I costruttori si ribellano allo stop endotermico: adelante elettrico, ma con juicio

L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Oliver Zipse, gran capo della Bmw. Senza mezzi termini ha detto che lo stop ai motori endotermici fissato dalla Ue per il 2035 appartiene praticamente alla sfera dell’iperuranio. Insomma, si tratta ormai di qualcosa che ha contorni vagamente inverosimili. In fondo, le auto elettriche non si vendono perché – citiamo qua e là Carlos Tavares, ad di Stellantis – costano troppo al produttore, figurarsi ai potenziali clienti; non offrono adeguate garanzie di tenuta (le batterie, già); si imbattono in evidenti problemi infrastrutturali, le fantomatiche colonnine di ricarica. Ergo, il cuscinetto tra la fine dell’utilizzo delle vetture ‘tradizionali’ e l’inizio dell’era elettrica ha bisogno di essere più ampio e flessibile. Da una certa prospettiva, il 2035 sembra lontano ma in realtà è vicino.

Il punto è che ci vuole più tempo per arrivare a una transizione indolore e che dieci anni abbondanti possono non essere sufficienti per un atterraggio senza scossoni. Riflessioni mirate mentre le ombre cinesi si allungano sul futuro dell’occidente, tra dazi e screzi. Del resto, la crisi dell’automotive non può essere curata sempre e solo con le iniezioni di denaro dei governi ma deve trovare una soluzione strutturale. E definitiva. Senza arrivare alle posizioni rigidissime di Sergio Marchionne, all’epoca della gestione di Fca apertamente contrario all’elettrico in termini di costi produttivi e di guadagni ambientali, la fretta che ha messo l’Europa sicuramente non ha giovato. Tanto che adesso, con i numeri in rosso e con un europarlamento sulla carta meno oltranzista, la maggior parte dei costruttori ha innestato la retromarcia. Sintetizzando: adelante sì, anzi elettrico sì, ma con juicio. Si puedes.

Se da un lato le preoccupazioni della maggior parte delle case automobilistiche sono condivisibili, se i cinesi (e Tesla) sono effettivamente in vantaggio anni luce sull’industria europea, dall’altro va anche detto che gli sforzi economici degli ultimi anni per riconvertire gli impianti da benzina/diesel a elettrico non possono essere vanificati. E le gigafactory dove le mettiamo?, domanderebbe qualcuno. Non le mettiamo proprio e facciamo prima. Ma, al di là delle battute, è questo clima di incertezza che non giova, è questa zona grigia, quasi nebbiosa, in cui si procede a strappi che zavorra qualsiasi tipo di iniziativa. E che, a ben guardare, frena l’utente finale, cioè l’acquirente. Che non cambia macchina, che si tiene il vecchio, caro, superinquinante diesel piuttosto di avventurarsi in un acquisto oneroso e posticcio. Tanto più che, passato l’idillio green, le Regioni cominciano a stringere la cinghia. Prova ne sia il Piemonte del governatore Alberto Cirio: dal 1° gennaio dell’anno che verrà, le vetture ibride benzina-elettrico saranno soggette al 50% della tassa di proprietà per cinque anni. E pagheranno tutto il balzello dal sesto anno. Così, alla faccia dell’ambiente, l’ente locale di Cirio intende incassare quattro milioni di euro annui.

Quindi, sempre cercando di sintetizzare, a tendere scompariranno quelle piccole agevolazioni che potevano far pendere la bilancia dalla parte dell’elettrico. Nel mentre Leapmotor, assemblata negli stabilimenti polacchi di Stellantis, si prepara a sbaragliare la concorrenza…

Moda, nuovo sostegno da 15 mln per transizione green

Dopo il pacchetto di aiuti presentato ad agosto, va dalla moratoria sui debiti, alla cassa integrazione, passando per una sanatoria sui crediti R&S e la promozione all’estero, con il sostegno all’economia circolare, Adolfo Urso cala un’altra carta buona per il comparto moda.
In un decreto interministeriale a doppia firma con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro delle Imprese e del Made in Italy dispone le modalità di attuazione per sostenere la transizione ecologica e digitale delle imprese del settore tessile, della moda e degli accessori nel Paese. Alla misura sono destinati 15 milioni di euro.

Le agevolazioni alle imprese beneficiarie – identificate con i codici Ateco – saranno concesse sotto forma di contributo a fondo perduto, per (al massimo) il 50% delle spese ammissibili e nel limite di 60mila euro, per l’acquisizione di prestazioni specialistiche. Potranno cioè essere finanziate con questi fondi le attività di formazione del personale dipendente dell’impresa; l’ implementazione di una o più tecnologie abilitanti finalizzate a favorire lo sviluppo dei processi aziendali o i prodotti innovativi (come cloud computing, big data e analytics, intelligenza artificiale, blockchain, robotica avanzata e collaborativa, manifattura additiva e stampa 3D, Internet of Things, realtà aumentata, soluzioni di manifattura avanzata, piattaforme digitali per condivisione di competenze, sistemi di tracciabilità digitale della filiera produttiva), l’ottenimento di certificazioni di sostenibilità ambientale e i servizi di analisi di Life Cycle Assessment (LCA).

L’industria italiana della moda, “ha bisogno di particolare attenzione“, spiega Urso, descrivendo il provvedimento come un “tassello importante” di un più ampio piano di sostegno al settore, ma anche per accelerare gli investimenti nella transizione e sviluppare le competenze richieste per affrontare queste sfide.

La misura sarà gestita da Invitalia che, per conto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, svolgerà l’istruttoria per l’ammissione alle agevolazioni. Con successivo provvedimento del Mimit saranno fissati i termini per la presentazione delle domande di agevolazione e fornite eventuali ulteriori specificazioni per la corretta attuazione dell’intervento.

Il green di Draghi si sposa con le richieste di Urso e Pichetto

Nel presentare il suo rapporto sulla competitività dell’Unione, Mario Draghi ha lanciato un grido d’allarme: o l’Europa cambia e subito e senza tentennamenti, oppure è destinata a diventare marginale sul palcoscenico mondiale. Di per se stesso non è nulla di assolutamente inedito: che a Bruxelles e Strasburgo debbano modificare atteggiamenti, uscire dalla campana di vetro e mettersi al passo con i tempi (e i concorrenti: Cina, Usa, India, i Brics) lo avevano capito anche i sassi, come riuscirci invece è fardello di chi governa i vari Paesi. L’ex premier ed ex presidente della Bce ha scattato la sua fotografia della situazione e si è solo peritato di mettere fretta a chi – nei prossimi mesi – sarà chiamato a decidere che strada prendere. E’ finita la stagione dei tentennamenti e, forse, pure quella dell’ideologia estrema e della burocratizzazione.

Su tutto e sopra tutto c’è il problema dei denari: circa 750-800 miliardi di investimenti aggiuntivi annui in più rispetto a quelli pianificati per fare in maniera che la Ue non si sgonfi. E possa contare su innovazione e transizione. Nel silenzio quasi assoluto e proprio per questo assordante che è calato all’improvviso sulla questione green, Draghi ha avuto il coraggio di affrontare il tema dell’energia pulita, quindi della decarbonizzazione. Che, per l’ex presidente del Consiglio, è una opportunità da cogliere e non da gettare alle ortiche. Come? Abbassando i prezzi dell’energia di cui sopra e dando vita a un’innovazione verde che esalti il ruolo dell’economia circolare.

Numeri alla mano, dal report Draghi emergono cifre tanto grandi quanto ampiamente prevedibili perché la transizione green ha costi elevatissimi. Per le quattro maggiori industrie ad alta necessità di energia, le EII (chimica, metalli di base, minerali non metalliferi e carta), si prevede che la decarbonizzazione costerà complessivamente 500 miliardi di euro nei prossimi 15 anni, mentre per le ‘hard to abate’ del settore dei trasporti (marittimo e aereo) il fabbisogno di investimenti è di circa 100 miliardi di euro all’anno dal 2031 al 2050.

Una riflessione, quella di Draghi, che arriva il giorno dopo la richiesta avanzata dal ministro Adolfo Urso di spostare in avanti la ‘fine’ del motore endotermico (oltre il 2035) ‘spalleggiato’ dal ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, e dal ministro Gilberto Pichetto Fratin di rivedere il meccanismo relativo alle case green. Anche qui, nulla di inedito ma anche nulla che si possa ulteriormente procrastinare perché certe posizioni oltranziste del precedente esecutivo di Bruxelles ormai sembrano vecchie di secoli e andranno (andrebbero) a gravare sulle tasche dei cittadini. Ai quali verrà già chiesto in qualche modo di contribuire ai quei 750-800 miliardi in più della ‘dieta’ Draghi.

Clima, emissioni e sostenibilità: la Commissione europea rivendica i 10 “risultati chiave”

La prima legge europea sul clima, il fondo europeo per una transizione giusta, il dispiegamento di colonnine elettriche su strade e autostrade d’Europa. E, ancora, la revisione dell’Ets, il sistema di certificati di emissioni, affiancato dal nuovo sistema di carbon tax transfrontaliero. Con la legislatura europea agli sgoccioli la Commissione prova a fare un bilancio dell’attività svolta e i successi ottenuti nel corso del mandato. Per quanto riguarda la parte ‘green’ dell’azione dell’esecutivo comunitario, il rapporto stilato a Bruxelles, si concentra su 10 risultati considerati chiave.

Al primo posto viene menzionata la prima legge europea sul clima, approvata nel 2021, che fissa obiettivi chiari per fare dell’Ue una regione climaticamente neutrale entro il 2050, oltre a fissare l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, rispetto al 1990. Obiettivi rivisti a febbraio 2024, con la raccomandazione della Commissione per un ulteriore obiettivo intermedio di ridurre del 90% le emissioni entro il 2040.

Secondo obiettivo chiave raggiunto: il Just Transition Fund. “Con il sostegno di 19,7 miliardi di euro di finanziamenti – rivendica la Commissione – l’Ue ha aiutato le regioni vulnerabili a diversificare le attività economiche e ad affrontare l’impatto socioeconomico della transizione pulita”.

Terzo risultato della lista: sostegno a gli agricoltori di 22 Stati membri con 330 milioni di euro per far fronte agli impatti degli eventi climatici e ai maggiori costi dei fattori di produzione. A questo si aggiunge la concessione di flessibilità ai governi nazionali per integrare il sostegno dell’U e fino al 200% con fondi nazionali e di fornire anticipi più elevati sui fondi della politica agricola comune per migliorare il flusso di cassa degli agricoltori.

Risultato numero quattro: “Dal 2019 abbiamo approvato sette importanti progetti di comune interesse europeo (IPCEI) che coinvolgono 22 Stati membri”. Questi progetti ambiziosi riguardano, ad esempio, le batterie, la microelettronica, l’idrogeno e il cloud computing. Con aiuti di Stato pari a 32,9 miliardi di euro, si sbloccheranno almeno 50,3 miliardi di euro di investimenti privati aggiuntivi.

Il punto numero 5 della lista dei principali obiettivi ‘green’ raggiunti nella legislatura riguarda lazione per utilizzare meglio le risorse scarse e ridurre i rifiuti. Qui, sottolinea la Commissione, “abbiamo adottato misure per rendere i prodotti più sostenibili, riducendo i 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti che l’Ue produce ogni anno”.

In termini di efficienza e sostenibilità, il grande successo numero sei per la Commissione è “la nostra forte attenzione all’uso più intelligente dei materiali” dimostrata con il Nuovo Bauhaus europeo. “Con oltre 600 organizzazioni partner ufficiali che vanno dalle reti a livello europeo alle iniziative locali, il Bauhaus raggiunge ora milioni di cittadini”.

Ancora, durante questo mandato la Commissione ha aggiornato il sistema di scambio di quote di emissioni dell’Ue (ETS) per coprire più attività, motivando più settori economici ad attuare riforme verso la transizione pulita. Ciò genera maggiori entrate che verranno reinvestite in innovazione, azione per il clima e sostegno sociale, ad esempio attraverso il Fondo per l’innovazione, il Fondo per la modernizzazione e il Fondo sociale per il clima.

Risultato ‘green’ numero otto: la trasformazione sostenibile del settore trasporti. “Abbiamo sostenuto la produzione di batterie nell’Ue e lo sviluppo dell’idrogeno pulito”, sottolinea la Commissione. “Abbiamo inoltre stabilito requisiti per garantire che le stazioni di ricarica per veicoli elettrici siano disponibili ogni 60 km nella rete transeuropea dei trasporti”.

Nove: il meccanismo di adeguamento delle frontiere del carbonio (Cbam). Con questo meccanismo “abbiamo affrontato la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, assicurandoci che le emissioni siano ridotte ovunque vengano prodotte, e non semplicemente all’estero”.

Infine, il Piano d’azione ‘Inquinamento zero’ (Zero Pollution) della Commissione, che ha portato a proposte per standard modernizzati sulla qualità dell’acqua, della qualità dell’aria, delle emissioni industriali e delle sostanze chimiche.

Dopo la Cop28 troveremo carbone (fossile) sotto l’albero di Natale

Che la Cop 28 sia stata un fiasco o quasi un fiasco dipende solo dai punti di vista più o meno ideologici. Che molto poco si potesse pretendere da un evento che ha avuto come presidente Sultan Ahmed al-Jaber, amministratore delegato di Abu Dahbi National Oil Company (la Adnoc, principale compagnia petrolifera degli Emirati Arabi), era abbastanza scontato. Che la Cop28 potesse riservare un epilogo analogo alla Cop27 era persino prevedibile. Che non tutte le posizioni emerse dalla convention Onu di Dubai siano da buttare nel bidone della spazzatura un’altra evidenza sulla quale riflettere.

Dopo una decina di giorni di chiacchiere e confronti, alla fine sembra che troveremo carbone (fossile) sotto l’albero di Natale. La prima bozza di accordo non convince, gas & oil continuano a farla da padrone, i Paesi produttori non ne vogliono sapere di dare un taglio alla loro principale fonte di introiti, la progressiva dismissione dei combustibili fossili pare abbia la cadenza musicale del fado. E pure la sua tristezza. La luce in fondo al tunnel sono le rinnovabili e, forse, il nucleare. Ma tra mille eccezioni, come da dichiarazione del ministro Gilberto Pichetto Fratin per quanto riguarda la posizione dell’Italia: una fessura non un’apertura. E, comunque, siamo nell’ordine di molti anni, insomma non una soluzione immediata.

Mentre le associazioni ambientaliste si ostinano a gettare vernice verde in fiumi, lagune e fontane, il mondo prende la sua piega. La spaccatura che emerge è netta. C’è preoccupazione per l’innalzamento della temperatura planetaria e per i risultati non in linea con le prospettive delineate dall’accordo di Parigi, probabilmente adesso c’è anche minore distanza tra Europa, Usa, Cina e India, nessuno dubita sulla necessità di “fare qualcosa”, ma sono i tempi e i modi che generano lo stallo. Da un lato la Ue che pesta sull’acceleratore per velocizzare la transizione green, dall’altro i Paesi produttori e in via di sviluppo che azionano il freno. Usando la ragione e non la pancia, è inimmaginabile pensare al mondo senza gas e senza petrolio in uno spazio temporale ristretto. Sultan al-Jaber sostiene con un’iperbole che si tornerebbe alla caverne: non è così, però non è nemmeno possibile ipotizzare a breve una società spinta solo da energie rinnovabili o biocarburanti. E siccome di radicalismo si perisce, lo sforzo maggiore dovrebbe farlo il buonsenso che non produce gas serra: non tutto subito, ma nemmeno niente per sempre. Sarebbe utile conoscere, oltre alla posizione del Governo, anche quelle delle nostre aziende di bandiera: da Eni a Enel, fino a Terna e Edison, Eph, A2A. Come si pongono in questa controversia?

La fotografia scattata alla Cop28 è chiarissima: Emirati, Arabia Saudita, Iraq, Iran e Russia non vogliono abbandonare la strada dei combustibili fossili, gli Stati Uniti stanno strategicamente nel mezzo, i giganti Cina e India manco si sono fatti sentire e tirano dritto allegramente. Insieme fanno 3 miliardi di persone, oltre un terzo della popolazione mondiale. Assodato che la transizione ecologica costi cara, vanno tutelate parimenti la stabilità delle economie e la salute del pianeta. Senza la prima non c’è la seconda. Sono da evitare gli estremismi o le asticelle fissate troppo in alto. E qui l’Europa può e deve darsi una regolata perché l’era-Timmermans ha prodotto guasti e lasciato strascichi. C’era una volta l’Europa che dettava il ritmo al mondo, adesso ci sono nazioni che da sole contano più di un continente intero. E che inquinano anche di più. Prenderne coscienza non è avere meno peso geopolitico ma capire in che epoca si sta vivendo. Diceva Seneca: non possiamo dirigere il vento ma possiamo orientare le vele.

Al ‘Green Economy Finance’ imprese e industria del credito: “Regole chiare per investimenti”

Raggiungere gli obiettivi Net Zero nel 2050 richiederà 100 trilioni di euro. Ad oggi i fondi pubblici stanziati da Europa, Stati Uniti e mondo orientale ammontano, se va bene, a 2mila miliardi di euro. Il resto chi ce lo mette? Va necessariamente finanziato con finanza privata, con quella finanza green che richiede oggi più che mai uno sforzo da parte di tutti”. Così Federico Freni, sottosegretario all’Economia, ha contestualizzato in pochi numeri limiti e prospettive della transizione, durante un videomessaggio per l’evento ‘Green Economy Finance, il ruolo della finanza e del risparmio a sostegno della transizione ecologica’, che si è tenuto a Roma, nella sede ‘Esperienza Europa David Sassoli’ del Parlamento europeo e della Commissione Ue. E al convegno – organizzato da Withub, Gea, Eunews e Fondazione Articolo 49 – il leit motiv è stato quello delle regole. Gli obiettivi climatici imposti negli ultimi cinque anni non sono più in discussione da parte della politica, delle imprese o dell’industria del credito. Solo che – hanno più o meno spiegato gran parte dei relatori intervenuti ai vari panel – i tempi da rispettare andrebbero calibrati, considerando anche che le regole mutano in continuazione e per favorire gli investimenti green servono maggiori certezze.

La leva europea finanziaria è senz’altro rappresentata dalla Bei. La sua vicepresidente Gelsomina Vigliotti è stata netta: “Siamo di fronte a una crisi energetica importante, che ha imposto un ripensamento sull’approvvigionamento energetico. Abbiamo pensato e confermato che rispetto a fare oggi investimenti in energie fossili, che richiedono per la messa a terra comunque alcuni anni, era più importante concentrare gli sforzi sull’accelerazione della transizione energetica agendo sull’efficienza. Per questo – ha concluso Vigliotti – la Bei è la banca del clima. Bisogna risparmiare energia, e poi accelerare il processo delle rinnovabili“.

Le imprese sono al centro di questa transizione. E la finanza verde è “una sfida epocale nella quale le imprese sono attivamente ingaggiate. Confindustria ha stimato in mille miliardi gli oneri sistema per la transizione energetica. Sono investimenti molto importanti per i quali il ruolo del privato è determinante. Non dobbiamo dimenticare che sulla finanza privata però incide un proliferare infinito di nuove regole che fondamentalmente hanno già cambiato il rapporto tra imprese e istituzioni finanziarie“, ha evidenziato Francesca Brunori, direttrice dell’area Credito e Finanza di Confindustria. Norme e documentazioni non pronte per tutti, specie le piccole e medie imprese, aggravate da maggiori spese.  “Siamo in una fase particolarmente delicata, con i tassi schizzati verso l’alto, che rischia di schiacciare gli investimenti delle imprese i quali sono però necessari per completare quel processo di transizione verso un’economia sostenibile che le imprese hanno da tempo avviato”.

Ci vorrebbero misure strutturali, ha concluso la rappresentante di Confindustria, tema sul quale ha concordato Marco Osnato, presidente della commissione Finanze della Camera, che però ha precisato: “Il servizio studi del Parlamento ci dice che nel periodo 2018-2021 gli investimenti in transizione verde con aiuti di Stato è stato inferiore al dovuto. Addirittura nel 2021 era inferiore all’1%, c’è un bel gap da recuperare“. Ora “credo e spero che tra la prima lettura alla Camera, la seconda al Senato, una terza lettura più veloce alla Camera, conto di portare la delega fiscale in Aula nella seconda metà di luglio e che che sarà operativa a fine estate“, dove dovrebbero essere inserite alcune misure d’aiuto per la transizione delle aziende.

Aziende, settori, sui quali – a proposito di regole – non è sempre facile costruire prodotti finanziari. “La tassonomia europea è stata una decisione importantissima. L’integrazione della tassonomia nella finanza porta a diversi interventi. Dal punto di vista dell’applicazione, però, una modalità più ordinata sarebbe benvenuta. Rileviamo due difficoltà: la disponibilità di dati e la valutazioni di rating oggettiva. E’ stato chiesto alle banche di essere il braccio operativo della transizione, ma se i governi avessero stabilito una carbon tax più precisa, oggi non si chiederebbero molte cose che si chiedono. Non si può pensare di delegare alla finanza la soluzione di tutti i problemi“, ha sottolineato Dario Focarelli, direttore generale di Ania.

Francesco Bicciato, direttore generale del Forum della Finanza sostenibile, chiede uno sforzo maggiore da parte del governo, col quale ha aperto un canale di dialogo. “C’è una domanda fortissima di prodotti sostenibili. Sugli aspetti Esg però, per me la sostenibilità è una sola, tripartita: ambientale-economia-sociale. Le tre dimensioni devono essere sempre tenute in considerazione. Al governo abbiamo chiesto qual è l’approccio, per poter allineare gli investimenti. Basta che usciamo dal dibattito ideologico. I soldi del Pnrr sono tanti, ma non sono sufficienti – ha concluso. Tuttavia con un moltiplicatore intelligente, si può aumentare di 4-5 volte“.

John Berrigan, direttore generale della Dg Fisma della Commissione Ue, ha poi precisato: “Nel passaggio da energie fossili a rinnovabili, siamo consapevoli che stiamo mettendo pressione sui mercati, sugli intermediari, sugli investitori. Non vogliamo mettere fretta, vorremmo procedere più lentamente, ma vogliamo evitare di essere in ritardo“, ha dichiarato, aggiungendo che “dobbiamo arrivare in tempo. Capiamo che dobbiamo mettere il mercato nella condizione di capire come attuare la transizione”. Questa però è la via. Per cui il mondo dei fondi, da chi distribuisce a chi invece interviene direttamente con investimenti in impianti, ha chiesto regole e tempi ancora più chiari.

Edoardo Fontana Rava, direttore servizi di investimento e assicurativi di Banca Mediolanum, ha sottolineato: “Da un lato la regolamentazione parte da un approccio più stringente, per cercare di adattarsi in modo efficace a quello che è la capacità di combinare l’attenzione alla dimensione di sostenibilità e il mantenimento di una ricerca di valore a quello che è stato proposto. Dall’altro c’è il mondo dei clienti che oggi vive una forte elevata sensibilità sul tema ma con una forte difficoltà a declinarla in domanda. In questa fase è molto più l’offerta che genera un avanzamento del percorso mentre i clienti sono rimasti indietro perché non riescono a trasformare la sensibilità verso il tema in una capacità di fare la domanda e quindi selezionare loro stessi le scelte”.

Francesco Cacciabue, partner e Cfo di Glennmont, di Nuveen Infrastructure, in conclusione ha sintetizzato: “L’unica fonte autoctona per la maggior parte dei Paesi europei è l’energia rinnovabile, per questo dobbiamo investire sempre di più. Ce l’abbiamo, è competitiva”. Le regole? “Noi giochiamo all’interno di esse, se non ci piacciono cambiamo settore di investimento: la finanza funziona così. Gli Stati Uniti sono un buon partner, l’amministratore Biden ha dato un impulso. Il processo autorizzativo è il vero fattore che frena la produzione, in questo momento. Occorre lavorare sui permessi. Poi servirà un intervento sulle reti“.

I punti ‘green’ del programma 2022 di Forza Italia

Silvio Berlusconi, morto a 86 anni, è sempre stato vicino alle tematiche green. Noto per il suo amore per gli animali e per l’ambiente, nell’ultima campagna elettorale per le politiche di settembre 2022 è arrivato a promettere la piantumazione di un milione di nuovi alberi. Ma nel programma elettorale di Forza Italia avevano trovato ampio spazio anche la questione energetica, quella dell’agricoltura e quella del Made in Italy. Di seguito i punti del programma green delineato dal Cavaliere.

L’AMBIENTE, UNA PRIORITA’. Rispettare e aggiornare gli impegni internazionali assunti dall’Italia per contrastare i cambiamenti climatici; Definizione ed attuazione del piano strategico nazionale di economia circolare in grado di ridurre il consumo delle risorse naturali, aumentare il livello qualitativo e quantitativo del riciclo dei rifiuti, ridurre i conferimenti in discarica, trasformare il rifiuto in energia rinnovabile attraverso la realizzazione di impianti innovativi e sostenibili; Piano straordinario per la tutela e la salvaguardia della qualità delle acque marittime e interne ed efficientamento delle reti idriche per limitare il fenomeno della dispersione delle acque; Programma straordinario di resilienza delle aree a rischio dissesto idrogeologico con interventi mirati; Salvaguardia della biodiversità, anche attraverso l’istituzione di nuove riserve naturali; Promozione dell’educazione ambientale e al rispetto della fauna e della flora; Rimboschimento e piantumazione di alberi sull’intero territorio nazionale, in particolare nelle zone colpite da incendi o calamità naturali; Incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico e promuovere e favorire politiche di mobilità urbana sostenibile.

LA SFIDA DELL’AUTOSUFFICIENZA ENERGETICA. Transizione energetica sostenibile; Aumento della produzione dell’energia rinnovabile; Diversificazione degli approvvigionamenti energetici e realizzazione di un piano per l’autosufficienza energetica; Pieno utilizzo delle risorse nazionali, anche attraverso la riattivazione e nuova realizzazione di pozzi di gas naturale in un’ottica di utilizzo sostenibile delle fonti; Promozione dell’efficientamento energetico; Sostegno alle politiche di price-cap a livello europeo; Ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro.

MADE IN ITALY. Valorizzare la Bellezza dell’Italia nella sua immagine riconosciuta nel mondo; Tutela e promozione del Made in Italy, con riguardo alla tipicità delle eccellenze italiane; Italiani all’estero come ambasciatori dell’Italia e del Made in Italy, promozione delle nostre eccellenze e della nostra cultura attraverso le comunità italiane nel mondo; Costituzione di reti di impresa del comparto turistico , per la promozione e commercializzazione del settore, anche a livello internazionale; Tutela della nautica e delle imprese balneari: 8.000 km di litorale, 300.000 addetti del settore, un patrimonio che va tutelato.

L’AGRICOLTURA: LA NOSTRA STORIA, IL NOSTRO FUTURO. Promozione di una Politica Agricola Comune e di un piano strategico nazionale capaci di rispondere alle esigenze di oggi, per uno sviluppo che coniughi indipendenza e sostenibilità ambientale ed economica; Salvaguardia del comparto agroalimentare, lotta al nutri-score e all’italian sounding; Tutela delle specificità e delle eccellenze agricole italiane e loro promozione sui mercati esteri; Refinanziamento della misura ‘Più impresa’ a favore dei giovani agricoltori e dell’imprenditoria femminile; Innalzamento dei massimali degli aiuti in regime de minimis per le imprese agricole, allineandoli a quanto previsto negli altri settori economici; Promozione di una filiera italiana per l’innovazione in agricoltura; Rafforzamento degli strumenti di garanzia sui finanziamenti a favore delle imprese agricole, dagli allevamenti e della pesca; Potenziamento degli strumenti di contrasto al caporalato e al lavoro irregolare; Riconoscimento e valorizzazione delle piccole produzioni locali di qualità; Interventi di contrasto al fenomeno della proliferazione della fauna selvatica e alla diffusione delle epidemie animali; Interventi per un ‘piano nazionale invasi’ per l’irrigazione agricola.

INFRASTRUTTURE STRATEGICHE E UTILIZZO EFFICIENTE DELLE RISORSE EUROPEE. Pieno utilizzo delle risorse del Pnrr, colmando gli attuali ritardi di attuazione; Accordo con la Commissione europea, così come previsto dai Regolamenti europei, per la revisione del Pnrr in funzione delle mutate condizioni, necessità e priorità; Efficientamento dell’utilizzo dei fondi europei con riferimento all’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime; Garantire la piena attuazione delle misure previste per il Sud Italia e le aree svantaggiate; Rendere l’Italia competitiva con gli altri Stati europei attraverso l’ammodernamento della rete infrastrutturale e la realizzazione delle grandi opèere. Potenziamento della rete dell’alta velocità per collegare tutto il territorio nazionale dal Nord alla Sicilia, realizzando il ponte sullo Stretto; Potenziamento e sviluppo delle infrastrutture digitali ed estenzione della banda ultralarga in tutta Italia; Difesa delle infrastrutture strategiche nazionali.

RIFORME ISTITUZIONALI, DELLA GIUSTIZIA E DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Semplificazione del Codice degli appalti.

ITALIA IN EUROPA. Piano straordinario europeo per lo sviluppo del contonente africano, anche attraverso politiche di cooperazione internazionale finalizzare alla crescita socio-economica e alla stabilità politica.

DIFESA DEL LAVORO, DELL’IMPRESA E DELL’ECONOMIA. Tutela del potere d’acquisto di famiglie, lavoratori e pensionati di fronte alla crisi economica e agli elevati tassi di inflazione; Riduzione Iva sui prodotti energetici; Defiscalizzazione e incentivazione del welfare aziendale, anche attraverso detassazione e decontribuzione premi di produzione e buoni energia; Estensione della possibilità di utilizzo dei voucher lavoro, in particolar modo per i settori del turismo e dell’agricoltura; Bonus edilizi: salvaguardia delle situazioni in essere e riordino degli incentivi destinati alla riqualificazione., alla messa in sicurezza e all’efficientamento energetico degli immobili residenziali pubblici e privati.

STATO SOCIALE E SOSTEGNO AI BISOGNOSI. Piano straordinario di riqualificazione delle periferie, anche attraverso il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica.

L’Europa ‘sballata’ di Calenda, il green e le esigenze delle nostre imprese

In una intervista a Libero, il leader di Azione Carlo Calenda – che tra l’altro ha un passato da eurodeputato dal 2018 al 2022 e che è stato Rappresentante permanente dell’Italia all’Ue durante il governo Renzi – l’ha toccata piano con l’Europa, con Ursula von der Leyen e con Frans Timmermans. Sintetizzando, ha detto che la Ue vive in una sorta di universo parallelo, che il progetto di arrivare a emissioni zero è irrealistico, che il vicepresidente della Commissione vende il miraggio verde per puntare alla rielezione. La chiosa è questa: “L’Europa è un gran casino”. Amen.

Siccome Calenda in teoria dovrebbe rappresentare il Terzo Polo (ei fu) e quindi il pensiero moderato che non è né di destra né di sinistra, viene da riflettere su quali ragioni lo abbiano spinto a picchiare così duro, tra l’altro con l’affaccio sulle elezioni del 2024. Supponiamo che avrà avuto le sue motivazioni politico-strategiche, Calenda, ma allargando il perimetro del ragionamento è fuori discussione che la deriva molto green presa dalla Ue sia motivo di scontento diffuso. Per lo meno di discussione preoccupata.

Proprio questa tematica sarà il fulcro del dibattito che alimenterà il primo panel dell’evento sull’energia organizzato per fine maggio dal gruppo Withub, con GEA ed Eunews. Perché la domanda è una sola, abbastanza semplice nella strutturazione ma molto complessa nella risposta: quanto incidono le normative Ue sulle prospettive di sopravvivenza e crescita delle nostre imprese? Riuscire a mettere insieme le severissime regole europee sul green – dalle auto elettriche alle case, ai nuovi regolamenti Ets (Emission Trading Scheme), fino al Nutriscore e all’etichettatura del vino) – con le comprensibili esigenze delle nostre imprese appare un risiko complicatissimo. Tanto che, sempre più spesso, il dialogo diventa scontro e lo scontro disunisce un’Europa che raramente ha fornito un’immagine di monoliticità. L’ultima spallata l’ha data Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva con delega alla concorrenza, sostenendo che l’industria andrà decarbonizzata “entro il 2025”. Aperta parentesi: siamo a maggio 2023 e anche se nulla è impossibile sembra una prospettiva abbastanza improbabile.

Sempre per citare Calenda, “l’Europa ci è indispensabile per l’export e perché ci consente una stabilità finanziaria che non avremmo” ma questo beneficio va pagato a caro prezzo. “Un pezzo di tedeschi e di francesi è già contro le politiche ultra-ambientaliste che la von der Leyen ha sposato per un certo opportunismo”, bacchetta ancora il leader di Azione pensando alla transizione ecologica non alla rivoluzione ecologica. Tra una schermaglia dialettica e l’altra, nel mezzo ci sono state le battaglie per il price cap, per il decoupling, per i biocarburanti, eccetera eccetera. Battaglie, appunto.

Lollobrigida: “L’Italia è per le politiche green ma no a transizioni troppo rapide”

L’Italia “ha una posizione molto chiara e logica e dire che siamo contro” le politiche green dell’Unione europea “è un’affermazione sbagliata, scorretta. Noi siamo a favore della tutela dell’ambiente e anche di una transizione ecologica che però tenga conto di un fatto che su alcune cose, come nel mondo dell’agricoltura, una transizione troppo rapida che non permette soluzioni alternative in Europa ci mette nella condizione di approvvigionarci da nazioni che non rispettano diritti dei lavoratori e diritti dell’ambiente”. Lo ha chiarito il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, in un punto stampa a Bruxelles a margine del Consiglio Agricoltura e Pesca (Agrifish), rispondendo a una domanda sulla contrarietà espressa negli ultimi mesi dall’Italia su alcune politiche promosse dalla Commissione europea, come lo stop ai motori a combustione dal 2035 o la direttiva sulla ristrutturazione energetica degli edifici. Per il ministro “questa posizione mette solo in condizione alcune nazioni o l’intero Continente europeo di desertificare alcune attività per poi approvvigionarsi magari ad Est del mondo da nazioni che questo tipo di principio non hanno alcuna intenzione di rispettarlo”

La Befana vien di notte… guida a una ‘calza’ sostenibile

Nella calza della Befana può far capolino…la sostenibilità. Sono sempre più numerose le famiglie che dimostrano infatti attenzione nei confronti di questa tematica. Attraverso semplici gesti, è possibile davvero fare la differenza in termini di impatto ambientale. Come? Ecco qualche piccolo consiglio per la ricorrenza che “tutte le feste si porta via”.

W il riciclo! In commercio si trovano calze della Befana già confezionate e che spesso riproducono personaggi evergreen delle fiabe o dei fumetti, ma anche il beniamino del cartone animato in voga al momento. E che, pertanto, rischiano di passare di moda molto velocemente. Meglio optare per una calza di materiale sostenibile, magari realizzata con le proprie mani; si potrà riporre insieme alla scatola degli addobbi, pronta all’uso per le festività del prossimo anno. In questo modo, sarà possibile riempirla con oggetti che saranno veramente di gradimento al destinatario, che non sempre apprezza in toto il contenuto delle calze industriali in commercio. Inoltre, in questo modo ci sarà la possibilità di confezionare dolciumi artigianali e casalinghi, decisamente meno zuccherini di quelli che si trovano in commercio.

Regali ‘green’. Babbo Natale è stato particolarmente generoso, tanto da decidere di non mettere tutti i doni sotto l’albero? Bene, è il momento di inserirli nella calza della Befana! Meglio ancora se i giochi sono realizzati con materiale ecosostenibile come il legno o la plastica riciclata. Viceversa, si possono regalare anche libri, ingressi a Parchi naturali e fattorie didattiche, esperienze a contatto con la natura in generale magari equipaggiati con una borraccia nuova nuova. Passerà il messaggio, tra i piccoli scalpitanti e curiosi di conoscere il contenuto della calza, che anche la vecchina con le scarpe tutte rotte è attenta all’ambiente.

Appendere la calza all’albero…spento. È vero, se pensiamo ai film della tradizione natalizia, focalizziamo subito l’immagine della calza della Befana appesa al camino. Non tutti però lo possiedono, per cui meglio optare per l’albero di Natale. Il fatto di mantenerlo spento di notte può sembrare un consiglio banale e scontato, ma non lo è affatto. Meglio tenere a mente questo prezioso accorgimento, sia per una questione di risparmio energetico sia per una questione di sicurezza legata a eventuali corti circuiti delle luminarie.

Infine, perché non accompagnare bambini e bambine alla scoperta di iniziative sostenibili proprio dedicate alla Befana? Diverse biblioteche e spazi ricreativi, per esempio, organizzano laboratori per creare la bambola con stoffe e materiali di riciclo. Giocando, i piccoli di casa apprenderanno quanto sia importante il rispetto e l’attenzione nei confronti dell’ambiente, da praticare nel quotidiano.