L’idrogeno? E’ il carburante del futuro, impossibile farne senza

Il carburante del futuro, quello più sostenibile e ‘infinito’, è l’idrogeno, ma per una vera svolta green serve più coraggio. È la conclusione a cui è giunta l’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano nel suo ‘Hydrogen Innovation Report 2022’. Secondo gli esperti senza l’idrogeno verde la decarbonizzazione di alcuni settori industriali e del trasporto pesante è impossibile, ma servono altri 70 GW di rinnovabili e almeno 15 di elettrolizzatori. Invece, il piano italiano al momento è fermo a 5 GW di elettrolizzatori al 2030. Le difficoltà degli ultimi mesi hanno fatto scivolare l’idrogeno in secondo piano, tuttavia le industrie hard-to-abate (acciaio e fonderie, chimica, ceramica, carta e vetro) e alcuni sistemi di trasporto non hanno alternative per ridurre le emissioni climalteranti. Secondo Vittorio Chiesa, direttore dell’Energy&Strategy del Politecnico di Milano, “occorre maggiore chiarezza a livello comunitario sulla definizione di green gas, per non rallentare le iniziative in partenza e chiarire le possibili configurazioni di produzione ammissibili. Così come servono specifici strumenti di incentivazione: allo stato attuale, in Italia agli utilizzatori industriali non conviene sostituire il metano o l’idrogeno grigio con l’idrogeno verde”.

Oggi la domanda complessiva di idrogeno in Europa si attesta sulle 8,4 Mton annue: il settore della raffinazione è il principale utilizzatore con il 49% del totale, seguito dalla produzione di ammoniaca (31%) e di metanolo (5%). La produzione annua europea, invece, si aggira attorno alle 10,5 Mton e deriva prevalentemente da impianti di reforming da gas naturale (Smr) posti nei principali siti di consumo, come le raffinerie e gli impianti di produzione di ammoniaca. L’Italia è il quinto Paese europeo per consumo di idrogeno, con circa 0,6 Mton: più del 70% della domanda viene dalla raffinazione, circa il 14% dal settore dell’ammoniaca e il resto dalla rimanente industria chimica. Dal punto di vista tecnologico, per questi comparti non esistono particolari vincoli al passaggio all’idrogeno blu o verde. Ma a quali livelli di prezzo delle emissioni di anidride carbonica sarebbe equivalente adottare idrogeno blu e verde al posto dell’attuale idrogeno grigio? Nel caso dell’idrogeno blu, il costo della CO2 evitata è pari a 100 o 111 €/tonCO2, a seconda che si consideri una percentuale di cattura delle emissioni rispettivamente del 50% o 90%. Questi valori si avvicinano molto all’attuale costo della CO2 sul mercato ETS, che nei primi mesi del 2022 ha superato il valore di 90 €/tonCO2. Nel caso invece dell’idrogeno verde, il costo della CO2 evitata cresce notevolmente, arrivando fino a 900 €/tonCO2. Valori al momento ‘fuori scala’, nonostante la corsa del mercato del CO2 dell’ultimo anno.

Il Politecnico ha quindi indagato alcuni settori industriali hard-to-abate (produzione acciaio, carta, ceramica e vetro) che potrebbero adottare l’idrogeno verde come vettore energetico al posto del gas naturale per il soddisfacimento dei consumi termici, qualora l’elettrificazione diretta risultasse difficilmente percorribile. Per tutte le tecnologie prese in considerazione – cogeneratori a motore alternativo, cogeneratori a turbina, forni e caldaie – l’attuale parco installato risulta già in grado di sopportare una quota di idrogeno in miscela fino al 20%, ma solamente le caldaie sono pronte per essere alimentate al 100% con idrogeno, i cogeneratori ancora no. In più, un taglio significativo delle emissioni di CO2 si raggiunge solo nel caso di completa sostituzione del gas naturale, con una conseguente domanda di idrogeno verde nell’ordine delle centinaia di kton all’anno.

Passando alla policy di sviluppo per la filiera dell’idrogeno in Europa, Polimi riferisce che dei 40 GW di elettrolizzatori previsti dalla Commissione Europa al 2030, circa il 65% dovrebbe arrivare da Italia, Olanda, Germania, Spagna, Portogallo e soprattutto Francia, che con i suoi 6,5 GW, sarà la capofila per la produzione di idrogeno da elettrolisi sfruttando il basso tasso emissivo della propria rete elettrica. Tutti i Paesi hanno già definito gli investimenti da realizzare entro il 2030 per favorire lo sviluppo della filiera dell’idrogeno, destinati in modo trasversale a ogni componente: tecnologie per la produzione, tecnologie/progetti per la penetrazione nei settori hard-to-abate, attività di ricerca e sviluppo, studi di fattibilità per impianti di trasporto e distribuzione. L’aggiornamento della mappatura a livello europeo delle installazioni annunciate o pianificate di impianti per la produzione di idrogeno a basso impatto ambientale mostra come la Germania sia il primo Paese in termini numerici, mentre per capacità è la Spagna a occupare il primo posto con circa 70 GW di idrogeno verde, seguita dalla Gran Bretagna (circa 22 GW di capacità, dove però l’80% sarà idrogeno blu). A parte il caso dello UK, la maggior parte della produzione è stata pianificata mediante elettrolizzatori integrati con rinnovabili dedicate, con una certa prevalenza per gli impianti eolici offshore.

Infine, conclude lo studio, è stato valutato il potenziale di mercato legato allo sviluppo della filiera dell’idrogeno per i settori hard-to-abate in Italia, in particolare le industrie dell’acciaio, della carta, del vetro e della ceramica. L’attuale domanda annua di 0,51 Mton, legata alle raffinerie e alla produzione di ammonica, se fosse coperta da idrogeno verde si tradurrebbe in un fabbisogno addizionale di energia rinnovabile pari a circa 29,6 TWh. Nell’ipotesi di rispettare il solo vincolo di addizionalità, questo comporterebbe almeno 16,4 GW di nuova capacità rinnovabile, valore che salirebbe notevolmente nel caso si rispettasse anche il vicolo di contemporaneità. Si determinerebbe inoltre la necessità di prevedere nuova capacità di elettrolizzatori compresa tra 3,7 GW, nel caso di funzionamento a pieno carico (8.000 ore equivalenti), e circa 9 GW nel caso di funzionamento a 3.300 ore annue.

Per la valutazione dei consumi di idrogeno verde legati ai settori industriali hard-to-abate che attualmente non utilizzano idrogeno, ma che potrebbero in futuro adottare l’idrogeno verde come vettore di energia termica, sono stati identificati differenti scenari di blend idrogeno verde e-gas naturale pari rispettivamente al 10%, 20% e 100% in volume. Il caso di blend al 100% – l’unico che darebbe un contributo significativo all’abbattimento delle emissioni – determinerebbe un consumo complessivo addizionale di idrogeno verde pari a circa 2 Mton/anno e consumi ulteriori di energia elettrica rinnovabile pari a circa 117 TWh, che potrebbero essere coperti da 64,9 GW di nuova capacità rinnovabile nell’ipotesi di rispettare il solo vincolo di addizionalità. A livello di elettrolizzatori, la nuova capacità necessaria per produrre questi volumi di idrogeno sarebbe compresa tra 14,6 GW, nel caso di funzionamento a pieno carico (8.000 ore equivalenti), e 35,4 GW nel caso di funzionamento a 3.300 ore annue equivalenti.

Parte il progetto della prima centrale a fusione di idrogeno

Entrerà in funzione intorno alla metà del secolo, producendo fino a 500 MW di potenza per soddisfare i consumi annuali di circa 1,5 milioni di famiglie. E questo grazie anche al lavoro delle 21 organizzazioni di ricerca italiane (tra cui Cnr-Istp e Consozrio Rfx) coordinate da Enea. Sono solo alcuni dei numeri del progetto Demo (Demonstration Fusion Power Reactor), il primo impianto dimostrativo a fusione di idrogeno annunciato oggi a Bruxelles dal Consorzio EuroFusion in occasione del lancio di Horizon EuroFusion, nuovo programma europeo di ricerca sulla fusione cofinanziato dalla Commissione Ue tramite Euratom. “Si tratta di un passo importante che traghetterà la ricerca sulla fusione da un ambito puramente sperimentale alla produzione vera e propria di energia elettrica” ha sottolineato Alessandro Dodaro, direttore del dipartimento Enea di Fusione e tecnologie per la sicurezza nucleare. Il reattore dimostrativo Demo sarà il successore dell’impianto sperimentale Iter, attualmente in costruzione a Cadarache, nel sud della Francia, e a cui contribuiscono Cina, Corea del Sud, India, Giappone, Russia, Usa e ovviamente Ue.

Il progetto potrebbe presto diventare una pietra miliare della ricerca sull’energia. E questo grazie all’ingegno italiano. “Demo – aggiunge Dodaro – dovrà adottare le più avanzate tecnologie per controllare il plasma e generare elettricità in modo sicuro e continuo operando con un ciclo del combustibile chiuso”. A questo scopo servirà il super laboratorio Divertor Tokamak Test (Dtt) al Centro Ricerche di Frascati. “Qui testeremo nuove e diverse configurazioni e materiali per il divertore, il dispositivo che avrà il compito di smaltire il calore residuo all’interno dei reattori a fusione con flussi di potenza superiori a 10 milioni di Watt per metro quadrato, confrontabili a quelli della superficie del Sole”, aggiunge l’esperto di Enea. Tra le organizzazioni coinvolte nel progetto c’è anche il Consorzio Rfx, i cui soci sono il Cnr, l’Enea, l’Infn, l’Università di Padova e Acciaierie Venete. “La decisione di sviluppare un reattore a fusione dimostrativo in Europa è il naturale sviluppo del costante impegno europeo nella promozione della ricerca di risorse energetiche a basso impatto ambientale di cui la fusione dell’idrogeno rappresenta uno degli ingredienti del paniere di fonti rinnovabili ed eco-sostenibili” ha spiegato Piergiorgio Sonato, presidente del Consorzio Rfx che a Padova ospita il laboratorio di sviluppo degli iniettori di particelle neutre per Iter, ovvero il NBTF-Neutral Beam Test Facility. Un altro centro di eccellenza per la ricerca, dato che, spiega Sonato, “rappresenta l’elemento indispensabile per accendere e controllare la reazione di fusione dell’idrogeno nel reattore Iter di Cadarache”.

L’annuncio dell’avvio di Demo è arrivato peraltro dopo il risultato record ottenuto dal programma EuroFusion all’impianto Jet (Joint European Torus) di Culham (Regno Unito), che ha prodotto 59 megajoule di energia totale da fusione utilizzando lo stesso mix di combustibili di deuterio-trizio (plasma) che sarà impiegato in Iter, in Demo e nelle future centrali elettriche a fusione. EuroFusion, chiarisce Enea in una nota, può contare su un finanziamento di oltre 1 miliardo di euro per gli anni 2021-2025, di cui oltre 550 milioni da Euroatom: l’Italia, secondo partner più importante del consorzio dopo la Germania, riceverà il 16% del contributo europeo, ovvero circa 90 milioni.

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Italgas guarda al 2028: verso rete full digital per gas rinnovabili

Digitalizzazione, consolidamento nel settore dell’efficienza energetica e crescita esterna. Sono le direttrici sulle quali si muove il Piano strategico 2022-2028 di Italgas, presentato a analisti e azionisti. Il nuovo Piano prevede investimenti complessivi netti per 8,6 miliardi di euro, in aumento di 0,7 miliardi di euro rispetto al precedente, presentato lo scorso anno. L’incremento degli investimenti (+8,9%) è guidato dalle attività di trasformazione digitale degli asset, di estensione del network e dalle iniziative volte al consolidamento nel settore dell’efficienza energetica che consentiranno al Gruppo di continuare a giocare un ruolo di primo piano nel raggiungimento dei target climatici Ue. Secondo l’amministratore delegato, Paolo Gallo, il Gruppo si conferma così “tra le principali realtà industriali in grado di mettere le proprie capacità di progettazione, spesa e creazione di valore al servizio degli obiettivi di sviluppo sostenibile del Paese e dell’Unione Europea”. Con le reti, aggiunge, che “permetteranno di operare la transizione da gas fossile a gas rinnovabile”.

italgas

RIDUZIONE CONSUMI E EMISSIONI

In linea con le indicazioni della Commissione Europea di neutralità carbonica al 2050, il Gruppo ha esteso al 2028 il target di riduzione dei consumi energetici netti rispetto al 2020, portandolo a -27% e ponendosi un nuovo target di -33% al 2030. Il raggiungimento di tali obiettivi contempla le iniziative di efficientamento energetico e di digitalizzazione e ottimizzazione del sistema di controllo e gestione di tutti gli asset operativi, nonché di rinnovamento della flotta aziendale dei veicoli di servizio. Italgas prevede di ridurre del 34% le emissioni climalteranti (Scope 1 e Scope 23 ) al 2028 e del 42% al 2030 (baseline 2020). Definito un target anche sulle emissioni di gas a effetto serra dello Scope 3 (supply chain), con una riduzione prevista del 30% al 2028 e del 33% al 2030 rispetto al 2024. “In uno scenario europeo che ha nel REPowerEU la nuova stella polare per rafforzare la resilienza del sistema energetico e accelerare la transizione ecologica, Italgas può cogliere i frutti di una visione che aveva individuato nelle reti digitali, flessibili e intelligenti il principale abilitatore della decarbonizzazione dei consumi”, spiega Gallo.

TRASFORMAZIONE DIGITALE AL SERVIZIO DEI GAS RINNOVABILI

Degli 8,6 miliardi di euro di investimenti, ben 4,5 sono destinati allo sviluppo e all’upgrade del network italiano della distribuzione del gas. Nel dettaglio, 1,5 miliardi di euro (+100 milioni circa rispetto al precedente Piano) sono destinati alla prosecuzione dei programmi di trasformazione digitale della rete. Disporre di una rete ‘full digital’, secondo Italgas, è la precondizione tecnica per gestire con efficacia la distribuzione dei gas rinnovabili – principalmente biometano, metano sintetico e idrogeno – per i quali il Piano destina oltre 100 milioni di euro per favorire l’allacciamento degli impianti di produzione alla rete di distribuzione, introdurre la tecnologia del reverse flow verso la rete di trasporto in maniera da consentire l’accoglimento, di fatto senza limiti, dei quantitativi non consumati a livello locale, sviluppare impianti e componenti ‘hydrogen ready’. Si stima che dalla digitalizzazione derivino benefici per circa 300 milioni di euro (+50 milioni di euro rispetto al precedente piano), in termini di riduzione dei costi operativi, efficienza sugli investimenti e maggiori ricavi. Nessuna preoccupazione per la rete di distribuzione, perché i tubi in polietilene “sono assolutamente compatibili al 100% con l’idrogeno. Avremmo un problema di corrosione se fossero in ghisa, ma stiamo sostituendo dappertutto e sono rimasti pochi chilometri. Stiamo anche testando e testeremo altri materiali affinché siano compatibili con l’idrogeno”, precisa Gallo.

EFFICIENZA ENERGETICA

Italgas, nel suo piano, raddoppia l’impegno verso il business dell’efficienza energetica, che rappresenta una leva fondamentale per il raggiungimento dei target indicati dal REPowerEU ed è sempre più centrale nelle strategie di sviluppo del Gruppo. Il nuovo Piano, infatti, assegna 340 milioni di euro allo sviluppo delle Esco (Energy Service Company, società che effettuano interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica) del Gruppo, sia per realizzare operazioni mirate di fusioni e acquisizioni, sia per rafforzare le aree di attività e il portafoglio clienti nei settori di riferimento: residenziale, pubblico, industriale e terziario.

RICAVI

Per il 2022 Italgas prevede investimenti tecnici tra 700 e 750 milioni di euro e ricavi adjusted superiori a 1,4 miliardi di euro, con un Ebitda adjusted di 1,00-1,03 miliardi di euro e un Ebit adjusted tra 570 e 590 milioni di euro. Tali risultati – spiega Italgas nella presentazione del suo Piano Strategico 2022-2028 – non tengono conto del contributo di Depa Infrastructure. Includendo il costo per l’acquisizione di Depa Infrastructure e gli impatti dell’Ifrs 16, l’indebitamento netto a fine 2022 è atteso a circa 5,9 miliardi di euro. Con il completamento delle gare, grazie al contributo di Depa Infrastructure e allo sviluppo delle attività dell’efficienza energetica, si prevede al 2028 un fatturato superiore a 2,6 miliardi di euro con un margine Ebitda stimato di circa il 70%, mentre la leva finanziaria dovrebbe gradualmente ridursi attestandosi a fine Piano al 61% circa. Per quanto riguarda la greca Depa, Italgas si aspetta di poter perfezionare l’operazione di acquisizione “prima dell’estate”, secondo l’ad Gallo. Il Piano destina 1,8 miliardi di euro all’acquisizione, al consolidamento e all’esecuzione dei programmi di sviluppo ad oggi messi a punto dalle società operative Eda Thess, Eda Attikis e Deda.

venezia

A Venezia la prima stazione Eni in Italia per auto a idrogeno

Venezia dimostra con i fatti di essere davvero capitale mondiale della sostenibilità. Una città che in questi ultimi anni sta investendo energie e risorse per contribuire concretamente ad una reale transizione energetica che garantisca la tutela e la salvaguardia dell’ambiente“. Parole del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, durante la presentazione in località San Giuliano a Mestre della prima stazione di servizio Eni in Italia per il rifornimento di idrogeno. L’impianto è dotato di due punti di erogazione, con una potenzialità di oltre 100 kg/giorno, che possono caricare autoveicoli (in circa 5 minuti) e autobus. Si tratta in effetti di una novità assoluta in Italia, e fa parte della riqualificazione dell’area di servizio riaperta al pubblico a febbraio sia per il rifornimento di carburanti tradizionali sia per la ricarica elettrica, con una colonnina dotata di due postazioni che possono ricaricare contemporaneamente un veicolo in modalità fast e ultrafast. “La più antica città del futuro diventa così un esempio per tantissime altre amministrazioni che potranno guardare a quanto stiamo facendo” ha commentato Brugnaro, secondo cui “questa stazione di rifornimento ci consentirà di procedere speditamente in quel piano di ammodernamento del trasporto pubblico locale alimentato ad idrogeno che stiamo portando avanti con gli investimenti del Pnrr e soprattutto, grazie a Toyota, porterà nel parco auto del Comune alcune nuove vetture di rappresentanza alimentate a idrogeno“.

Di fatto, con l’impianto mestrino Eni procede verso la realizzazione di una rete di distribuzione che permette la circolazione di mezzi alimentati a idrogeno. La Eni Live Station è anche il primo traguardo della collaborazione con Toyota e Comune di Venezia per promuovere la mobilità sostenibile nel territorio veneziano attraverso la costruzione di nuove infrastrutture. “Un passaggio fondamentale per lo sviluppo della mobilità ad idrogeno anche in Italia“, secondo Luigi Ksawery Luca, amministratore delegato di Toyota Motor Italia. “Il percorso verso una mobilità a zero emissioni – spiega il manager della casa giapponese – non potrà che far leva su un utilizzo diffuso sia di mezzi alimentati ad idrogeno, sia di veicoli elettrici a batteria, che nella nostra visione sono pienamente complementari tra loro. L’auspicio è che questa sia solo la prima di molte stazioni di rifornimento d’idrogeno con le quali l’Italia possa presto allinearsi con gli altri Paesi europei”. In linea con l’accordo siglato nel 2019, Toyota metterà su strada un minimo di 10 Toyota Mirai: 3 sono state consegnate oggi a Brugnaro e sono entrate a far parte del parco mezzi comunale. Altre 3 vetture entreranno a far parte del parco auto dedicato al servizio di car sharing Kinto Share nella città di Venezia.

Un traguardo e un punto di partenza“, è quanto sottolinea Giuseppe Ricci, direttore generale Energy Evolution di Eni. “Non a caso – aggiunge – siamo in un’area come il Veneto e a Venezia per rispondere alla domanda di mobilità sostenibile e, più in generale, di una efficace e concreta transizione energetica“.

rinnovabili

Cingolani: “Rinnovabili? Clamorosa accelerazione rispetto al passato”

La guerra ha cambiato tutto. È l’evento più tragico che abbia visto, a parte le questioni personali, ed è impressionante pensare a cosa succede dietro l’angolo, alle porte dell’Europa”. Il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è intervenuto a ‘Italia 2022: Persone, Lavoro, Impresa’, piattaforma di dialogo promossa da Pwc Italia in collaborazione con il gruppo editoriale Gedi, dal titolo ‘Tecnologia e nuovo umanesimo’.

Come superare le criticità sollevate da questo conflitto, che non vede solamente protagoniste Mosca e Kiev, ma che pian piano si sta estendendo in tutto il mondo? Sul fronte della dipendenza italiana dal gas russo, per l’Italia saranno fondamentali i nuovi accordi allacciati con i Paesi africani e del Medio oriente, che, ha spiegato Cingolani, “ci permetteranno di disporre di circa 5 miliardi di metri cubi di gas nel corso di quest’anno, 18 miliardi dal 2023 e 25 miliardi andranno a regime tra altri due anni”. Nonostante tutto, “per quest’inverno dipenderemo ancora dagli stoccaggi, a proposito dei quali l’obiettivo è arrivare a completarli entro fine 2022. Dall’anno prossimo si incominceranno a sentire fortemente gli effetti delle nuove forniture”, ha puntualizzato il ministro. Tuttavia, per ora è impensabile un’interruzione della somministrazione del gas russo al Paese, dal momento che “noi ne importiamo 29 miliardi di metri cubi, non avremmo un’alternativa e non solo saremmo al freddo, ma fermeremmo le aziende”, l’avvertimento del titolare del Mite.

RINNOVABILI

Sul tema delle rinnovabili, Cingolani ha preso una posizione netta: “È clamorosa l’accelerazione rispetto agli anni scorsi, quindi qualcosa è successo. Si può fare di più? Sì, ma dobbiamo dare il tempo a tutto il sistema di crescere”. I dati parlano chiaro, infatti, “secondo le stime di Terna ci sono state richieste di allacciamenti per 5,1 gigawatt nei primi mesi del 2022, e ne abbiamo già 3 circa per il prossimo anno: secondo il Pnrr dovremmo metterne 7-8 all’anno. Quindi, direi che abbiamo cominciato bene“, la sottolineatura.

IDROGENO

Sulla produzione di idrogeno, accumulatore di energia molto prezioso per la futura decarbonizzazione, il target dell’Europa è quello di arrivare a 500 megawatt in tempi relativamente brevi. “La firma dei primi protocolli d’intesa con le Regioni per le ‘Hydrogen valleys‘ è un’ottima notizia e ci mette in linea con i migliori Paesi d’Europa in un settore che è strategico per il futuro“, ha dichiarato Cingolani nel corso della cerimonia di firma delle intese a Palazzo Chigi, precisando che saranno cinque le Regioni a ospitare questi distretti per la produzione di idrogeno verde: Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Puglia e Umbria.

CARBURANTI SINTETICI

I carburanti sintetici in una fase di transizione potrebbero essere una buona soluzione”, ha spiegato il titolare del Mite rispondendo a una domanda sul voto che attende il Parlamento Ue in merito al pacchetto Fit for 55 che riguarda anche il passaggio da automobili a combustione a modelli elettrici a basso impatto sulle emissioni. “I grandi Paesi che costruiscono automobili, come Francia, Germania e Italia, erano tutti d’accordo per il face out dal motore a combustione per le automobili di uso privato dovesse avvenire entro il 2035, chiedendo un po’ più di tempo per i furgoni che non hanno una soluzione pronta cassa sull’elettrico, mentre i Paesi che non producono auto volevano il face out prima, tanto a loro che cosa costa, il problema della manodopera ce l’abbiamo noi, francesi e tedeschi”. Il ministro evidenza poi che si potrebbero trovare soluzioni per minimizzare l’impatto senza costringere la gente che non può a cambiare l’auto.

NUCLEARE

Per arrivare a net zero nel 2050 ci servirà un accesso universale all’energia. “La fusione nucleare, è il meccanismo di produzione dell’energia dell’universo, quello delle stelle. Siamo veramente impauriti del cambiamento climatico? Basta chiacchiere: 18 mesi per il vaccino Covid, in 18 anni si faccia la fusione sul termonucleare, ogni Paese faccia abbia la sua stella per produrre energia pressoché illimitata a zero costo“, la riflessione di Cingolani. Su questo l’Italia sta facendo un ottimo lavoro, c’è l’Enea che sta facendo investimenti importanti in ricerca: si sono dimostrate moltiplicazioni in energia prodotta molto importanti, il confinamento magnetico è stato dimostrato per la prima volta come molto promettente. “Chissà che non si abbia qualche sorpresa nell’arco di circa 15 anni. Però bisogna crederci“, conclude il ministro della Transizione ecologica.

decarbonizzazione

Clima, verso il G7 dell’Ambiente. Cingolani: “Alleanza per emissioni zero”

Stabilire un’alleanza globale per la protezione del clima, promuovere una transizione energetica pulita, sostenibile e inclusiva, preservare la biodiversità rafforzando le attività correlate all’efficienza delle risorse e all’economia circolare, migliorare la sostenibilità della gestione delle sostanze chimiche, proteggere i mari e tutelare la biodiversità marina. Questi i temi oggetto di discussione alla riunione dei ministri del Clima, dell’Energia e dell’Ambiente dei Paesi del G7 che si terrà il 26 e 27 maggio a Berlino.

In merito all’incontro, nel corso dell’informativa alla Camera, il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha lanciato un messaggio inequivocabile: “Innalzare le ambizioni non è sufficiente. Occorre un richiamo forte a tutti i grandi emettitori, specie quelli che sono membri del G20, a presentare nuovi obiettivi di riduzione in linea con il mantenimento della temperatura globale a 1.5 gradi centigradi e gli impegni adottati a Glasgow“, ha sottolineato il ministro.

CLUB SUL CLIMA

E, in questa direzione, un’importante proposta arriva dalla Germania. Lo ha ricordato lo stesso Cingolani, riferendosi alla costituzione di un ‘Club sul clima’ al fine di allineare le politiche e misure climatiche soprattutto nei settori industriali, accelerando il taglio delle emissioni e, al contempo, “prevenire distorsioni al mercato e il fenomeno del carbon leakage”. Tre i pilastri, ha spiegato il ministro, sui quali poggia il Climate Club: “Misurazione delle emissioni ricorrendo a strumenti quali il Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam); progressiva trasformazione dei settori industriali attraverso approcci comuni di decarbonizzazione delle industrie; sviluppo di partnership internazionali per la sostenibilità nel settore energetico, nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo con la progressiva diffusione delle rinnovabili“.

EMISSIONI ZERO ENTRO 2050

Cingolani, nel corso dell’informativa, ha poi ricordato che per il settore energetico “è emersa inoltre, la determinazione ad accelerare la transizione verso un futuro a zero emissioni nette entro il 2050, mantenendo al contempo la sicurezza e l’accessibilità dei sistemi energetici”, anche attraverso la “rapida espansione delle rinnovabili”.

METANO

Tutti temi sul tavolo del prossimo G7, la cui agenda sarà fitta di proposte e nodi da sciogliere. Come quello relativo alla riduzione delle emissioni di metano. “La presidenza tedesca – ha detto Cingolani – ha proposto l’impegno di sviluppare dei piani di azione nazionali volti a diminuirle”. L’obiettivo è quello di “riaffermare l’impegno definito in ambito del Global Methane Pledge adottato a Glasgow per la riduzione delle emissioni globali di metano antropogenico di almeno il 30% al di sotto dei livelli del 2020 entro il 2030”. “L’Italia ha proposto, e la membership G7 ha accolto – ha aggiunto Cingolani – di considerare anche il ruolo delle tecnologie waste-to-fuel (come il biometano) quale preziosa opportunità per mitigare le emissioni di metano“.

IDROGENO

In tema di rinnovabili, al vertice di Berlino si parlerà anche di idrogeno, “elemento chiave verso una piena decarbonizzazione delle economie”. L’idea, ha ricordato il titolare del Mite, è quella di lanciare il “G7 Hydrogen Action Pact, iniziativa volta ad accelerare e rafforzare l’azione congiunta nel campo dell’idrogeno, nonché a favorire le sinergie e la razionalizzazione delle attività svolte nelle diverse piattaforme multilaterali già esistenti”. “Promuovere lo sviluppo e la definizione di standard settoriali comuni al fine di favorire la produzione, l’uso, il commercio e il trasporto di idrogeno è obiettivo anche dell’Italia”, ha fatto sapere Cingolani.

URSULA VON DER LEYEN

Appello von der Leyen da Davos: “Transizione verde e clima non possono più aspettare”

Sono evidenti le ragioni geopolitiche” per accelerare su transizione verde e clima, che ora “non possono più aspettare“. Arriva da Davos, in Svizzera, dove è in corso il World Economic Forum, l’appello della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Il diretto risultato della guerra russa in Ucraina – ha spiegato – è l’aumento dei prezzi dell’energia e il taglio delle forniture del gas a Polonia, Bulgaria e Finlandia”. Come ha ricordato la numero uno dell’esecutivo comunitario, l’Ue ha già segnato la strada “con l’European Green Deal“, ma ora “dobbiamo accelerare la transizione e portare le nostre ambizioni a un livello più alto, in particolare con il piano RePowerEU, che ci condurrà fuori dalla dipendenza dalle fonti fossili russe”.

Il futuro, infatti, ha ribadito von der Leyen, è legato alla “diversificazione del gas” e “all’idrogeno, la nuova frontiera del network energetico europeo“. “L’economia del futuro – ha detto – non si baserà più sul petrolio e sul carbone, ma sulle terre rare, elementi cruciali per le transizioni gemelle verde e digitale”.

Il World Economic Forum è considerato il vertice delle élite mondiale e richiama a Davos circa 2500 ospiti. Al centro delle discussioni ci sono, naturalmente, le conseguenze della guerra in Ucraina (ieri il presidente Zeelensky è intervenuto con un videomessaggio), ma anche il clima, la transizione energetica e la crisi alimentare.

idrogen valley

L’ambizione del Piemonte: “Saremo la ‘Hydrogen Valley’ europea”

Ricerca, produzione, consumo, trasporti e approvvigionamento: sono le parole chiave con cui la Regione intende trasformare il Piemonte nel punto di riferimento italiano ed europeo sull’idrogeno e in particolare idrogeno verde. Una sfida ambiziosa che rappresenta uno dei progetti bandiera, insieme al progetto Montagna e alla Città dell’Aerospazio, su cui il Piemonte punta per attrarre i fondi europei del Pnrr e in particolare 70 milioni di euro attraverso le diverse linee di finanziamento Ue che guardano all’idrogeno e alle fonti rinnovabili. Il punto è stato fatto oggi in occasione dell’avvio della consultazione pubblica per costruire insieme a enti locali, università, centri di ricerca e oltre 100 aziende la strategia regionale sull’idrogeno che in autunno verrà presentata a Bruxelles.

Il Piemonte – ha detto il presidente della Regione, Alberto Cirioha tutte le caratteristiche per diventare concretamente l’Idrogeno “valley” italiana ed europea. Abbiamo una posizione strategica dal punto di vista logistico per l’approvvigionamento, aree idonee in cui produrlo e competenze di innovazione per la ricerca, perché l’obiettivo non è soltanto produrre idrogeno, ma farlo ad un costo contenuto rispetto a quello attuale per renderlo alla portata di tutti“.

Sono 28 i siti industriali dismessi che in Piemonte si sono candidati a diventare centri di produzione di idrogeno nell’ambito del Censimento avviato nei mesi scorsi dalla Regione Piemonte: 12 a Torino, 8 a Novara, 4 a Cuneo, 3 nel Vco e 1 a Vercelli.

A questo si aggiungono l’ecosistema industriale di imprese interessate a riconvertire il proprio consumo energetico in chiave ibrida e maggiormente sostenibile, abbinando alle fonti tradizionali l’uso dell’idrogeno, e il fronte dei trasporti, con la possibilità di sperimentare l’idrogeno sul trasporto locale stradale e ferroviario, rinnovando il parco flotte con bus e treni verdi.

L’Europa – ha sottolineato l’assessore regionale all’Ambiente e all’Innovazione, Matteo Marnaticrede nell’idrogeno e noi, anticipando un po’ i tempi, siamo all’avanguardia. Abbiamo tantissime imprese e i risultati che riusciremo a raggiungere sono molteplici, in primo luogo sull’ambiente. L’idea dell’idrogeno era nell’aria dal 2006, ma non si è mai concretizzata. Noi abbiamo fin da subito creduto in quello che era un sogno e che oggi diventa realtà e porterà effetti non solo sull’ambiente, ma anche sull’economia del nostro territorio. Su questo tema c’è molta attenzione e molta ‘vivacità’, con una moltitudine di imprese. Ci sono tanti incentivi e questo vuol dire grandi opportunità per il Piemonte, per i suoi centri di ricerca e il suo sistema industriale. Oggi diamo la scintilla come pubblica amministrazione, perché c’è bisogno di un supporto pubblico, ma poi ci sono le imprese che stanno lavorando su progetti unici“.

idrogeno

ROBERTO CINGOLANI

Pnrr, 450 milioni per l’idrogeno verde: Cingolani firma il decreto

Il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha firmato il Decreto che dà attuazione all’Investimento 5.2 (M2C2) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La misura mette a disposizione 450 milioni di euro per finanziare progetti finalizzati allo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde, elemento fondamentale nel processo di decarbonizzazione dell’industria, dei trasporti e del terziario. Il Decreto ripartisce le risorse del Pnrr tra le diverse linee progettuali individuate per la realizzazione di impianti per la produzione di elettrolizzatori, i macchinari che consentono di scomporre le molecole di acqua in ossigeno e idrogeno, utilizzando energia pulita da fonti rinnovabili.

L’obiettivo dell’Investimento 5.2 è di realizzare entro giugno 2026 una filiera tutta italiana con stabilimenti che producano elettrolizzatori e componenti associati, per una potenza complessiva annua di almeno 1 gigawatt, che consentirà di soddisfare la domanda di idrogeno verde. Dei 450 milioni complessivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il Decreto assegna 250 milioni a progetti Ipcei (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) per la realizzazione di impianti per la produzione di elettrolizzatori e 200 milioni ad ulteriori progetti che saranno selezionati attraverso avvisi pubblici di prossima pubblicazione, finalizzati alla realizzazione sia di ulteriori impianti per la produzione di elettrolizzatori, sia di impianti per la produzione di componenti a servizi degli elettrolizzatori stessi.

Attraverso questo investimento l’Italia punta a espandere il mercato dell’idrogeno e a diventare leader in un settore altamente innovativo, creando nuove competenze e posti di lavoro.

Politecnico Milano

Hydrogen JRP: Nel 2050 l’idrogeno coprirà il 20% dei fabbisogni energetici

Nel 2050 l’idrogeno ricoprirà più del 20% dei fabbisogni energetici nei settori chiave dell’economia italiana. È il dato stimato dai primi studi promossi dall’Hydrogen JRP (Joint research platform) la piattaforma guidata dal Politecnico di Milano per promuovere la ricerca sugli aspetti di produzione, trasporto, accumulo e utilizzo dell’idrogeno come vettore di energia pulita. Ne ha parlato con GEA Stefano Campanari, professore al Dipartimento di Energia del Politecnico e presidente del comitato guida dell’Hydrogen JRP.

Il 20% del fabbisogno energetico italiano. Come siete arrivati a questo dato?
“È l’esito di una simulazione integrata del sistema energetico che indaga scenari di lungo termine di piena decarbonizzazione o ‘net zero CO2’. Nel nostro lavoro consideriamo diversi vettori energetici: energia elettrica, idrogeno, ma anche biometano e combustibili e-fuel. Teniamo conto poi della geografia dei flussi energetici nelle diverse regioni d’Italia e della stagionalità e variabilità temporale di produzione e domanda dell’energia rinnovabile. Infine, sovrapponiamo tutti i settori di destinazione. I risultati di questi primi studi sono quindi l’esito di un modello originale multi-vettore, multi-nodale, multi-settoriale, e time dependent”.

Si tratta di un risultato che vi sorprende?
“È un dato rilevante, ed è in linea con quanto ci attendiamo in tutti i Paesi impegnati nella piena decarbonizzazione. L’aspetto più importante è constatare come questi risultati, pur risentendo delle numerose ipotesi necessarie per svolgere queste simulazioni, si stiano continuando a consolidare su analisi sempre più affidabili e strutturate che stiamo via via svolgendo”.

Quale impatto corrisponde in termini di riduzione di emissioni?
“Abbiamo calcolato che l’utilizzo dell’idrogeno, sempre complementare ad altre tecnologie, può portare al risparmio di circa 80 milioni di tonnellate di CO2 di emissioni. Una quantità che corrisponde a oltre il 20% delle attuali emissioni”.

E in quali settori di destinazione prevede un maggiore impiego?
“Secondo il nostro modello il settore più coinvolto in termini di impatto sarà quello dei trasporti pesanti, seguito dall’industria e dagli altri settori della mobilità, fra cui aviazione e navigazione. Oltre ad un impatto significativo nella power generation, in parte della mobilità leggera e del riscaldamento domestico. Sono dati previsionali e di lungo termine, ma indicano come l’idrogeno sia in grado di collegare settori molto diversi fra loro, dove non sempre l’energia elettrica può essere un’alternativa completa”.

Stiamo parlando solo di idrogeno verde o immagina una commistione con idrogeno blu?
“Parliamo di una commistione di idrogeno verde (prodotta da elettrolisi dell’acqua alimentata da energie rinnovabili) e blu (prodotto da fonti fossili ma con cattura della CO2 di processo). Difficile azzardare una percentuale, ma possiamo immaginare nel lungo termine idrogeno verde per circa l’80% del totale, e una quota blu del 10-20%, che può derivare da volontà di diversificazione, opportunità di importazione e produzione nazionale, aspetti di minimizzazione dei costi; oltre allo sfruttamento di infrastrutture esistenti ed alla sinergia con lo sviluppo di una filiera di cattura di anidride carbonica che può risultare fondamentale in alcuni settori particolarmente ‘hard-to-abate’ e per consentire di chiudere il bilancio complessivo nazionale a zero emissioni nette di CO2”.

Non sarà tutto idrogeno prodotto in Italia.
“L’analisi punta a una produzione largamente prevalente sul suolo nazionale per ragioni strategiche. Ma ammette una quota di importazione per ragioni di flessibilità e ottimizzazione dei costi. Quindi, con alcune eccezioni, l’idea è studiare un sistema al 2050 che sia largamente basato sulla nostra produzione di idrogeno da energie rinnovabili”.

A proposito di produzione nazionale, come dobbiamo immaginare la filiera della produzione?
“Idrogeno verde significa elettrolisi. E l’elettrolisi può essere distribuita sul territorio tanto quanto lo sono gli impianti fotovoltaici ed eolici. Per cui dobbiamo immaginare un aumento massiccio del parco installato: la sfida è che dovremmo installare ogni anno 10 volte di più di quanto facciamo oggi. E in maniera il più possibile diffusa. Siccome, tuttavia, gran parte della domanda è concentrata nel Nord d’Italia, mentre sono al Sud le aree con maggiore disposizione di sole e vento, si deve tenere conto anche dei vincoli nel trasporto dell’energia a livello di flusso sull’intera penisola. Inoltre, sono necessari stoccaggi per sfruttare la possibilità di sfasare temporalmente la produzione e la domanda, una caratteristica offerta a costi particolarmente competitivi dall’idrogeno. La soluzione migliore è comunque una produzione diffusa con interconnessione tramite reti di trasporto”.

Ed è una soluzione percorribile?
“Dovemmo mettere in campo interventi regolatori, soprattutto volti a semplificare gli aspetti procedurali. Ma penso anche sia attuale un tema di incentivazione, sia nella filiera delle rinnovabili a monte dell’elettrolisi, sia nella produzione e stoccaggio idrogeno. Nel campo del fotovoltaico penso ad esempio a promuovere attraverso sistemi di defiscalizzazione l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti delle aree industriali, o recuperando aree che non creino problemi di impatto ambientale. Nel settore produzione e stoccaggio idrogeno si prevedono forti riduzioni di costi al crescere delle installazioni, ma nella fase iniziale di transizione sono necessari incentivi specifici per consentire la realizzazione di questi progetti”.