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Sì o no al nucleare in Italia? Spada: “Zero rischi”, Ciafani: “Pericoloso”

Nella folle corsa all’approvvigionamento energetico, torna sul tavolo del dibattito pubblico il tema del nucleare, accantonato dal referendum del 1987. C’è chi è convinto sia l’unica alternativa per evitare il continuo rischio di emergenza energetica e chi, invece, vorrebbe chiudere il discorso ancora prima di intavolarlo.

Quello a cui guarda l’Italia è un nucleare di quarta generazione. Ma bisogna stare attenti, avverte Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, intervistato da GEA: “Non esiste”. Si studia da 20 anni, senza “grandi passi avanti”. Secondo le stime più concrete, se le ricerche dovessero dare risultati diversi, i reattori su scala commerciale di quarta generazione si vedranno “a ridosso della metà del secolo. Quando, cioè, sarà troppo tardi e “per certi versi una parte del nostro Paese già sarà sott’acqua, se non facciamo quegli interventi immediati di riduzione di emissioni di gas serra per contenere il cambiamento climatico in atto”.

Il nucleare che oggi è possibile avere, e si sta realizzando in Francia e Finlandia, è di terza generazione avanzata. Eppure, insiste il presidente di Legambiente, “non ha risolto nessuno dei problemi storici”: uno su tutti la produzione di scorie altamente radioattive, che non si sa ancora come smaltire definitivamente. Continua, poi, ad avere “rischi di incidente” e a essere la fonte di energia più costosa: “Il nucleare, mi spiace dirlo da ambientalista, non è stato ucciso dagli ambientalisti, ma dal libero mercato, perché i costi di gestione di attività e chiusura del ciclo sono assolutamente proibitivi e per questo negli ultimi 10 anni gli investimenti sono andati a picco, perché le rinnovabili sono una tecnologia consolidata, che non produce emissioni di gas serra, non produce scorie, ha dei costi sempre più bassi, molto più bassi del nucleare, quindi questa discussione che si sta facendo in Italia è surreale”, avverte.

Chi nella tecnologia nucleare vede, invece, un’opportunità è il presidente di Assolombarda, Alessandro Spada: “Se davvero l’Italia ambisce all’autonomia energetica, non può che essere una parte importante del mix di fonti”, spiega contattato da GEA. La nuova generazione “sta raggiungendo molto rapidamente uno stadio di sviluppo fino a pochi anni fa impensabile – osserva -. Ma, in un futuro più prossimo, è opportuno rivalutare anche il nucleare tradizionale. Impianti sicuri, flessibili, di piccole dimensioni e realizzabili in pochi anni. È improcrastinabile parlarne senza preconcetti; il know how lo abbiamo in casa dato che le aziende del nostro territorio offrono servizi per gli impianti all’estero. Il nucleare, insomma, è un’alternativa reale su cui investire fin da subito”.

A percepirne le potenzialità applicate all’ambito ferroviario è Luigi Cantamessa, direttore generale della Fondazione Fs. Ammette di credere fermamente nella scienza: “Dieci anni fa chi avrebbe mai pensato che l’iPhone potesse fare quello che fa. Credo che il nucleare oggi, a livello ferroviario, sia una opportunità veloce e sicura”, afferma. Trentacinque anni fa, confessa, non sarebbe stato della stessa opinione: “Io nel nucleare vedo il minor impatto e non l’avrei pensata così nel giorno del referendum. Ho cambiato idea perché ho visto di cosa è capace la tecnologia”.

Inoltre, prosegue, “nell’opinione pubblica rimangono Chernobyl e un referendum fatto in un contesto diverso e obsoleto, quando avevamo il telefono a casa. Penso che se ci rimettiamo a camminare in quella direzione, in meno di un decennio il nucleare potrebbe risolvere il grande problema dell’Italia, avere un’indipendenza energetica eliminando l’idrocarburo, non vedo al momento altro”.

Il problema delle scorie non sembra spaventare il presidente della Fondazione Fs: “Anche l’eternit copriva tutte le stazioni ferroviarie italiane, oggi è smaltito come un rifiuto speciale. So di essere un po’ brusco, ma sono per il pensiero forte, quindi o noi rinunciamo allo standard di vita al quale siamo abituati e ci diamo alla la decrescita felice, il che è una libera scelta, o troviamo, come ci insegna l’economia circolare, la fonte energetica con meno esternalità, con meno conseguenze negative e non al prelievo, ma dall’inizio della creazione della fonte energetica fino allo sfruttamento e dopo”.

siccità

Fa sempre più caldo: entro il weekend punte fino a 44°C

Il caldo continua a dominare incontrastato sull’Italia ormai dal 10 maggio e non si arresterà nemmeno nei prossimi giorni. Caronte sta insistendo con temperature africane dal 20 giugno e durerà almeno un’altra settimana, con i primi segnali di cedimento attesi al nord da mercoledì 6 luglio. E nel weekend si rinforzerà ancora.

Finora sono tanti i record – tristi – che l’anticiclone ha lasciato. Roma ha vissuto il periodo più caldo della storia, 2-3 giorni consecutivi con 40°C all’ombra non si ricordavano a memoria d’uomo: per cercare refrigerio non sarebbe stato sufficiente salire sull’Appennino a 800 metri: L’Aquila e Campobasso hanno stracciato i propri record con 36-37°C in montagna.

E nei prossimi giorni? Andrea Garbinato, responsabile della redazione del sito www.iLMeteo.it, indica ancora la possibilità di qualche temporale forte sulle Alpi fino a domani, poi nel weekend e nei primi giorni della nuova settimana il picco massimo di Caronte tornerà a padroneggiare anche in montagna al Nord.

Ci saranno temperature fino a 39-40°C a Firenze e Roma, 36-37°C anche a Milano e in Val Padana con valori ‘algerini’ anche al Sud. Ma come è successo anche negli ultimi giorni, il Centro potrebbe essere colpito in modo più intenso rispetto al resto dell’Italia: si attendono punte di 42°C nelle zone interne di Umbria, Lazio ed Abruzzo.

Una storia di amore e odio all’italiana: da perdita primato ricerca a referendum

Appaiono lontani, lontanissimi, i tempi in cui un referendum sfondava la quota del 50% e veniva validato. Se nel 1987 la sfiducia degli elettori verso la politica non aveva ancora raggiunto l’acme, nel 2011 l’indice di gradimento era quasi ai minimi storici. In entrambi i casi alle urne i cittadini trovarono le schede con 5 quesiti, alcuni dei quali riguardavano il nucleare in Italia.

I REFERENDUM

Il primo referendum si tenne all’indomani del disastro di Chernobyl: promosso dai radicali, passò con un’affluenza che superò il 65% e l’80,57% dei Sì. Il quesito riguardava lo stop alla costruzione di nuove centrali (“Volete che venga abrogata la norma che consente al Comitato interministeriale per la Programmazione economica di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidano entro tempi stabiliti?”). Fu la prima pietra tombale sulla produzione di energia nucleare in Italia.

Venticinque anni dopo gli italiani tornarono alle urne con una sorta di deja-vu per la preoccupazione (e l’indignazione) sollevata dal disastro alla centrale di Fukushima. Con un governo sfiancato dalla crisi del debito e indebolito agli occhi dell’opinione pubblica, l’Italia dei Valori tentò la proverbiale spallata e raccolse le firme necessarie per presentare un quesito sull’abrogazione “delle nuove norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare”. Il quorum si fermò al 54,79%, più che sufficiente a far passare il referendum grazie al 94,05% di Sì. Più che pietra tombale, in questo caso si trattò di una risposta più che eloquente alla volontà di ritorno al nucleare e agli accordi internazionali siglati nell’aprile 2010 per la costruzione di 8 reattori. Ironia della sorte: il progetto sulla costruzione di una centrale da lì a 3 anni prevedeva la collaborazione tra il governo guidato da Silvio Berlusconi e la Russia di Vladimir Putin. E anche in quel caso l’argomento all’ordine del giorno era la “sicurezza energetica”.

RICERCA E SVILUPPO

Nulla di più attuale, legato peraltro a doppio filo con il nucleare. Lo stesso ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, lo considera “il futuro. Perchè, ha spiegato di recente, i referendum si rispettano” ma “va fatta ricerca e sviluppo. E non si tratta della solita boutade. Da uno studio di Elsevier su oltre 70mila paper degli ultimi 6 anni nel mondo emerge che gli studiosi italiani sono sul terzo gradino del podio in Ue (dopo Regno Unito e Germania), per numero di pubblicazioni sul nucleare. Se ne contano almeno 2600 dal Belpaese e alcune di queste rappresentano un modello di accuratezza e innovazione superiore persino a quello di Francia e Giappone, Paesi che hanno maturato una certa esperienza sul tema. E non è un caso.

BOOM ECONOMICO AGLI ANNI ’80

Già negli anni ’50 e ’60 i ricercatori italiani erano pionieri nella ricerca sull’energia nucleare. Spinti dalla necessità di garantire al Paese una certa “sicurezza energetica”, i governi di allora promossero la costruzione dei primi reattori. Risale al 1959 quello di Ispra (Varese) destinato “alla ricerca”. Seguirono 4 anni più tardi le centrali di Borgo Sabotino (Latina) e di Sessa Aurunca (Caserta), mentre nel 1965 venne inaugurata quella di Trino (Vercelli), che segnò un record: alla sua entrata in funzione era la più potente al mondo, con i suoi 260 MWe e il reattore ad acqua pressurizzata. La quarta centrale fu nel 1978 quella di Caorso (Piacenza). Ci fu anche il tentativo di accendere l’impianto di Montalto di Castro (Viterbo) ma i lavori si interruppero prima nel 1987 (per il referendum) e poi, definitivamente, nel 1988. Di fatto l’espansione del nucleare in Italia cominciò alla fine degli anni Cinquanta e si fermò al 1981, con la centrale emiliana. In mezzo ci fu la nascita dell’Enel e l’avvio dell’importazione di idrocarburi che, secondo gli studiosi, fu il primo freno allo sviluppo dell’industria nucleare di Stato e ai programmi di ricerca italiani.

IL NODO SCORIE

I referendum abrogativi sul nucleare stabilivano lo stop alle centrali ma non stabilivano certo le modalità di gestione e smaltimento delle scorie. Dopo oltre un anno per la consultazione pubblica (dal 5 gennaio 2021 al 14 gennaio 2022), a metà marzo Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari, commissariata dal governo il 22 giugno) ha trasmesso al ministero della Transizione ecologica la proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) ad ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. La mappa individua 67 aree tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia e Basilicata, Sicilia, Sardegna e ora la norma prevede che il MiTe, acquisito il parere tecnico dell’Ispettorato nazionale per la Sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), approvi con proprio decreto la Carta, di concerto con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili. Delle 67 aree individuate, sono 12 quelle ritenute più idonee: 2 in provincia di Torino (Rondissone-Mazze-Caluso e Carmagnola), 5 in provincia di Alessandria (Alessandria-Castelletto Monferrato-Quargnento; Fubine-Quargnento; Alessandria-Oviglio; Bosco Marengo-Frugarolo; Bosco Marengo-Novi Ligure) e altre 5 in provincia di Viterbo (Montalto di Castro, Canino-Montalto di Castro, Corchiano-Vignanello, Corchiano). Le altre aree sono ritenute comunque idonee ma hanno una valutazione inferiore. Il monitoraggio è servito infatti ad assegnare una sorta di punteggio ai vari siti e tra i parametri considerati ci sono la morfologia del territorio (altitudine sotto i 700 m s.l.m, pendenze inferiori al 10%) ma anche il grado di rischio sismico e idrogeologico, la densità abitativa e la presenza di aree protette e siti Unesco.

Nel nuovo deposito nazionale saranno stoccati tutti i rifiuti nucleari italiani: sono circa 95mila metri cubi (17mila a media-alta attività e 78mila a bassa-molto bassa attività). Il materiale radioattivo proviene da installazioni nucleari (4 centrali e 4 impianti del ciclo del combustibile), ma anche da centri di ricerca e gestione di rifiuti industriali. In particolare in Italia esistono 4 centrali e un reattore di ricerca Sogin, 4 impianti del ciclo del combustibile (Sogin-Enea) e 7 centri di ricerca (Impianti Ipu e Opec di Enea a Casaccia-Roma, Ccr Ispra a Varese, Deposito Avogadro a Vercelli, LivaNova a Vercelli, Centro Energia e Studi Nucleari ‘Enrico Fermi’ di Milano, Lena-Università di Pavia e Agn-201 dell’Università di Palermo). A questi si aggiungono i 3 centri attivi del Servizio Integrato (Nucleco a Casaccia-Roma, Campoverde ad Alessandria e Protex a Forlì) e 1 centro del Servizio Integrato non più attivo (Cemerad a Taranto).

Lo scorso aprile, Sogin ha garantito l’impegno “nell’accelerazione delle attività che consentirà entro quest’anno di superare la soglia del 45% nelle attività di decommissioning nucleare. Il piano industriale 2020-2025 conferma peraltro “l’obiettivo di realizzare nell’arco di piano un volume di attività per oltre 900 milioni di euro. Il picco è nel biennio 2022–2023 con l’avvio, fra l’altro, degli smantellamenti dei reattori delle centrali di Garigliano e Trino, che rappresentano i lavori più complessi dal punto di vista ingegneristico e operativo nella dismissione di un impianto nucleare”.

maltempo

In arrivo nubifragi al nord. Caldo record a Roma: 40,7°C all’ombra

Un po’ di Scirocco, l’umidità scesa al 15%, la temperatura salita a 40,7°C all’ombra, ed ecco che ieri intorno alle ore 14 Roma ha disintegrato di 2 gradi il precedente record del 2019 per quanto riguarda giugno e superato di 0,2°C il record storico assoluto di sempre che risaliva all’agosto 2007. Ma anche a Firenze e Latina il valore massimo delle temperature è stato da record. Una breve intensa pausa temporalesca, però, è in arrivo oggi: i fenomeni più violenti colpiranno Piemonte, Lombardia e Liguria ma anche Emilia, nord Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli.

Saranno possibili downbursts, i colpi di vento associati ai temporali, grandine grossa e tornado, una situazione potenzialmente molto pericolosa nelle prossime ore. E questa situazione è strettamente legata al caldo infernale di Caronte: tutto il vapore, il calore, tutta l’energia accumulata in questi giorni fungerà da combustibile per la formazione di supercelle temporalesche, in particolare nell’umido catino padano.

La parentesi temporalesca colpirà il nord, mentre al centro-sud ci sarà ancora il super-picco di caldo: non sono esclusi 45-46°C nelle zone interne della Sicilia, 43-44°C tra Calabria, Basilicata e Puglia, 38-40°C ancora da record tra Firenze e Napoli.

I valori prossimi ai 45-46°C attesi in Sicilia potrebbero far vacillare anche il record europeo di caldo dell’anno scorso a Floridia, in provincia di Siracusa: l’11 agosto 2021 si erano toccati i 48,8°C battendo il precedente record di 48°C ad Atene nel 1977. Temperature tipiche dell’Algeria o del Medio Oriente in pieno giugno.

Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, conferma infatti che Caronte ci accompagnerà per almeno altri 10 giorni al sud con frequenti 40°C all’ombra e oltre; al nord e in parte del Centro domani ci sarà una breve parentesi più fresca, ma poi il caldo africano tornerà almeno fino al 6 luglio.

Crisi frena transizione: ma nucleare e carbone preoccupano italiani

Far di necessità virtù. Questo il mantra del governo italiano e delle istituzioni europee per contrastare gli effetti della crisi energetica scatenata dall’invasione russa in Ucraina. Misure emergenziali, certo, che però rischiano di fare rallentare il percorso di transizione ecologica del pianeta. La riattivazione delle centrali a carbone è in effetti un pugno in un occhio al processo di decarbonizzazione e suona quasi come una beffa all’Onu e alla sua Agenda 2030. Tuttavia ogni possibile soluzione deve essere contemplata in questo periodo storico. Anzi, per dirla con la presidente della Commissione Ue, va trovato “un equilibrio” e “non è detto che prenderemo la direzione giusta”. Secondo Ursula von der Leyen, “dobbiamo assicurarci di approfittare di questa crisi per avanzare nella transizione energetica, senza tornare ai combustibili fossili inquinanti“. D’altronde lo stesso concetto di sostenibilità impone di trovare un equilibrio tra il rispetto dell’ambiente e lo sviluppo umano. E al momento non c’è sviluppo senza energia.

IN EUROPA

Mentre i Paesi del Centro-Europa revocano le restrizioni sulla produzione di energia da carbone (Olanda) o aumentano la capacità produttiva delle centrali in attività (Germania e Austria), l’Italia, per voce del ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha già escluso la possibilità di riattivare gli impianti chiusi. La soluzione individuata è quella di aumentare il ricorso a quelle in attività, “per un periodo transitorio”, giocando sul fatto che il Paese non sforerà comunque la quota Ue del 55% di decarbonizzazione.

NUCLEARE SI, NUCLEARE NO

Ad ogni modo, la stessa Commissione europea, nel piano ‘RePower EU‘ aveva messo in conto la possibilità di utilizzare la risorsa carbone “più a lungo, in casi di straordinaria necessità. Non solo: Bruxelles non ha nemmeno chiuso al dossier nucleare per aggiustare i mix energetici. Per quanto riguarda l’Italia, i due referendum sul ritorno al nucleare parlano chiaro ma il ministro Cingolani aveva chiesto un cambio di paradigma. Perché se è pur vero che “i referendum si rispettano”, è altrettanto vero che la tecnologia può far compiere al settore passi da gigante e restituire un “nucleare moderno” (ovvero più sicuro e pulito) grazie a ricerca e sviluppo. La parte difficile resta quella di convincere gli italiani.

IL SONDAGGIO

Secondo una ricerca Changes Unipol-Ipsos, il possibile ricorso al nucleare (23%) e il rischio di non dare priorità alla transizione verso le rinnovabili (15%) sono le due principali preoccupazioni degli italiani oltre al caro-energia e all’aumento vertiginoso dei prezzi. Il nucleare è indicato dal 48% tra le principali preoccupazioni e, nel 23% dei casi, come prima minaccia in assoluto, mentre il rischio che non venga data priorità alla transizione energetica e alle fonti rinnovabili raggiunge quota 54% tra i fattori più preoccupanti, sebbene solo il 15% lo indichi come timore principale. I segmenti di popolazione più anziana (i baby boomers, tra 57 e 74 anni) e i più giovani (la Generazione Z, tra 16 e 26 anni) mostrano una maggior sensibilità verso il possibile ricorso al nucleare, visto come minaccia principale rispettivamente nel 24% e nel 25% dei casi. Generazione Z e Millennials (tra 27 e 40 anni) manifestano invece una maggior propensione verso il timore di un rallentamento della transizione alle rinnovabili (nel 17% dei casi).

La possibilità di ricorrere all’energia da centrali nucleari anche in Italia raccoglie soltanto il 15% di consensi, ma il favore sale a quasi 1 italiano su 2 (45%) nel caso si utilizzassero tecnologie e modalità di gestione dell’energia nucleare più sicure di quelle attuali. Il 42% si dichiara invece contrario, o per la convinzione che ci siano più rischi che vantaggi (28%) oppure per una questione legata alla non convenienza di costi (14%).

Anche la riattivazione o l’apertura di centrali a carbone è fonte di preoccupazione per il 43% degli italiani ed è la principale preoccupazione per 1 italiano su 10, ma questo timore raddoppia tra chi vive in prossimità di queste centrali (18% vs 9%). Secondo il sondaggio Unipol-Ipsos, minore inquietudine destano la costruzione o l’aumento di produzione dei rigassificatori e la costruzione di nuovi gasdotti, indicati entrambi soltanto dal 4% degli intervistati come maggiore minaccia.

(Photo credits: Oliver Berg / dpa / AFP)

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Gazprom conferma che l’asse Russia-Cina è solido e scatta la corsa agli stoccaggi

Se sono coincidenze, sono davvero curiose: Gazprom taglia i rifornimenti di gas all’Europa, segnatamente alla Germania (60%), all’Italia (15%) e all’Austria; in contemporanea, negli ultimi cinque mesi ha aumentato ‘solo’ del 65% le forniture alla Cina. Siccome non sono coincidenze, al di là delle giustificazioni di facciata confezionate a uso stampa da Gazprom, ovvero un banale problema di turbine, la realtà reale è che si tratta di ritorsioni, insomma la risposta pratica – sotto un certo aspetto persino tardiva – alle sanzioni che sono state imposte alla Russia dall’Unione europea.

Non c’è da sorprendersi, anzi era persino prevedibile che il Cremlino prima o poi avrebbe reagito; c’è da riflettere, piuttosto, sul fatto che viene ‘girata’ agli amici cinesi la stessa quantità di gas sfilata all’Europa. E questo dettaglio non proprio marginale spiega bene quanto sia solido il legame che unisce Putin a Xi, al di là dei contenuti ufficiali usciti dalla telefonata di mercoledì, là dove il leader cinese ha chiesto a quello russo di porre fine al conflitto in Ucraina, eccetera eccetera. Mosca e Pechino dialogano fitto, Mosca vuole spostare più a Est possibile i propri affari, Pechino vuole evitare che una Russia fiaccata dalla guerra venga presa in mezzo da Stati Uniti e Nato. Per gli analisti di geopolitica e di economia, il 2023 e il 2024 saranno ancora stagioni tormentate di rapporti e di conti economici, per i cittadini europei si profilano anni durissimi.

In attesa che prendano consistenza gli accordi allacciati dall’Italia con Congo, Angola, Algeria, Israele, Qatar e che l’Europa continui a fare la sua parte (leggi la recente missione di Ursula von der Leyen a Tel Aviv e Il Cairo), l’unica soluzione praticabile per vivere il prossimo inverno senza l’angoscia di rimanere al freddo è quella degli stoccaggi. Perché la distribuzione delle nuove forniture, il rifiorire (controverso) di rigassificatori galleggianti, l’acquisto di navi metaniere, la sburocratizzazione delle rinnovabili, richiede molto tempo. Troppo per fronteggiare l’emergenza. Ma gli stoccaggi, a loro volta, subiranno un naturale rallentamento, come ha sottolineato Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ecologica. Eppure continua a essere quella l’unica soluzione a presa rapida e sicuramente la meno dolorosa: confidando sempre nella diplomazia europea per fare ragionare Putin e Zelensky.

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Russia taglia 15% forniture gas a Italia. Cingolani: “Nessuna criticità”

Dopo la Germania è la volta dell’Italia. Gazprom, ieri, ha comunicato a Eni una limitata riduzione delle forniture di gas, pari a circa il 15%. “Le ragioni della diminuzione – ha riferito a Gea un portavoce del gruppo – non sono state al momento notificate“. Certo, colpisce la concomitanza con il viaggio del premier Mario Draghi, assieme al presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, e il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, a Kiev, per portare di persona la solidarietà al popolo ucraino (e non solo, ovviamente) nell’incontro con il presidente Volodimir Zelensky.

Il braccio di ferro con Mosca, però, non si esaurisce con questa mossa. Perché il gigante russo del gas ha annunciato anche che taglierà di un altro terzo le sue forniture di gas all’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream, affermando di essere stato costretto a spegnere un’apparecchiatura della tedesca Siemens. “Gazprom sta interrompendo il funzionamento di un’altra turbina a gas Siemens presso la stazione di compressione di Portovaya“, dove viene riempito il Nord Stream, la cui produzione giornaliera scenderà giovedì da 100 a 67 milioni di metri cubi al giorno, dopo un primo calo da 167 a 100 milioni di metri cubi martedì.

Martedì il colosso russo aveva ridotto del 40% il flusso verso Berlino attraverso lo stesso gasdotto a causa di “problemi tecnici e ritardi nella manutenzione“. Una giustificazione respinta al mittente dal ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, che ha parlato invece di “una decisione politica“, impossibile da giustificare con ragioni tecniche.

Sul fronte italiano l’attenzione è alta. “L’andamento dei flussi di gas è costantemente monitorato in collaborazione con gli operatori“, ha assicurato il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, spiegando che “non si riscontrano criticità“. Anche perché, come spiega l’amministratore delegato di Italgas, Paolo Gallo, a margine della presentazione del Piano Strategico 2022-2028, “bisogna fare i conti prima di preoccuparsi. Un elemento positivo è il livello di stoccaggio che è significativamente elevato, quindi si prosegue con il riempimento degli stoccaggi. Certamente è un elemento da prendere in considerazione“. Il manager sottolinea che “Eni certamente ha una visione più ampia di noi. Ma bisogna capire come i flussi di gas continueranno e come il livello di stoccaggio si muoverà. Noi, rispetto a altri Paesi, abbiamo livelli di stoccaggio più elevati. Quindi abbiamo un piccolo vantaggio“.

Le stesse rassicurazioni sono arrivate anche dall’Europa. Per l’Ue “non ci sono al momento indicazioni di rischi sulle forniture energetiche, anche se “non abbiamo ancora spiegazioni per quanto riguarda la decisione sull’Italia”, mentre “eravamo a conoscenza del taglio verso la Germania”, ha precisato un portavoce della Commissione Ue. Dall’inizio delle sanzioni contro la Russia, sono diminuite costantemente le esportazioni di gas da Mosca verso l’Europa. Già nelle scorse settimane Gazprom aveva chiuso i rubinetti a Bulgaria, Polonia, Paesi Bassi, Danimarca e Finlandia, per mancati pagamenti in rubli come richiesto dalle autorità russe. Tra l’11 e il 21 luglio è prevista la chiusura del gasdotto Nord Stream 1 per la manutenzione stagionale.

E mentre sul territorio europeo continua il braccio di ferro con il fornitore russo, da Gerusalemme la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha annunciato la firma di un memorandum di intesa trilaterale con Israele ed Egitto per maggiori forniture di gas al vecchio Continente. L’accordo “contribuirà a intensificare le consegne di energia in Europa, ha detto la presidente, spiegando che il gas israeliano arriverà in Egitto attraverso gasdotto – “si spera un giorno un gasdotto pronto per l’idrogeno” -, dove sarà liquefatto in Gnl e poi portato nell’Unione europea, dove sarà poi rigassificato. “Penso che questo sia un progetto molto importante, ma sappiamo che, nel tempo, dovremmo esplorare insieme l’uso delle infrastrutture per le energie rinnovabili. Questa è l’energia del futuro“, ha aggiunto von der Leyen.

Porchietto (Fi)

Porchietto (Fi): “Gas nell’Alto Adriatico? Ipocrita perdere opportunità, la Croazia estrae”

Mentre l’Italia cerca ogni giorno di ampliare il ventaglio di possibili fornitori di gas per sostituire quello russo, nell’Alto Adriatico giace un tesoro inesplorabile. Non inesplorato, però, visto che la vicina Croazia continua a perforare e spera di estrarre oltre 36 miliardi di metri cubi di gas. L’Italia, invece, non può. Perché nel 2002 ha deciso di vietare ogni attività di ricerca ed estrazione a nord del parallelo della bocca del Po di Goro. Ora, però, con la crisi energetica in atto, da più parti politiche ci si chiede se non sia uno spreco e un’ipocrisia.

Per questo la deputata di Forza Italia Claudia Porchietto ha proposto un emendamento al decreto Energia che consenta di incominciare a riutilizzare quei giacimenti bloccati da troppo tempo. Soprattutto ora che “la nostra dipendenza energetica ha generato delle situazioni insostenibili”, spiega l’onorevole in un colloquio con GEA. In realtà l’idea era nata già dopo il primo decreto Energia dopo l’avvio della guerra in Ucraina, ma in quel caso “abbiamo dovuto ritirare gli emendamenti perché il Governo non ci permetteva di andare oltre. Diciamo che adesso ci riproviamo per vedere se riusciamo a giungere a compimento rispetto a una necessità che abbiamo”.

Porchietto è diretta nello spiegare i motivi dell’emendamento: “Stiamo parlando di giacimenti che sono nella nostra disponibilità e che non stiamo utilizzando, ma lo sta facendo qualcun altro al nostro posto. Ci sembra surreale in un momento in cui il costo di energia e carburanti sta crescendo a dismisura. Noi abbiamo un’opportunità che non stiamo sfruttando. Abbiamo maxi giacimenti nell’Adriatico che vengono utilizzati dalla Croazia e non da noi. Ci sembra surreale”.

L’obiezione maggiore, però, viene dal timore che nel 2002 portò al divieto: la paura che le attività estrattive del metano in mare potessero fare sprofondare Venezia e la sua laguna. “Condividiamo il mantra del dover essere sempre meno impattanti dal punto di vista ambientale – risponde Porchietto –, ma in 20 anni la tecnologia è evoluta. Si possono costruire percorsi che non prospettino ciò che si era paventato nel 2002, e che poi in realtà non è avvenuto. La Croazia ha sfruttato ampiamente l’opportunità. Credo sia ora di cominciare a lavorare anche noi per trovare percorsi alternativi alla ricerca di gas. È assurdo non poter sfruttare questa situazione. Noi ci siamo posti molti problemi, la Croazia no. Ora, forse, due riflessioni le possiamo fare”.

Anche perchè, secondo la deputata di Forza Italia, si potrebbe trattare di una “situazione transitoria, che potrebbe dare un po’ di respiro. Dobbiamo matchare le soluzioni. Quando parliamo della possibilità di sostituire il gas russo con fonti rinnovabili italiane, sono d’accordo. Assolutamente. Ma quando? Non domani mattina. E quindi ci sono una serie di valutazioni che bisogna iniziare a fare, altrimenti diventa molto difficile”.

Per il futuro del suo emendamento, Porchietto è ottimista, visto che al senato il collega del Pd Stefano Collina ne ha presentato uno molto simile: “Non sono l’unica ad aver immaginato di poter promuovere questo percorso. Quello di Collina e il mio sono due emendamenti diversi che vanno nella stessa direzione. Noi segnaleremo domani l’emendamento, io spero che ci sia una convergenza ampia anche perché se no diventa difficile immaginare come il collega Collina possa muoversi se i suoi colleghi alla Camera non fanno altrettanto”.

Gas, Draghi in Israele e Palestina per consolidare Italia hub Ue

La strategia energetica italiana passa anche da Israele. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è a Tel Aviv, dove ha incontrato il presidente dello Stato di Israele, Isaac Herzog, prima di intervenire al Tempio Italiano di Gerusalemme, dove ha garantito che “il governo è impegnato a rafforzare la memoria della Shoah e a contrastare le discriminazioni di ogni tipo contro gli ebrei“, perché “in momenti di crisi, di incertezza, di guerra, come quello che stiamo vivendo, è ancora più importante opporsi con fermezza all’uso politico dell’odio“.

Il premier, poi, ha fatto visita al Museo di arte ebraica ‘Umberto Nahon’ e alla Sinagoga italiana, incontrando i rappresentanti della comunità italiana e ponendo la firma firma sul Libro d’onore. Infine, per la prima giornata di visita diplomatica ha avuto un incontro alla Knesset con il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, che lo accoglie con un tweet, che inizia con una frase in italiano: “Buonasera primo ministro e benvenuto in Israele“. Poi un messaggio, nella sua lingua madre, dal contenuto più che benaugurante: “Italia e Israele intrattengono rapporti lunghi e cordiali e di cooperazione economica, di sicurezza e culturale – scrive Lapid -. Continueremo a lavorare insieme per rafforzare e approfondire le relazioni tra i nostri Paesi“.

Oggi, invece, è in agenda il vertice tra Draghi e il primo ministro, Naftali Bennett, poi il trasferimento a Ramallah, per il summit con primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, cui seguirà la cerimonia di firma delle intese bilaterali tra Italia e Palestina. Tra gli obiettivi della missione diplomatica c’è sicuramente il rilancio del progetto del gasdotto che potrebbe portare nuove, importanti forniture dal maxi-giacimento Leviathan in Europa, tramite un’infrastruttura che trasporti il Gnl dalle acque a largo di Israele. Si tratta di un patrimonio di gas naturale liquefatto di circa 600 miliardi di metri cubi: se ci fosse l’accordo, l’Italia – ma anche il Vecchio continente – riuscirebbe nel doppio colpo di incrementare la politica di diversificazione delle fonti energetiche, ma soprattutto darebbe un segnale fortissimo alla Russia, che l’operazione di chiusura delle forniture da Mosca sarebbe prossima a completarsi.

C’è ancora molto da lavorare, però, perché non è affatto risolto uno dei problemi più pesanti da sostenere. Il gasdotto EastMed, che ad oggi rimane ancora sulla carta, con i suoi 5 milioni di dollari circa di costi, ma soprattutto un progetto che stenta a decollare, perché prevede un passaggio per Cipro e Grecia. Molto dipenderà anche dall’atteggiamento che assumerà la Commissione europea, tant’è vero che la presidente Ursula von der Leyen è sbarcata in Israele per discutere di “energia e sicurezza alimentare, intensificando la cooperazione in materia di ricerca, salute e clima“. Sull’opera, comunque, rimangono le riserve (per usare un eufemismo) della Turchia. E anche degli Stati Uniti. Una partita non facile, dunque, che Draghi sta provando a giocare con il suo peso istituzionale. Perché il tempo delle scelte è adesso.

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Made in Italy tarocco: due prodotti tricolori su tre sono falsi

Vero o falso made in Italy? Al ristorante, al supermercato, in enoteca o in macelleria: occorre fare sempre più attenzione nella scelta degli alimenti da mangiare o acquistare. Arriva da Coldiretti e ‘Filiera Italia‘ l’allarme relativo alla crescente diffusione di prodotti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale. Per colpa del cosiddetto ‘italian sounding‘ – stima l’associazione – sale a 120 miliardi il valore del falso made in Italy agroalimentare nel mondo. Ormai, purtroppo, due prodotti tricolori su tre sono falsi e senza alcun legame produttivo e occupazionale con il nostro Paese.

Nella top ten degli alimenti più taroccati troviamo anche:

  • Il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. La produzione delle copie di questi formaggi ha superato quella degli originali: dal parmesao brasiliano al reggianito argentino fino al parmesan diffuso in tutti i continenti;
  • I salumi più prestigiosi, come il prosciutto di Parma o la mortadella Bologna, storpiata come mortadela e con indicazioni geografiche false come siciliana o con carne diversa da quella di suino;
  • Vini: dal Chianti al Prosecco, che non è solo la Dop al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova.

 

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Il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy, a denominazione di origine alle esportazioni e alla crescita del Paese, potrebbe essere nettamente superiore con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale”, ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. Ponendo un freno al dilagare dell’agropirateria a tavola si potrebbero creare ben 300mila posti di lavoro in Italia.