Crisi frena transizione: ma nucleare e carbone preoccupano italiani

Far di necessità virtù. Questo il mantra del governo italiano e delle istituzioni europee per contrastare gli effetti della crisi energetica scatenata dall’invasione russa in Ucraina. Misure emergenziali, certo, che però rischiano di fare rallentare il percorso di transizione ecologica del pianeta. La riattivazione delle centrali a carbone è in effetti un pugno in un occhio al processo di decarbonizzazione e suona quasi come una beffa all’Onu e alla sua Agenda 2030. Tuttavia ogni possibile soluzione deve essere contemplata in questo periodo storico. Anzi, per dirla con la presidente della Commissione Ue, va trovato “un equilibrio” e “non è detto che prenderemo la direzione giusta”. Secondo Ursula von der Leyen, “dobbiamo assicurarci di approfittare di questa crisi per avanzare nella transizione energetica, senza tornare ai combustibili fossili inquinanti“. D’altronde lo stesso concetto di sostenibilità impone di trovare un equilibrio tra il rispetto dell’ambiente e lo sviluppo umano. E al momento non c’è sviluppo senza energia.

IN EUROPA

Mentre i Paesi del Centro-Europa revocano le restrizioni sulla produzione di energia da carbone (Olanda) o aumentano la capacità produttiva delle centrali in attività (Germania e Austria), l’Italia, per voce del ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha già escluso la possibilità di riattivare gli impianti chiusi. La soluzione individuata è quella di aumentare il ricorso a quelle in attività, “per un periodo transitorio”, giocando sul fatto che il Paese non sforerà comunque la quota Ue del 55% di decarbonizzazione.

NUCLEARE SI, NUCLEARE NO

Ad ogni modo, la stessa Commissione europea, nel piano ‘RePower EU‘ aveva messo in conto la possibilità di utilizzare la risorsa carbone “più a lungo, in casi di straordinaria necessità. Non solo: Bruxelles non ha nemmeno chiuso al dossier nucleare per aggiustare i mix energetici. Per quanto riguarda l’Italia, i due referendum sul ritorno al nucleare parlano chiaro ma il ministro Cingolani aveva chiesto un cambio di paradigma. Perché se è pur vero che “i referendum si rispettano”, è altrettanto vero che la tecnologia può far compiere al settore passi da gigante e restituire un “nucleare moderno” (ovvero più sicuro e pulito) grazie a ricerca e sviluppo. La parte difficile resta quella di convincere gli italiani.

IL SONDAGGIO

Secondo una ricerca Changes Unipol-Ipsos, il possibile ricorso al nucleare (23%) e il rischio di non dare priorità alla transizione verso le rinnovabili (15%) sono le due principali preoccupazioni degli italiani oltre al caro-energia e all’aumento vertiginoso dei prezzi. Il nucleare è indicato dal 48% tra le principali preoccupazioni e, nel 23% dei casi, come prima minaccia in assoluto, mentre il rischio che non venga data priorità alla transizione energetica e alle fonti rinnovabili raggiunge quota 54% tra i fattori più preoccupanti, sebbene solo il 15% lo indichi come timore principale. I segmenti di popolazione più anziana (i baby boomers, tra 57 e 74 anni) e i più giovani (la Generazione Z, tra 16 e 26 anni) mostrano una maggior sensibilità verso il possibile ricorso al nucleare, visto come minaccia principale rispettivamente nel 24% e nel 25% dei casi. Generazione Z e Millennials (tra 27 e 40 anni) manifestano invece una maggior propensione verso il timore di un rallentamento della transizione alle rinnovabili (nel 17% dei casi).

La possibilità di ricorrere all’energia da centrali nucleari anche in Italia raccoglie soltanto il 15% di consensi, ma il favore sale a quasi 1 italiano su 2 (45%) nel caso si utilizzassero tecnologie e modalità di gestione dell’energia nucleare più sicure di quelle attuali. Il 42% si dichiara invece contrario, o per la convinzione che ci siano più rischi che vantaggi (28%) oppure per una questione legata alla non convenienza di costi (14%).

Anche la riattivazione o l’apertura di centrali a carbone è fonte di preoccupazione per il 43% degli italiani ed è la principale preoccupazione per 1 italiano su 10, ma questo timore raddoppia tra chi vive in prossimità di queste centrali (18% vs 9%). Secondo il sondaggio Unipol-Ipsos, minore inquietudine destano la costruzione o l’aumento di produzione dei rigassificatori e la costruzione di nuovi gasdotti, indicati entrambi soltanto dal 4% degli intervistati come maggiore minaccia.

(Photo credits: Oliver Berg / dpa / AFP)

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Gazprom conferma che l’asse Russia-Cina è solido e scatta la corsa agli stoccaggi

Se sono coincidenze, sono davvero curiose: Gazprom taglia i rifornimenti di gas all’Europa, segnatamente alla Germania (60%), all’Italia (15%) e all’Austria; in contemporanea, negli ultimi cinque mesi ha aumentato ‘solo’ del 65% le forniture alla Cina. Siccome non sono coincidenze, al di là delle giustificazioni di facciata confezionate a uso stampa da Gazprom, ovvero un banale problema di turbine, la realtà reale è che si tratta di ritorsioni, insomma la risposta pratica – sotto un certo aspetto persino tardiva – alle sanzioni che sono state imposte alla Russia dall’Unione europea.

Non c’è da sorprendersi, anzi era persino prevedibile che il Cremlino prima o poi avrebbe reagito; c’è da riflettere, piuttosto, sul fatto che viene ‘girata’ agli amici cinesi la stessa quantità di gas sfilata all’Europa. E questo dettaglio non proprio marginale spiega bene quanto sia solido il legame che unisce Putin a Xi, al di là dei contenuti ufficiali usciti dalla telefonata di mercoledì, là dove il leader cinese ha chiesto a quello russo di porre fine al conflitto in Ucraina, eccetera eccetera. Mosca e Pechino dialogano fitto, Mosca vuole spostare più a Est possibile i propri affari, Pechino vuole evitare che una Russia fiaccata dalla guerra venga presa in mezzo da Stati Uniti e Nato. Per gli analisti di geopolitica e di economia, il 2023 e il 2024 saranno ancora stagioni tormentate di rapporti e di conti economici, per i cittadini europei si profilano anni durissimi.

In attesa che prendano consistenza gli accordi allacciati dall’Italia con Congo, Angola, Algeria, Israele, Qatar e che l’Europa continui a fare la sua parte (leggi la recente missione di Ursula von der Leyen a Tel Aviv e Il Cairo), l’unica soluzione praticabile per vivere il prossimo inverno senza l’angoscia di rimanere al freddo è quella degli stoccaggi. Perché la distribuzione delle nuove forniture, il rifiorire (controverso) di rigassificatori galleggianti, l’acquisto di navi metaniere, la sburocratizzazione delle rinnovabili, richiede molto tempo. Troppo per fronteggiare l’emergenza. Ma gli stoccaggi, a loro volta, subiranno un naturale rallentamento, come ha sottolineato Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ecologica. Eppure continua a essere quella l’unica soluzione a presa rapida e sicuramente la meno dolorosa: confidando sempre nella diplomazia europea per fare ragionare Putin e Zelensky.

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Russia taglia 15% forniture gas a Italia. Cingolani: “Nessuna criticità”

Dopo la Germania è la volta dell’Italia. Gazprom, ieri, ha comunicato a Eni una limitata riduzione delle forniture di gas, pari a circa il 15%. “Le ragioni della diminuzione – ha riferito a Gea un portavoce del gruppo – non sono state al momento notificate“. Certo, colpisce la concomitanza con il viaggio del premier Mario Draghi, assieme al presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, a Kiev, per portare di persona la solidarietà al popolo ucraino (e non solo, ovviamente) nell’incontro con il presidente Volodimir Zelensky.

Il braccio di ferro con Mosca, però, non si esaurisce con questa mossa. Perché il gigante russo del gas ha annunciato anche che taglierà di un altro terzo le sue forniture di gas all’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream, affermando di essere stato costretto a spegnere un’apparecchiatura della tedesca Siemens. “Gazprom sta interrompendo il funzionamento di un’altra turbina a gas Siemens presso la stazione di compressione di Portovaya“, dove viene riempito il Nord Stream, la cui produzione giornaliera scenderà giovedì da 100 a 67 milioni di metri cubi al giorno, dopo un primo calo da 167 a 100 milioni di metri cubi martedì.

Martedì il colosso russo aveva ridotto del 40% il flusso verso Berlino attraverso lo stesso gasdotto a causa di “problemi tecnici e ritardi nella manutenzione“. Una giustificazione respinta al mittente dal ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, che ha parlato invece di “una decisione politica“, impossibile da giustificare con ragioni tecniche.

Sul fronte italiano l’attenzione è alta. “L’andamento dei flussi di gas è costantemente monitorato in collaborazione con gli operatori“, ha assicurato il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, spiegando che “non si riscontrano criticità“. Anche perché, come spiega l’amministratore delegato di Italgas, Paolo Gallo, a margine della presentazione del Piano Strategico 2022-2028, “bisogna fare i conti prima di preoccuparsi. Un elemento positivo è il livello di stoccaggio che è significativamente elevato, quindi si prosegue con il riempimento degli stoccaggi. Certamente è un elemento da prendere in considerazione“. Il manager sottolinea che “Eni certamente ha una visione più ampia di noi. Ma bisogna capire come i flussi di gas continueranno e come il livello di stoccaggio si muoverà. Noi, rispetto a altri Paesi, abbiamo livelli di stoccaggio più elevati. Quindi abbiamo un piccolo vantaggio“.

Le stesse rassicurazioni sono arrivate anche dall’Europa. Per l’Ue “non ci sono al momento indicazioni di rischi sulle forniture energetiche, anche se “non abbiamo ancora spiegazioni per quanto riguarda la decisione sull’Italia”, mentre “eravamo a conoscenza del taglio verso la Germania”, ha precisato un portavoce della Commissione Ue. Dall’inizio delle sanzioni contro la Russia, sono diminuite costantemente le esportazioni di gas da Mosca verso l’Europa. Già nelle scorse settimane Gazprom aveva chiuso i rubinetti a Bulgaria, Polonia, Paesi Bassi, Danimarca e Finlandia, per mancati pagamenti in rubli come richiesto dalle autorità russe. Tra l’11 e il 21 luglio è prevista la chiusura del gasdotto Nord Stream 1 per la manutenzione stagionale.

E mentre sul territorio europeo continua il braccio di ferro con il fornitore russo, da Gerusalemme la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha annunciato la firma di un memorandum di intesa trilaterale con Israele ed Egitto per maggiori forniture di gas al vecchio Continente. L’accordo “contribuirà a intensificare le consegne di energia in Europa, ha detto la presidente, spiegando che il gas israeliano arriverà in Egitto attraverso gasdotto – “si spera un giorno un gasdotto pronto per l’idrogeno” -, dove sarà liquefatto in Gnl e poi portato nell’Unione europea, dove sarà poi rigassificato. “Penso che questo sia un progetto molto importante, ma sappiamo che, nel tempo, dovremmo esplorare insieme l’uso delle infrastrutture per le energie rinnovabili. Questa è l’energia del futuro“, ha aggiunto von der Leyen.

Porchietto (Fi)

Porchietto (Fi): “Gas nell’Alto Adriatico? Ipocrita perdere opportunità, la Croazia estrae”

Mentre l’Italia cerca ogni giorno di ampliare il ventaglio di possibili fornitori di gas per sostituire quello russo, nell’Alto Adriatico giace un tesoro inesplorabile. Non inesplorato, però, visto che la vicina Croazia continua a perforare e spera di estrarre oltre 36 miliardi di metri cubi di gas. L’Italia, invece, non può. Perché nel 2002 ha deciso di vietare ogni attività di ricerca ed estrazione a nord del parallelo della bocca del Po di Goro. Ora, però, con la crisi energetica in atto, da più parti politiche ci si chiede se non sia uno spreco e un’ipocrisia.

Per questo la deputata di Forza Italia Claudia Porchietto ha proposto un emendamento al decreto Energia che consenta di incominciare a riutilizzare quei giacimenti bloccati da troppo tempo. Soprattutto ora che “la nostra dipendenza energetica ha generato delle situazioni insostenibili”, spiega l’onorevole in un colloquio con GEA. In realtà l’idea era nata già dopo il primo decreto Energia dopo l’avvio della guerra in Ucraina, ma in quel caso “abbiamo dovuto ritirare gli emendamenti perché il Governo non ci permetteva di andare oltre. Diciamo che adesso ci riproviamo per vedere se riusciamo a giungere a compimento rispetto a una necessità che abbiamo”.

Porchietto è diretta nello spiegare i motivi dell’emendamento: “Stiamo parlando di giacimenti che sono nella nostra disponibilità e che non stiamo utilizzando, ma lo sta facendo qualcun altro al nostro posto. Ci sembra surreale in un momento in cui il costo di energia e carburanti sta crescendo a dismisura. Noi abbiamo un’opportunità che non stiamo sfruttando. Abbiamo maxi giacimenti nell’Adriatico che vengono utilizzati dalla Croazia e non da noi. Ci sembra surreale”.

L’obiezione maggiore, però, viene dal timore che nel 2002 portò al divieto: la paura che le attività estrattive del metano in mare potessero fare sprofondare Venezia e la sua laguna. “Condividiamo il mantra del dover essere sempre meno impattanti dal punto di vista ambientale – risponde Porchietto –, ma in 20 anni la tecnologia è evoluta. Si possono costruire percorsi che non prospettino ciò che si era paventato nel 2002, e che poi in realtà non è avvenuto. La Croazia ha sfruttato ampiamente l’opportunità. Credo sia ora di cominciare a lavorare anche noi per trovare percorsi alternativi alla ricerca di gas. È assurdo non poter sfruttare questa situazione. Noi ci siamo posti molti problemi, la Croazia no. Ora, forse, due riflessioni le possiamo fare”.

Anche perchè, secondo la deputata di Forza Italia, si potrebbe trattare di una “situazione transitoria, che potrebbe dare un po’ di respiro. Dobbiamo matchare le soluzioni. Quando parliamo della possibilità di sostituire il gas russo con fonti rinnovabili italiane, sono d’accordo. Assolutamente. Ma quando? Non domani mattina. E quindi ci sono una serie di valutazioni che bisogna iniziare a fare, altrimenti diventa molto difficile”.

Per il futuro del suo emendamento, Porchietto è ottimista, visto che al senato il collega del Pd Stefano Collina ne ha presentato uno molto simile: “Non sono l’unica ad aver immaginato di poter promuovere questo percorso. Quello di Collina e il mio sono due emendamenti diversi che vanno nella stessa direzione. Noi segnaleremo domani l’emendamento, io spero che ci sia una convergenza ampia anche perché se no diventa difficile immaginare come il collega Collina possa muoversi se i suoi colleghi alla Camera non fanno altrettanto”.

Gas, Draghi in Israele e Palestina per consolidare Italia hub Ue

La strategia energetica italiana passa anche da Israele. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è a Tel Aviv, dove ha incontrato il presidente dello Stato di Israele, Isaac Herzog, prima di intervenire al Tempio Italiano di Gerusalemme, dove ha garantito che “il governo è impegnato a rafforzare la memoria della Shoah e a contrastare le discriminazioni di ogni tipo contro gli ebrei“, perché “in momenti di crisi, di incertezza, di guerra, come quello che stiamo vivendo, è ancora più importante opporsi con fermezza all’uso politico dell’odio“.

Il premier, poi, ha fatto visita al Museo di arte ebraica ‘Umberto Nahon’ e alla Sinagoga italiana, incontrando i rappresentanti della comunità italiana e ponendo la firma firma sul Libro d’onore. Infine, per la prima giornata di visita diplomatica ha avuto un incontro alla Knesset con il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, che lo accoglie con un tweet, che inizia con una frase in italiano: “Buonasera primo ministro e benvenuto in Israele“. Poi un messaggio, nella sua lingua madre, dal contenuto più che benaugurante: “Italia e Israele intrattengono rapporti lunghi e cordiali e di cooperazione economica, di sicurezza e culturale – scrive Lapid -. Continueremo a lavorare insieme per rafforzare e approfondire le relazioni tra i nostri Paesi“.

Oggi, invece, è in agenda il vertice tra Draghi e il primo ministro, Naftali Bennett, poi il trasferimento a Ramallah, per il summit con primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, cui seguirà la cerimonia di firma delle intese bilaterali tra Italia e Palestina. Tra gli obiettivi della missione diplomatica c’è sicuramente il rilancio del progetto del gasdotto che potrebbe portare nuove, importanti forniture dal maxi-giacimento Leviathan in Europa, tramite un’infrastruttura che trasporti il Gnl dalle acque a largo di Israele. Si tratta di un patrimonio di gas naturale liquefatto di circa 600 miliardi di metri cubi: se ci fosse l’accordo, l’Italia – ma anche il Vecchio continente – riuscirebbe nel doppio colpo di incrementare la politica di diversificazione delle fonti energetiche, ma soprattutto darebbe un segnale fortissimo alla Russia, che l’operazione di chiusura delle forniture da Mosca sarebbe prossima a completarsi.

C’è ancora molto da lavorare, però, perché non è affatto risolto uno dei problemi più pesanti da sostenere. Il gasdotto EastMed, che ad oggi rimane ancora sulla carta, con i suoi 5 milioni di dollari circa di costi, ma soprattutto un progetto che stenta a decollare, perché prevede un passaggio per Cipro e Grecia. Molto dipenderà anche dall’atteggiamento che assumerà la Commissione europea, tant’è vero che la presidente Ursula von der Leyen è sbarcata in Israele per discutere di “energia e sicurezza alimentare, intensificando la cooperazione in materia di ricerca, salute e clima“. Sull’opera, comunque, rimangono le riserve (per usare un eufemismo) della Turchia. E anche degli Stati Uniti. Una partita non facile, dunque, che Draghi sta provando a giocare con il suo peso istituzionale. Perché il tempo delle scelte è adesso.

coldiretti

Made in Italy tarocco: due prodotti tricolori su tre sono falsi

Vero o falso made in Italy? Al ristorante, al supermercato, in enoteca o in macelleria: occorre fare sempre più attenzione nella scelta degli alimenti da mangiare o acquistare. Arriva da Coldiretti e ‘Filiera Italia‘ l’allarme relativo alla crescente diffusione di prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale. Per colpa del cosiddetto ‘italian sounding‘ – stima l’associazione – sale a 120 miliardi il valore del falso made in Italy agroalimentare nel mondo. Ormai, purtroppo, due prodotti tricolori su tre sono falsi e senza alcun legame produttivo e occupazionale con il nostro Paese.

Nella top ten degli alimenti più taroccati troviamo anche:

  • Il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. La produzione delle copie di questi formaggi ha superato quella degli originali: dal parmesao brasiliano al reggianito argentino fino al parmesan diffuso in tutti i continenti;
  • I salumi più prestigiosi, come il prosciutto di Parma o la mortadella Bologna, storpiata come mortadela e con indicazioni geografiche false come siciliana o con carne diversa da quella di suino;
  • Vini: dal Chianti al Prosecco, che non è solo la Dop al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova.

 

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Il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy, a denominazione di origine alle esportazioni e alla crescita del Paese, potrebbe essere nettamente superiore con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale”, ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. Ponendo un freno al dilagare dell’agropirateria a tavola si potrebbero creare ben 300mila posti di lavoro in Italia.

Il mare Adriatico, il gas e la Croazia: qualcosa non va…

C’è qualcosa che non torna, qualcosa a cui – prima o poi – qualcuno dovrà mettere mano. Sintetizzando: in questa corsa matta e disperatissima ad acchiappare il più flebile sbuffo di gas (anche in considerazione degli attuali rapporti con la Russia e della necessità di raggiungere l’agognata indipendenza da Mosca), nel mare Adriatico sono stati scoperti giacimenti a migliaia di metri sotto il fondale, un po’ per noi italiani e un po’ per i vicini della Croazia. Ma mentre il governo di Zagabria ha dato subito l’ok per cominciare le pratiche di estrazione, noi abbiamo stabilito che perforare non è lecito. Fermi, bloccati, che trapanino pure gli altri…

Domanda, perché loro si e noi no? La risposta va ricercata in una legge di vent’anni fa che vieta di eseguire qualsiasi tipo di trivellazione a nord del Po per paura di recare danno alla laguna di Venezia e alle zone limitrofe. Ora, quanto sia ancora attuale quella disposizione non è facile da stabilire, geologi e ingegneri ne stanno discutendo e chissà quando avremo una risposta: intanto la Croazia perfora e perfora e perfora. Siccome i giacimenti loro sono sostanzialmente confinanti con i nostri, se noi abbiamo paura di danneggiare Venezia, loro ovviamente non se ne fanno un cruccio. Forse converrebbe fare una riflessione allargata, mentre alcuni deputati (di destra e di sinistra, stavolta siamo bipartizan) stanno tentando di modificare la situazione di stallo attraverso lo strumento degli emendamenti. Il rischio, se non si fa in fretta, è quello di restare al palo e di non sfruttare tra i 30 e i 40 miliardi di metri cubi di metano. La Croazia, sempre per rimanere in tema, pensa di estrarne 36 abbondanti.

Ce la faremo a mettere d’accordo politici, aziende energetiche e ambientalisti? Ce la faremo a non darci la zappa sui piedi? Nell’attesa di scoprirlo, una considerazione va fatta. Il mare Adriatico, in particolare l’Alto Adriatico, ha assunto ormai una funzione strategica. Non a caso è proprio nell’Adriatico che Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, si è messo in testa di aggiungere al rigassificatore di Rovigo (Porto Viro) l’approdo di Ravenna per una nave metaniera. E sempre non a caso la regione Marche si è detta disponibile ad aiutare il processo energetico italiano offrendo le sue coste. Insomma, in questa torrida estate l’Adriatico è quanto mai mare aperto, non solo per noi ma anche per gli altri. A cominciare dalla Croazia…

foca monaca

Sea Shepherd alla difesa della foca monaca del Mediterraneo

L’Ong Sea Shepherd ha lanciato all’inizio di giugno una campagna per difendere la foca monaca mediterranea nel parco marino protetto di Alonissos, in Grecia, dove questo mammifero marino a rischio di estinzione vive in comunità. La MV Emanuel Bronner, una delle sette navi della flotta di Sea Shepherd, ha iniziato i suoi giri giorno e notte per monitorare l’area di 3.000 chilometri quadrati e prevenire “qualsiasi minaccia, specialmente durante l’alta stagione estiva“, per la foca mediterranea Monachus monachus, secondo una dichiarazione dell’Ong inviata a Afp.

Nel luglio 2021, una di queste foche simbolo dell’isola greca di Alonissos è stata uccisa da un colpo di arpione, suscitando l’indignazione dei residenti e degli ambientalisti. Quest’estate, Sea Shepherd-Grecia e Sea Shepherd-Italia “uniranno le forze per la prima volta” in questa campagna per proteggere la foca monaca, una specie che è stata recentemente classificata come “in pericolo critico“. Quasi la metà della popolazione mondiale di questi mammiferi marini risiede nelle acque greche, in particolare sulle spiagge di Alonissos e delle sue isolette nel Mar Egeo. Nel 2015 si stimava che fossero circa 600 in tutto il mondo.

In collaborazione con il ministero dell’Ambiente greco, la Guardia Costiera greca e le autorità del Parco Nazionale di Alonissos, Sea Shepherd afferma che prenderà di mira la pesca illegale in queste acque protette, il trasporto marittimo dove è vietato a causa dei rischi per l’ecosistema e il degrado delle piante acquatiche di Posidonia, che favoriscono la vita acquatica e sono protette nel Mediterraneo. Tutte queste pratiche sono le maggiori minacce per la foca monaca, ma anche per le altre specie protette di Alonissos.

(Photo credits: James Watt / NOAA / AFP)

terremoto

L’algoritmo che prevede forti repliche di scosse di terremoto

Un algoritmo per valutare la probabilità di forti repliche di scosse di terremoto, basato su dati e informazioni dei cataloghi sismici della California.

Il nuovo studio arriva da Stefania Gentili dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS e Rita Di Giovambattista dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ed è stato pubblicato su Physics of the Earth and Planetary Interiors.

I terremoti non si verificano in maniera omogenea né nel tempo né nello spazio: una prima scossa sismica particolarmente forte, infatti, è spesso seguita da una serie di repliche successive, anche a distanza di settimane o mesi nella medesima area. A volte può accadere che ad una scossa di magnitudo elevata, seguano repliche simili o di magnitudo maggiore. Algoritmi di machine learning, una branca dell’intelligenza artificiale, sono stati applicati per valutare la probabilità che un evento di magnitudo superiore a 4 sia seguito da un forte evento.

Gli algoritmi di machine learning funzionano per apprendimento e hanno bisogno di una grande quantità di dati per essere addestrati. Quello che abbiamo proposto, chiamato NESTORE, sin dalle prime ore dopo il primo forte evento fornisce indicazioni sulla probabilità che avvengano repliche di intensità simile o maggiore“ racconta Stefania Gentili del Centro di Ricerche Sismologiche dell’OGS. “In questo studio, abbiamo utilizzato cataloghi di terremoti avvenuti in California, una zona sismicamente molto attiva e per questo molto ben monitorata e analizzata. NESTORE è stato in grado di prevedere l’accadimento di forti terremoti anche con ampio anticipo nell’ottanta percento dei casi analizzati, con un numero di falsi allarmi inferiore al 20%. Le repliche di magnitudo rilevante possono avere ulteriori impatti su edifici, strutture e infrastrutture già danneggiati dai sismi precedenti e comportare nuovi rischi per la popolazione”, continua la ricercatrice, precisando che “avere possibili indicazioni probabilistiche sul loro accadimento sarebbe estremamente utile”.

Per validare statisticamente il metodo e favorirne l’applicazione ad un ampio numero di eventi in diverse aree tettoniche, il software verrà reso disponibile alla comunità scientifica.

Il paper, intitolato Forecasting strong subsequent earthquakes in California clusters by machine learning, è frutto di una lunga ricerca che si inserisce nell’ambito del progetto ‘Analisi di sequenze sismiche per la previsione di forti repliche’, coordinato dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS, e a cui partecipano l’INGV e l’ente di ricerca giapponese The Institute of Statistical Mathematics (ISM).

Il progetto è inserito nel Protocollo Esecutivo 2021-2023 di cooperazione scientifico-tecnologica bilaterale tra Italia e Giappone e compreso tra gli undici progetti di grande rilevanza ammessi dall’accordo sottoscritto a gennaio dello scorso anno.

L’obiettivo è di migliorare le capacità di stimare la probabilità di futuri forti repliche, già a partire da poche ore dopo la prima scossa rilevante, rendendo l’algoritmo sempre più robusto, ovvero addestrandolo affinché fornisca stime di probabilità sempre più affidabili.

comunità energetiche

I 40 comuni che sono 100% rinnovabili: piccoli e (quasi) tutti al Nord

Sono in tutto 40 i comuni italiani che si possono definire rinnovabili al 100%, secondo la fotografia scattata da Legambiente nel suo ultimo dossier ‘Comunità Rinnovabili’. Nell’elenco, stilato in base ai dati forniti da Comuni, Gse, Terna e Airu (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano), rientrano quei territori che sono in grado di produrre più energia elettrica e termica di quella consumata dalle famiglie residenti, utilizzando un buon mix di fonti rinnovabili: fotovoltaico, eolico, mini idroelettrico, geotermia, biogas, biomassa e reti di teleriscaldamento. Nel computo rientrano solo i comuni dotati di almeno tre di queste tecnologie, mentre eliminando questo “paletto” si arriva a 3.493 enti (definiti da Legambiente 100% elettrici) autosufficienti in termini di energia.

Analizzando l’elenco dei comuni 100% rinnovabili, si nota subito la forte disparità a livello territoriale tra Nord e Sud. Nessun comune è situato nelle regioni meridionali, appena sei rientrano nel Centro Italia e sono tutti in Toscana, grazie soprattutto al ruolo ricoperto dalla geotermia ad alta entalpia. Per il resto, a dominare sono soprattutto località montane situate sull’arco alpino, con poche eccezioni come Limena, grosso centro alle porte di Padova. Quasi metà del totale (17) appartiene alla provincia di Bolzano, altre quattro a quella di Trento, tre a testa per Aosta e Brescia.

L’altra caratteristica che balza all’occhio è la predominanza dei comuni di piccole dimensioni. Sono infatti 38 i piccoli comuni (sotto i 5.000 abitanti) 100% rinnovabili, 2.271 i piccoli comuni 100% elettrici e 772 i piccoli comuni la cui produzione di energia da fonti rinnovabili varia tra il 50 e il 99% del fabbisogno. I piccoli borghi, che tra l’altro sono al centro di molti degli investimenti previsti dal Pnrr in termini di efficienza energetica, sono dunque capofila della svolta green, un modello da studiare e quindi replicare su scala maggiore seguendo la strada indicata dall’Europa attraverso il RepowerEU: più energia da fonti rinnovabili. Una svolta necessaria, visto che il contributo complessivo portato dalle fonti pulite al sistema elettrico italiano è arrivato nel 2021 a 115,7 TWh, che rappresentano però solo il 36,8% dei consumi complessivi.

Il dossier ‘Comunità Rinnovabili’ si focalizza anche su quanto sia capillare la presenza delle varie tecnologie sul territorio: almeno un impianto (pubblico o privato) è presente in 7.914 comuni italiani, in pratica la totalità. Risultato questo già sostanzialmente raggiunto nel 2011, dopo il boom del primo decennio di questo secolo. Gran parte dei comuni oggi è dotato di impianti per il solare fotovoltaico (7.855) e termico (7.127), mentre l’incidenza scende per altre forme di energia rinnovabile: bioenergie (4.101), mini idroelettrico (1.523), eolico (1.054) e geotermia (942).