gse. E’ stato prorogato dal 31 dicembre 2022 al 31 marzo 2023 il termine entro il quale il Gse potrà cedere a prezzi calmierati il gas naturale ed è previsto l’aumento delle quantità estratte da coltivazioni esistenti in zone di mare così come l’autorizzazione di nuove concessioni tra le 9 e le 12 miglia.

Dopo aver incontrato i sindacati, mercoledì 9 novembre, la premier incontrerà a Palazzo Chigi, oggi, venerdì 11 novembre, a partire dalle 12, gli industriali. Il mondo dell’industria poterà le sue proposte e avanzerà le sue richieste per tamponare la crisi che strozza le imprese, arginare i costi dell’energia e far recuperare potere d’acquisto delle famiglie.

Il governo riattiva le trivelle: via libera all’estrazione di gas italiano

Il governo sceglie di riaprire la questione delle concessioni per l’estrazione di gas dai giacimenti nazionali. Il Consiglio dei ministri dà il via libera a un emendamento dell’esecutivo al decreto Aiuti ter, attualmente al vaglio delle commissioni speciali di Camera e Senato. Gli obiettivi, spiega il ministro dell’Ambiente e la sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, sono quelli di “ampliare le fonti di approvvigionamento e calmierare l’andamento dei prezzi, almeno sul fronte del sistema imprese“.

Tra le condizioni per la stipula dei contratti a lungo termine, infatti, c’è quella che i soggetti interessati dovranno mettere a disposizione del gruppo Gse “un quantitativo di diritti sul gas corrispondente, fino al 2024, ad almeno il 75% dei volumi produttivi attesi dagli investimenti” e per gli anni successivi “ad almeno il 50% dei volumi produttivi attesi dagli investimenti medesimi“. Per quel che concerne i costi, invece, si applica “una riduzione percentuale, anche progressiva, ai prezzi giornalieri registrati al punto di scambio virtuale” e comunque variabile “nel limite di livelli minimi e massimi quantificati rispettivamente in 50 e 100 euro per MWh“. Un tetto, di fatto, che la premier, Giorgia Meloni, definisce comunque “vantaggioso.

La norma, però, prevede anche una limitazione all’area in cui poter attivare le trivelle. Secondo il testo approvato in Cdm è “consentito il rilascio di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi in zone di mare poste fra le 9 e le 12 miglia dalle linee di costa e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette“, ma solo per i giacimenti di almeno 500 milioni di metri cubi metri cubi. Questo “per evitare il proliferare eccessivo di giacimenti“, chiarisce Pichetto.

Il Cdm, poi, ha dato anche il via libera alla Nota di aggiornamento al Def. Che libera “circa 9,5 miliardi che intendiamo iniziare a utilizzare già a partire dalla prossima settimana sul caro energia“, sottolinea Meloni. E non solo, perché “liberiamo tra i 22 e i 23 miliardi per il 2023, che intendiamo destinare in via esclusiva per affrontare il tema del caro energia, per un totale di oltre 30 miliardi“, continua la premier. Che comunque attende dall’Europaimmediate e concrete risposte su prezzo del gas“, perché i primi passi mossi sono serviti a far calare il prezzo del gas e mettere in difficoltà gli speculatori “ma non durerà senza segnali chiari e seri” dall’Ue. Nell’attesa che il Vecchio continente faccia le proprie mosse – ne ha parlato anche ieri con Ursula von der Leyen, Roberta Metsola e Charles Michel, anche sul disaccoppiamento tra il prezzo del gas e quello dell’energia elettrica -, l’Italia ad ogni modo “deve tutelarsi“.

L’obiettivo della Nadef è mitigare gli effetti del caro energia su famiglie e imprese con un approccio prudente, realistico e sostenibile“, dice il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Creiamo lo spazio rispetto a quello che riteniamo un intervento doveroso per famiglie e imprese“. Ma il governo è “consapevole che fare previsioni a lungo termine in questo momento, in materia economica, può essere un esercizio di pura accademia e siamo consapevoli e pronti a fronteggiare i rischi di recessione che da più parti a livello globale ed europeo vengono evocate e che potrebbero toccare anche l’economia italiana“. Per questo l’indebitamento netto per il 2023 “viene stimato del 4,5%, in aumento rispetto a quello previsto che crea spazio per fare quello riteniamo doveroso per le famiglie e imprese, per circa 23 miliardi per l’energia“, sottolinea il responsabile del Mef. La partita del governo Meloni, dunque, è iniziata.

Oggi in Cdm bollette e Nadef: si parte da un ‘tesoretto’ di 10 miliardi

Pochi soldi a disposizione, ma l’imperativo è farli fruttare. Oggi il Consiglio dei ministri sarà chiamato ad approvare la Nota di aggiornamento al Def, che contiene la pianificazione finanziaria annuale degli obiettivi che il governo si pone. Sarà il primo, importante banco di prova per Giorgia Meloni e la sua squadra, che al momento possono disporre di un ‘tesoretto’ da circa 10 miliardi di euro lasciato in eredità da Mario Draghi, al quale proveranno ad aggiungere altre risorse per varare una nuova serie di aiuti a famiglie e imprese per contrastare i rincari di gas, energia elettrica e carburanti. Il giro di ricognizione dei vari ministeri, fisiologicamente, visto che l’esecutivo è in carica da circa due settimane, non ha ancora prodotto risultati entusiasmanti, ma il margine per arrivare ad altri 5 miliardi aggiuntivi non è impossibile da raggiungere. Con molta probabilità si tratterà di prorogare gli strumenti messi in campo finora, ma comunque è un segnale in vista della prossima legge di Bilancio.

Della manovra la premier ha parlato anche ieri negli incontri avuti a Bruxelles con le massime cariche istituzionali del Vecchio continente. La costante è sempre lo scarso spazio di azione, visto che il varo dovrà avvenire entro e non oltre il 31 dicembre o l’Italia andrà in esercizio provvisorio. “Stiamo correndo contro il tempo“, sottolinea infatti Meloni nel colloquio con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Certo, se nel frattempo dall’Ue arrivasse un sostegno forte, magari con il via libera al price cap o al fondo comune per gli acquisti di gas, la strada sarebbe meno in salita. Ecco perché la premier assicura che “la voce dell’Italia in Europa sarà forte” aggiungendo che il governo è pronto “ad affrontare le grandi questioni, a partire dalla crisi energetica, collaborando per una soluzione tempestiva ed efficace al fine di sostenere famiglie e imprese e mettere un freno alla speculazione“.

In attesa che l’Europa faccia le proprie mosse, in Italia sono i sindacati a chiedere di dare priorità alle emergenze, come l’energia. “Abbiamo chiesto, con Cisl e Uil, un incontro con la presidente del Consiglio per discutere tutto questo e delineare un nuovo modello di sviluppo nella cui costruzione il sindacato e il mondo di lavoro siano pienamente coinvolti e non solo informati a cose fatte“, dice il segretario della Cgil, Maurizio Landini, a ‘La Stampa‘. In particolare le confederazioni si attendono un intervento sugli extra-profitti: “Non basta riscrivere la legge, bisogna alzare la soglia e ampliare la platea oltre il settore energetico. Tutto il gettito extra deve essere utilizzato per aiutare i lavoratori e le imprese che rischiano di chiudere. Subito. Anche con un contributo di solidarietà finalizzato a sostenere politiche di sviluppo e occupazione come fatto in questo in giorni in Germania“.

Le intenzioni del governo saranno più chiare dopo l’approvazione della Nadef, in cui Meloni dovrà tracciare la strada che vorrà seguire dal prossimo anno. Che inizia con una “corsa contro il tempo“.

Con RePowerEu spazio di manovra per Meloni sul Pnrr

Il nuovo governo Meloni non ha intenzione di “riscrivere” o “stravolgere” il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ma è convinto che, di fronte agli scenari mutati dalla guerra, sarà necessario valutare alcuni aggiustamenti per renderlo a prova di futuro. La replica a Palazzo Madama, nel tradizionale momento di chiedere la fiducia al Senato, è l’occasione per la neo premier di chiarire (di nuovo) la sua posizione sul piano nazionale di ripresa e resilienza, che sarà anche il banco di prova delle relazioni dell’esecutivo italiano con Bruxelles. Meloni evita lo strappo con l’Ue, ma si dice pronta a far sentire la voce dell’Italia nelle istituzioni.

Non abbiamo mai detto che il Pnrr andasse stravolto, non abbiamo mai detto che andasse riscritto. Abbiamo detto che vogliamo rivederlo sulla base dell’articolo 21 del Next generation Eu che consente agli Stati di fare degli aggiustamenti se cambiano gli scenari di valutare quegli scenari”, ha chiarito Meloni di fronte ai senatori, chiedendo loro la fiducia al nuovo governo (ottenuta a Palazzo Madama con 115 sì, 79 voti contrari 3 5 astenuti, dopo aver già incassato il via libera della Camera). Il punto, secondo il governo, è che il Pnrr è stato scritto in un tempo “in cui non c’erano la guerra in Ucraina e gli aumenti dei costi delle materie prime e dell’energia”. E dunque oggi per Meloni è “lecito ragionare se le risorse e gli interventi immaginati siano ancora validi in questo tempo mutato”. E il rischio è che “le gare vadano deserte e così le risorse non siano messe a terra”, ha messo in guardia, sottolineando di dover accelerare anche sull’attuazione del piano.

La modifica al Pnrr e la sua attuazione in linea con gli standard di Bruxelles è stata uno dei punti più controversi della campagna elettorale del centrodestra per le elezioni del 25 settembre. E così rischia di mettere alla prova i rapporti del governo di Roma con Bruxelles, anche se molto dipenderà da quanto Meloni rivendicherà la battaglia in sede a Bruxelles. Meloni chiede più spazio di manovra, dal momento che il piano “non è intoccabile“, ma lo spazio di manovra è minimo. Su richiesta dei giornalisti a Bruxelles, l’esecutivo comunitario (pur non volendo commentare direttamente le parole pronunciate da Meloni sulla possibile revisione dei piani), con la voce della portavoce per gli Affari economici, Veerle Nuyts, ha chiarito ieri che “in via prioritaria gli Stati membri devono attuare il piano di recupero e resilienza approvato dal Consiglio, che già comprendono tappe e obiettivi con tempistiche chiare. Modifiche possono essere richieste dai governi “ma solo in casi eccezionali”, dimostrando “di non poter più attuare parti o l’intero piano a causa di circostanze oggettive“, ha precisato la portavoce, mettendo in chiaro che in questo caso sarà necessaria una “valutazione molto attenta” da parte di Bruxelles.

Secondo l’Ue, il margine di modifica non è ampio, ma c’è un altro fronte su cui l’Italia (come gli altri Paesi membri) può lavorare per aggiornare il Pnrr ed è quello dato dalla transizione. Nel quadro del piano ‘REPowerEu’, presentato a maggio per affrancare l’Ue dalla dipendenza energetica dalla Russia, Bruxelles propone di aggiungere un nuovo capitolo ai loro Pnrr dedicato solo a centrare gli obiettivi del Repower, quindi l’indipendenza dai fossili russi al più tardi entro il 2027. La proposta della Commissione è ora al vaglio dei due co-legislatori (Parlamento e Consiglio Ue), con l’idea di trovare un accordo entro la fine dell’anno.

Nei piani dell’Ue, il capitolo aggiuntivo al Pnrr per l’attuazione del REPowerEU avrà un regime di valutazione speciale e l’Esecutivo ha previsto anche una deroga a uno dei principi fondanti del piano stesso, quello del non arrecare danno significativo all’ambiente (Dnsh, acronimo di ‘Do No Significant Harm’) per le misure che “migliorano le infrastrutture energetiche per soddisfare le esigenze immediate di sicurezza dell’approvvigionamento di petrolio e gas naturale”, spiegano fonti dell’Ue. Mettere in pausa il principio significa poter costruire nuove infrastrutture per il passaggio e il trasporto del gas e del petrolio, in alternativa alle vie che collegano l’Europa al fornitore russo. In sostanza, oleodotti e gasdotti che possano sostenere gli Stati membri nella diversificazione dei fornitori di risorse energetiche.

Meloni finora non ha chiarito nello specifico in quali termini vorrebbe apportare modifiche all’attuale piano, ma in Aula al Senato ha sottolineato che dal Pnrr può esserci una “piccola grande occasione che riguarda il Mezzogiorno d’Italia, dove tutto manca fuorché vento, mare e sole per produrre rinnovabili”. E l’idea è quella di fare “del Sud Italia l’hub di approvvigionamento energetico del Sud Europa”, sfruttando le risorse del Pnrr. E’ verosimile che l’attuazione del Pnrr sarà centrale nella prima visita in veste di premier che farà Meloni a Bruxelles nei prossimi giorni. Un incontro che, secondo varie fonti, potrebbe tenersi già nelle prossime settimane.

La Russa presidente del Senato, ‘disagio’ FI sul governo. Cattaneo ipotesi Mite

La diciannovesima legislatura inizia con il turbo inserito. La macchina non si è nemmeno messa in moto che già finiscono per ingarbugliarsi le partite delle presidenze di Camera e Senato con quella per la composizione del nuovo governo. Si parte dall’unico dato certo: Ignazio La Russa è il nuovo presidente dell’assemblea di Palazzo Madama. Tutto come da copione? Assolutamente no. Perché l’esponente di FdI, che era sì il candidato praticamente ufficiale della coalizione di maggioranza, alla fine la spunta al primo turno solo grazie all’aiuto che arriva dalle opposizioni. Forza Italia, infatti, sceglie di non partecipare alla prima seduta per lanciare un segnale di “disagio” verso gli alleati e la premier in pectore, Giorgia Meloni, dai quali sono arrivati i veti per l’ingresso di Licia Ronzulli (una delle collaboratrici più strette del leader azzurro) nella squadra del nuovo esecutivo. Solo Silvio Berlusconi e Maria Elisabetta Alberti Casellati (presidente uscente del Senato) sono presenti e votanti. Ovviamente per La Russa, come “segnale di apertura“. Ma i voti a favore sono 116, ergo 17 non appartengono all’area di maggioranza, che poteva disporne solo di 99 effettivi in aula.

Da dove arriva il cadeaux? Gli occhi sono puntati sul Terzo polo, ma sia Matteo Renzi che Carlo Calenda rispondono in modo piccato di guardare altrove. Del resto, numericamente la truppa di Azione-Italia viva conta solo 9 membri, dunque ne resterebbero fuori altri 8 che potrebbero essere attribuibili tanto al Pd quanto al Movimento 5 Stelle. Tant’è che si scatena quasi subito la girandola di accuse reciproche tra esponenti dell’opposizione, con tanto di rivendicazione di aver lasciato in bianco la scheda nel segreto del catafalco. Comunque siano andate le cose, l’unico che sembra non farsi alcun problema delle dinamiche è proprio La Russa, che si presenta in aula con un mazzo di fiori per Liliana Segre, che ha diretto la prima seduta fino all’elezione del nuovo presidente. Che prende la parola subito, ringraziando tutti: chi lo ha votato, chi non lo ha votato, chi si è astenuto e anche chi non ha partecipato allo scrutinio. “Davanti a noi ci sono paure e preoccupazione dei cittadini che chiedono alla politica non solo di raccogliere le loro necessità, ma soprattutto di risolverle – dice la seconda carica dello Stato nel discorso di insediamento -. Penso all’inflazione, al caro energia, che sono un dramma per le famiglie e hanno innescato per molte imprese il conto alla rovescia, con il rischio più che concreto della chiusura. L’Italia non può, l’Italia non deve fermarsi“. C’è spazio anche per l’ambiente nelle sue parole: “Il rispetto per la natura e il pianeta sono imprescindibili per l’eredità che dobbiamo lasciare ai nostri figli“.

Ieri in serata, poi, La Russa sale al Quirinale per il rituale colloquio informale con il capo dello Stato, Sergio Mattarella. In un formato diverso dal solito, perché al suo fianco non c’era il nuovo (o la nuova) presidente della Camera, ruolo per il quale si dovrà aspettare il terzo scrutinio, in programma oggi a partire dalle ore 10.30. Perché mentre al Senato – sempre ieri – si apriva il ‘giallo’, a Montecitorio si riapriva la partita della Presidenza: inizialmente sembrava cosa fatta per il leghista Riccardo Molinari, poi nel corso della giornata l’orientamento si è spostato su Giancarlo Giorgetti e alla fine si è planati su Lorenzo Fontana. Tre nomi della scuderia del Carroccio, ma ognuno con una ‘geopolitica’ interna alla coalizione molto diversa. Giorgetti, infatti, sembra destinato a guidare il Mef, mentre Molinari sarà capogruppo alla Camera.

Da qui in poi l’intreccio raggiunge il prossimo governo Meloni. Perché Berlusconi non ha mandato giù i no a Ronzulli, dicendolo apertamente pur senza fare nomi: “Sinceri auguri a La Russa, Forza Italia ha voluto dare un segnale di apertura e collaborazione, ma in una riunione del gruppo è emerso un forte disagio per i veti espressi in questi giorni – verga il Cav in una nota -. Auspichiamo che vengano superati, dando il via ad una collaborazione leale ed efficace con le altre forze della maggioranza, per ridare rapidamente un governo al Paese“. Il messaggio è chiaro, la risposta invece non arriva. Almeno pubblicamente. Così come davanti alle telecamere questo “disagio” viene espresso proprio dal leader di FI, colto in aula, al Senato, pochi minuti prima dell’inizio delle votazioni, a parlare proprio con quello che ne sarebbe diventato il presidente. Berlusconi nelle immagini appare contrariato, tanto da battere anche la penna che aveva tra le mani sul foglio contenuto nella cartellina aperta sul suo banco. Gli scappa anche un ‘vaffa’: il labiale è chiarissimo quando viene passato al rallenty dalle televisioni.

Segno che qualcosa proprio non gli è andata giù di questi negoziati. Durante i quali l’ex premier ha presentato diverse richieste a Meloni. Alcune delle quali scritte di suo pugno sul foglio dove si è schiantata la malcapitata penna. Il Tg di La7 ha provato a ingrandire l’immagine, al punto che il direttore, Enrico Mentana, ha potuto scorgere, tra le varie caselle dei ministeri, che FI ha proposto Ronzulli per le Politiche Ue, il Turismo o i rapporti con il Parlamento. Gli azzurri vorrebbero anche il ministero della Transizione ecologica per affidarlo ad Alessandro Cattaneo, in grande spolvero in questa fase politica. Quale sarà il ‘raccolto’ di questa semina lo si capirà entro pochi giorni, perché le consultazioni al Colle potrebbero iniziare il 22 ottobre, al termine del Consiglio europeo sull’energia, al quale dovrebbe partecipare ancora Mario Draghi, che ieri sera ha avuto un incontro di oltre due ore e mezza, a Parigi, con il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron. Una visita “personale, molto cordiale e calorosa, espressione dell’amicizia tra i due leader” fanno sapere da Palazzo Chigi. Durante la quale “hanno avuto modo di discutere di vari temi, in particolare quelli in agenda al prossimo Consiglio Ue, tra cui l’Ucraina, l’energia e l’andamento del quadro economico“.

Una buona eredità per chi verrà dopo di lui. Transizione che, se tutte le caselle saranno al loro posto entro la prossima settimana, potrebbe essere anche molto rapida. Tutto dipenderà da questi ultimi, febbrili giornate di trattative: i giochi restano aperti, ma non troppo.

Energia fuori controllo. Meloni: Approviamo subito decreto Aiuti

La crisi energetica è un grosso guaio, inutile nasconderlo. L’autunno si avvicina e il rischio per i partiti è di trovarsi gli italiani con bollette stratosferiche da pagare proprio nel momento in cui si aprono le urne per le elezioni politiche del 25 settembre. Ragion per cui tutti, o quasi, provano a spingere su Mario Draghi perché intervenga con un decreto d’urgenza, ma soprattutto vada a negoziare in Europa il tetto massimo al prezzo del gas, oltre al disaccoppiamento con il prezzo dell’elettricità.

Due temi non proprio semplici da portare a casa, soprattutto per chi è a capo di un esecutivo in carica per gli affari correnti. Dunque, con poteri limitati, nonostante lo stand internazionale del suo premier o l’appoggio annunciato da diverse forze della sua ex maggioranza, come Lega, Forza Italia, Pd, Impegno civico, Azione, Iv e altri ancora. I riflettori saranno puntati soprattutto su Bruxelles, dove il prossimo 9 settembre ci sarà il Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia. Ad oggi prevedere se per quella data sarà pronto il piano di riforma Ue del mercato elettrico è un esercizio decisamente complicato, ma le speranze sono tutte accese. “Il gas russo viene usato come strumento di pressione politica, per rispondere alla realtà in cui viviamo la riforma è necessaria”, dice il sottosegretario con delega agli Affari Ue, Enzo Amendola. Riconoscendo, però, che finora “l’Acer, l’agenzia europea per l’energia, non ha prodotto grandi passi in avanti”.

E se le Confindustrie del Nord Italia parlano di una crisi che “sta paralizzando il sistema industriale italiano con il forte rischio di deindustrializzare il Paese mettendo a repentaglio la sicurezza e la tenuta sociale nazionale”, anche dagli enti locali gli appelli al premier si moltiplicano: l’ultimo in ordine di tempo è del presidente della Regione Veneto, il leghista Luca Zaia. “Il costo dell’energia è quadruplicato: è fondamentale che ci sia un intervento dall’Europa su modello del price cap della Francia, dove si è deciso di fissare un prezzo massimo del 4%, dopodiché interviene lo Stato – dice -. Draghi, sempre lungimirante e attento, sposi subito questa causa, senza attendere oltre”. La proposta, però, non trova terreno fertile. Il dem Amendola, ad esempio, dice no: “Non sono per un ritorno allo statalismo, la vicenda francese, anche con la questione del nucleare, fa vedere che i costi sono duplicati“.

Sullo sfondo resta comunque in piedi l’ipotesi di un nuovo decreto Aiuti per mitigare gli effetti dei rincari. Anche se i fondi sono limitati, visto il poco spazio di manovra del governo dimissionario. Palazzo Chigi lavora ai conti per intervenire senza ricorrere a scostamenti di bilancio, mentre resta il vulnus dei 9 miliardi di gettito non versato dalle aziende energivore che hanno realizzato extraprofitti durante la crisi e l’isteria dei prezzi sul mercato del Ttf di Amsterdam. “Certamente dobbiamo riscuotere quei fondi, che poi lo Stato rinvestirà nel taglio delle accise sui carburanti e nel mitigare gli effetti dei rincari sulle bollette”, dice il leader di Impegno civico e ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

A proposito della tassa tanto discussa, dal M5S arriva una nuova proposta. A lanciarla è il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli: “Si può salire oltre il 25%, ma è il caso di allargare il range anche a quelle società che hanno beneficiato di situazioni di mercato favorevoli”, non necessariamente del comparto energetico. L’idea si sposa perfettamente con quella del ministro del Lavoro, il dem Andrea Orlando: “Mi sembra ragionevole intervenire per tentare un riequilibrio tra i settori di imprese in forte sofferenza e settori che hanno prodotto profitti record”.

Al di là delle intenzioni, resta comunque da capire quale sia il pensiero della coalizione che oggi i sondaggi danno in vantaggio. Sui rigassificatori Giorgia Meloni dice che “vanno fatti“, anche a Piombino se “non ci sono alternative“, perché “l’approvvigionamento energetico italiano è una priorità“. Ma nel frattempo bisogna intervenire sul presente: “Lo dico io che sono in opposizione, ci troviamo in Parlamento lunedì e proviamo ad approvare le norme che consentano ai cittadini di avere una situazione sostenibile” sulle bollette. Ma senza nuovo debito, che resta “l’ultima ratio”. Sullo sfondo resta però l’incertezza sulla posizione che assumerebbe un governo di centrodestra sul price cap. La leader di FdI porta l’esempio di Olanda e Germania: “Sono europeiste o difendono il loro interesse nazionale?”, domanda. La risposta, però, deve darla l’Europa. Non ci sono alternative.

Rumors e smentite ma impazza il toto-ministri. Cingolani tra i più ‘contesi’

Il quadro delle alleanze non è ancora definito, i programmi non sono stati depositati, ma come ogni campagna elettorale che si rispetti torna il toto-ministri. Questa volta, a dire il vero, un po’ di ‘colpe’ se le deve prendere il leader della Lega, Matteo Salvini. Perché è stato proprio lui ad accendere la miccia, invitando i suoi alleati del centrodestra a definire prima delle urne almeno un’ossatura di squadra governativa nel caso di vittoria alle urne il prossimo 25 settembre. Finora né Fratelli d’Italia, né tantomeno Forza Italia hanno risposto all’appello guardandosi bene dal fare un passo che molti analisti politici definiscono quantomeno ‘azzardato‘. Soprattutto per una formazione, quella di centrodestra, che tutti i sondaggi danno in largo vantaggio rispetto agli avversari del centrosinistra e anche del centro. Anche perché queste due ultime aree sono ancora in fase di costruzioni, con percorsi visibilmente accidentati.

Se la prudenza non è mai troppa per chi fa politica, l’arte di osare e andare oltre le dichiarazioni di facciata è invece il compito degli osservatori. Soprattutto i media. I primi rumors, così, non tardano ad arrivare e riguardano Giorgia Meloni. Secondo ‘Repubblica‘, la leader di FdI, in un colloquio avuto con Mario Draghi subito dopo le dimissioni, si sarebbe informata con il premier uscente sulle caratteristiche di alcuni ministri. Addirittura chiedendo all’ex Bce consiglio su chi potrebbe essere un asset importante da mettere in campo in un nuovo esecutivo, magari a sua guida. La risposta sarebbe stata Roberto Cingolani e l’ex dg di Bankitalia, Fabio Panetta. Sarebbe, appunto. Perché fonti di Palazzo Chigi non si attardano a smentire il retroscena: “Sono fantasiose e prive di fondamento le ricostruzioni riportate da ‘La Repubblica’ in merito a presunti contatti telefonici del presidente Draghi con Giorgia Meloni, con particolare riferimento a consigli o suggerimenti su nominativi per la composizione della futura compagine di governo“.

La notizia, però, gira a ritmo frenetico. Qualcuno fa il ‘matching‘ con alcune dichiarazioni proprio di Meloni dei giorni scorsi, in cui esprimeva un giudizio tutto sommato positivo sull’azione del ministro della Transizione ecologica. Il diretto interessato non entra nella partita, né per confermare né per smentire. A suo tempo chiarì che non sarebbe stato candidato, tanto che giovedì 4 agosto, in Cdm, lo stesso Draghi ha indirizzato gli auguri di buone vacanze ai ministri non impegnati nella campagna elettorale. Cingolani compreso, che infatti ha ascoltato con un sorriso evidente il premier mentre raccontava questo aneddoto in conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio.

Il ‘problema‘, se così vogliamo chiamarlo, è che il rumors è arrivato fino a Lampedusa, dove Salvini è stato giovedì 4 venerdì 5 agosto. In un punto stampa qualcuno la domanda gliela fa. Prima risponde che non commenta i retroscena giornalistici, poi però qualcosa la dice. “Se Cingolani fosse a disposizione ne sarei ben felice: non penso abbia tessere di partito in tasca, però fra i ministri del governo uscente, anche se non ha nulla a che fare con la Lega, mi trovo bene“. Il tema che gli fa apprezzare di più il fisico prestato (temporaneamente) alla politica è il nucleare, su cui il responsabile del Mite è tornato più volte in questi mesi, soprattutto da quando è scoppiata la crisi energetica. Cingolani ne fa una questione teorica: studiamo, recuperando un gap più che ventennale, poi si vedrà. Il segretario del Carroccio, però, vorrebbe farne un punto programmatico: “Così come non si può più rinviare la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, non si può più rimanere tra i pochi grandi Paesi al mondo che non producono energia col nucleare di ultima generazione“.

Un pensiero diametralmente opposto a quello di Nicola Fratoianni, alle prese con la decisione se accettare o meno l’accordo con il Pd. Mentre i Verdi sembrano ormai pronti a firmare, Sinistra italiana sta ancora riflettendo, lasciando il cuore del M5S e di Giuseppe Conte aperto a una speranza, seppur flebile, di accordo. Condividere ‘casa‘ con Carlo Calenda è un problema per Si: a dividerli sono, tra le altre cose, le idee sul rigassificatore di Piombino, sul nuovo termovalorizzatore a Roma e, appunto, il nucleare. La sostanza della fase politica, però, è molto meno articolata rispetto alla discussione su fissione o fusione: al massimo, in vista del 25 settembre, c’è ‘solo‘ il rischio che qualche leader possa restare col cerino in mano.