cingolani

Partita a scacchi Regioni-governo per le royalties sulle rinnovabili

Renato Schifani è stato il primo a sollevare il tema, ma poco a poco altri governatori si accodano sulle compensazioni sulle rinnovabili. La vicenda parte dal ragionamento del presidente della Regione siciliana, che chiede al governo di discutere sul fatto che l’installazione di pannelli in giro per il suo territorio fornirà energia per altre Regioni, dunque pretende che ne venga lasciata la maggior parte ai suoi concittadini o, in alternativa, vengano concesse agevolazioni, o meglio delle royalties. Al momento, e lo ha ricordato proprio Schifani, questo non è permesso da un decreto legislativo, ma se esiste la norma che concede il 3% di energia prodotta da fonti rinnovabili ai Comuni dove sono sistemati gli impianti, non capisce perché lo stesso non si possa fare anche con le Regioni. Ragion per cui, senza un adeguato confronto con il governo, potrebbe anche sospendere il rilascio delle autorizzazioni per il fotovoltaico.

Una presa di posizione che ha avuto anche la ‘benedizione’ delle opposizioni, come il Movimento 5 Stelle locale, che appoggia il governatore, ricordando di aver presentato all’Assemblea regionale siciliana, primi firmatari i deputati regionali, Luigi Sunseri e Cristina Ciminnisi, due disegni di legge: il primo per normare l’installazione degli impianti fotovoltaici sui terreni agricoli, il secondo sull’eolico, puntando punta al rispetto del paesaggio ma anche a garantire una contropartita economica per la Regione.

Dal governo, però, la reazione è stata tiepida alla rivendicazione di Schifani. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, infatti, non dà “risposte specifiche sulla Sicilia“, anche perché “altre Regioni hanno portato avanti richieste“, ma a suo modo di vedere “la valutazione va fatta sull’interesse nazionale e non con la contrattazione singola“. Non è sicura nemmeno l’apertura di un tavolo di confronto sulla questione, tant’è che a domanda il responsabile del Mase risponde: “Stiamo valutando sul tema e sulle aree idonee, c’è un discorso già avviato, con interlocuzioni tecniche di merito. Nel momento in cui si arriverà alla conclusione si valuterà anche questo“.

Il fronte, intanto, si allarga. Perché con il governatore siciliano si schierano anche due colleghi. Il primo è il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto: “Condivido la posizione del presidente Schifani – scrive sui suoi canali social -. Va modificata la norma che regola le royalties degli impianti fotovoltaici. Al momento le compensazioni vanno solo ai Comuni, occorre intervenire affinché anche le Regioni abbiano un vantaggio nel promuovere investimenti green“. A seguire Vito Bardi, per la Basilicata: “La Regione ha già inviato, il 10 febbraio scorso, al ministro Pichetto le proposte, in un’ottica di leale collaborazione istituzionale, per vedersi riconosciuta una quota di energia prodotta qui sul territorio“. Perché, spiega, “dobbiamo dirci la verità, anche se scomoda: le ‘rinnovabili’ non creano posti di lavoro e al momento non ‘lasciano’ benefici sul territorio. Bisogna cambiare quanto avvenuto fino a oggi, soprattutto se si vuole rendere, come ha meritoriamente proposto la premier Giorgia Meloni, il Sud un hub delle rinnovabili“.

La palla, dunque, passa a Roma. Anche se la linea non sembra cambiare nemmeno nella risposta, indiretta, del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che pur confermando l’amicizia con Schifani, gli ricorda che “i pannelli solari sono una grande scommessa per la Sicilia“, dove Enel sta realizzando “il più grande stabilimento d’Europa“, la 3Sun Gigafactory, che “sarà così innovativo da far concorrenza a quelli cinesi e produrrà nel tempo tutto quello che serve alla realizzazione di pannelli solari nel nostro Paese“. Un processo che il governo non vuole interrompere.

Siccità

Siccità, arrivano cabina di regia, commissario e osservatori

Una cabina di regia, un commissario straordinario, un osservatorio permanente in ogni autorità di bacino. E ancora: un fondo per gli invasi e multe molto più salate per le estrazioni illecite di acqua.

Il consiglio dei ministri dà il via libera al decreto Siccità, che servirà per affrontare l’estate, prima, per evitare di ripiombare nell’emergenza poi.

C’è tanto verde, ma questo verde ha sete, come hanno sete i nostri agricoltori, i nostri figli, le nostre industrie, stiamo cercando di racimolare il racimolabile”, spiega il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini.

Il Commissario potrà adottare interventi urgenti e resterà in carica fino al 31 dicembre 2023, ma potrà essere prorogato fino alla fine del 2024. Eserciterà le sue funzioni sull’intero territorio nazionale, sulla base dei dati degli osservatori distrettuali permanenti. In via d’urgenza, sarà sua la realizzazione degli interventi di cui sarà incaricato dalla Cabina di regia. Per farlo, opererà in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale (nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea).

La cabina di regia sarà un organo collegiale presieduto dalla premier Giorgia Meloni o, su sua delega, dal vicepremier Salvini e composto da lui, da Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente), Raffaele Fitto (Affari europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), Nello Musumeci (Protezione civile e politiche del mare), Roberto Calderoli (Affari regionali) e Giancarlo Giorgetti (Economia). Alessandro Morelli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al coordinamento della politica economica e programmazione degli investimenti pubblici, partecipa alle riunioni come segretario. La prima riunione della cabina sarà entro un mese. L’organo avrà funzioni di indirizzo, coordinamento e monitoraggio per il contrasto della crisi idrica ed entro un mese dall’entrata in vigore del decreto effettua una ricognizione delle opere e degli interventi urgenti, finanziati anche con risorse oggetto di autorizzazioni di spesa non ancora impegnate o comunque altrimenti disponibili. Cambia la disciplina degli impianti di desalinizzazione. Quelli di capacità pari o superiore a 200 litri al secondo saranno sottoposti a verifica di assoggettabilità a Via, la valutazione di impatto ambientale.

Per gli invasi, la sicurezza e la gestione, ci sarà un fondo ad hoc nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, destinato alla realizzazione delle operazioni di sghiaiamento e sfangamento delle dighe. Il commissario, d’intesa con la regione territorialmente competente, provvede alla regolazione dei volumi e delle portate derivati dagli invasi, nei limiti delle quote autorizzate dalle concessioni di derivazione e dagli atti adottati dalle autorità di vigilanza, in funzione dell’uso della risorsa.

A scopo di irrigazione, le Regioni potranno dare l’ok anche all’uso di acque reflue depurate prodotte dagli impianti di depurazione già in esercizio, fino al 31 dicembre 2023.

Presso ciascuna Autorità di bacino distrettuale è istituito un osservatorio distrettuale permanente sugli utilizzi idrici, che supporterà per il governo integrato delle risorse idriche e cura la raccolta, l’aggiornamento e la diffusione dei dati relativi alla disponibilità e all’uso della risorsa nel distretto idrografico di riferimento, compresi il riuso delle acque reflue, i trasferimenti di risorsa e i volumi eventualmente derivanti dalla desalinizzazione, i fabbisogni dei vari settori d’impiego, con riferimento alle risorse superficiali e sotterranee.

Mutui e finanziamenti sospesi per i concessionari di piccole derivazioni a scopo idroelettrico fra l’1 maggio 2023 e il 31 ottobre 2023 e senza oneri aggiuntivi. La sospensione può essere richiesta anche in relazione ai pagamenti dei canoni per contratti di locazione finanziaria su beni mobili o immobili strumentali allo svolgimento delle attività di concessionario di piccole derivazioni a scopo idroelettrico. Multe molto più salate in caso di estrazione illecita di acqua: salgono da una forbice di 4.000-40.000 euro a una di 8.000-50.000 euro. Per gli inadempimenti nell’ambito delle attività di esercizio e manutenzione delle dighe, passano da 400-2.000 euro a 2.000-10.000 euro. Entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto, verrà approvato un piano di comunicazione per sensibilizzare i cittadini sulla situazione di crisi idrica e le gravi conseguenze che potrebbe portare sul tessuto economico e sociale e informare sul corretto utilizzo della risorsa idrica.

Bollette, si va verso decreto legge urgente. Giorgetti: “Iva sul gas al 5% e bonus sociale”

Il prezzo del gas è sceso dopo il varo del price cap europeo, ma gli incentivi servono ancora perché l’emergenza rincari non è rientrata. Sulle bollette, infatti, si sta limando “un provvedimento di urgenza” sulle bollette, che dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri non più tardi della prossima settimana, forse già martedì, prima comunque del 31 marzo, data in cui scadranno le misure previste con l’ultima legge di Bilancio. Ne ha parlato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, durante il question time in Senato. Rispetto alle indiscrezioni circolate nelle ultime settimane non ci sono sostanziali novità. Il responsabile del Mef specifica che “le misure allo studio devono tenere conto delle risorse attualmente disponibili e avranno una durata temporale differenziata, anche in attesa del nuovo quadro economico che emergerà dal Def”, in arrivo ad aprile, e “del perfezionamento del dibattito relativo al RePowerEu e al Pnrr”, oggetto dei negoziati con la Commissione Ue.

In concreto, la direttrice su cui si sta muovendo l’esecutivo è quello di fornire ossigeno ai meno abbienti. “Considerato che i rincari energetici colpiscono in maggior modo le famiglie a basso reddito”, dice Giorgetti, sarà riproposto “il bonus sociale elettricità e gas per i nuclei familiari in condizioni di disagio economico o fisico con Isee fino a 15mila euro”, che ha una platea “di oltre 4,5 milioni di famiglie”. Inoltre, “è allo studio una misura che decorrerà dal 1 ottobre, con l’inizio dell’anno termico, e che consisterà in un contributo a compensazione delle spese di riscaldamento: sarà erogato tramite la bolletta elettrica” e non avrà limiti legati al reddito. Il ministro dell’Economia ribadisce che ci sarà la conferma “anche per il secondo trimestre 2023 della riduzione al 5% dell’aliquota Iva sul gas metano ad uso civile e industriale” rispetto al 10 o al 22%, in base alla tipologia del cliente. Ma anche un intervento “per la somministrazione di energia termica in esecuzione di contratti di servizio energia nonché per le forniture di servizi di teleriscaldamento”.

Per le aziende, poi, si pensa a “misure strutturali di sostegno per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale”. E “nelle more di questa riforma – prosegue Giorgetti -, nel prossimo trimestre è al vaglio un’ipotesi di rimodulazione delle misure già riconosciute nel primo trimestre, sotto forma di credito di imposta, che tenga conto dei livelli di prezzo dell’energia elettrica e di gas che si sono verificati negli ultimi periodi”. Sugli oneri di sistema, invece, si va verso la reintroduzione per quello che riguarda l’energia elettrica, che in compenso avrà altri benefici. Secondo le previsioni dell’esecutivo, comunque, la situazione comunque rimane sotto controllo.

Restando sul tema, non entra ancora nel dibattito il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica. Una misura di cui proprio la premier, Giorgia Meloni, aveva parlato in campagna elettorale come possibile intervento urgente da poter mettere in campo per ridurre il peso delle bollette, ma che in questi mesi non ha trovato spazio nell’agenda di esecutivo e Parlamento. Anche per attendere le mosse dell’Europa, che aveva individuato proprio questo provvedimento come una delle possibili opzioni per la riforma del mercato dell’energia elettrica, salvo poi depennarlo.

Siccità, governo lavora al decreto per il supercommissario

Contro la siccità che colpito l’Italia in arrivo un commissario straordinario e un piano idrico nazionale. Si è tenuto oggi a Palazzo Chigi il primo tavolo sulla crisi idrica, presieduto dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni a cui hanno partecipato i ministri Matteo Salvini, Francesco, Lollobrigida, Raffaele Fitto, Gilberto Pichetto Fratin, Roberto Calderoli, Nello Musumeci, il viceministro Vannia Gava, i sottosegretari Alfredo Mantovano e Alessandro Morelli.
Nel corso della riunione si è convenuto di affrontare la questione idrica a fronte della siccità in corso istituendo a Palazzo Chigi una sorta di cabina di regia tra tutti i ministeri interessati per definire un piano idrico straordinario nazionale d’intesa con le Regioni e gli Enti territoriali per individuare le priorità di intervento e la loro adeguata programmazione, anche utilizzando nuove tecnologie. Per questo, verrà individuato un Commissario straordinario con poteri esecutivi. Inoltre il governo ha intenzione di lavorare a un provvedimento normativo urgente per la semplificazione delle procedure accelerando i lavori essenziali per fronteggiare la siccità. Verrà poi avviata una campagna di sensibilizzazione sull’uso responsabile della risorsa idrica.

Il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti si dice “pronto a dare un contributo significativo”, con “l’assunzione di responsabilità dirette e in pieno coordinamento con tutti gli altri protagonisti che oggi erano a Palazzo Chigi”.

Già giovedì si aprirà la consultazione pubblica sullo schema di decreto ministeriale sul riutilizzo irriguo delle acque reflue depurate. Obiettivo, aprire ai contributi utili dei soggetti interessati in vista dell’armonizzazione delle discipline nazionale ed europea. “Poiché il risparmio idrico e il miglioramento dell’efficienza dovrebbero essere prioritari quando si elaborano misure per affrontare la scarsità d’acqua, il riutilizzo rappresenta una misura virtuosa, proprio in un’ottica di economia circolare”, spiega Gava. Dal prossimo 26 giugno si applicherà negli stati dell’Ue il nuovo regolamento che definisce per la prima volta requisiti minimi per l’utilizzo delle acque di recupero. Il nuovo testo mira, quindi, a evitare agli operatori italiani un doppio binario normativo che sarebbe, sostiene, “gravoso”.

siccità

Oggi tavolo su siccità: ipotesi commissario contro burocrazia. Rischio razionamenti

Il maltempo di questi giorni sembra aver portato sollievo ai bacini del Po, in secca da settimane. Piogge e nevicate hanno infatti favorito una ripresa dei deflussi nei corsi d’acqua dell’Emilia Centrale e della Romagna, anche se le portate medie giornaliere del Po nella sezione di Piacenza e Cremona sono ancora prossime ai valori di ‘portata caratteristica di magra’,  come segnala l’Autorità di Bacino del fiume. Una situazione di allarme, soprattutto per l’agricoltura, che ha fatto correre ai ripari il governo: oggi è infatti convocato a Palazzo Chigi il tavolo di lavoro interministeriale sull’Acqua presieduto dalla premier Giorgia Meloni a cui saranno presenti i ministri Salvini, Lollobrigida, Fitto, Pichetto Fratin e Musumeci. Da giorni i dicasteri di Infrastrutture, Agricoltura, Coesione, Ambiente e Protezione civile lavorano per arrivare a varare un piano di interventi a breve scadenza, ma anche una programmazione di medio-lungo periodo. Quello a cui si guarda è una sorta di cabina di regia, guidata da un commissario con poteri sulla gestione dell’acqua: una proposta che molto probabilmente sarà discussa nel prossimo Consiglio dei ministri.

La siccità non è stata un’emergenza” perché “ormai in Italia è un evento ciclico, ha spiegato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, al termine dell’incontro al Parlamento europeo con gli eurodeputati italiani. Per questo, al tavolo, il governo porterà documenti di analisi della situazione sia nella fase emergenziale, ma soprattutto in quella strutturale. “Bisogna lavorare parallelamente sull’emergenza di quest’anno, quindi riuscire a trovare il modo di efficientare quello che abbiamo, e poi lavorare in termini strategici per arginare la dispersione idrica che in Italia arriva a una media del 40%, in alcune regioni anche al 50%“, ha aggiunto Lollobrigida. Sul tavolo vi sarà anche la proposta di un meccanismo, con un commissario o un’altra formula, che permetta di superare la burocrazia, in emergenza, ma che attivi una cabina di regia permanente “che permetta di immaginare interventi per l’oggi, di medio periodo e di prospettiva“, ha concluso il ministro.

A oggi, secondo l’indice standardizzato dei deflussi calcolato negli ultimi 30 giorni, si trova in condizione di siccità estrema il tratto del fiume Po tra Piacenza e Pontelagoscuro, mentre per le sezioni di Cremona, Boretto e Borgoforte sono state calcolate condizioni idrologiche di siccità severa. Per Legambiente gli interventi che il governo dovrebbe attuare riguardano soprattutto la definizione di un piano di razionamento dell’acqua per agricoltura e il riutilizzo delle acque reflue depurate. “Bisogna prelevare meno acqua possibile, senza se e senza ma – ha sostenuto l’associazione – , e per far ciò occorre adottare un approccio circolare delle acque prendendo come esempio anche quelle esperienze virtuose già attive in diversi territori“. Secondo l’indagine ‘Il riutilizzo delle acque reflue in Italia’, realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi all’anno, l’acqua esce dai depuratori), ma in Italia viene sfruttato, a causa di limiti normativi, pregiudizi degli agricoltori e una governance non ancora ben definita, solo per il 5% (475 milioni di metri cubi).

Da Varsavia a Kiev: Meloni l’atlantista. Spot per una Ue unita

La sinusoide che accompagna la sua leadership governativa questa volta va all’insù. Dopo aver patito lo smacco francese ed essere arrivata allo strappo con Emmanuel Macron, dopo aver criticato apertamente la missione di Francia e Germania a Washington, Giorgia Meloni si è (ri)cucita addosso un ruolo non proprio trascurabile andando in missione in Polonia e, di qui, in Ucraina. Conquistando – pure – un invito alla Casa Bianca da Joe Biden che, guarda caso, è transitato anche lui negli stessi giorni da Varsavia e da Kiev.

Al di là dell’impatto mediatico di una doppia visita che non può passare sotto traccia, l’incontro cordiale con il premier polacco Mateusz Morawiecki e quello altrettanto caloroso con Volodymir Zelensky in teoria dovrebbero fornire segnali precisi e rassicuranti: l’esecutivo e chi lo guida hanno sposato una linea saldamente atlantista, l’Italia del dopo Draghi non ha cambiato (e non ha intenzione) di cambiare rotta. Gli altri 26 paesi della Ue, sotto questo aspetto, dovrebbero essere più tranquilli dopo le inquietudini d’autunno quando Meloni era salita a Chigi tra molti dubbi e qualche batticuore. Abbandonata dai partner più importanti, Meloni (da sola) sta rilanciando l’idea di un’Europa unita per davvero e non solo di facciata. Uno spot per gli inquilini di Bruxelles, intanto…

Intanto, la presidente del Consiglio ha garantito il massimo appoggio – militare e non – all’Ucraina sapendo che la guerra si porta appresso incognite pesantissime, le più cogenti sono legate al comparto energetico e a quello dell’agroalimentare. Ad esempio, il grido d’allarme lanciato dal ministro dell’Agricoltura ucraino sull’accordo del grano, che ovviamente coinvolge la Russia, non può restare appeso nell’aria senza una soluzione: la storia insegna che un popolo affamato diventa ingestibile. Di gas, poi, si è detto e ridetto e sarebbe illusorio pensare che la situazione sia risolta al cento per cento. In fretta e furia è stata messa una toppa, ma il prossimo inverno si porterà dietro un’altra emergenza. Anche in questo caso, si tratta di problemi più facilmente risolvibili da un’Europa unita che non da cani sciolti, per cui ciascuno pensa per sé e gli altri si arrangino.

Liofilizzando il concetto, Varsavia e Kiev restituiscono all’Italia una Meloni con un’allure internazionale più rilucente: ce n’era bisogno, Perché nei prossimi mesi l’interlocuzione con l’Europa, in particolare con Macron e Scholz, non sarà facile. E si andrà sicuramente a discutere, a Bruxelles: dalle case green alla direttiva sulle auto elettriche, fino all’etichettatura del vino e alla ridefinizione del perimetro del Pnrr. Molti fronti aperti, magari troppi, nessuno da sottovalutare, tutti risolvibili con in buonsenso. E, manco a dirlo, con l’unità.

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Superbonus, vertice governo-imprese-banche: apertura su F24 per crediti pregressi

L’intervento più veloce per sterilizzare gli effetti negativi sull’edilizia delle nuove norme è confermare le detrazioni d’imposta dalla dichiarazione dei redditi. E’ quanto emerge dalla riunione convocata da Palazzo Chigi con le imprese e le banche, per trovare una soluzione al problema della cessione dei crediti, di fatto stoppata (almeno verso gli enti locali) dal decreto varato la settimana scorsa in Cdm.

Il sistema delle imprese italiano è in fibrillazione, ma alla fine dell’incontro le varie associazioni escono un po’ meno preoccupate. “Abbiamo avuto un confronto franco e una grande consapevolezza, da parte del governo, che vanno sbloccati i crediti pregressi“, dice la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio. Spiegando che c’è stata “un’apertura agli F24, una delle sue misure proposte da noi e dall’Abi, e un tavolo tecnico immediato anche per il futuro, quindi, possiamo dire di essere soddisfatti“.

Per l’esecutivo sono il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, a tenere le file del tavolo assieme il vice ministro al Mef, Maurizio Leo, e la vice ministra delle Imprese e del Made in Italy, Fausta Bergamotto. Per Abi, invece, è il direttore generale, Giovanni Sabatini, a prendere parte alla riunione, così come l’amministratore delegato Dario Scannapieco per Cassa depositi e prestiti, il ceo Alessandra Ricci per Sace e il direttore Ernesto Maria Ruffini per l’Agenzia delle entrate. L’obiettivo comune è individuare una soluzione immediata per i cosiddetti ‘crediti incagliati’, oltre a una strutturalità per evitare che in futuro possano esserci altri intoppi. C’è “la ferma determinazione” del governo “a porre rimedio agli effetti negativi della cessione del credito correlata ai bonus edilizi“, fa sapere Palazzo Chigi in una nota. Ribadendo che, a partire dal decreto legge approvato lo scorso 16 febbraio, l’impegno è quello di “trovare le soluzioni più adeguate per quelle imprese del settore edilizio che hanno agito correttamente nel rispetto delle norme“. Mettendo in chiaro che si tratta di una situazione, che l’esecutivo Meloni “ha ereditato” sui crediti maturati e che il sistema bancario ha difficoltà ad assorbire.

Per questo il governo assicura che la questione “verrà esaminata al più presto, in un tavolo tecnico al quale saranno presenti i rappresentanti delle associazioni di categoria intervenuti” e che servirà a individuare “norme transitorie al fine di fornire soluzioni nel passaggio dal regime antecedente al decreto legge a quello attuale, tenendo conto della situazione delle imprese di piccole dimensioni e di quelle che operano nelle zone di ricostruzione post-sisma“. Problema, quest’ultimo, sollevato da tutte le sigle convocate. Ma c’è anche chi, come Confapi, tiene il punto su altri aspetti della vicenda: “Abbiamo caldeggiato l’intervento di Cassa depositi e prestiti perché i lavori che noi andiamo a realizzare come artigiani sono di piccolo importo – spiega il presidente, Marco Granelli -, che sono poco appetibili al sistema bancario essendo di scarsa rigenerazione per loro. Questo mi si dice che non è possibile in questo momento, ma noi continueremo a chiederlo“.

In mattinata, parlando a margine di un convegno, Pichetto aveva spiegato che “sul Superbonus non era possibile fare diversamente”, ma “adesso il governo valuterà anche rispetto a quelle situazioni che hanno determinato circa un 15 miliardi di crediti incagliati: le aziende falliscono non perché abbiamo bloccato la cessione del credito, ma perché nessuno gli comprava il credito“.

Anche se la cifra di cui parlano le aziende al termine del vertice è circa 19,8 miliardi. La riunione di Palazzo Chigi abbraccia diversi fattori, come quelli sollevati da Cna: “Abbiamo avuto disponibilità a discutere, come proponeva lo stesso premier, di binari nuovi e diversi per il futuro degli incentivi“, dice il presidente di Cna, Dario Costantini. Sottolineando di aver chiesto “di continuare questo tavolo, che deve diventare tecnico, urgente, immediato per dare una risposta alle pressioni che ci arrivano delle imprese: parliamo di un comparto in fibrillazione di 600mila imprese, di cui 540mila sono rappresentate da artigiani e pmi“. Non è escluso che possano esserci altri incontri, anche se al momento non è in vista una nuova convocazione. Ma il primo passo è fatto.

Dalle 19 scatta lo sciopero dei benzinai: stop anche ai self

Dalle 19 di questa sera (24 gennaio) scatterà lo sciopero di 48 ore dei benzinai. Pompe chiuse e self service staccati fino alle 19 del 26 gennaio nelle città, mentre in autostrada la protesta scatterà dalle 22, sempre di domani, fino alle 22 di giovedì prossimo. Come annunciato dalle tre sigle dei gestori, Faib Confesercenti, Fegica e Figisc/Anisa Confcommercio, saranno comunque garantiti i servizi minimi essenziali in un determinato numero di stazioni nelle città ma anche sulle reti autostradali. Difficile pensare che possa esserci una retromarcia dell’ultimo minuto, anche perché la tensione con il governo sta salendo di ora in ora, come si evince dai cartelli esposti dalle associazioni negli impianti per spiegare le loro ragioni: “Chiuso per sciopero. Per protestare contro la vergognosa campagna diffamatoria nei confronti della categoria e gli inefficaci provvedimenti del governo che continuano a penalizzare solo i gestori senza tutelare i consumatori. Per scongiurare nuovi aumenti del prezzo dei carburanti”.

Non è servito nemmeno il tentativo estremo del ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, dalle colonne del ‘Corriere della sera‘: “È il primo governo che riconosce le loro ragioni e proprio per questo lo sciopero è davvero incomprensibile. Mi appello al buon senso”. Se possibile, l’effetto è stato proprio l’opposto. Soprattutto quando afferma di non capire “come si possa scioperare contro la trasparenza, contro un cartello”, perché “il decreto prevede che in ogni stazione sia visibile il prezzo medio regionale, ciò a beneficio dei consumatori come della stragrande maggioranza dei gestori: la trasparenza aiuta tutti”.

I gestori non l’hanno presa bene: “Le dichiarazioni del ministro Urso sono l’ennesima dimostrazione della confusione in cui si muove il governo in questa vicenda”, scrivono in un nota congiunta i presidenti di Faib Confercenti, Fegica e Figisc/Anisa Confcommercio. “Continuano a chiedere trasparenza e noi l’abbiamo offerta in tutti i modi – proseguono -. Quello che non ci si può chiedere è di autorizzare nuovi adempimenti e nuove sanzioni a carico dei gestori, questo no”. Ecco perché pur ricordando che “le organizzazioni di categoria hanno sempre sostenuto la necessità di un confronto aperto fino all’ultimo minuto utile prima dello sciopero”, le parole del responsabile del Mimit “rischiano seriamente di chiudere ogni residua possibilità di concludere positivamente la vertenza in atto”. Poi l’invito a intervenire rivolto direttamente a Palazzo Chigi: “Dia un segnale sull’intera vertenza”.

La premier, Giorgia Meloni, però, da Algeri non fa retromarcia: “Non c’è alcuna volontà di colpire una categoria, solo la necessità di fare ordine per evitare comportamenti sbagliati”. Sul decreto Trasparenza “abbiamo immaginato il provvedimento, ci siamo confrontati con loro due volte – sottolinea -. Alcune rimostranze erano di buonsenso e siamo andati loro incontro, ma non potevamo tornare indietro su un provvedimento giusto. Pubblicare il prezzo medio settimanale per far capire all’utente la situazione è una iniziativa di buon senso”.

Nel frattempo, si muovono le associazioni dei consumatori. Il Codacons è pronto a presentare alla Procura della Repubblica di Roma una denunciaper la possibile fattispecie di interruzione di pubblico servizio”. Stesso orientamento anche per l’Unc, che attacca: “La verità dei fatti è che la lobby dei benzinai ha già vinto, visto che il Governo, dopo aver partorito un topolino, si è già rimangiato il decreto, riducendo le multe dai 516 euro attuali al ridicolo balzello di 200 euro”. Va oltre Assoutenti, che chiede ai prefetti di tutta Italia di intervenire “per precettare i benzinai e costringere i distributori a rimanere aperti”, facendo sul leva sul “maltempo che sta imperversando in Italia e l’allerta neve che interessa diverse regioni”. Al momento non ci sono riscontri, dunque agli automobilisti non resta che mettersi in fila e fare il pieno per non rimanere a piedi.

Governo e benzinai trattano sullo sciopero. Antitrust indaga su 5 compagnie per i prezzi

Domani alle 14.30 i rappresentati dei benzinai parteciperanno a un tavolo tecnico al ministero delle Imprese e del Made in Italy sul tema rincari dei carburanti. Si tratta del secondo round fra Faib, Fegica e Figisc dopo il vertice a Palazzo Chigi di venerdì scorso. Una riunione che era terminata col congelamento dello sciopero indetto dalla categoria, annunciato per protestare contro la campagna “di fango” che aveva colpito i gestori degli impianti di carburanti in seguito all’eliminazione dello sconto sulle accise a Capodanno.

Tra un vertice e l’altro, però, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto Trasparenza, varato dal governo per combattere eventuali speculazioni. Il provvedimento prevede, tra le altre cose, che “i gestori degli impianti di carburante che non comunicheranno i loro prezzi e non esporranno nel punto vendite le medie calcolate dal ministero potranno essere puniti con sanzioni da 500 a 6mila euro. Dopo la terza violazione può essere disposta la sospensione dellʼattività (che può andare da una settimana a tre mesi)”. Una regola che non è andata giù ai diretti interessati. Al punto che la giunta nazionale di Faib Confesercenti in un comunicato ha voluto esprimere “delusione per l’esito dell’incontro di venerdì scorso, che pure si era svolto in un clima positivo. Faib, di conseguenza, conferma il giudizio di forte contrarietà sul decreto Trasparenza. Pesa la formulazione della norma che conferma l’obbligo di un nuovo cartello e l’inasprimento inaccettabile delle sanzioni. Ben venga maggiore trasparenza ma si eliminino adempimenti che risulterebbero inutili e si riveda il sistema sanzionatorio, senza duplicazioni e senza accanimenti. Si perseguano con razionalità gli strumenti utili per dare informazioni corrette ai consumatori, ma si eviti – sottolinea l’associazione – la giungla cartellonistica che creerebbe solo confusione. Se si vuole un nuovo cartello significa che quelli che ci sono non sono utili. E allora li si eliminino e si razionalizzi la giungla cartellonistica“.

I prezzi dei carburanti sono già oggi i più pubblicizzati rispetto ad ogni altro prodotto di largo e generale consumo e occorre attenzione nel costruire nuove informazioni, tenendo conto delle specificità che ci sono tra rete ordinaria e rete autostradale. Pertanto, lo sciopero contro questo provvedimento inutile e dannoso resta congelato – continua la nota stampa di Faib – in attesa dell’incontro” di domani al ministero delle Imprese e del made in Italy. “In quella sede valuteremo se il governo ha intenzione di accogliere le richieste della categoria o meno. E prenderemo le decisioni conseguenti che saranno illustrate nel dettaglio nella conferenza stampa unitaria, indetta per giovedì 19 gennaio“.

Mentre governo e benzinai trattano, l’Antitrust indaga. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, insieme al Nucleo Speciale Antitrust della Guardia di Finanza, ha svolto ispezioni nelle sedi delle compagnie petrolifere: Eni, Esso, Ip, Kuwait Petroleum e Tamoil. I procedimenti sono stati avviati anche sulla base della documentazione “tempestivamente fornita” dalle stesse fiamme gialle.

Il governo approva il ‘decreto Ischia’: prorogata la scadenza dei pagamenti per la popolazione

Via libera dal Consiglio dei ministri al cosiddetto ‘decreto Ischia’, che a cinque giorni dalla tragedia che ha causato 11 vittime e un disperso, dispone interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite dall’alluvione e dalle frane. Il decreto, in particolare, prevede misure a favore degli abitanti di Casamicciola e Lacco Ameno. Per loro, sono stati sospesi i termini dei versamenti tributari, inclusi quelli derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione fino al al 30 giugno 2023. Inoltre, l’esecutivo ha deciso la sospensione, fino al 31 dicembre 2022, dei termini processuali e dei giudizi civili e penali presso il Tribunale di Ischia o di altri Tribunali nel caso in cui la parte o il difensore siano residenti nella zona colpita dall’alluvione. Stessa sospensione anche per i giudizi amministrativi, contabili, tributari e militari. Infine, il decreto proroga al 31 dicembre 2023 il termine per la cessazione della Sezione distaccata insulare di Ischia, attualmente fissata al 31 dicembre 2022.

Il Consiglio dei ministri, inoltre, ha ha approvato anche un decreto legge che “introduce misure a tutela dell’interesse nazionale nei settori produttivi strategici”. Il provvedimento, spiega Palazzo Chigi, interviene, in considerazione “del carattere emergenziale assunto dalla crisi energetica” e riguarda le imprese che gestiscono impianti e infrastrutture “di rilevanza strategica per l’interesse nazionale nel settore della raffinazione di idrocarburi“. In particolare, con il decreto si interviene dove si evidenziano “imminenti rischi di continuità produttiva idonei a recare pregiudizi all’interesse nazionale, conseguenti a sanzioni imposte nell’ambito dei rapporti internazionali tra Stati, al fine di garantire, con ogni mezzo, la sicurezza degli approvvigionamenti, nonché il mantenimento, la sicurezza e la operatività delle reti e degli impianti e quindi la continuità produttiva”. Vengono quindi definite le procedure di amministrazione temporanea di queste imprese, in caso di “grave ed imminente pericolo di pregiudizio all’interesse nazionale alla sicurezza nell’approvvigionamento energetico”. L’amministrazione temporanea è disposta per un periodo di massimo 12 mesi, prorogabile una sola volta fino a ulteriori 12 mesi. L’intera disposizione ha carattere temporaneo, con validità fino al 30 giugno 2023.

“Piena soddisfazione per l’approvazione, in Consiglio dei ministri – dice la premier Giorgia Meloni – del decreto legge a tutela dell’interesse nazionale nei settori produttivi strategici. Una norma con la quale il Governo interviene, tra l’altro, per garantire la continuità del lavoro nella raffineria Isab di Priolo che impiega con l’indotto circa 10mila persone”. “Con questo intervento urgente – aggiunge riferendosi proprio all’impianto Lukoilotteniamo due obiettivi: tuteliamo un nodo energetico strategico nazionale e mettiamo in sicurezza lavoratori indispensabili per la Sicilia e l’intera Nazione”

Con lo stesso decreto, il Consiglio dei ministri introduce misure economiche compensative connesse all’esercizio del golden power. In sostanza, a fronte di “interventi inibenti ai fini della sicurezza nazionale” esercitati dal governo attraverso il Golden power, vengono previsti “immediati interventi compensativi a sostegno delle imprese destinatarie”, se ne fanno richiesta.

 

(Photo credit: AFP)