Ad aprile l’energia spinge in alto l’inflazione, ma restano stabili i prezzi di luce e gas

Calano i prezzi alla produzione industriale, aumentano i prezzi al dettaglio. Ad aprile, secondo le stime preliminari di Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività registra un aumento dello 0,5% su base mensile e dell’8,3% su base annua, da +7,6% del mese precedente. Superate le stime degli analisti che ipotizzavano un +0,3% mensile e un +8,2% annuale.

L’accelerazione del carovita – sottolinea l’istituto di statistica – si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,7%) e, in misura minore, a quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,7%) e dei Servizi vari (da +2,5% a +2,9%). Effetti solo in parte compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli Energetici regolamentati (da -20,3% a -26,4%) e dal rallentamento di quelli degli Alimentari lavorati (da +15,3% a +14,7%), degli Alimentari non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,3% a +6,0%). A livello mensile anche l’aumento congiunturale si deve principalmente all’aumento dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti e degli Energetici non regolamentati (entrambi a +2,4%), degli Alimentari lavorati (+1,1%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,9%) e dei Beni non durevoli (+0,6%). Rialzi compensati ancora una volta dal calo dei prezzi degli Energetici regolamentati (-19,3%).

La media dei prezzi industriali del gas ad aprile è però pressoché simile a quella di marzo, quando l’Authority per l’energia decide un ribasso della bolletta del 13,4%, dopo i cali registrati per i consumi dei mesi di gennaio (-34,2%) e febbraio (-13%) e in seguito al -55% deciso per le bollette luce del secondo trimestre. Tutti ribassi riferiti al mercato tutelato. In quello libero invece, da quanto emerge dall’Istat, sono saliti i costi nonostante le quotazioni di energia elettrica e gas siano appunto ai minimi da oltre un anno. E il mercato libero dell’energia comprende la stragrande maggioranza delle famiglie.

Inoltre i prezzi alla produzione industriali, come spiega sempre l’istituto di statistica basandosi sulle rilevazioni di marzo, “continuano a diminuire (-1,5%) su base mensile – grazie soprattutto agli ulteriori ribassi sul mercato interno dei prezzi dei prodotti energetici – e segnano una decisa decelerazione della crescita tendenziale (+3,8% da +9,6% di febbraio). Quest’ultima, con riguardo al mercato interno, si riporta esattamente sul valore di due anni prima, consolidando la fase di rientro del fenomeno inflattivo a monte. La crescita su base annua dei prezzi rallenta ancora per quasi tutti i settori manifatturieri e, per la prima volta dopo oltre due anni, si rileva una flessione tendenziale dei prezzi per coke e prodotti petroliferi raffinati e metalli e prodotti in metallo”.

“Temiamo che sull’andamento dei listini al dettaglio si stiano registrando speculazioni e anomalie, con alcuni beni che su base annua vedono incrementi a due cifre anche in assenza di rialzi delle materie prime, e senza alcuna ripercussione causata dalla guerra in Ucraina o dall’andamento delle bollette”, spiega Furio Truzzi, presidente di Assoutenti.

Secondo l’Ufficio economico Confesercenti “non si deve abbassare la guardia: l’inflazione per ora acquisita è pari al 5,4% mentre quella di fondo, al netto dei soli energetici, resta ferma al 6,4%. Livelli ancora preoccupanti, che prefigurano una nuova rilevante erosione del potere d’acquisto delle famiglie, che già hanno registrato 12 miliardi in meno lo scorso anno ed hanno portato a livelli mai visti (5%) la propensione al risparmio”.

“Siamo preoccupati dell’effetto dell’inflazione sull’andamento delle vendite, soprattutto di beni di largo consumo e ortofrutta. Le nostre imprese – commenta Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzionerimangono sotto pressione perché compresse tra l’aumento dei costi all’acquisto e le difficoltà derivanti dall’attuale livello dei prezzi al consumo. L’attuale debolezza dei volumi di consumo, che stagnano intorno al -5%, è un fattore di rischio per l’intero sistema agroalimentare italiano, rappresentato da numerose filiere di eccellenza, così come per le nostre imprese”.

FMI WASHINGTON

Fmi vede crollo del petrolio, ma alza stime sull’inflazione che cala

Il Fondo Monetario internazionale, nel suo nuovo Outlook, alza le stime sull’inflazione mondiale, rivede al ribasso la crescita economica globale del 2023, +2,8% (ai livelli del 1990), ipotizza una Germania in recessione (-0,1%), ritocca all’insù di un decimo di punto il Pil italiano (+0,7%) e parla di scenario peggiorato. Incertezza.

Oltre al tema prezzi-guerra-inflazione, c’è anche il pericolo di una stretta monetaria dopo i crac statunitensi di marzo e da capire come agiranno le banche centrali: continueranno ad alzare i tassi rischiando un atterraggio duro dell’economia? L’Fmi ipotizza due scenari e in entrambi c’è una costante. Il prezzo del petrolio scenderà pesantemente rispetto al 2022. “Lo scenario di base ipotizza che le recenti turbolenze del settore finanziario non generino perturbazioni sostanziali dell’attività economica globale con una diffusa recessione. I prezzi dei combustibili e delle materie prime non combustibili sono visti in calo nel 2023, a causa del rallentamento della domanda globale. Il prezzo del greggio è previsto in discesa di circa il 24% nel 2023 e di un ulteriore 5,8% nel 2024, mentre i prezzi delle materie prime non combustibili dovrebbero rimanere sostanzialmente invariati“, si legge nel World Economic Outlook. Secondo scenario, più brutto.

Gli eventi recenti hanno rivelato come le fragilità più gravi del previsto in alcuni segmenti del sistema bancario degli Stati Uniti e di altre regioni possano provocare turbolenze nel settore finanziario. Sono plausibili ulteriori shock derivanti da tali fragilità, con un impatto potenzialmente significativo sull’economia globale“, dice l’Fmi, che “ipotizza un ulteriore moderato inasprimento delle condizioni di credito“. L’impatto complessivo sarebbe una minore offerta di credito e un aumento degli spread per imprese e famiglie. In questo caso lo stock di prestiti bancari reali negli Stati Uniti calerebbe del 2% nel 2023, rispetto al valore di riferimento”.

L’inasprimento” si dovrebbe comunque dissipare “gradualmente dopo il 2023“. Però “una diminuzione simile del credito e un aumento simile degli spread” si verificherebbe anche “nell’area dell’euro e in Giappone“. Infine “i Paesi” sarebbe colpiti inoltre “dalle ricadute commerciali e dall’impatto sui prezzi globali delle materie prime“. In questo caso Fmi “ipotizza che la politica monetaria risponda alla al conseguente calo dell’attività economica e alle pressioni inflazionistiche, con tassi di policy più bassi rispetto allo scenario di base“.

Banche centrali chiamate in causa anche sul fronte caldo, il carovita. “La previsione di base è che l’inflazione globale complessiva scenda dall’8,7% nel 2022 al 7,0% nel 2023. Questa previsione è più alta (di 0,4 punti percentuali) rispetto a quella di gennaio 2023 ma ma quasi il doppio della previsione di gennaio 2022. La disinflazione è prevista in tutti i principali gruppi di paesi, con circa il 76% delle economie che dovrebbe registrare inflazione complessiva più bassa nel 2023“, sottolinea il World Economic Outlook.

La disinflazione prevista riflette il calo dei prezzi dei combustibili e delle materie prime non combustibili, nonché i previsti effetti di raffreddamento dell’inasprimento monetario sull’attività economica. Allo stesso tempo, si prevede che l’inflazione che esclude generi alimentari ed energia cali a livello globale molto più gradualmente nel 2023: di soli 0,2 punti percentuali, al 6,2%, riflettendo la già citata vischiosità dell’inflazione sottostante. Una previsione, questa, più alta (di 0,5 punti percentuali) rispetto a quella di gennaio 2023. Nello scenario alternativo, che c’è anche nel caso dei prezzi, “con un ulteriore inasprimento delle condizioni di credito, l’inflazione globale complessiva diminuisce di circa 0,2 punti percentuali in più nel 2023, in parte a causa della discesa delle materie prime. I prezzi del petrolio diminuiscono del 3% in più, in media, nel 2023 rispetto allo scenario di base. E l’inflazione al netto dei generi alimentari e dell’energia subisce un ulteriore modesto calo“. Per questo – è l’invito finale del Fondo Monetario internazionale – “data l’elevata volatilità dei mercati mercati finanziari, le banche centrali dovrebbero essere pronte ad affrontare i rischi legati alla liquidità e al settore finanziario e ricalibrare con attenzione la politica monetaria, compresi i tempi e l’entità delle variazioni dei tassi di policy necessarie per allineare i tassi d’inflazione ai loro obiettivi“. Anche perchè – studi alla mano – “le stime del ritardo nella trasmissione della politica monetaria ai prezzi variano”. Ci sono “effetti quasi immediati e uno sfasamento di circa tre trimestri”, ma le stime indicano che si può arrivare anche a un ritardo di circa 1,5-2,5 anni. Sbagliare strategia potrebbe portare il mondo a un atterraggio duro dell’economia.

Imprese più resilienti ma corsa a inflazione ‘brucia’ potere di acquisto delle famiglie

Imprese più resilienti ma famiglie più deboli rispetto al boom dell’inflazione. E’ quanto emerge incrociando i dati dell’indice Pmi Composite di marzo con quelli diffusi da Istat su consumi e potere d’acquisto. L’Indice S&P Global Pmi che mette insieme industria e terziario in Italia, basato su 400 interviste ai principali direttori acquisti, è sostenuto dalla forte accelerazione di crescita del settore terziario e ha registrato a marzo un forte rialzo, toccando il valore più alto in 16 mesi. L’indice si è posizionato su 55.2, ovvero tre punti in più rispetto a 52.2 di febbraio. Salgono a 3 i mesi consecutivi in cui l’indice segna valori superiori alla soglia di non cambiamento di 50 (sopra espansione e sotto contrazione) e, insieme ad una crescita più forte del settore terziario, è stato di nuovo sostenuto dal forte incremento della produzione manifatturiera. Il volume registrato dai nuovi ordini è stato simile, e quello del terziario ha supportato l’elevato rialzo delle commesse totali ricevute a marzo. “Con il calo dei prezzi di acquisto registrato nel settore manifatturiero, le spese operative generali hanno indicato il più debole rialzo in più di due anni. Similmente, i prezzi di vendita sono aumentati ad un tasso molto minore”, si legge nella nota che accompagna la diffusione dell’indice Pmi.

La robusta risalita dell’economia italiana è figlia del calo, appunto, delle bollette e dell’aumento dei prezzi di vendita deciso dal 60% delle imprese, come aveva certificato proprio l’Istat ieri nel suo rapporto sulla competitività delle aziende. Rincari che hanno però impoverito le famiglie consumatrici, dato che mediamente gli stipendi sono saliti di un quinto rispetto all’incremento dell’inflazione. E così, come segnalato dall’istituto di statistica, nel quarto trimestre 2022 il potere d’acquisto delle famiglie è sceso del 3,7%. Secondo Confesercenti si tratta di un impoverimento di 12 miliardi. I consumi tuttavia, almeno fino allo scorso anno hanno anche tenuto, intaccando i risparmi visto che proprio “la propensione al risparmio è scesa di 2 punti percentuali rispetto al trimestre precedente”. Tuttavia a febbraio, l’accumulo dei rincari soprattutto energetici ed alimentari hanno fatto scendere anche le vendite al dettaglio a livello nominale (un dato per certi versi drogato proprio dall’inflazione). In particolare i consumi sono diminuiti dello 0,1% mensile, in lieve calo rispetto all’aumento dell’1,7% del massimo di otto mesi nel mese precedente, quando però era forte l’effetto saldi. Le vendite di generi alimentari sono scese dello 0,3% dopo il +2,2% di gennaio.

Nel frattempo, le vendite non alimentari sono cresciute dello 0,1% amplificando il +1,4% di inizio anno. Questi i dati appunto nominali. Se si guardano invece i volumi, è tutto un segno rosso: -0,9% la percentuale complessiva, -1,8% quella relativa ai soli alimentari, -0,3% per i beni non alimentari. E’ “il nono mese consecutivo di contrazione tendenziale, con una flessione che ha ormai raggiunto il 2% rispetto a un anno fa”, sottolinea ancora Confesercenti, preoccupata “soprattutto per le piccole superfici di vendita che, stimiamo, abbiano già registrato un crollo in volume del 5% in soli due mesi, contro un -0,6% della Grande distribuzione. Questa perdita mostra come le realtà commerciali di minori dimensioni siano quelle in maggiore difficoltà a causa dell’aumento dei prezzi”. In effetti, il dato sulle imprese legato all’indice Pmi andrebbe spacchettato, come spiegava ieri Istat in tema di competitività: “La reazione più frequente, a fronte di entrambi gli shock (energetico e pandemico, ndr), è rappresentata dall’aumento dei prezzi di vendita, con una caratterizzazione in termini dimensionali: per le piccole e medie imprese l’unica alternativa all’aumento dei prezzi sembra essere rappresentata dal sacrificio dei margini di profitto mentre le grandi sembrano poter attuare strategie più complesse, incentrate anche sulla rinegoziazione dei contratti di fornitura e, in misura più contenuta, sul consumo di elettricità autoprodotta e sull’efficientamento energetico degli impianti”.

L’inflazione cala poco, sale quella extra energia

L’inflazione cala in Italia, complice la discesa dei prezzi energetici. Risale, però, il carrello della spesa e soprattutto continua a crescere la cosiddetta inflazione core, quella extra energia ed extra alimentari, che arriva al +6,4% a febbraio. Segno che il carovita ora dipende meno dalle bollette, ma più dalle aziende che scaricano i costi sostenuti nei mesi scorsi sui prezzi finali. La tendenza è osservata dall’indagine Pmi S&P Global diffusa ieri secondo la quale “le aziende manifatturiere applicano maggiorazioni dovute alle più alte spese operative”. Per Carlo Alberto Buttarelli, direttore Ufficio Studi e Relazioni con la Filiera di Federdistribuzione, “nel corso dell’ultimo anno le aziende della Distribuzione Moderna hanno fatto uno sforzo economico significativo, assorbendo parte degli aumenti generalizzati sui beni di consumo, per attenuare l’impatto sui prezzi e tutelare il potere di acquisto degli italiani. Oggi da parte delle nostre aziende non ci sono le condizioni per assorbire nuovi incrementi dei prezzi – conclude Buttarelli -, ci auguriamo che i chiari segnali di rallentamento sui costi dell’energia e delle materie prime di queste settimane portino anche il sistema industriale ad agire in questo senso e porre un freno alla spinta agli aumenti che ha caratterizzato il mercato in questi mesi”.

“Si mantengono le spinte al rialzo dei prezzi nel comparto dei Beni alimentari, lavorati e non, dei Tabacchi e dei Servizi, tutti in accelerazione tendenziale. Come conseguenza di tali andamenti, si accentua la crescita su base annua della componente di fondo (+6,4%) e quella del cosiddetto carrello della spesa, che risale a +13%, dopo il rallentamento osservato a gennaio”, commenta l’Istat i dati di febbraio. Dati che complessivamente vedono l’indice nazionale dei prezzi al consumo registrare un aumento dello 0,3% su base mensile e del 9,2% su base annua, da +10% nel mese precedente ma più dell’8,8% stimato dagli analisti. L’aumento congiunturale – mese su mese – dell’indice generale “si deve prevalentemente ai prezzi degli Alimentari non lavorati (+2,2%), dei Tabacchi (+1,9%), degli Alimentari lavorati (+1,5%), dei Beni durevoli e non durevoli (+0,8% e +0,6% rispettivamente), dei Servizi relativi ai trasporti (+0,7%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona e dei Servizi relativi all’abitazione (+0,5% per entrambi); un effetto di contenimento deriva invece dal calo dei prezzi degli Energetici, sia regolamentati (-5,2%) sia non regolamentati (-4,2%)”, conclude l’istituto di statistica.

Cala ma non come dovrebbe anche l’inflazione nell’eurozona. Secondo la stima flash di Eurostat, è salita dell’8,5% a febbraio, in calo rispetto all’8,6% di gennaio ma più dell’8,2% stimato. Mese su mese il rialzo è stato dello 0,8%, quando invece nel primo mese del 2023 i prezzi erano scesi dello 0,2%. Cibo, alcol e tabacco hanno il tasso annuo più alto a febbraio (15,0%, in calo rispetto al 14,1% di gennaio), seguito dall’energia (13,7%, rispetto al 18,9% di gennaio), dai beni non alimentari e dal tabacco. 18,9% a gennaio), i beni industriali non energetici (6,8%, rispetto al 6,7% di gennaio) e i servizi (4,8%, rispetto al 4,4% di gennaio).

La ripresa del carovita era attesa dopo il ritorno di fiamma dei prezzi in Germania e Spagna. Ora i riflettori sono puntati sulla Bce. Christine Lagarde stamattina durante una intervista all’emittente spagnola Antena 3, dove si è commossa per aver visto uno dei fratelli in collegamento ricordando il padre morto quando aveva 16 anni, ha annunciato che probabilmente aumenterà i tassi anche dopo la stretta da +0,5% già decisa per marzo: in questo mese “i dati scenderanno, continueranno a scendere, ma sappiamo che è ancora molto alta. Quando vado a fare la spesa vedo che tutto è aumentato, speriamo di riuscire a ridurlo, ma ci vorrà tempo”.

“Un rialzo di 50 punti base a marzo è ormai cosa fatta e si prevede che la riunione della BCE di maggio risulterà in un rialzo di 0,4%. Ci aspettiamo – ipotizza Tim Graf, Managing Director, Head of Macro Strategy for EMEA di State Street Global Markets – che la comunicazione della Bce non solo confermi questo dato, ma accenni con forza a un ulteriore rialzo di 50 pb a maggio, proprio come si è effettivamente impegnata a 50 pb a marzo”. Più pessimista è invece Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia: “L’inflazione soprattutto core continua a essere persistente su livelli alti. La Bce dovrà necessariamente cambiare passo sia nelle scelte sui tassi di interesse ma soprattutto nella comunicazione. E qualcosa in effetti è cambiato nelle ultime dichiarazioni da parte dei membri del Governing Council. Nelle ultime ore il governatore della banca centrale francese Villeroy ha affermato che il picco del livello dei tassi potrebbe essere raggiunto in estate, al massimo nel mese di settembre. Crediamo che l’istituto di Francoforte dovrà prolungare molto più a lungo del previsto gli sforzi per riportare l’inflazione in un sentiero per raggiungere il 2%. Ci aspettiamo un aumento di 125 punti base del costo del denaro nei prossimi mesi. Nel dettaglio – continua Diodovich – crediamo che il Governing Council alzerà a marzo il costo del denaro di 50 pb per poi continuare ad aumentarlo anche nelle riunioni di maggio, giugno e luglio (25 pb a riunione portando il tasso benchmark a un terminal rate del 4,25%)”.

Un anno di guerra in Ucraina: le conseguenze fra energia e inflazione

Il primo colpo, il primo sparo, e l’inizio di un periodo fatto non solo di aggressione, morti e distruzione, ma pure di crisi delle materie prime, shock energetici, crisi alimentare mondiale, inflazione a doppia cifra, rincaro dei generi alimentari. 24 febbraio 2022-24 febbraio 2023, un anno di guerra russo-ucraina che ha ridisegnato anche l’agenda europea per la sostenibilità. Da un punto di vista a dodici stelle l’ha fatto imprimendo un’accelerazione verso la realizzazione di una vera green-economy, ma innescando all’interno della stessa Unione un dibattito tutto nuovo sul nucleare tradizionale considerato come necessità, in tempi di corsa alla ricerca di alternative al gas per decenni pompato da Gazprom. Un dibattito che non ha lasciato indifferente l’Italia, dove il cambio di governo avvenuto a settembre ha visto riproporre la questione dell’energia prodotta da atomo. La Lega di Matteo Salvini torna a insistere su questo punto.

Le sfide nella sfida. L’Unione europea che ha saputo varare nove pacchetti di sanzioni contro la Russia, in questo anno di attività militare su suolo ucraino ha dovuto cercare soprattutto di trovare un’unità non scontata. Perché sull’energia i 27 modelli economici, interconnessi ma non identici, sono andati in difficoltà. Eppure in nome dell’obiettivo di privare le casse di Mosca di risorse utili al finanziamento della guerra, la Germania ha saputo liberarsi dei gasdotti NordStream e Nordstream 2, l’Ue ha prima messo una moratoria al carbone russo, poi al petrolio, quindi trovato il meccanismo per calmierare i listini del gas naturale. Una richiesta posta sul tavolo da Mario Draghi, ai tempi in cui sedeva a palazzo Chigi, e che ha richiesto mesi prima di una realizzazione pratica e condivisa. Adesso scatterà automaticamente un ‘price cap’ di fronte a due condizioni contemporanee: quando il prezzo del la risorsa sul mercato olandese TTF supera i 180 euro per Megawattora per 3 giorni lavorativi e quando il prezzo TTF mensile è superiore di 35 euro rispetto al prezzo di riferimento del GNL sui mercati globali per gli stessi tre giorni lavorativi.

E’ questo uno dei successi dell’Ue, non immediato né semplice. Ma doveroso. Perché l’aumento dei prezzi dell’energia ha trainato l’inflazione, rendendo complicata la vita di famiglie e imprese, e facendo paventare rischi di una nuova recessione per l’Eurozona. Rischi scongiurati, ma solo alla fine del 2022, quando la contrazione data per scontata non si è materializzata. Merito della sospensione delle regole europee di finanza pubblica e dell’allentamento delle regole sugli aiuti di Stato che hanno permesso di contrastare il caro-bollette. Merito anche di un accordo trovato grazie alle mediazione della Turchia che ha permesso la partenza delle navi cariche di grano ferme nel porto di Odessa.

Uno dei mantra ripetuti è quello per cui la guerra innescata il 24 febbraio di un anno fa offre l’opportunità di accelerare la transizione verde, e il passaggio ad un’economia davvero a prova di surriscaldamento del pianeta. In questo non semplice esercizio l’Italia può giocare un ruolo da protagonista. La sostituzione del gas naturale con quello liquefatto (Gnl) rimette in moto i cantieri, crea occupazione, e può permettere al Paese di diventare il terzo hub dell’Ue per capacità. Qui, la sfida nella sfida è fare presto e bene. Presto e bene è anche la condizione numero uno per l’attuazione dei piani di ripresa, divenuti centrali per la Commissione Ue e anche per l’insieme degli Stati riuniti in Consiglio. Con l’Europa a caccia di materie prime necessarie per realizzare pannelli fotovoltaici, batterie elettriche, turbine eoliche, e alla ricerca di fornitori più affidabili di energia, si ridisegna anche la cartina geopolitica, con l’Italia anche qui protagonista. Da Draghi a Meloni il governo ha iniziato a scrivere una nuova pagina di relazioni con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Fondamentali, in tempi in cui gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere massicciamente la propria industria tecnologica pulita.

La Casa Bianca produce l’Inflation Reduction Act, piano da circa 369 miliardi di dollari per rispondere all’aumento generalizzato dei prezzi. Sovvenzioni e sgravi fiscali per rilanciare l’industria, quella al centro dell’agenda dell’Ue, che sulla scia delle conseguenze della guerra vede anche lo spettro della concorrenza del partner transatlantico, e i dubbi che non sia leale. Non si vuole lo scontro, ma l’Ue si trova comunque a dover correre e rispondere in un contesto che resta di incertezza e instabilità.

Vale anche per il piano ambientale. L’occupazione delle centrale nucleare di Zaporizhzhia , con combattimenti tutt’attorno tiene col fiato sospeso non solo l’Unione europea, per i rischi di incidenti dalle conseguenze irreparabili per natura e salute. I pacchetti di sanzioni dell’Ue includono personalità ritenute responsabili anche di questo atto. Il blocco dei Ventisette vorrebbe annunciare il decimo pacchetto di misure restrittive nelle prossime ore, per ragioni simboliche: un anno dall’inizio della guerra.

Potenza la città meno cara d’Italia. Il governatore Bardi: “Tutto merito del gas gratis ai cittadini”

A gennaio l’inflazione è aumentata annualmente del 10% rispetto allo stesso mese del 2022, un dato inferiore alla stima preliminare diffusa da Istat nei giorni scorsi. A livello territoriale l’inflazione più marcata si registra nelle Isole (+11,7%, in lieve rallentamento da +13,9% di dicembre), a cui segue il Nord-Ovest (+10%, da +11,4% del mese precedente). Tassi inferiori alla media nazionale si registrano invece nel Sud (+9,9%, da +11,7%), nel Nord-Est (+9,7%, da +11,5%) e nel Centro (+9,6%, da +11%). Nei capoluoghi delle regioni e delle province autonome e nei Comuni non capoluoghi di regione con più di 150mila abitanti – precisa l’istituto di statistica – l’inflazione più elevata si osserva a Catania (+12,6%), Genova (+11,8%) e Palermo (+11,7%), mentre le variazioni tendenziali più contenute si registrano ad Aosta (+7,6%) e all’ultimo posto c’è Potenza (+7,5%).

Il capoluogo della Basilicata, secondo l’Unione Nazionale Consumatori, è la più virtuosa d’Italia, con una spesa aggiuntiva per una famiglia media da 2,3 componenti pari a “solo” 1481 euro, che arriva a 1613 euro per una di 3 persone. Niente in confronto a Bolzano Bolzano, dove l’inflazione pari a +10,4%, pur essendo la decima più alta d’Italia, si traduce nella maggior spesa aggiuntiva, equivalente, in media, a 2764 euro su base annua, ma che sale a 3647 euro per una famiglia di 3 persone. Al secondo posto – nella top ten dei rincari stilata da Unc – Milano, dove il rialzo dei prezzi del 10,8%, la settima inflazione più elevata, determina un incremento di spesa annuo pari a 2932 euro per una famiglia tipo, +3505 euro per una famiglia di 3 componenti. Sul gradino più basso del podio Genova che con +11,8%, la seconda maggiore inflazione, ha una spesa supplementare pari a 2572 euro annui per una famiglia media da 2,3 componenti, ma che arriva a 3320 euro per una da tre. Più del doppio dei rincari di Potenza. A favorire la virtuosità della Basilicata è stata la scelta del governatore Vito Bardi di azzerare le bollette del gas per le famiglie lucane.

Presidente, si aspettava di vedere Potenza in testa alla classifica delle città meno care d’Italia?

“Siamo felici del dato dell’inflazione a Potenza e in Basilicata, anche se ovviamente l’inflazione è ancora troppo alta a livello nazionale. La nostra misura sul ‘gas gratis a tutti i lucani’ ha sicuramente contribuito e questi numeri confermano la caratterizzazione sociale della nostra scelta senza precedenti e senza eguali in Europa”.

Infatti solo la Germania ha pagato la bolletta ai tedeschi a dicembre… Secondo voi è possibile estendere lo sgravio anche nella bolletta della luce?

“Il nostro obiettivo adesso è estendere questi benefici alle imprese e poi dedicarci ad applicare la medesima filosofia ad acqua ed energia elettrica. Servirà un po’ di tempo, ma la Basilicata produce idrocarburi per tutto il paese, energia da fonti rinnovabili che finisce tutta nel GSE, dà l’acqua alle regioni limitrofe e quindi i cittadini devono avere dei benefici tangibili e diretti da queste risorse naturali. Ci stiamo lavorando, già in sede di bilancio”.

Ma quanto è costato il provvedimento?

“L’intervento prevede uno stanziamento di 60 milioni per il 2022 e 200 milioni per il 2023 e 2024. La misura durerà 9 anni”.

Ultima domanda: come ha fatto a conciliare il contributo col bilancio regionale?
“Abbiamo utilizzato le risorse derivanti dalle compensazioni ambientali legate alle attività estrattive delle compagnie energetiche”.

Imprese scaricano costi energetici su consumatori: rincari record da 25 anni

C’è la ripresa, ci sono i rincari. Gennaio è partito alla grande per l’economia italiana, come testimoniano le indagini S&P Global Pmi, preziose per capire il trend visto che si basano su interviste – quasi in tempo reale – a 400 direttori acquisti. L’indice manifatturiero ha registrato 50.4, in salita da 48.5 di dicembre ponendo fine a sei mesi consecutivi di risultati inferiori a 50.0, dato spartiacque tra espansione e contrazione, quello relativo ai servizi – che rappresentano quasi il 70% delle attività economiche – si è posizionato a 51.2, in rialzo da 49.9 di dicembre. La migliore lettura da giugno scorso.
Nel caso dell’industria il calo della domanda ha permesso alle aziende di svuotare i magazzini, mentre nel terziario si è assistito anche a un aumento degli ordini. In entrambi i casi, gennaio ha segnato la fine della tregua tra produttori e consumatori: per molti mesi i primi avevano sopportato, non alzando i prezzi, i vertiginosi aumenti delle bollette, ora invece si sta assistendo ad una accelerazione dei prezzi di vendita finale. Lo spiegava pochi giorni fa Carlo Alberto Buttarelli, direttore Ufficio Studi e Relazioni con la Filiera di Federdistribuzione: “Lo scorso anno le imprese della distribuzione moderna hanno contrastato in maniera rilevante la crescita dell’inflazione, investendo ingenti risorse economiche e riducendo i propri margini per assorbire parte dell’aumento dei listini industriali, con l’obiettivo di tutelare il potere d’acquisto degli italiani. Oggi”, proseguiva Buttarelli, “le aziende della distribuzione non hanno più margini di intervento economico”.

Sul fronte manifatturiero l’indagine S&P Global Pmi di gennaio ha sottolineato “come l’inflazione dei costi si sia ridotta al livello più basso da agosto 2020. L’inflazione riportata però è stata notevolmente maggiore di quella dei prezzi di acquisto, le aziende infatti, dopo un lungo periodo di aumento dei costi, hanno cercato di recuperare i loro margini”. Paul Smith, Economics Director di S&P Market Intelligence , definisce “forti” gli aumenti dei “prezzi di vendita”, i quali sommati alle “condizioni del mercato del lavoro che rimangono difficili”, potrebbero aumentare la “pressione sull’inflazione di fondo” rischiando di “diventare la preoccupazione principale per i mesi futuri”.

Per quanto riguarda il terziario, “l’inflazione dei costi gestionali ha continuato decisamente a diminuire, scendendo ai minimi in 15 mesi. I prezzi, tuttavia, seguitano ad aumentare a ritmi storicamente elevati. Le aziende hanno segnalato il continuo aumento dei prezzi imposti dai fornitori, con le spese salariali che contribuiscono al rialzo dei costi operativi. A tale rialzo dei costi – evidenzia S&P Global PMI – il campione intervistato ha reagito con l’aumento delle tariffe applicate ai clienti, approfittando anche del miglioramento della domanda di inizio anno. I prezzi di vendita sono generalmente aumentati per il sedicesimo mese consecutivo“, segnando il più alto rialzo da 25 anni. Visto “un rafforzamento del potere delle aziende sui prezzi e una persistente pressione salariale al rialzo – ricorda Smith – “c’è il timore che le spinte inflazionistiche resteranno elevate ancora per qualche tempo”.

A soffiare sui rincari c’è infatti anche la Bce, col suo rialzo dei tassi. Una stretta – commenta Confesercenti – che rischia di pesare come un macigno sui conti delle imprese italiane, già provate da pandemia, inflazione e caro energia. Secondo le stime dell’organizzazione, il solo aumento dei tassi rappresenta un aggravio del costo dei finanziamenti di almeno 9 miliardi nel corso del prossimo triennio. Queste cifre, continua Confesercenti, vanno ad aggravare ulteriormente il quadro attuale che vede una decisa frenata della ripresa dei consumi, con gravi conseguenze sulle prospettive di crescita del Paese. Tra caro-energia ed inflazione, infatti, nel 2022 le famiglie italiane sono state costrette a bruciare 41,5 miliardi dei propri risparmi per mantenere il proprio tenore di vita. E alla fine del 2023 il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti risulterà inferiore di 2.800 euro rispetto al 2021, mentre per i lavoratori autonomi la capacità di spesa si ridurrebbe di 2.200 euro.

Inflazione giù per calo energia, frena anche il carrello della spesa

Rallenta ufficialmente l’inflazione in Italia. A gennaio l’incremento annuale del carovita è solo del 10,1%, in linea con le stime, rispetto al +11,6% di dicembre. Il carrello della spesa inoltre frena a +10,9% dal +12,3% di un anno fa. A livello mensile tuttavia si registra un altro +0,2%, contro attese di un +0,1%, ma dopo il +0,3% dell’ultimo mese del 2022. “La netta attenuazione – che torna allo stesso identico livello del settembre 1984 – è spiegata in primo luogo dall’inversione di tendenza dei beni energetici regolamentati (-10,9% su base annua). Rimangono tuttavia diffuse le tensioni sui prezzi al consumo di diverse categorie di prodotti – spiega l’Istat -, quali gli alimentari lavorati, gli altri beni (durevoli e non durevoli) e i servizi dell’abitazione, che contribuiscono alla lieve accelerazione della componente di fondo. Si accentua inoltre a gennaio, la dinamica tendenziale dei prezzi dei carburanti”.

In effetti, se si va a scavare dentro i dati emergono alcune tendenze non del tutto rassicuranti: l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca), il cosiddetto carrello della spesa, diminuisce dell’1,3% su base mensile, a causa dell’avvio dei saldi invernali dell’abbigliamento; l’“inflazione di fondo”, quella al netto degli energetici e degli alimentari freschi, sale a gennaio da +5,8% del mese precedente a +6%, mentre quella al netto dei soli beni energetici rimane stabile a +6,2%; si attenua la dinamica tendenziale dei prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona che registrano un rallentamento su base tendenziale (da +12,6% a +12,2%), mentre al contrario si accentua quella dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +8,5% a +9,0%).

Analizzando il confronto mese su mese, il forte rallentamento dei prezzi dei beni è imputabile ai prezzi dei beni energetici (la cui variazione congiunturale è negativa per un 3,8%) e, in particolare, a quelli della componente regolamentata (-24,7% sul mese). Più in dettaglio, i prezzi dell’energia elettrica mercato tutelato evidenziano un nettissimo rallentamento (-18,0% da dicembre), a cui si aggiunge quello dei prezzi del gas di città e gas naturale sempre nel mercato tutelato (-33,3%). In rallentamento, anche se con variazioni più contenute, i prezzi dei Beni energetici non regolamentati (+0,7% sul mese), grazie ai prezzi dell’energia elettrica mercato libero (-9,6% da dicembre), del gas di città e gas naturale mercato libero (+2,7% il congiunturale), del gasolio per riscaldamento (-0,9% sul mese). In accelerazione invece sono i prezzi del gasolio per mezzi di trasporto (+4,6% il congiunturale) e quelli della benzina (che invertono la tendenza, +5,8% sul mese) dopo l’eliminazione dell’ultimo sconto sulle accise. I prezzi dei beni alimentari, mese su mese, salgono dell’1,2%: gli alimentari non lavorati crescono dello 0,6% rispetto a dicembre, -1,1% per i prezzi dei vegetali freschi o refrigerati diversi dalle patate,mentre accelerano frutta fresca o refrigerata, +1,6% congiunturale. Andamenti in accelerazione si osservano anche per gli alimentari lavorati (+1,5 su base mensile) e dei beni non durevoli (+0,8% il congiunturale).

Salgono anche i prezzi dei servizi (+0,4% su base mensile): da un lato accelerano i prezzi dei servizi relativi all’abitazione (+1,6% da dicembre) per effetto dei prezzi dei servizi per la pulizia e la manutenzione della casa (+5,6% sul mese), dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,4% la variazione congiunturale), di alberghi e motel (+0,7% rispetto al mese precedente). Unica voce, relativa ai servizi in calo, è quella dei pacchetti vacanza: -2,9% da dicembre. Anche in Europa il carovita ufficialmente scende, più delle attese, grazie al crollo dei costi energetici. Il tasso di inflazione annuo nell’Eurozona cala al minimo di otto mesi dell’8,5% a gennaio dal +9,2% di dicembre, al di sotto delle previsioni del 9%. I dati per l’inflazione in Germania non sono disponibili, poiché l’ufficio statistico tedesco ha dovuto ritardare il rilascio delle proprie cifre a causa di problemi tecnici con l’elaborazione dei dati. L’inflazione rallenta, oltre che in Italia, anche in Irlanda e Paesi Bassi, ma aumenta annualmente in Spagna e Francia. Tuttavia l’inflazione core – che esclude i prezzi di energia, cibo, alcol e tabacco – è stabile al 5,2%, aggiungendo un’ulteriore prova che le pressioni sui prezzi sono rimaste elevate. Rispetto all’ultimo mese del 2022 i prezzi al consumo diminuiscono dello 0,4%, come a dicembre, guidati da un calo dello 0,9% del costo dell’energia.

Croazia, all’inflazione si sommano i rincari post-euro: il pane aumenta del 30%

Con l’introduzione dell’euro aumentano i prezzi dei beni di consumo in modo ingiustificato rispetto al reale tasso di conversione. Nel 2023 sono i consumatori dell’ultimo Paese membro dell’Unione europea a entrare nell’Eurozona, la Croazia, a lamentare sensibili rincari rispetto a poche settimane prima, quando era in vigore la moneta nazionale. Ma per il governo guidato da Andrej Plenković si tratta di una vera e propria “truffa”, mentre deve affrontare una situazione complessa sul fronte dell’inflazione.

Il tasso di conversione è stato fissato a 7,53450 kune croate per euro con la decisione del Consiglio Affari economici e finanziari del 12 luglio 2022, ma “alcuni degli attori si comportano in modo fraudolento, aumentando i prezzi e danneggiando i propri cittadini e l’economia”, ha attaccato il premier croato. Un aumento dei prezzi nell’ambito dell’arrotondamento “sarebbe prevedibile e non un grosso problema se fosse di pochi centesimi”, ha puntualizzato Plenković, ma “non è la stessa cosa se è del 10, 20, 30, 40 o 50% in più”.
Basta un confronto prima e dopo il primo gennaio 2023 per capire il livello di aumento dei prezzi. In una città come Rijeka (Fiume) o Zagabria il prezzo medio di una tazzina di caffè è passato da 1,73 euro (13 kune) a 2 euro (15 kune), per un rincaro del 16%. A Osijek, quarta città della Croazia, lo stesso bene prima del passaggio alla nuova valuta costava 1,06 euro (8 kune) ed è passato nel 2023 a 1,2 euro (9 kune, +13%) o addirittura 1,5 euro (11 kune, +41%). Lo stesso discorso si può fare su beni di consumo come pane, grano, latte e carne, dopo la pubblicazione dei risultati delle indagini condotte dall’Ispettorato di Stato: nei panifici è stato registrato un aumento dei prezzi di pane e prodotti da forno tra il 15% e il 30%, per beni come carne di pollo e tacchino, acqua e uova mediamente del 13%, mentre i servizi di ristorazione sono cresciuti fino al 43%.

Oltre all’imposizione di sanzioni per pratiche commerciali sleali e per illecito – che possono arrivare a 26 mila euro – il governo sta discutendo della possibilità di introdurre una lista nera di rivenditori e commercianti, che “renda pubblici i nomi di coloro che lavorano a scapito dei nostri cittadini, alimentando così l’inflazione”. È proprio questa una delle preoccupazioni maggiori per Zagabria, in particolare considerati i dati del novembre 2022. Se nell’Eurozona il tasso di inflazione annuale si è ridotto di mezzo punto – scendendo dal 10,6% al 10,1% – per la Croazia è successo l’esatto opposto, con una crescita ulteriore al 13,5% (+0,3 rispetto al mese precedente). Due punti percentuali in più rispetto all’Italia, con le pressioni al rialzo esercitate soprattutto dai prezzi di prodotti alimentari e bevande analcoliche (19,2%), di ristoranti e alberghi (17%), di alloggi e utenze (16,5%) e dei trasporti (13,3%).

A cercare di gettare acqua sul fuoco è stata la Banca Centrale Europa (Bce), che nel suo ultimo bollettino ha inserito un capitolo specifico sulla situazione economica nel Paese che “si prevede trarrà vantaggio dall’adozione dell’euro”. Uno dei vantaggi è proprio legato ai minori costi di finanziamento per l’economia, “grazie alle aspettative di inflazione ben ancorate e alla riduzione dei costi normativi e del rischio valutario“. Considerato il “già elevato livello di integrazione economica e finanziaria” di Zagabria nell’Eurozona “e la precedente stabilità” del tasso di cambio, “il costo della perdita della capacità di aggiustare il tasso di cambio come strumento di politica macroeconomica in caso di shock asimmetrici sarà probabilmente basso”, conclude la Bce.

benzina diesel

Blangiardo: “L’aumento del costo dei carburanti impatta sulle fasce deboli”

“Fare previsioni sui prezzi dei carburanti non è semplice. Il loro effetto è diretto perché chi compra diesel o benzina li paga di più, ma è anche indiretto perché agisce su altri costi”, come quello dei trasporti in generale. Lo ha detto Gian Carlo Blangiardo, presidente di Istat, a SkyTg24. L’aumento dei prezzi “è un grande problema in prospettiva se continua a crescere”, perché “accentuerebbe ancora i problemi delle famiglie”, impattando sulla crescita del Paese.
Il tema è, naturalmente, quello dell’inflazione. “Abbiamo chiuso il 2022 a livelli preoccupanti – ha detto Blangiardo – e nel 2023 se le cose non peggiorano si stima che crescerà del 5,1%”. Si tratta, ha aggiunto “di un valore di quasi tre volte più alto di quello dell’anno scorso”. E se le cose peggioreranno ancora? “Dipende da quanto andrà male – ha detto Blangiardo – e dall’entità degli aumenti, che non sono prevedibili ora. L’esperienza ci ha insegnato che gli eventi non previsti ci hanno portato a questa situazione. Possiamo aspettarci ulteriori aumenti, ma speriamo che non siano così consistenti. Ci auguriamo un rallentamento della tendenza”.
Nessun allarme, invece, sul Pil, il cui dato del 2022 è stimato a +3,9%. “È un buon risultato – ha detto il presidente dell’Istat – superiore alle attese. Sul 2023 la stima è dello 0,4%, che non ci pone in recessione, ma ha bisogno di due elementi: il controllo dei prezzi e il mantenimento degli investimenti”. Se riusciamo a mantenere questi due vincoli – ha aggiunto – lo +0,4% può essere un risultato accettabile vista la situazione. Il momento è difficile, già galleggiare sopra il livello negativo è un risultato di cui possiamo accontentarci”.
E il governo da parte sua, con la Manovra, ha previsto misure “ragionevoli, tenendo conto della situazione e delle risorse disponibili. Si è evitato – ha spiegato Blangiardo – di accentuare i problemi e si è tentato di avviare il rilancio del Paese. Mi sembra si vada nella direzione giusta, ci sono buone prospettive. È stato fatto tutto quello che si poteva fare? È stato fatto molto, compatibilmente con le risorse disponibili”.