Zelensky chiede ancora incontro con Putin. Mosca: “E’ troppo insistente”

Un incontro con Vladimir Putin è il modo “più efficace per andare avanti”. Nel giorno della Festa dell’indipendenza ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky è tornato a chiedere un faccia a faccia con il suo omologo russo, mentre Mosca gli ha rimproverato l’insistenza nel richiederlo “a tutti i costi”, in un momento in cui gli sforzi diplomatici per risolvere il conflitto sembrano arenarsi.

Invitato a Kiev, il primo ministro canadese Mark Carney ha avvertito che, a suo avviso, l’invasione russa dell’Ucraina “non si fermerà qui” se rimarrà “senza risposta” da parte degli alleati di questo Paese. “Dobbiamo continuare a fare pressione sulla Russia affinché ponga fine a questa guerra, affinché la ponga fine con dignità, con sicurezza e pace garantite. Ciò è possibile solo grazie alla forza combinata di tutti coloro che, nel mondo, vogliono la pace e rispettano il diritto internazionale. Il formato dei colloqui tra i leader è il modo più efficace per andare avanti”, ha detto Zelensky durante la conferenza stampa congiunta.

Dopo gli sforzi del presidente americano Donald Trump per negoziare un incontro tra i suoi omologhi russo e ucraino, le speranze di pace sono diminuite quando venerdì la Russia ha escluso l’organizzazione del vertice nell’immediato.

Poco prima, il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, aveva denunciato la posizione del capo dello Stato ucraino che, aveva ribadito, “si ostina, pone condizioni, chiede a tutti i costi” questo incontro.

Anche l’inviato americano in Ucraina Keith Kellogg era nella capitale ucraina domenica, dove ha assistito alle celebrazioni per la Festa dell’Indipendenza e in questa occasione è stato insignito di un’onorificenza. In un’intervista alla rete televisiva Nbc trasmessa, il vicepresidente americano JD Vance ha affermato che negli ultimi tempi i russi hanno fatto “importanti concessioni” sull’Ucraina a Donald Trump. “In realtà vogliono essere flessibili su alcune delle loro richieste fondamentali”, ha spiegato.

Ciascuna delle parti belligeranti sta cercando di ingraziarsi gli Stati Uniti, desiderosi di porre fine a tre anni di conflitto in Ucraina, dopo che il presidente americano ha incontrato Vladimir Putin in Alaska il 15 agosto e Volodymyr Zelensky e i suoi alleati europei subito dopo. “Non spetta alla Russia decidere come garantire la sovranità, l’indipendenza e la libertà dell’Ucraina in futuro. È una scelta dell’Ucraina e delle decisioni dei suoi partner”, ha insistito Mark Carney davanti ai giornalisti. Domenica ha inoltre chiesto un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina, mentre Trump preferisce un accordo di pace diretto tra i due paesi per porre fine alla guerra.

Mentre sul fronte l’esercito russo continua ad avanzare, il comandante in capo delle forze ucraine, Oleksandre Syrsky, ha assicurato domenica che i suoi soldati hanno ripreso il controllo di tre villaggi nella regione orientale di Donetsk che erano caduti sotto il controllo della Russia. “Le nostre truppe hanno contrattaccato con successo e liberato dal nemico i villaggi di Mykhailivka, Zeleniï Gai e Volodymyrivka nella regione di Donetsk”, situati non lontano dalla regione centrale di Dnipropetrovsk, ha annunciato su Facebook. Una donna di 47 anni è stata uccisa la mattina stessa in un attacco con droni russi nella stessa regione, secondo il governatore.

La Russia ha lanciato 72 droni di tipo Shahed e vari esche, oltre a un missile balistico, hanno riferito le forze aeree ucraine. Sempre domenica, l’Ucraina e la Russia hanno affermato di aver rimandato a casa 146 prigionieri di guerra e civili nell’ambito di una serie di scambi che rimangono uno dei rari ambiti di cooperazione tra Kiev e Mosca.

Nella notte tra sabato e domenica, l’esercito ucraino ha lanciato una serie di attacchi con droni sul territorio russo, provocando incendi in una centrale nucleare e in un terminal petrolifero. “Ecco come reagisce l’Ucraina quando i suoi appelli alla pace vengono ignorati”, ha dichiarato il presidente Zelensky, illustrando lo stallo dei negoziati. Uno dei droni “è esploso e ha danneggiato un trasformatore ausiliario” della centrale nucleare situata nella regione russa di confine di Kursk, ha annunciato il suo operatore sul suo account Telegram. “Il livello di radiazioni sul posto (…) e nelle zone circostanti non è cambiato e corrisponde ai livelli normali”, secondo la stessa fonte.
Sulle rive del Mar Baltico, raid di droni ucraini che hanno preso di mira il porto di Ust-Luga hanno provocato un incendio in un terminal petrolifero del gruppo russo Novatek, ha sottolineato il governatore regionale Alexander Drozdenko su Telegram.
Un attacco rivendicato dall’Ucraina. L’esercito ucraino ha anche assicurato di aver colpito la raffineria di petrolio di Syzran, a 800 km dal confine, nella regione meridionale russa di Samara, già presa di mira in passato.

Zelensky: “Incontro con Putin solo dopo garanzie sulla sicurezza”. Record di droni e missili russi

Il bilaterale con il presidente russo, Vladimir Putin, potrà avvenire soltanto “dopo un accordo sulle garanzie di sicurezza per Kiev”. Lo ha detto il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, parlando con un gruppo di giornalisti. “Vogliamo raggiungere un’intesa sull’architettura delle garanzie di sicurezza entro sette-dieci giorni. E sulla base di tale intesa, intendiamo organizzare un incontro trilaterale” che includa il presidente americano Donald Trump, ha precisato il leader ucraino. Esclusa l’ipotesi di Mosca, il faccia a faccia, dovrebbe avvenire “in Austria, Svizzera o Turchia”. “Riteniamo giusto – ha detto Zelensky– che l’incontro si svolga in un paese europeo neutrale”. Tenere questa riunione a Budapest “non sarebbe facile” vista la vicinanza tra l’Ungheria e la Russia. Anche se, “non c’è ancora alcun segnale da Mosca che dimostri che hanno davvero intenzione di avviare negoziati significativi e porre fine a questa guerra. È necessaria pressione. Sanzioni forti, tariffe forti”.

Il leader ucraino ha precisato che “la Cina non può essere garante della sicurezza” di Kiev, “in primo luogo” perché “non ci ha aiutato a porre fine a questa guerra sin dall’inizio. In secondo luogo, ha aiutato la Russia aprendo il mercato dei droni”. “Non abbiamo bisogno di garanti che non aiutano l’Ucraina”, ha aggiunto.

Negli ultimi giorni si sono intensificati i contatti diplomatici per trovare una via d’uscita all’invasione russa iniziata nel febbraio 2022, il peggior conflitto armato in Europa dalla seconda guerra mondiale. Ma l’intensità delle ostilità non accenna a diminuire e entrambe le parti sembrano prepararsi a un proseguimento dei combattimenti. Le incognite rimangono numerose, date le posizioni opposte di Mosca e Kiev, in particolare sulla questione dei territori ucraini occupati e sulle garanzie di sicurezza che Kiev sta negoziando con i suoi alleati. Trovare un accordo si preannuncia complesso.

Negli ultimi mesi, europei e americani hanno evocato diverse possibilità, che vanno da garanzie simili al famoso articolo 5 della Nato allo schieramento di un contingente militare in Ucraina o ancora al sostegno in materia di formazione, aerea o navale. L’Ucraina ritiene che, anche se si trovasse una soluzione a questa guerra, la Russia tenterebbe comunque di invaderla, da qui l’importanza di tali garanzie. Mosca, che considera l’espansione della Nato ai suoi confini come una delle “cause profonde” che hanno portato al conflitto, respinge categoricamente la maggior parte di queste ipotesi e vuole che le sue richieste siano prese in considerazione.

Nonostante gli incontri diplomatici, il conflitto non mostra segni di rallentamento. Nella notte tra mercoledì e giovedì, la Russia ha lanciato il suo più grande attacco con droni e missili delle ultime settimane, causando un morto e una quindicina di feriti, secondo le autorità locali. Mosca ha utilizzato 574 droni e 40 missili, ha affermato l’aviazione ucraina. Zelensky ha accusato Mosca di ammassare truppe nella parte occupata della regione di Zaporijjia, nel sud dell’Ucraina, in vista di una potenziale offensiva. Secondo il leader ucraino, Mosca sta trasferendo in questa zona le sue forze dalla regione russa di Kursk, una piccola parte della quale era stata occupata dalle forze ucraine fino alla primavera scorsa e dove Kiev afferma di continuare i suoi attacchi.

Da parte sua, l’Ucraina sta cercando di aumentare la produzione di armi, un modo per ridurre la sua dipendenza dagli aiuti degli alleati.  Zelensky ha affermato che il suo Paese ha testato con successo un nuovo missile con una gittata di 3.000 chilometri chiamato Flamingo. “Si tratta attualmente del nostro missile più potente”, ha dichiarato, evocando una possibile produzione di massa entro la fine dell’anno o all’inizio del 2026.

 

 

Trump: “Armi a Kiev ma pagherà l’Europa. Mosca? Dazi al 100% senza accordo”

Armi, “le migliori del mondo”, a Kiev, ma “gli Usa non pagheranno nulla”, perché il conto andrà tutto all’Europa. Nel mezzo, tra le due sponde dell’Atlantico, c’è la Nato di Mark Rutte, il ‘ponte’ tra i due continenti. Il presidente degli Usa, Donald Trump, ha annunciato il suo piano per supportare l’Ucraina, flagellata da oltre tre anni di guerra (conflitto che era “di Biden, non il mio” e “se io fossi stato presidente non ci sarebbe stato”), ma ha assicurato che gli Stati Uniti non vogliono più “spendere tutti i soldi”. L’intesa è frutto di un accordo con l’Alleanza atlantica: “noi costruiremo delle armi all’avanguardia, le invieremo alla Nato” che, a sua volta le farà avere “ad altri Paesi” europei e “ci sarà una sorta di sostituzione”. Si tratta, ha spiegato Rutte, di un “numero molto elevato di equipaggiamenti militari”, in particolare attrezzature per la difesa aerea, missili e munizioni.

Un accordo che per il numero uno della Nato “è davvero una cosa importante” e “parte dal summit dell’Alleanza che ha avuto un grande successo”, definendo investimenti pari al 5% del Pil nelle spese per la difesa. L’Europa, ha detto Rutte “sta facendo il primo passo, sta entrando in gioco. Io ho contattato una serie di paesi come la Germania, la Finlandia, la Danimarca, la Svezia, la Norvegia, il Regno Unito, il Canada, tutti vogliono essere parte di questa iniziativa e questo è soltanto il primo contatto, quindi noi lavoreremo attraverso la Nato per far sì che gli ucraini abbiano quello di ciò di cui hanno bisogno”. I primi missili Patriot, ha assicurato Trump, “arriveranno a giorni” e serviranno perché “la Russia davvero li sta bombardando con molta forza”.

Almeno “quattro volte” ha spiegato il repubblicano, “ho pensato che l’accordo fosse vicino” e per questo “sono deluso dal presidente Putin”. Da qui la decisione di introdurre “dazi doganali secondari”, ovvero sui paesi alleati di Mosca. “Se non avremo un accordo entro 50 giorni, i dazi doganali saranno al 100%” ma “spero che non si arrivi a quel punto”, ha aggiunto. In sostanza, se non verrà definita “una pace duratura”, l’accetta delle imposte doganali Usa si abbatterà su tutto il sistema economico che ruota intorno a Mosca, nel tentativo di aumentare la pressione per spingere verso un accordo. “Se fossi in Putin – ha aggiunto Rutte – prenderei i negoziati più seriamente” di quanto fatto finora.

L’Iran annuncia la fine della guerra dei 12 giorni. Israele: “Ora ci concentriamo su Gaza”

La guerra è finita, andate in pace. Da un lato Donald Trump, per il quale “è stato un grande onore distruggere tutti i siti nucleari” iraniani “e poi fermare la guerra!”. Dall’altro, il presidente iraniano, Massoud Pezeshkian, che ha annunciato “la fine della guerra dei 12 giorni imposta a Teheran” da Israele e si è detto pronto a tornare “al tavolo dei negoziati”. Nel mezzo, una giornata difficile, fatta di tregue violate e poi confermate, di telefonate da un capo all’altro del mondo e di tensioni che si sono accese e spente a intermittenza.

Nel dodicesimo giorno di guerra tra Israele e Iran comincia a vedersi la luce in fondo al tunnel, anche se “la campagna contro” il programma nucleare iraniano “non è finita. Stiamo iniziando un nuovo capitolo basato sui progressi compiuti nella campagna attuale”, come ha dichiarato il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano, Eyal Zamir. Pezeshkian ha assicurato che il suo Paese non sta perseguendo armi nucleari, ma continuerà a difendere i propri “diritti legittimi”.

E l’annuncio della fine del conflitto apre uno spiraglio alla pace, ma non su tutti i fronti. Zamir, infatti, ha fatto sapere che ora l’esercito “torna a concentrarsi su Gaza, per riportare a casa gli ostaggi e smantellare il regime di Hamas”. Tel Aviv ha anche annunciato la revoca delle restrizioni imposte alla popolazione durante la guerra con l’Iran, mentre le autorità aeroportuali hanno comunicato il “ritorno alla normalità” del traffico aereo. Le scuole e i negozi potranno riaprire e viene annullato il divieto di assembramenti pubblici.

Il presidente Usa, che è volato all’Aia per il vertice Nato, getta acqua sul fuoco, pur continuando ad alimentare le fiamme. Nella notte italiana il repubblicano aveva annunciato la tregua, ma sono continuati gli attacchi iraniani e quelli israeliani, con accuse reciproche di violazione dello stop ai combattimenti. Israele in mattinata ha confermato di aver accettato l’offerta di Trump e che “tutti gli obiettivi” della guerra, scatenata con l’obiettivo dichiarato di neutralizzare il programma nucleare iraniano, erano stati raggiunti. Teheran ha invece gridato “vittoria”, vantandosi di aver costretto il nemico a “cessare unilateralmente” la guerra. Nel mezzo, Trump ha accusato i due Paesi di aver violato la tregua e il Qatar – finito nel mezzo dello scontro con il lancio di missili sulle basi Usa nel suo territorio – ha fatto sapere di aver “persuaso l’Iran” ad accettare il cessate il fuoco e ha esortato Washington e Teheran a riprendere i colloqui sul nucleare.

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha giudicato impossibile, in questa fase, valutare i danni inflitti ai siti iraniani, ai quali ha chiesto di poter accedere. Gli esperti ritengono che l’Iran potrebbe aver evacuato il materiale nucleare dai siti colpiti e Teheran ha affermato di possedere ancora scorte di uranio arricchito. L’Aiea ha tuttavia dichiarato di non aver rilevato finora alcuna indicazione di un “programma sistematico” per la fabbricazione di una bomba atomica.

Ucraina, ‘volenterosi’ da Macron uniti su sanzioni a Mosca. Divisi su “forza di rassicurazione”

Unanimità nel mantenere le sanzioni alla Russia, volontà di Parigi e Londra di schierare truppe in Ucraina come “garanzia di sicurezza”. Emmanuel Macron riunisce a Parigi i ‘volenterosi’, una trentina di Paesi europei alleati di Kiev e lancia, d’intesa con il premier britannico Keith Starmer, una missione franco-britannica che si recherà in Ucraina “nei prossimi giorni”, per studiare un piano operativo di rafforzamento dell’esercito di Kiev. Di fatto, spiega il presidente francese al termine del vertice, il “un esercito ucraino formato“, resta la principale “garanzia di sicurezza” per la popolazione ucraina.

Parigi e Londra intendono dunque intestarsi la “guida” della mobilitazione a sostegno di Kiev, proponendo l’invio di una “forza di rassicurazione” composta di militari di Paesi europei “nell’ambito della coalizione dei Volenterosi”, in caso di un accordo di cessate il fuoco completo e duraturo. Una proposta che ha diviso i leader presenti, come riconosce lo stesso Macron. “Non c’è stata unanimità oggi, com’è noto, ma non abbiamo bisogno dell’unanimità” sostiene il presidente francese per cui l’adesione è volontaria “secondo la capacità e il contesto politico” di ogni Paese. Queste truppe, chiarisce Macron, non sarebbero “destinate a essere forze di mantenimento della pace, a essere presenti lungo la linea di contatto o a sostituire le forze ucraine”. Verrebbero inviate in “determinate località strategiche preventivamente identificate con gli ucraini” e avrebbero un “carattere deterrente”.

Sul fronte economico, invece, o paesi della ‘coalizione’ “hanno concordato all’unanimità” che le sanzioni contro Mosca non debbano essere abbandonate. “C’è consenso sul fatto che questo non sia il momento di revocare le sanzioni”, insiste Starmer. “Al contrario, abbiamo discusso su come rafforzarli”, aggiunge, accogliendo con favore anche il fatto che l’Europa si stesse “mobilitando” per la pace in Ucraina “su una scala mai vista da decenni”. Sarebbe un “grave errore” abolirli, aggiunge il cancelliere tedesco Olaf Scholz di fronte ai giornalisti tedeschi. “Non ha senso finché la pace non sarà veramente ristabilita, e purtroppo ne siamo ancora lontani.”

Mentre la Russia è impegnata da diverse settimane in colloqui con Washington, che vuole a tutti i costi ottenere una tregua in Ucraina, i partecipanti al vertice nella capitale francese si sono mostrati molto cauti rispetto alla reale intenzione di Mosca di raggiungere una pace. “L’Ucraina ha avuto il coraggio di accettare un cessate il fuoco incondizionato. Non c’è stata alcuna risposta russa, ma nuove condizioni (fissate da Mosca, ndr) e attacchi sempre più intensi” in Ucraina, riassume Macron, condannando la strategia del Cremlino: “Fingere di aprire negoziati per scoraggiare l’avversario e intensificare gli attacchi”. Lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky assicura, sempre da Parigi, che la Russia non vuole “alcun tipo di pace”.

Sotto la pressione americana, l’11 marzo Kiev ha accetto una cessazione dei combattimenti per 30 giorni. Martedì scorso, a seguito di colloqui in Arabia Saudita mediati da Washington, è stato annunciato un accordo che porterà, a determinate condizioni, a una tregua nel Mar Nero e a una moratoria sugli attacchi contro i siti energetici. Ma Mosca ha chiesto la revoca delle restrizioni sulle esportazioni agricole russe, un’idea sostenuta dalla Casa Bianca. Il vertice di Parigi aveva quindi come obiettivo quello di affermare la posizione negoziale dell’Ucraina e dei suoi sostenitori, mentre russi e americani parlano direttamente, e di “definire” le “garanzie di sicurezza” per gli ucraini nel caso di una pace ipotetica. Al momento, oltre all’Italia, anche la Polonia ha già escluso la possibilità di inviare soldati in Ucraina, mentre il premier ceco Petr Fiala ha detto che è “prematuro” discutere l’invio di truppe europee prima che siano noti i dettagli di un eventuale cessate il fuoco.

Gli Stati Uniti non erano rappresentati nel summit ma Macron ha avuto un colloquio con il presidente Trump prima della riunione e ha promesso di risentire il leader Usa nelle prossime ore. Anche perché l’appoggio americano al piano dei ‘volenterosi’ è considerato indispensabile da diversi paesi europei per ipotizzare l’invio di truppe in Ucraina. “Speriamo ci sia il sostegno degli Usa, ma dobbiamo anche prepararci a uno scenario in cui non ci sia”, mette le mani avanti Macron che poi precisa: “Gli Usa sono partner affidabili fin dall’inizio della guerra, sosteniamo l’iniziativa di negoziato del presidente Trump”. Ma, aggiunge, “dico che se i nostri interessi non combaciano, dobbiamo poter difendere i nostri interessi quando si parla di nostra sicurezza”. Anche perché “ci troviamo a un punto di svolta sulla sicurezza in Europa” e per questo “ci dobbiamo preparare a tutto”.

Costo climatico record per ricostruire Gaza: emissioni pari a quelle di 135 Paesi

La ricostruzione degli edifici distrutti nei primi quattro mesi dell’assalto israeliano a Gaza genererà l’equivalente di quasi 60 milioni di tonnellate di CO2. Di fatto, il costo del carbonio per ricostruire Gaza sarà maggiore delle emissioni annuali di gas serra generate individualmente da 135 paesi, esacerbando l’emergenza climatica globale oltre al bilancio delle vittime senza precedenti. E’ quanto rivela una nuova ricerca condotta da ricercatori nel Regno Unito e negli Stati Uniti, pubblicata sul Social Science Research Network e condivisa esclusivamente con il Guardian.

La ricostruzione dei circa 200mila condomini, scuole, università, ospedali, moschee, panifici, impianti idrici e fognari danneggiati e distrutti da Israele nei primi quattro mesi della guerra a Gaza genererà fino a 60 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (tCO2e): quasi alla pari con le emissioni totali del 2022 generate da paesi come Portogallo e Svezia, e più del doppio delle emissioni annuali dell’Afghanistan.

Secondo lo studio, la ricostruzione a lungo termine genererà il costo maggiore in termini di emissioni di carbonio dalla guerra a Gaza. Circa 26 milioni di tonnellate di detriti e macerie sono stati lasciati in seguito al bombardamento israeliano, la cui bonifica potrebbe richiedere anni.

Dalla ricerca, sintetizza il quotidiano britannico, emerge come le emissioni di riscaldamento del pianeta generate dagli attacchi aerei e terrestri durante i primi 120 giorni della guerra a Gaza siano state superiori all’impronta di carbonio annuale di 26 delle nazioni più vulnerabili al clima del mondo, tra cui Vanuatu e Groenlandia. Inoltre, oltre il 99% delle 652.552 tonnellate di anidride carbonica (CO2 equivalente/CO2e) stimate essere state generate nei primi quattro mesi dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre sono legate al bombardamento aereo di Israele e all’invasione terrestre di Gaza. Quasi il 30% delle emissioni totali di CO2e sono state generate dai 244 aerei cargo americani che hanno trasportato bombe, munizioni e altri rifornimenti militari verso Israele nei primi 120 giorni. Secondo il calcolo, che è quasi certamente una sottostima significativa a causa della mancanza di dati sulle emissioni militari precisa la ricerca, il costo del carbonio dei primi 120 giorni dell’assalto israeliano a Gaza era equivalente al consumo energetico annuale combinato di 77.200 famiglie americane.

L’analisi fornisce un’istantanea conservativa del costo climatico dell’attuale guerra a Gaza, oltre alle uccisioni, alla carestia deliberata, ai danni alle infrastrutture e alla catastrofe ambientale. E sottolinea anche i dati della macchina bellica di ciascuna parte: i razzi di Hamas lanciati su Israele tra ottobre 2023 e febbraio 2024 hanno generato circa 1.140 tCO2e. Altre 2.700 tCO2e sono state attribuite al carburante immagazzinato dal gruppo prima del 7 ottobre. Nel complesso, l’impronta di carbonio di Hamas nei primi 120 giorni è stata equivalente al consumo energetico annuale di 454 case americane.

“Mentre l’attenzione del mondo è giustamente focalizzata sulla catastrofe umanitaria, anche le conseguenze climatiche di questo conflitto sono catastrofiche”, ha affermato Ben Neimark, docente senior presso la Queen Mary University di Londra (QMUL) e coautore della ricerca. “Eppure il nostro studio è solo un’istantanea che tiene conto delle maggiori emissioni di gas serra segnalate dalla macchina da guerra nei primi 120 giorni”.

“Una delle gravi conseguenze della guerra a Gaza è stata la massiccia violazione del diritto a un ambiente pulito, sano e sostenibile… che rappresenta un grave rischio per la vita e il godimento di tutti gli altri diritti”, ha affermato Astrid Puentes, la relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e l’ambiente. “La regione sta già sperimentando gravi impatti climatici che potrebbero peggiorare”.

L’analisi di 120 giorni, che si basa su una precedente ricerca riportata dal Guardian a gennaio, include le emissioni dirette di CO2 derivanti dai bombardamenti e dai voli di ricognizione, dai serbatoi e dal carburante di altri veicoli, nonché dalle emissioni generate dalla produzione e dall’esplosione di centinaia di migliaia di bombe.
Per la prima volta, i ricercatori hanno anche calcolato le emissioni dei camion che effettuano il viaggio di andata e ritorno di 370 miglia (595,5 km) dall’Egitto a Gaza per consegnare aiuti umanitari a 2,3 milioni di palestinesi affamati intrappolati sotto i bombardamenti. Secondo lo studio, i circa 1.400 camion a cui Israele ha consentito di entrare a Gaza tra l’inizio di ottobre e febbraio hanno generato quasi 9.000 tonnellate di CO2e. Ulteriori 58.000 emissioni di CO2e provenivano da generatori diesel ora utilizzati per generare elettricità a Gaza dopo che Israele ha danneggiato o distrutto gli impianti solari dell’enclave e l’unica centrale elettrica (prima del conflitto, circa il 25% dell’elettricità di Gaza proveniva da pannelli solari, una delle percentuali più alte del mondo.)

Ucraina, dalle macerie della guerra la ricostruzione per un futuro green

Riutilizzare le macerie della guerra per ricostruire un futuro green. Avvolti nella leggera foschia di un cantiere nel sud dell’Ucraina, operai con caschi rossi lavorano tra i resti di una scuola distrutta da un bombardamento russo. Quello che attualmente è solo un cumulo di macerie sarà riciclato per riparare i danni causati dal conflitto. Per farlo, il grande cumulo di detriti deve essere pazientemente smistato dai dipendenti, ex soldati ucraini smobilitati soprattutto per motivi di salute e reclutati dalla società francese Neo-Eco, specializzata nella procedura, a Lyubomyrivka, nella regione di Mykolaïv. “L’idea è di sbarazzarsi dei rifiuti, senza gettarli in discarica, e di riutilizzarli”, spiega Artem Soumara, che gestisce il progetto.

Basta dare un’occhiata alle macerie per immaginare l’aula che si trovava lì prima di essere distrutta durante i primi mesi della guerra del 2022. Un libro di fisica giace ancora tra i mattoni danneggiati, accanto ad alcuni quaderni strappati. Una volta completato il processo, alcune delle rovine della scuola potranno essere utilizzate per costruire strade, produrre cemento e fondamenta.

Tutto questo “non è facile”, ammette Soumara, e “riciclare è più difficile che comprare nuovo”. Ad esempio, i materiali troppo contaminati dall’amianto, molto diffuso in Ucraina, non possono essere riutilizzati così come sono. In ogni caso, il responsabile del progetto spera di riciclare almeno il 70% dei detriti.

Secondo Neo-Eco, il processo è meno inquinante rispetto all’utilizzo di nuovi materiali, poiché il settore edile è uno dei principali responsabili delle emissioni di CO2. I materiali prodotti in questo modo “costano meno di quelli nuovi”, assicura inoltre Soumara.

Questi aspetti sono cruciali per l’Ucraina, che vuole già iniziare la ricostruzione anche se i combattimenti continuano. La guerra ha causato danni immensi, soprattutto nella parte orientale e meridionale. Secondo la Banca Mondiale, circa il 10% del patrimonio abitativo del Paese è stato danneggiato o distrutto e Kiev stima che alla fine dello scorso anno la guerra avesse già generato 450 milioni di tonnellate di detriti. Un quantitativo decisamente eccessivo per la capacità delle discariche del Paese, che già faticava a riciclare prima dell’invasione. Se abbandonati, questi detriti potrebbero contaminare i campi e le foreste circostanti.

Neo-Eco ha utilizzato questa tecnica dopo l’esplosione del porto di Beirut nel 2020. Ma applicarla in una zona di guerra molto più difficile. Essere circondati da questa distruzione permette agli ex soldati che lavorano nel sito di sentire che “stanno aiutando la loro patria nel confronto con l’aggressore”, anche dopo aver deposto le armi, dice Nelli Iarovenko, la cui ong Mission East è partner del progetto.

Uno di loro, Volodymyr Vinokour, che è stato ferito da schegge sul fronte orientale, lo vede come un “ponte verso la vita civile”. “Ogni giorno avanziamo un po’ alla volta e trasformiamo l’edificio distrutto in qualcosa di nuovo. Stiamo cancellando le conseguenze della guerra”, afferma il 52enne.

Il compito sarà titanico. Il governatore della regione di Mykolaïv, Vitaly Kim, stima che solo il 30% delle migliaia di edifici danneggiati nella zona sia stato riparato, mentre i bombardamenti continuano a causare danni. Con i fondi pubblici ucraini “reindirizzati alle priorità della difesa”, “dipendiamo dall’aiuto dei nostri partner americani ed europei”, spiega. Il progetto Neo-Eco, ad esempio, riceve finanziamenti dalla Danimarca.

Con un budget limitato, i progetti di riutilizzo dei detriti sono “molto utili” perché “rispettosi dell’ambiente e meno costosi”, afferma il governatore, che in passato ha lavorato nel settore immobiliare. Ma è ben consapevole che questo approccio da solo non sarà sufficiente a “salvare la situazione”. Per il governatore, la ricostruzione deve iniziare senza aspettare la fine della guerra, perché molti progetti non saranno completati prima di anni. “Non abbiamo scelta – afferma – dobbiamo farlo ora”.

Mattarella: “Giovani disorientati da mondo debole nel contrastare crisi ambientale sempre più minacciosa”

Guerre, ascolto, pace, lavoro, diritti, unità. Sono alcune delle parole chiave utilizzate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio consegnato agli italiani nell’ultimo giorno dell’anno, il nono tra il primo mandato e l’inizio del secondo. Dallo studio della sala della Vetrata, al Quirinale, con alle spalle l’albero di Natale e le bandiere italiana, europea e della Repubblica, il capo dello Stato guarda al 2024 ricordando che “non possiamo distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo”.

Perché “sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità”. Ma allo stesso tempo il presidente sottolinea: “Avvertiamo angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana. La violenza. Anzitutto, la violenza delle guerre. Di quelle in corso; e di quelle evocate e minacciate”.

Il pensiero corre alle “devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla”. E alla “orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità. La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti”.

Il monito di Mattarella è chiaro: “La guerra, ogni guerra, genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti”.

Il presidente della Repubblica lancia un messaggio semplice, ma potente. “È indispensabile – dice – fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace”. Mattarella aggiunge: “Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità”. Ma “sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace”. E “per conseguire la pace non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi”.

Il capo dello Stato si rivolge, poi, come spesso accade, direttamente ai giovani, con i quali costruisce fin dal suo primo mandato un filo diretto. “L’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore, quello vero, è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità. Penso alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete”.

Mattarella mette in luce che “rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere; e di cui non condividono andamento e comportamenti. Un disorientamento – continua – che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa. Incapace di unirsi nel nome di uno sviluppo globale”. Ma “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle loro speranze. Della loro capacità di cogliere il nuovo”.

Un passaggio importante del suo discorso, il presidente della Repubblica lo dedica all’importanza di “ascoltare”, a cui attribuisce anche il significato di “saper leggere la direzione e la rapidità dei mutamenti che stiamo vivendo. Mutamenti che possono recare effetti positivi sulle nostre vite. La tecnologia ha sempre cambiato gli assetti economici e sociali. Adesso, con l’intelligenza artificiale che si autoalimenta, sta generando un progresso inarrestabile. Destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali”.

Mattarella afferma: “Ci troviamo nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell’inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona – e nella sua dignità – il pilastro irrinunziabile”. Per il capo dello Stato “viviamo un passaggio epocale. Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci. Con la partecipazione attiva alla vita civile. A partire dall’esercizio del diritto di voto” per “definire la strada da percorrere, è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social”. Perché “la democrazia è fatta di esercizio di libertà” che “quanti esercitano pubbliche funzioni, a tutti i livelli, sono chiamati a garantire” e che sia “indipendente da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale o di potere, possa pretendere di orientare il pubblico sentimento”.

Mattarella, infine, ricorda, a tutti, che “la forza della Repubblica è la sua unità”, ma “non come risultato di un potere che si impone”. L’unità della Repubblica “è un modo di essere. Di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace”. Valori che ha incontrato “nella composta pietà della gente di Cutro”, nella “operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano Romagna mia” o “negli occhi e nei sorrisi, dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut. Promossa da un gruppo di sognatori. Che cambiano la realtà”.

Il presidente della Repubblica, prima di augurare buon anno alle italiane e agli italiani, lascia un ultimo messaggio: “Uniti siamo forti”.

 

 

Photo credit: sito Presidenza della Repubblica

Guerre, crisi climatica e collasso economico. Onu: “Servono 46 miliardi di aiuti”

Conflitti, emergenze climatiche, collasso economico… le prospettive per il 2024 sono “desolanti” e servono 46,4 miliardi di dollari per aiutare 180,5 milioni di persone nel mondo. Senza fondi sufficienti, “le persone pagheranno con la vita”, è l’avvertimento lanciato dall’Onu. Mentre i riflettori sono attualmente puntati sulla guerra nella Striscia di Gaza, le Nazioni Unite sottolineano che anche il Medio Oriente, il Sudan e l’Afghanistan sono stati oggetto di importanti operazioni di aiuto internazionale. Tuttavia, la portata dell’appello annuale e il numero di beneficiari che l’Onu cerca di aiutare sono stati rivisti al ribasso rispetto al 2023, a causa del calo delle donazioni.
“Gli aiuti umanitari salvano vite umane, combattono la fame, proteggono i bambini, scongiurano le epidemie e forniscono riparo e servizi igienici nelle situazioni più disumane”, ha dichiarato il capo degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite Martin Griffiths in un comunicato. “Ma il necessario sostegno della comunità internazionale non è commisurato ai bisogni”, ha aggiunto

Le Nazioni Unite avevano lanciato un appello per il 2023 per 56,7 miliardi di dollari, ma ne hanno ricevuto solo il 35%, il peggior deficit di fondi da anni. Le agenzie dell’Onu hanno fornito assistenza e protezione a 128 milioni di persone.

Il 2023 è destinato a diventare il primo anno dal 2010 in cui le donazioni per gli aiuti umanitari sono diminuite rispetto all’anno precedente. Per il 2024, l’Onu ha quindi deciso di ridimensionare l’appello alle donazioni, scegliendo di concentrarsi sui bisogni più urgenti.

Griffiths ha riconosciuto che la somma richiesta è ancora “enorme” e che probabilmente sarà difficile da raccogliere, dato che molti Paesi donatori stanno attraversando difficoltà economiche. Ma “senza finanziamenti adeguati, non saremo in grado di fornire un’assistenza vitale. E se non riusciremo a fornirla, le persone pagheranno con le loro vite”. L’appello alle donazioni è volto a finanziare le operazioni in 72 Paesi: 26 in crisi e 46 limitrofi che ne subiscono le ripercussioni, come l’afflusso di rifugiati.
La priorità assoluta è la Siria (4,4 miliardi di dollari), seguita da Ucraina (3,1 miliardi), Afghanistan (3 miliardi), Etiopia (2,9 miliardi) e Yemen (2,8 miliardi). Il Medio Oriente e il Nord Africa (13,9 miliardi) sono la prima area geografica a cui si rivolge l’appello.

Griffiths ha anche richiamato l’attenzione sulle necessità della Birmania, dell’Ucraina, che sta attraversando un “inverno disperato” con la prospettiva di un’intensificazione della guerra, e del Sudan, che, a suo avviso, non riceve l’attenzione che merita dalle capitali occidentali.

Per quanto riguarda il Venezuela, il funzionario delle Nazioni Unite ha detto di sperare che il dialogo politico permetta di sbloccare i beni congelati e che sia un “ottimo esempio che porta a ricompense sociali”. Per l’Afghanistan, ha ritenuto che se si potessero effettuare investimenti economici senza perdere di vista i diritti umani, la comunità internazionale potrebbe evitare una potenziale carestia a costi inferiori.

Anche le esigenze legate agli effetti del cambiamento climatico sono sempre più importanti. “Non c’è dubbio che il clima sia in competizione con i conflitti come motore dei bisogni”, ha spiegato. “Il clima sta muovendo più bambini oggi che le guerre. Non era mai stato così in passato”.

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In Ucraina guerra anche contro l’ambiente: danni per 56 miliardi di dollari

Foreste devastate, città allagate… Dall’inizio dell’invasione russa e dopo quasi due anni di guerra, la distruzione dell’ambiente in Ucraina è una “tragedia” di rara portata, che colpirà “diverse generazioni”. Sebbene “tutti i conflitti” siano dannosi per la natura, la guerra in Ucraina lo è “in modo particolare”, secondo Doug Weir, direttore della ricerca dell’Ong britannica Conflict and Environment Observatory. A differenza dei conflitti limitati a un’area ristretta, questa volta la linea del fronte è “incredibilmente lunga”, coprendo centinaia di chilometri, e i combattimenti si trascinano, moltiplicando i danni.

All’intenso fuoco di artiglieria si aggiunge l’inquinamento causato dai frequenti attacchi alle infrastrutture energetiche e le tonnellate di detriti generati dai bombardamenti nelle aree urbane, afferma l’esperto, per il quale la natura è “una vittima massiccia della guerra in Ucraina”. Il costo dei danni ambientali è stato stimato all’inizio di novembre in 56 miliardi di dollari, “una somma impressionante”, afferma Jaco Cilliers, rappresentante del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) in Ucraina.
Quasi il 30% delle aree forestali ucraine e circa il 20% dei parchi naturali nazionali sono stati colpiti dalla guerra, spiega Ruslan Strilets, ministro ucraino della Protezione ambientale e delle Risorse naturali. Gli alberi distrutti durante i combattimenti “erano cresciuti per decenni, a volte per secoli, e in pochi giorni (i russi) hanno bruciato questi preziosi ecosistemi”, dove vivevano molte specie animali.

Nell’est del Paese, dove i combattimenti sono stati particolarmente feroci, una foresta di querce di oltre 300 anni è stata “completamente distrutta dalla guerra”, secondo Bohdan Vykhor, direttore del Wwwf Ucraina, che non vede come potrebbe “essere ricostituita nel prossimo futuro”. Per quanto riguarda lo sminamento del 30% circa del territorio che è stato o potrebbe essere stato minato, ci vorranno probabilmente “decenni”, aggiunge Strilets.

Gran parte del territorio ucraino è inaccessibile, a causa dell’occupazione russa o della vicinanza della linea del fronte. Da lontano, gli esperti devono procedere per tentativi, spesso affidandosi alle immagini satellitari o a quelle pubblicate sui social network. “La visione che abbiamo al momento è quindi ancora incompleta”, si rammarica Doug Weir.

È impossibile, ad esempio, sapere quanti delfini siano stati uccisi nel Mar Nero, diventato anch’esso una zona di guerra. “Abbiamo registrato ufficialmente un migliaio di animali morti”, alcuni dei quali disorientati dal rumore delle attività militari, spiega Strilets, ma “gli scienziati parlano di decine di migliaia”.
Iegor Hrynyk, esperto del Gruppo ucraino per la conservazione della natura (UNCG), teme che il conflitto stia avendo anche effetti meno visibili, come quello di spingere il Paese a “sfruttare maggiormente le risorse naturali”, in particolare abbattendo più alberi, per far fronte ai costi della guerra. “Non dimentichiamo che le battaglie si vincono con gli eserciti e le guerre si vincono con le economie”, risponde Strilets, che tuttavia promette che la ripresa economica non avverrà “a spese del nostro ambiente”.