Maltempo, oggi Cdm: Governo al lavoro su decreto. Ipotesi fino a 100 milioni in aiuti

Arrivano in Consiglio dei ministri le prime misure per affrontare l’emergenza nei territori colpiti dalle alluvioni. Dopo aver toccato con mano, di ritorno in anticipo dal G7 di Hiroshima, la furia delle piogge che si sono abbattute sull’Emilia-Romagna, la premier, Giorgia Meloni, è al lavoro per mettere su carta gli interventi più urgenti per un territorio drammaticamente colpito dal maltempo. Oltre alla sospensione di bollette e termini per tributi e contributi, dovrebbero essere stanziati circa 50 milioni per le spese legate ai soccorsi. Non è escluso, secondo quanto trapela da ambienti parlamentari di maggioranza, che la cifra possa raddoppiare nelle prossime ore, toccando quota 100 milioni. Ovviamente, si tratterebbe di un primissimo stanziamento, cui dovranno seguirne altri, dopo un’attenta valutazione dei danni, anche se per il momento “è ancora abbastanza impossibile fare una stima”, per dirla con le parole del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto.

Al momento, secondo un primo giro di ricognizione delle varie associazioni di categoria, il conto si aggirerebbe sui 5 miliardi di euro. Un colpo durissimo per l’economia del territorio, ma anche dell’intero Paese. Ecco perché si invocherà quasi sicuramente l’aiuto dell’Europa. “Presenteremo un primo pacchetto di sostegno all’interno del decreto emergenza – spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, da Bruxelles – che prevederà, mi auguro, la sospensione dei mutui, la rateizzazione degli oneri fiscali e soprattutto l’attivazione del fondo di garanzia che a nostro avviso deve essere il massimo che ci è consentito dalle norme europee sugli aiuti di Stato“. Anche perché “ci sono i fondi dell’Ue già attivati in altri casi simili ed è giusto che anche in questo caso l’Italia possa accedervi“, visto che si parla di “una delle regioni più produttive del Paese, che deve essere messa in condizioni da subito di riprendere a sostenere produzione e lavoro e quindi anche l’economia nazionale”.

Oggi sarà ancora allerta rossa sul territorio, anche se “di tipo diverso rispetto alla precedente, perché è basato sul fatto che il territorio è abbastanza inondato, di conseguenza c’è la certezza assoluta che la terra non è in grado di assorbire nulla”, spiega Pichetto. Ricordando che a Palazzo Chigi, dopo il Cdm, ci sarà anche una riunione con il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, per fare il punto sugli interventi da mettere in campo. Che dovranno tenere conto anche dell’allarme lanciato da Michele de Pascale, sindaco e presidente sia della Provincia di Ravenna che dell’Upi: “Abbiamo chilometri di strade provinciali distrutte; frane, smottamenti, fiumi di fango, hanno completamente cancellato interi tratti, isolando comunità e territori. Sono danni per oltre 1 miliardo” che andranno contati nella fase di ricostruzione.

Mentre il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, punta i riflettori su un tema collaterale, perché “in queste giornate in cui l’Italia è colpita da una tragedia come quella che coinvolge l’Emilia-Romagna e parzialmente le Marche, dobbiamo ribadire un concetto che forse sta sfuggendo a chi vive di ideologie: allevatori e agricoltori non sono nemici del territorio e dell’ambiente, anzi. Dove manca la manutenzione del territorio di allevatori e agricoltori”. Perché “il dissesto idrogeologico – continua – è più grave e rispetto a eventi come alluvioni, le concause dell’aggravarsi degli effetti sono da ricercare nel loro abbandono di zone che per millenni hanno manutenuto“.

Il governo, assicura il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sta comunque facendo “tutto ciò che è nelle nostre possibilità per aiutare le popolazioni” colpite dalle alluvioni, “compresa la richiesta di ottenere il fondo di solidarietà da parte dell’Unione europea, come accaduto con il terremoto dell’Aquila“. Il vicepremier sottolinea che l’Italia ha ottenuto “anche grande disponibilità da tanti paesi dell’Ue attraverso l’attivazione del meccanismo di protezione civile dell’Ue, ma anche da Paesi, come la Svizzera, che sono fuori dal sistema europeo“. Tajani oggi pomeriggio sarà in missione a Forlì, in agenda c’è una riunione presso il Comitato operativo comunale sulla situazione di emergenza e a seguire l’incontro con il sindaco, Gian Luca Zattini, i rappresentanti del mondo imprenditoriale, associativo e camerale delle province di Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna, cui parteciperanno anche i vertici di Ice, Sace, Simest e Cdp. Segnali importanti per un territorio che, mentre spala con i soccorritori per liberare case, strade e capannoni, vuole già iniziare a vedere la luce della ricostruzione in fondo al tunnel del dramma.

Giorgia Meloni/Afp

Il Governo italiano conferma gli obiettivi, ma chiede transizione soft

Decarbonizzazione, croce e delizia per la politica italiana. Automotive, etichettatura dei vini, carburanti, edilizia green: sono solo gli ultimi esempi, in ordine cronologico, di quale sia il livello dei negoziati del nostro Paese in Europa. La transizione ecologica, non è un mistero, in passato ha colto di sorpresa – per usare un eufemismo – le nostre istituzioni, che hanno dovuto imbastire programmi per la riconversione delle imprese in tempi record. Il risultato, però, è più che lodevole visto che finora stiamo rispettando le tabelle di marcia, sebbene siano ancora attive le centrali a carbone presenti sul territorio nazionale. A causa, soprattutto, dell’emergenza energetica che si è aperta da inizio 2022 e acuita dopo l’aggressione russa in Ucraina.

Effetti collaterali, che comunque non fermano il percorso. La linea tracciata dal governo di Giorgia Meloni è quella di incentivare anche la produzione di energia da fonti rinnovabili, obiettivo chiarito dalla stessa premier alla Cop27. E ribadito in più occasioni dal ministro dell’Ambiente e sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che infatti si è espresso con queste parole: “La partita è quella della decarbonizzazione”, perché “ci troviamo nella più grande area europea per presenza di polveri sottili che costa la salute di 20 milioni di abitanti di pianura padana. Per questo la sfida nazionale ed europea è legata al discorso della decarbonizzazione, che il paese deve compiere e che impegnerà per anni i governi a venire”.

Il discorso, proprio in questo punto, si incrocia con i dossier aperti in Europa. In particolare con quello legato all’automotive. A Bruxelles è passata la norma che impone lo stop ai motori endotermici, sia benzina che diesel, per passare al full electric dal 2035. Una decisione molto contestata da Roma, che vede a rischio gli obiettivi di neutralità tecnologica, con la Cina che potrebbe diventare il player globale più forte sulla componentistica e le materie prime per la produzione delle batterie. Pichetto è “convinto che il percorso di decarbonizzazione passi dall’autoveicolo e quindi che l’autostrada sia l’elettrico”, ma “quello che l’Italia non ammette è che sia la scelta di qualcuno. L’obiettivo deve essere togliere le emissioni, nessuno lo mette in discussione. E la sfida è quella della razionalità”.

Servono i biocarburanti per una transizione più soft, ma soprattutto per non mandare all’aria un settore e una filiera d’eccellenza per l’economia del Paese. Peraltro, colossi come Eni da tempo hanno investito su questo ramo. Anche somme ingenti, peraltro, con programmi che toccano l’area del Mediterraneo, senza toccare la produzione alimentare, come ha chiarito il ceo, Claudio Descalzi. Tutti fattori che l’esecutivo sta spingendo nel dialogo europeo, senza mai scostarsi dagli obiettivi prioritari: ridurre le emissioni almeno al 55% entro il 2030 e net zero entro il 2050. Perché su questo si gioca il futuro del Vecchio continente, dell’Italia e anche della politica.

cingolani

Partita a scacchi Regioni-governo per le royalties sulle rinnovabili

Renato Schifani è stato il primo a sollevare il tema, ma poco a poco altri governatori si accodano sulle compensazioni sulle rinnovabili. La vicenda parte dal ragionamento del presidente della Regione siciliana, che chiede al governo di discutere sul fatto che l’installazione di pannelli in giro per il suo territorio fornirà energia per altre Regioni, dunque pretende che ne venga lasciata la maggior parte ai suoi concittadini o, in alternativa, vengano concesse agevolazioni, o meglio delle royalties. Al momento, e lo ha ricordato proprio Schifani, questo non è permesso da un decreto legislativo, ma se esiste la norma che concede il 3% di energia prodotta da fonti rinnovabili ai Comuni dove sono sistemati gli impianti, non capisce perché lo stesso non si possa fare anche con le Regioni. Ragion per cui, senza un adeguato confronto con il governo, potrebbe anche sospendere il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico.

Una presa di posizione che ha avuto anche la ‘benedizione’ delle opposizioni, come il Movimento 5 Stelle locale, che appoggia il governatore, ricordando di aver presentato all’Assemblea regionale siciliana, primi firmatari i deputati regionali, Luigi Sunseri e Cristina Ciminnisi, due disegni di legge: il primo per normare l’installazione degli impianti fotovoltaici sui terreni agricoli, il secondo sull’eolico, puntando punta al rispetto del paesaggio ma anche a garantire una contropartita economica per la Regione.

Dal governo, però, la reazione è stata tiepida alla rivendicazione di Schifani. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, infatti, non dà “risposte specifiche sulla Sicilia“, anche perché “altre Regioni hanno portato avanti richieste“, ma a suo modo di vedere “la valutazione va fatta sull’interesse nazionale e non con la contrattazione singola“. Non è sicura nemmeno l’apertura di un tavolo di confronto sulla questione, tant’è che a domanda il responsabile del Mase risponde: “Stiamo valutando sul tema e sulle aree idonee, c’è un discorso già avviato, con interlocuzioni tecniche di merito. Nel momento in cui si arriverà alla conclusione si valuterà anche questo“.

Il fronte, intanto, si allarga. Perché con il governatore siciliano si schierano anche due colleghi. Il primo è il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto: “Condivido la posizione del presidente Schifani – scrive sui suoi canali social -. Va modificata la norma che regola le royalties degli impianti fotovoltaici. Al momento le compensazioni vanno solo ai Comuni, occorre intervenire affinché anche le Regioni abbiano un vantaggio nel promuovere investimenti green“. A seguire Vito Bardi, per la Basilicata: “La Regione ha già inviato, il 10 febbraio scorso, al ministro Pichetto le proposte, in un’ottica di leale collaborazione istituzionale, per vedersi riconosciuta una quota di energia prodotta qui sul territorio“. Perché, spiega, “dobbiamo dirci la verità, anche se scomoda: le ‘rinnovabili’ non creano posti di lavoro e al momento non ‘lasciano’ benefici sul territorio. Bisogna cambiare quanto avvenuto fino a oggi, soprattutto se si vuole rendere, come ha meritoriamente proposto la premier Giorgia Meloni, il Sud un hub delle rinnovabili“.

La palla, dunque, passa a Roma. Anche se la linea non sembra cambiare nemmeno nella risposta, indiretta, del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che pur confermando l’amicizia con Schifani, gli ricorda che “i pannelli solari sono una grande scommessa per la Sicilia“, dove Enel sta realizzando “il più grande stabilimento d’Europa“, la 3Sun Gigafactory, che “sarà così innovativo da far concorrenza a quelli cinesi e produrrà nel tempo tutto quello che serve alla realizzazione di pannelli solari nel nostro Paese“. Un processo che il governo non vuole interrompere.

Siccità

Siccità, arrivano cabina di regia, commissario e osservatori

Una cabina di regia, un commissario straordinario, un osservatorio permanente in ogni autorità di bacino. E ancora: un fondo per gli invasi e multe molto più salate per le estrazioni illecite di acqua.

Il consiglio dei ministri dà il via libera al decreto Siccità, che servirà per affrontare l’estate, prima, per evitare di ripiombare nell’emergenza poi.

C’è tanto verde, ma questo verde ha sete, come hanno sete i nostri agricoltori, i nostri figli, le nostre industrie, stiamo cercando di racimolare il racimolabile”, spiega il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini.

Il Commissario potrà adottare interventi urgenti e resterà in carica fino al 31 dicembre 2023, ma potrà essere prorogato fino alla fine del 2024. Eserciterà le sue funzioni sull’intero territorio nazionale, sulla base dei dati degli osservatori distrettuali permanenti. In via d’urgenza, sarà sua la realizzazione degli interventi di cui sarà incaricato dalla Cabina di regia. Per farlo, opererà in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale (nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea).

La cabina di regia sarà un organo collegiale presieduto dalla premier Giorgia Meloni o, su sua delega, dal vicepremier Salvini e composto da lui, da Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente), Raffaele Fitto (Affari europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), Nello Musumeci (Protezione civile e politiche del mare), Roberto Calderoli (Affari regionali) e Giancarlo Giorgetti (Economia). Alessandro Morelli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al coordinamento della politica economica e programmazione degli investimenti pubblici, partecipa alle riunioni come segretario. La prima riunione della cabina sarà entro un mese. L’organo avrà funzioni di indirizzo, coordinamento e monitoraggio per il contrasto della crisi idrica ed entro un mese dall’entrata in vigore del decreto effettua una ricognizione delle opere e degli interventi urgenti, finanziati anche con risorse oggetto di autorizzazioni di spesa non ancora impegnate o comunque altrimenti disponibili. Cambia la disciplina degli impianti di desalinizzazione. Quelli di capacità pari o superiore a 200 litri al secondo saranno sottoposti a verifica di assoggettabilità a Via, la valutazione di impatto ambientale.

Per gli invasi, la sicurezza e la gestione, ci sarà un fondo ad hoc nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, destinato alla realizzazione delle operazioni di sghiaiamento e sfangamento delle dighe. Il commissario, d’intesa con la regione territorialmente competente, provvede alla regolazione dei volumi e delle portate derivati dagli invasi, nei limiti delle quote autorizzate dalle concessioni di derivazione e dagli atti adottati dalle autorità di vigilanza, in funzione dell’uso della risorsa.

A scopo di irrigazione, le Regioni potranno dare l’ok anche all’uso di acque reflue depurate prodotte dagli impianti di depurazione già in esercizio, fino al 31 dicembre 2023.

Presso ciascuna Autorità di bacino distrettuale è istituito un osservatorio distrettuale permanente sugli utilizzi idrici, che supporterà per il governo integrato delle risorse idriche e cura la raccolta, l’aggiornamento e la diffusione dei dati relativi alla disponibilità e all’uso della risorsa nel distretto idrografico di riferimento, compresi il riuso delle acque reflue, i trasferimenti di risorsa e i volumi eventualmente derivanti dalla desalinizzazione, i fabbisogni dei vari settori d’impiego, con riferimento alle risorse superficiali e sotterranee.

Mutui e finanziamenti sospesi per i concessionari di piccole derivazioni a scopo idroelettrico fra l’1 maggio 2023 e il 31 ottobre 2023 e senza oneri aggiuntivi. La sospensione può essere richiesta anche in relazione ai pagamenti dei canoni per contratti di locazione finanziaria su beni mobili o immobili strumentali allo svolgimento delle attività di concessionario di piccole derivazioni a scopo idroelettrico. Multe molto più salate in caso di estrazione illecita di acqua: salgono da una forbice di 4.000-40.000 euro a una di 8.000-50.000 euro. Per gli inadempimenti nell’ambito delle attività di esercizio e manutenzione delle dighe, passano da 400-2.000 euro a 2.000-10.000 euro. Entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto, verrà approvato un piano di comunicazione per sensibilizzare i cittadini sulla situazione di crisi idrica e le gravi conseguenze che potrebbe portare sul tessuto economico e sociale e informare sul corretto utilizzo della risorsa idrica.

Bollette, si va verso decreto legge urgente. Giorgetti: “Iva sul gas al 5% e bonus sociale”

Il prezzo del gas è sceso dopo il varo del price cap europeo, ma gli incentivi servono ancora perché l’emergenza rincari non è rientrata. Sulle bollette, infatti, si sta limando “un provvedimento di urgenza” sulle bollette, che dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri non più tardi della prossima settimana, forse già martedì, prima comunque del 31 marzo, data in cui scadranno le misure previste con l’ultima legge di Bilancio. Ne ha parlato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, durante il question time in Senato. Rispetto alle indiscrezioni circolate nelle ultime settimane non ci sono sostanziali novità. Il responsabile del Mef specifica che “le misure allo studio devono tenere conto delle risorse attualmente disponibili e avranno una durata temporale differenziata, anche in attesa del nuovo quadro economico che emergerà dal Def”, in arrivo ad aprile, e “del perfezionamento del dibattito relativo al RePowerEu e al Pnrr”, oggetto dei negoziati con la Commissione Ue.

In concreto, la direttrice su cui si sta muovendo l’esecutivo è quello di fornire ossigeno ai meno abbienti. “Considerato che i rincari energetici colpiscono in maggior modo le famiglie a basso reddito”, dice Giorgetti, sarà riproposto “il bonus sociale elettricità e gas per i nuclei familiari in condizioni di disagio economico o fisico con Isee fino a 15mila euro”, che ha una platea “di oltre 4,5 milioni di famiglie”. Inoltre, “è allo studio una misura che decorrerà dal 1 ottobre, con l’inizio dell’anno termico, e che consisterà in un contributo a compensazione delle spese di riscaldamento: sarà erogato tramite la bolletta elettrica” e non avrà limiti legati al reddito. Il ministro dell’Economia ribadisce che ci sarà la conferma “anche per il secondo trimestre 2023 della riduzione al 5% dell’aliquota Iva sul gas metano ad uso civile e industriale” rispetto al 10 o al 22%, in base alla tipologia del cliente. Ma anche un intervento “per la somministrazione di energia termica in esecuzione di contratti di servizio energia nonché per le forniture di servizi di teleriscaldamento”.

Per le aziende, poi, si pensa a “misure strutturali di sostegno per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale”. E “nelle more di questa riforma – prosegue Giorgetti -, nel prossimo trimestre è al vaglio un’ipotesi di rimodulazione delle misure già riconosciute nel primo trimestre, sotto forma di credito di imposta, che tenga conto dei livelli di prezzo dell’energia elettrica e di gas che si sono verificati negli ultimi periodi”. Sugli oneri di sistema, invece, si va verso la reintroduzione per quello che riguarda l’energia elettrica, che in compenso avrà altri benefici. Secondo le previsioni dell’esecutivo, comunque, la situazione comunque rimane sotto controllo.

Restando sul tema, non entra ancora nel dibattito il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica. Una misura di cui proprio la premier, Giorgia Meloni, aveva parlato in campagna elettorale come possibile intervento urgente da poter mettere in campo per ridurre il peso delle bollette, ma che in questi mesi non ha trovato spazio nell’agenda di esecutivo e Parlamento. Anche per attendere le mosse dell’Europa, che aveva individuato proprio questo provvedimento come una delle possibili opzioni per la riforma del mercato dell’energia elettrica, salvo poi depennarlo.

Siccità, governo lavora al decreto per il supercommissario

Contro la siccità che colpito l’Italia in arrivo un commissario straordinario e un piano idrico nazionale. Si è tenuto oggi a Palazzo Chigi il primo tavolo sulla crisi idrica, presieduto dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni a cui hanno partecipato i ministri Matteo Salvini, Francesco, Lollobrigida, Raffaele Fitto, Gilberto Pichetto Fratin, Roberto Calderoli, Nello Musumeci, il viceministro Vannia Gava, i sottosegretari Alfredo Mantovano e Alessandro Morelli.
Nel corso della riunione si è convenuto di affrontare la questione idrica a fronte della siccità in corso istituendo a Palazzo Chigi una sorta di cabina di regia tra tutti i ministeri interessati per definire un piano idrico straordinario nazionale d’intesa con le Regioni e gli Enti territoriali per individuare le priorità di intervento e la loro adeguata programmazione, anche utilizzando nuove tecnologie. Per questo, verrà individuato un Commissario straordinario con poteri esecutivi. Inoltre il governo ha intenzione di lavorare a un provvedimento normativo urgente per la semplificazione delle procedure accelerando i lavori essenziali per fronteggiare la siccità. Verrà poi avviata una campagna di sensibilizzazione sull’uso responsabile della risorsa idrica.

Il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti si dice “pronto a dare un contributo significativo”, con “l’assunzione di responsabilità dirette e in pieno coordinamento con tutti gli altri protagonisti che oggi erano a Palazzo Chigi”.

Già giovedì si aprirà la consultazione pubblica sullo schema di decreto ministeriale sul riutilizzo irriguo delle acque reflue depurate. Obiettivo, aprire ai contributi utili dei soggetti interessati in vista dell’armonizzazione delle discipline nazionale ed europea. “Poiché il risparmio idrico e il miglioramento dell’efficienza dovrebbero essere prioritari quando si elaborano misure per affrontare la scarsità d’acqua, il riutilizzo rappresenta una misura virtuosa, proprio in un’ottica di economia circolare”, spiega Gava. Dal prossimo 26 giugno si applicherà negli stati dell’Ue il nuovo regolamento che definisce per la prima volta requisiti minimi per l’utilizzo delle acque di recupero. Il nuovo testo mira, quindi, a evitare agli operatori italiani un doppio binario normativo che sarebbe, sostiene, “gravoso”.

siccità

Oggi tavolo su siccità: ipotesi commissario contro burocrazia. Rischio razionamenti

Il maltempo di questi giorni sembra aver portato sollievo ai bacini del Po, in secca da settimane. Piogge e nevicate hanno infatti favorito una ripresa dei deflussi nei corsi d’acqua dell’Emilia Centrale e della Romagna, anche se le portate medie giornaliere del Po nella sezione di Piacenza e Cremona sono ancora prossime ai valori di ‘portata caratteristica di magra’,  come segnala l’Autorità di Bacino del fiume. Una situazione di allarme, soprattutto per l’agricoltura, che ha fatto correre ai ripari il governo: oggi è infatti convocato a Palazzo Chigi il tavolo di lavoro interministeriale sull’Acqua presieduto dalla premier Giorgia Meloni a cui saranno presenti i ministri Salvini, Lollobrigida, Fitto, Pichetto Fratin e Musumeci. Da giorni i dicasteri di Infrastrutture, Agricoltura, Coesione, Ambiente e Protezione civile lavorano per arrivare a varare un piano di interventi a breve scadenza, ma anche una programmazione di medio-lungo periodo. Quello a cui si guarda è una sorta di cabina di regia, guidata da un commissario con poteri sulla gestione dell’acqua: una proposta che molto probabilmente sarà discussa nel prossimo Consiglio dei ministri.

La siccità non è stata un’emergenza” perché “ormai in Italia è un evento ciclico, ha spiegato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, al termine dell’incontro al Parlamento europeo con gli eurodeputati italiani. Per questo, al tavolo, il governo porterà documenti di analisi della situazione sia nella fase emergenziale, ma soprattutto in quella strutturale. “Bisogna lavorare parallelamente sull’emergenza di quest’anno, quindi riuscire a trovare il modo di efficientare quello che abbiamo, e poi lavorare in termini strategici per arginare la dispersione idrica che in Italia arriva a una media del 40%, in alcune regioni anche al 50%“, ha aggiunto Lollobrigida. Sul tavolo vi sarà anche la proposta di un meccanismo, con un commissario o un’altra formula, che permetta di superare la burocrazia, in emergenza, ma che attivi una cabina di regia permanente “che permetta di immaginare interventi per l’oggi, di medio periodo e di prospettiva“, ha concluso il ministro.

A oggi, secondo l’indice standardizzato dei deflussi calcolato negli ultimi 30 giorni, si trova in condizione di siccità estrema il tratto del fiume Po tra Piacenza e Pontelagoscuro, mentre per le sezioni di Cremona, Boretto e Borgoforte sono state calcolate condizioni idrologiche di siccità severa. Per Legambiente gli interventi che il governo dovrebbe attuare riguardano soprattutto la definizione di un piano di razionamento dell’acqua per agricoltura e il riutilizzo delle acque reflue depurate. “Bisogna prelevare meno acqua possibile, senza se e senza ma – ha sostenuto l’associazione – , e per far ciò occorre adottare un approccio circolare delle acque prendendo come esempio anche quelle esperienze virtuose già attive in diversi territori“. Secondo l’indagine ‘Il riutilizzo delle acque reflue in Italia’, realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi all’anno, l’acqua esce dai depuratori), ma in Italia viene sfruttato, a causa di limiti normativi, pregiudizi degli agricoltori e una governance non ancora ben definita, solo per il 5% (475 milioni di metri cubi).

Da Varsavia a Kiev: Meloni l’atlantista. Spot per una Ue unita

La sinusoide che accompagna la sua leadership governativa questa volta va all’insù. Dopo aver patito lo smacco francese ed essere arrivata allo strappo con Emmanuel Macron, dopo aver criticato apertamente la missione di Francia e Germania a Washington, Giorgia Meloni si è (ri)cucita addosso un ruolo non proprio trascurabile andando in missione in Polonia e, di qui, in Ucraina. Conquistando – pure – un invito alla Casa Bianca da Joe Biden che, guarda caso, è transitato anche lui negli stessi giorni da Varsavia e da Kiev.

Al di là dell’impatto mediatico di una doppia visita che non può passare sotto traccia, l’incontro cordiale con il premier polacco Mateusz Morawiecki e quello altrettanto caloroso con Volodymir Zelensky in teoria dovrebbero fornire segnali precisi e rassicuranti: l’esecutivo e chi lo guida hanno sposato una linea saldamente atlantista, l’Italia del dopo Draghi non ha cambiato (e non ha intenzione) di cambiare rotta. Gli altri 26 paesi della Ue, sotto questo aspetto, dovrebbero essere più tranquilli dopo le inquietudini d’autunno quando Meloni era salita a Chigi tra molti dubbi e qualche batticuore. Abbandonata dai partner più importanti, Meloni (da sola) sta rilanciando l’idea di un’Europa unita per davvero e non solo di facciata. Uno spot per gli inquilini di Bruxelles, intanto…

Intanto, la presidente del Consiglio ha garantito il massimo appoggio – militare e non – all’Ucraina sapendo che la guerra si porta appresso incognite pesantissime, le più cogenti sono legate al comparto energetico e a quello dell’agroalimentare. Ad esempio, il grido d’allarme lanciato dal ministro dell’Agricoltura ucraino sull’accordo del grano, che ovviamente coinvolge la Russia, non può restare appeso nell’aria senza una soluzione: la storia insegna che un popolo affamato diventa ingestibile. Di gas, poi, si è detto e ridetto e sarebbe illusorio pensare che la situazione sia risolta al cento per cento. In fretta e furia è stata messa una toppa, ma il prossimo inverno si porterà dietro un’altra emergenza. Anche in questo caso, si tratta di problemi più facilmente risolvibili da un’Europa unita che non da cani sciolti, per cui ciascuno pensa per sé e gli altri si arrangino.

Liofilizzando il concetto, Varsavia e Kiev restituiscono all’Italia una Meloni con un’allure internazionale più rilucente: ce n’era bisogno, Perché nei prossimi mesi l’interlocuzione con l’Europa, in particolare con Macron e Scholz, non sarà facile. E si andrà sicuramente a discutere, a Bruxelles: dalle case green alla direttiva sulle auto elettriche, fino all’etichettatura del vino e alla ridefinizione del perimetro del Pnrr. Molti fronti aperti, magari troppi, nessuno da sottovalutare, tutti risolvibili con in buonsenso. E, manco a dirlo, con l’unità.

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Superbonus, vertice governo-imprese-banche: apertura su F24 per crediti pregressi

L’intervento più veloce per sterilizzare gli effetti negativi sull’edilizia delle nuove norme è confermare le detrazioni d’imposta dalla dichiarazione dei redditi. E’ quanto emerge dalla riunione convocata da Palazzo Chigi con le imprese e le banche, per trovare una soluzione al problema della cessione dei crediti, di fatto stoppata (almeno verso gli enti locali) dal decreto varato la settimana scorsa in Cdm.

Il sistema delle imprese italiano è in fibrillazione, ma alla fine dell’incontro le varie associazioni escono un po’ meno preoccupate. “Abbiamo avuto un confronto franco e una grande consapevolezza, da parte del governo, che vanno sbloccati i crediti pregressi“, dice la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio. Spiegando che c’è stata “un’apertura agli F24, una delle sue misure proposte da noi e dall’Abi, e un tavolo tecnico immediato anche per il futuro, quindi, possiamo dire di essere soddisfatti“.

Per l’esecutivo sono il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, a tenere le file del tavolo assieme il vice ministro al Mef, Maurizio Leo, e la vice ministra delle Imprese e del Made in Italy, Fausta Bergamotto. Per Abi, invece, è il direttore generale, Giovanni Sabatini, a prendere parte alla riunione, così come l’amministratore delegato Dario Scannapieco per Cassa depositi e prestiti, il ceo Alessandra Ricci per Sace e il direttore Ernesto Maria Ruffini per l’Agenzia delle entrate. L’obiettivo comune è individuare una soluzione immediata per i cosiddetti ‘crediti incagliati’, oltre a una strutturalità per evitare che in futuro possano esserci altri intoppi. C’è “la ferma determinazione” del governo “a porre rimedio agli effetti negativi della cessione del credito correlata ai bonus edilizi“, fa sapere Palazzo Chigi in una nota. Ribadendo che, a partire dal decreto legge approvato lo scorso 16 febbraio, l’impegno è quello di “trovare le soluzioni più adeguate per quelle imprese del settore edilizio che hanno agito correttamente nel rispetto delle norme“. Mettendo in chiaro che si tratta di una situazione, che l’esecutivo Meloni “ha ereditato” sui crediti maturati e che il sistema bancario ha difficoltà ad assorbire.

Per questo il governo assicura che la questione “verrà esaminata al più presto, in un tavolo tecnico al quale saranno presenti i rappresentanti delle associazioni di categoria intervenuti” e che servirà a individuare “norme transitorie al fine di fornire soluzioni nel passaggio dal regime antecedente al decreto legge a quello attuale, tenendo conto della situazione delle imprese di piccole dimensioni e di quelle che operano nelle zone di ricostruzione post-sisma“. Problema, quest’ultimo, sollevato da tutte le sigle convocate. Ma c’è anche chi, come Confapi, tiene il punto su altri aspetti della vicenda: “Abbiamo caldeggiato l’intervento di Cassa depositi e prestiti perché i lavori che noi andiamo a realizzare come artigiani sono di piccolo importo – spiega il presidente, Marco Granelli -, che sono poco appetibili al sistema bancario essendo di scarsa rigenerazione per loro. Questo mi si dice che non è possibile in questo momento, ma noi continueremo a chiederlo“.

In mattinata, parlando a margine di un convegno, Pichetto aveva spiegato che “sul Superbonus non era possibile fare diversamente”, ma “adesso il governo valuterà anche rispetto a quelle situazioni che hanno determinato circa un 15 miliardi di crediti incagliati: le aziende falliscono non perché abbiamo bloccato la cessione del credito, ma perché nessuno gli comprava il credito“.

Anche se la cifra di cui parlano le aziende al termine del vertice è circa 19,8 miliardi. La riunione di Palazzo Chigi abbraccia diversi fattori, come quelli sollevati da Cna: “Abbiamo avuto disponibilità a discutere, come proponeva lo stesso premier, di binari nuovi e diversi per il futuro degli incentivi“, dice il presidente di Cna, Dario Costantini. Sottolineando di aver chiesto “di continuare questo tavolo, che deve diventare tecnico, urgente, immediato per dare una risposta alle pressioni che ci arrivano delle imprese: parliamo di un comparto in fibrillazione di 600mila imprese, di cui 540mila sono rappresentate da artigiani e pmi“. Non è escluso che possano esserci altri incontri, anche se al momento non è in vista una nuova convocazione. Ma il primo passo è fatto.

Dalle 19 scatta lo sciopero dei benzinai: stop anche ai self

Dalle 19 di questa sera (24 gennaio) scatterà lo sciopero di 48 ore dei benzinai. Pompe chiuse e self service staccati fino alle 19 del 26 gennaio nelle città, mentre in autostrada la protesta scatterà dalle 22, sempre di domani, fino alle 22 di giovedì prossimo. Come annunciato dalle tre sigle dei gestori, Faib Confesercenti, Fegica e Figisc/Anisa Confcommercio, saranno comunque garantiti i servizi minimi essenziali in un determinato numero di stazioni nelle città ma anche sulle reti autostradali. Difficile pensare che possa esserci una retromarcia dell’ultimo minuto, anche perché la tensione con il governo sta salendo di ora in ora, come si evince dai cartelli esposti dalle associazioni negli impianti per spiegare le loro ragioni: “Chiuso per sciopero. Per protestare contro la vergognosa campagna diffamatoria nei confronti della categoria e gli inefficaci provvedimenti del governo che continuano a penalizzare solo i gestori senza tutelare i consumatori. Per scongiurare nuovi aumenti del prezzo dei carburanti”.

Non è servito nemmeno il tentativo estremo del ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, dalle colonne del ‘Corriere della sera‘: “È il primo governo che riconosce le loro ragioni e proprio per questo lo sciopero è davvero incomprensibile. Mi appello al buon senso”. Se possibile, l’effetto è stato proprio l’opposto. Soprattutto quando afferma di non capire “come si possa scioperare contro la trasparenza, contro un cartello”, perché “il decreto prevede che in ogni stazione sia visibile il prezzo medio regionale, ciò a beneficio dei consumatori come della stragrande maggioranza dei gestori: la trasparenza aiuta tutti”.

I gestori non l’hanno presa bene: “Le dichiarazioni del ministro Urso sono l’ennesima dimostrazione della confusione in cui si muove il governo in questa vicenda”, scrivono in un nota congiunta i presidenti di Faib Confercenti, Fegica e Figisc/Anisa Confcommercio. “Continuano a chiedere trasparenza e noi l’abbiamo offerta in tutti i modi – proseguono -. Quello che non ci si può chiedere è di autorizzare nuovi adempimenti e nuove sanzioni a carico dei gestori, questo no”. Ecco perché pur ricordando che “le organizzazioni di categoria hanno sempre sostenuto la necessità di un confronto aperto fino all’ultimo minuto utile prima dello sciopero”, le parole del responsabile del Mimit “rischiano seriamente di chiudere ogni residua possibilità di concludere positivamente la vertenza in atto”. Poi l’invito a intervenire rivolto direttamente a Palazzo Chigi: “Dia un segnale sull’intera vertenza”.

La premier, Giorgia Meloni, però, da Algeri non fa retromarcia: “Non c’è alcuna volontà di colpire una categoria, solo la necessità di fare ordine per evitare comportamenti sbagliati”. Sul decreto Trasparenza “abbiamo immaginato il provvedimento, ci siamo confrontati con loro due volte – sottolinea -. Alcune rimostranze erano di buonsenso e siamo andati loro incontro, ma non potevamo tornare indietro su un provvedimento giusto. Pubblicare il prezzo medio settimanale per far capire all’utente la situazione è una iniziativa di buon senso”.

Nel frattempo, si muovono le associazioni dei consumatori. Il Codacons è pronto a presentare alla Procura della Repubblica di Roma una denunciaper la possibile fattispecie di interruzione di pubblico servizio”. Stesso orientamento anche per l’Unc, che attacca: “La verità dei fatti è che la lobby dei benzinai ha già vinto, visto che il Governo, dopo aver partorito un topolino, si è già rimangiato il decreto, riducendo le multe dai 516 euro attuali al ridicolo balzello di 200 euro”. Va oltre Assoutenti, che chiede ai prefetti di tutta Italia di intervenire “per precettare i benzinai e costringere i distributori a rimanere aperti”, facendo sul leva sul “maltempo che sta imperversando in Italia e l’allerta neve che interessa diverse regioni”. Al momento non ci sono riscontri, dunque agli automobilisti non resta che mettersi in fila e fare il pieno per non rimanere a piedi.