edilizia

La povertà energetica affligge 30 milioni di persone in Ue

Non poter tenere accesi i riscaldamenti per il tempo che servirebbe, o addirittura non poterli accendere affatto. Un problema che affligge oltre 30 milioni di persone in tutta l’Unione europea. Un fenomeno, quello della povertà energetica, anche non semplice da quantificare. Sono sempre mancati sistemi efficienti di dati, e tra i Ventisette è sempre mancata una definizione univoca di ‘povertà energetica’ con criteri armonizzati di calcolo e misurazione. La Commissione europea ha provato a fare un censimento, e il risultato, aggiornato al 2018, parla di 33,8 milioni di persone in questa condizione (dato a 27, senza il Regno Unito poi uscito dall’Ue), non in grado di vivere in ambienti caldi. Ma le stime realizzate successivamente, nel 2020, vedono interessato l’8% della popolazione dell’Ue, vale a dire circa 35,8 milioni di cittadini e cittadine dei diversi Paesi. Un dato aggravato dalla pandemia e dalla cresciuta domanda per consumi spostati dall’ufficio professionale allo studio domestico, e in prospettiva, complice il caro-prezzi, la dimensione del fenomeno potrebbe crescere ancora.

La povertà energetica è una delle principali sfide dell’Unione europea”, riconoscono i tecnici dell’esecutivo comunitario nei loro documenti di lavoro, quelli che accompagnano le scelte del collegio e le proposte di misure. Ed è innegabile che la soluzione non è né semplice né immediata, perché la povertà energetica “è il risultato di più fattori”, quali bassi livelli di reddito, bollette elevate, edifici vecchi dalle grandi dispersioni. Servirà un mix di misure, che passano da una riforma del mercato del lavoro e interventi sui salari, calmierazione dei prezzi, ristrutturazioni. La transizione verde, dunque, soprattutto per quanto riguarda efficienza energetica nell’edilizia e produzione di rinnovabili “è sia una sfida, sia un’opportunità”. Di questo a Bruxelles sono convinti.

Velocizzare le riforme necessarie in termini di sostenibilità, potrà permettere di strappare i cittadini dalla povertà energetica e invertirne l’andamento del tasso. Intanto però c’è il corrispettivo di oltre metà Italia alle prese con la carenza di energia che servirebbe per vivere comodamente. I 33,8 milioni del 2018 e i 35,8 milioni del 2020 rappresentano anche più abitanti del Benelux, o, per fare ancora un altro paragone, una fascia di popolazione più ampia di quella di Paesi scandinavi (Danimarca, Finlandia e Svezia) e repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania) messi assieme. Spetterà anche all’Italia il compito di trovare una risposta a tutto questo, dato che il Paese è sesto nell’Ue per quota di famiglie incapaci di mantenere l’abitazione adeguatamente riscaldata o climatizzata. Il tasso tricolore risulta al 14,1%. Peggio solo Bulgaria (33,7%), Lituania (27,9), Grecia (22,7%), Cipro (21,9%) e Portogallo (19,4%). Risalta come l’Italia sia l’unica delle principali economie dell’eurozona a registrare così tanti cittadini affetti da povertà energetica. Nel piano nazionale d’azione per l’energia e il clima notificato alla Commissione alla fine del 2019, l’allora governo Conte confermava intenzione e impegno a contrastare il fenomeno, ma poi quel governo è caduto, è sopraggiunta la guerra in Ucraina con le ripercussioni sui prezzi dell’energia, e da ultimo la crisi del governo Draghi. Tutte cose che certamente non agevolano il compito.

montagna

Montagne in pericolo: sempre più crolli, il caldo può essere una concausa

Scalare le vette alpine sta diventando sempre più pericoloso. Prima il crollo del seracco del ghiaccio della Marmolada che il 3 luglio scorso ha fatto 11 vittime, poi la frana sul Cervino avvenuta il 2 agosto a quota 3.715 metri, infine una frana di grandi dimensioni che si è verificata nel primo pomeriggio del 3 agosto in val Fiscalina, nelle Dolomiti di Sesto in Alto Adige.

Alla luce di questi eventi, il 14 luglio a causa delle condizioni in alta quota legate alla siccità e al connesso rischio di crolli, in via precauzionale le società Guide alpine del Cervino e di Courmayeur hanno sospeso la vendita della salita alla vetta del Cervino e del Monte Bianco, le vie per il Dente del Gigante e la Cresta di Rochefort. Ieri invece il sindaco di Saint-Gervais, in Francia, ha disposto la chiusura dei rifugi di Tete Rousse e del Gouter, lungo la via normale al Monte Bianco più frequentata. Appena qualche giorno prima aveva annunciato una cauzione da 15mila euro per eventuali spese di soccorso e sepoltura per quegli alpinisti che si arrischiavano a salire.

Anche secondo il sindacato delle Guide Alpine il caldo eccessivo e prolungato delle ultime settimane può essere il responsabile della più debole tenuta del permafrost sulle pareti delle vette più elevate. Il permafrost è il substrato costituito da rocce e ghiaccio tenuto insieme dal gelo, che caratterizza il corpo delle montagne al di sopra dei 3.300-3.500 metri.

Per Daniele Giordan, ricercatore del Cnr Irpi, raggiunto da GEA, “il perdurare dello zero termico a quote molto elevate può costituire un fattore destabilizzante aggiuntivo, ma non è la causa principale delle frane, può essere invece una concausa. Il crollo delle montagne, non solo delle Alpi, è infatti un processo naturale; questi fenomeni in estate si sono sempre verificati. La sensibilità attuale però, dopo i fatti della Marmolada, deve far aumentare l’attenzione su questi processi fisiologici. Va ricordato come in realtà il trend climatico attuale ed estremamente evidente, costituisca un elemento di disturbo aggiuntivo, soprattutto a quote più alte. Esistono zone con permafrost, il ghiaccio contenuto nelle fratture della massa rocciosa che fa da collante, che possono venire sottoposte a stress. Ma l’elemento su cui ragionare è che queste condizioni stanno facendo aumentare la quantità di rischi aggiuntivi. Le montagne non sono zone a rischio zero, tanto è vero che nei giorni precedenti al crollo sul Cervino, le guide alpine avevano smesso di utilizzare la via principale per la salita in vetta. Allo stato attuate delle cose dunque vanno prese in considerazione cautele aggiuntive. In queste condizioni è necessario valutare con estrema attenzione gli itinerari da seguire e le vette che si vogliono scalare, quindi è fondamentale affidarsi ai consigli e all’accompagnamento di guide esperte“.

Quindi, cosa porta le montagne a frammentarsi?

Gli esperti spiegano che le catene montuose non sono elementi statici, ma corpi vivi. Ma la destabilizzazione delle pareti rocciose non è un fenomeno che si verifica all’improvviso; a un occhio inesperto potrà sembrare così, perché si valuta solo il momento della frana, ma l’evento ‘cedimento’ è invece il risultato di un lungo processo che può durare diverse migliaia di anni. A seconda della struttura delle rocce e della topografia i processi di erosione possono agire in modo più lento o più veloce. In alta montagna assumono poi un ruolo importante anche i ghiacciai e il permafrost. Diversi fattori possono portare alla formazione e all’apertura di fessurazioni, tra questi le variazioni di temperatura nell’alternanza delle stagioni, la pressione del ghiaccio nelle fessurazioni (pressione criostatica), l’erosione ad opera dei ghiacciai, i cambiamenti dei livelli dei ghiacciai e le intense precipitazioni.

Secondo l’istituto svizzero per lo studio della neve e delle valanghe (Slf), il riscaldamento climatico accelera alcuni processi: “In molti luoghi – spiega infatti la dottoressa Marcia Phillipssi osserva un aumento della temperatura del permafrost roccioso, come evidenziato dalle misurazioni dell’Slf e della rete di rilevamento Permos presso diverse località delle Alpi svizzere. Questo avviene all’incirca nella stessa misura in cui si innalza anche la temperatura dell’aria. Quando il ghiaccio si riscalda, la sua azione stabilizzante sulle fessurazioni perde efficacia. Poco sotto gli 0° la sua stabilità diminuisce rapidamente. In questo modo i versanti montuosi ripidi possono diventare instabili, con un conseguente aumento dei crolli di rocce nelle regioni caratterizzate dal permafrost. I ghiacciai possono fornire un supporto meccanico alle pareti rocciose. Lo scioglimento dei ghiacci in seguito al riscaldamento globale fa venir meno tale sostegno, per cui la roccia già fragile può in alcuni casi crollare“.

Arriva l’apice del caldo ma da domenica 10° in meno al Nord

Il 10 maggio per l’Italia è iniziata una delle peggiori e lunghe fasi calde degli ultimi anni, forse più intensa anche di quella dell’estate 2003: faremo i conti alla fine della stagione, ma numerosi record di caldo sono stati stracciati, polverizzati. Ben cinque ondate di calore africano hanno investito il nostro paese senza significative interruzioni, con temperature vicine o superiori ai 40° all’ombra: siamo più caldi di alcune zone del Marocco, abbiamo il mare bollente quasi come il Mar Rosso ed il Golfo Persico, Genova e molte altre città italiane registrano notti tropicali da giugno senza interruzione. Lo zero termico che ha raggiunto i 5.000 metri e stabilmente si è posizionato sui 4.800 metri da metà luglio, portando valori positivi di temperatura anche sul Monte Bianco, la montagna più alta d’Europa. Insomma di freddo e pioggia abbiamo perso il ricordo.

Poi, all’improvviso, dalla Svezia, un colpo di scena. Una rapida incursione di aria leggermente più fresca dalle terre vichinghe provocherà dei temporali ad iniziare dal Nord: i fenomeni potranno essere anche intensi a causa dello scontro con l’aria umida, appiccicosa e calda presente al momento nel catino padano.

Antonio Sanò, direttore e fondatore del sito www.iLMeteo.it, conferma dunque che l’attuale ondata di calore sarà molto intensa, ma di durata inferiore rispetto alle precedenti: al Nord avremo un calo delle temperatura già domenica, al Centro da lunedì e probabilmente da martedì torneremo a respirare anche al Sud, pure con qualche pioggia sparsa.

In sintesi, nelle prossime 24-36 ore vivremo l’apice del caldo con picchi di 38-40°C all’ombra, in particolare su Pianura Padana, Toscana, Umbria e Lazio: domani qualche primo temporale potrebbe già raggiungere le pianure del Nord, specialmente dal pomeriggio verso il Triveneto. Domenica sarà comunque la giornata della svolta al settentrione: dalla Svezia i temporali dovrebbero raggiungere Alpi e pianure già nella notte e fino alla prima parte della giornata in modo a tratti anche intenso; in seguito il tempo sarà più fresco e variabile con qualche acquazzone diretto anche verso la Toscana. Da lunedì gradualmente le correnti ‘vichinghe’ sono poi attese verso il resto del Centro ed al Sud dove potrebbero portare fresco e piogge sparse.

In questo contesto più dinamico troveremo, se la previsione sarà confermata, anche del vento più secco da Nord-Est soprattutto sulla fascia adriatica, ottimo per percepire temperature più ‘allegre’ e gradevoli.

siccità

Mai luglio tanto caldo e siccitoso: allarme dal Piemonte al Trentino

Primi del mese, tempo di bilanci del mese precedente. Le agenzie regionali per l’ambiente di Veneto e Piemonte insieme a Meteotrentino per il Trentino hanno diffuso i loro bollettini sulla situazione climatica del mese di luglio e sono dei veri bollettini di guerra: temperature ai massimi, portate dei fiumi ai minimi e scarsità di precipitazioni. Che la situazione stesse così i cittadini e le aziende agricole del nord Italia l’avevano già capito, ma ora c’è la certificazione degli esperti del settore.

Arpa Veneto già ieri aveva detto che per riequilibrare il deficit di precipitazioni, ad agosto dovrebbero cadere 477 mm di pioggia, oggi invece, sul fronte delle temperature, ha certificato che il mese scorso è stato il luglio più caldo degli ultimi 30 anni, battendo il record del 2015. “Sulla base dei dati della rete di stazioni Arpav – spiega l’agenzia per l’ambiente – il mese di luglio risulta infatti il più caldo dell’ultimo trentennio per quanto riguarda le temperature massime (il precedente record era del luglio 2015), mentre per le temperature minime si configura come il secondo luglio più caldo dopo quello del 2015. Luglio 2022 è più caldo di quello del 2003, in cui i picchi di temperatura erano stati registrati soprattutto a giugno e nella prima metà di agosto“.

Situazione analoga anche in Trentino, dove Meteotrentino ha riferito che “luglio 2022 è risultato con temperature molto superiori alla norma. La temperatura media mensile non è stata però da record risultando ovunque poco inferiore al massimo: il luglio più caldo è stato ovunque quello del 2015, fatta eccezione per Trento Laste dove il record, seppur di solo un decimo di grado, è ancora quello del luglio 1950. Da evidenziare però che a Trento Laste non si era mai registrata una temperatura minima così alta. La minima assoluta del mese di 16,4 °C è stata registrata il 9 luglio e risulta la più alta mai registrata; il record precedente era 16,0°C nel 1967“.

Il mese di luglio del 2022 dunque sarà ricordato per le temperature molto elevate, per le scarse precipitazioni fino al giorno 24, per il perdurare quindi del periodo siccitoso e per gli incendi che si sono verificati in diversi boschi soprattutto prima delle precipitazioni iniziate il giorno 25“.

Anche Arpa Piemonte ha certificato numeri record: “Analizzando i dati dell’anno 2022 – spiega l’agenzia per l’ambiente -, sul Piemonte sono caduti nel periodo 1 gennaio-31 luglio circa 272 mm medi di pioggia e/o neve, a fronte di una norma climatica del medesimo periodo che si assesta sui 528 mm, con un deficit significativo, pari al 49%, rispetto al valore medio degli ultimi 30 anni“. Concentrandosi sul mese di luglio, sull’intero bacino del Po chiuso alla confluenza col Ticino sono caduti in media 44 mm di pioggia, con uno scarto del 23% rispetto alla media storica mensile degli ultimi 70 anni”.

Dal punto di vista delle temperature, il mese appena trascorso si pone come il secondo luglio più caldo degli ultimi 65 anni, dopo quello del 2015, ma se consideriamo l’intero trimestre maggio-giugno-luglio, i tre mesi appena terminati sono stati nel complesso i più caldi mai osservati con la rete meteorologica di Arpa Piemonte, superando i trimestri corrispondenti del 2003 e il 2015. Soltanto per due brevi periodi ad inizio e fine di maggio, le temperature giornaliere sono state al di sotto della norma climatica 1991-2020: in tutte le altre giornate le temperature sono state al di sopra della norma, con 3 periodi record attorno alla metà di ciascuno degli ultimi tre mesi“.

Anche l’associazione nazionale dei Consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi) ha evidenziato come la situazione sia stata e lo sia ancora, drammatica nel nord del Paese. In Valle d’Aosta ad esempio l’indice SPI (Standard Precipitation Index) a lungo termine (12 mesi) indica livelli di siccità estrema per tutta la fascia centro-meridionale della regione (fonte: Centro Funzionale Regionale), facendo tornare la mente al periodo medievale, quando in quei territori crescevano gli ulivi. Le recenti piogge hanno portato la media mensile di luglio a 25 millimetri, cioè circa il 30% di quella storica. Le precipitazioni fin qui registrate nel 2022 sono prossime ad inedite performances negative, ma le alte temperature, favorendo lo scioglimento anche delle nevi perenni, hanno per paradossale conseguenza, una delle stagioni più favorevoli per la Dora Baltea. Nel mese appena concluso la temperatura media è stata di ben 3 gradi superiore alla norma, sfiorando addirittura i 40 gradi nelle località Saint Marcel e Saint Christophe.

Ancora a proposito di record, la portata media del fiume Po a Pontelagoscuro (ultimo rilevamento prima del delta) è stata, in luglio, pari a 160,48 metri cubi al secondo, cioè addirittura il 32,29% in meno del precedente record negativo di portata media mensile, registrato a luglio 2006. Non solo: quest’anno è stato toccato anche il nuovo record di portata minima con soli 104,3 metri cubi al secondo (24 luglio). Tra i laghi del Nord continua a decrescere il livello del lago Maggiore (rimane solo il 10,8% di risorsa ancora utilizzabile), mentre il Lario segna -0,6% sullo zero idrometrico (nuovo apice negativo: – cm. 39.9), il Garda è al 29,3% e l’Iseo è al 5,7% del riempimento. Il fiume Po, corroborato da temporali localizzati, ha registrato leggeri aumenti di portata, ma le rilevazioni più recenti dimostrano quanto effimeri siano i benefici che le piogge hanno apportato (in Piemonte sono caduti circa 30 millimetri di pioggia in 7 giorni, nel Ferrarese meno di 17 millimetri in un mese).

(Photo credits: Marco SABADIN / AFP)

tubo

Arriva il primo tubo da giardino al mondo carbon neutral. Ed è italiano

La transizione ecologica passa anche dalle piccole cose. Come un tubo da giardino. Si chiama Fitt Force ed è il primo accessorio di questo genere al mondo totalmente carbon neutral, realizzato applicando i principi fondamentali dell’ecodesign, ovvero riduzione, riutilizzo, riciclo. È prodotto con un innovativo elastomero termoplastico (TPV), che permette di utilizzare il 50% in meno di materie prime e di ridurre del 43% le emissioni di CO2 rispetto alla produzione dei tradizionali tubi in Pvc. Ha un volume del 70% inferiore ai tubi da giardino presenti sul mercato ed è senza polivinilcloruro e plastificanti. L’idea, nata dall’azienda Fitt guidata dal ceo Alessandro Mezzalira – con sede centrale a Sondrigo (Vicenza) e siti produttivi in tutta Europa – è l’espressione concreta di un nuovo modello di sviluppo aziendale che, in questo caso, ha portato il gruppo, lo scorso anno, a diventare società benefit. Ma cosa significa? “Abbiamo cambiato lo statuto aziendale – dice a GEA Sarah Colpo, Group Brand Manager e Sustainability Officer – e ora, oltre agli obiettivi di profitto, vogliamo avere un impatto positivo sull’ambiente e sulla società. E’ cambiato completamente il modo di fare business ed è cambiata la nostra vision”. Già, la visione che, nel caso di Fitt “è altissima: rendere il mondo un posto migliore. E’ un percorso iniziato nel 2019 – dice Colpo – inserendo la sostenibilità” tra i capisaldi che guidano il modello di sviluppo. Si va dalla costituzione di “un comitato interno trasversale, che si riunisce ogni 15 giorni”, all’attenzione altissima verso “il benessere dei dipendenti”, che si traduce, ad esempio con 3 giorni alla settimana di smart working (la cui sperimentazione era iniziata prima della pandemia). Ma non solo. “Supportiamo le realtà del territorio – dice la manager – e in modo particolare attività che riguardano le donne, i giovani e le persone con disabilità”. L’azienda collabora, ad esempio, con la Fondazione Città della Speranza di Padova e con l’associazione Women for freedom, oltre a organizzare progetti educativi rivolti alle scuole medie, nelle quali “facciamo lezioni di sostenibilità”. E, ancora, grazie alla partnership con alcuni stakeholder, sono stati avviati progetti in diverse parti del mondo. A Dakar, in Senegal, Fitt ha contribuito alla realizzazione di una piscina sociale per 2mila bambini in grande povertà.

Il tubo da giardino – che è stato lanciato in Francia grazie a un accordo con Leroy Merlin e in Italia è disponibile online – è stata una sperimentazione, ma il successo ha spinto l’azienda a proseguire lungo questa strada. L’obiettivo, dice Colpo, “è raggiungere la carbon neutrality per tutti gli stabilimenti italiani al 2025 e per tutti gli stabilimenti del gruppo entro il 2030”. Intanto, però, la linea è già stata tracciata. “Dal 1° luglio 2021, in tutti gli stabilimenti italiani il 100% di energia elettrica acquistata è infatti ricavata da fonti rinnovabili– racconta la manager di Fitt – e vogliamo raggiungere l’indipendenza energetica grazie al fotovoltaico”. Necessità, spiega, che “è stata accelerata dalla crisi geopolitica attuale”. Inoltre, per quanto riguarda l’utilizzo di materia prima seconda, ogni anno Fitt impiega più di 8.000 tonnellate di granulo di Pvc rigenerato, il 30% del quale proviene da processi di trasformazione sviluppati internamente – con il riuso totale dei propri scarti di produzione – e il restante 70% deriva da scarti di altri mercati, come l’automotive e l’edilizia. 

In attesa di azzerare la propria impronta di carbonio, il gruppo compensa le proprie emissioni di Co2 con l’acquisto di crediti certificati. Nel caso del tubo da giardino, la compensazione è avvenuta attraverso con carbon credit certificati da Gold Standard, generati dal progetto Water is Life che porta acqua potabile, sicura e pulita alle famiglie che vivono nel villaggio di Betsingilo, una delle zone più povere di tutto il Madagascar. Ogni FITT Force carbon neutral compensa 8 kg di CO2 e porta 10 litri di acqua potabile in Madagascar. Dal 2023 e fino al 2025 saranno presentati altri due prodotti carbon neutral in Europa e due negli Stati Uniti

Gualtieri

Più differenziata e meno discarica: il Piano gestione rifiuti di Roma

Un Piano per la gestione integrata dei rifiuti e la pulizia di Roma Capitale per risolvere una situazione che il sindaco Roberto Gualtieri definisce “senza eguali in Europa per inefficienza, impatto ambientale negativo e costo esagerato”. La proposta è stata presentata dal primo cittadino e ha come obiettivi la riduzione della produzione di rifiuti, l’aumento della differenziata, del riciclo e del recupero energetico, la realizzazione di un sistema impiantistico integrato per rendere autosufficiente il territorio, la drastica riduzione del conferimento in discarica, l’abbattimento delle emissioni di gas serra, il miglioramento dell’intero sistema della raccolta.

Gualtieri prevede l’approvazione del Piano il 15 ottobre. La roadmap vede il 12 agosto l’avvio la procedura di valutazione ambientale strategica. Il 30 settembre si concluderà la consultazione finalizzata alla raccolta delle osservazioni nell’ambito della procedura di Vas. Entro la fine del mese di ottobre sarà definito il piano industriale di Ama che rappresenta il riferimento fondamentale per l’attuazione del Piano Rifiuti.

termovalorizzatore

GLI OBIETTIVI DEL PIANO

Tra i primi obiettivi del Piano Rifiuti commissariale c’è l’incremento del tasso di raccolta differenziata, dal 45,2% attuale al 65% nel 2030 e al 70% nel 2035. Un processo che passa attraverso l’ottimizzazione della logistica e la razionalizzazione del servizio di raccolta. Per quanto riguarda la riduzione nella produzione di rifiuti il Piano punta ad un abbattimento dell’8,3% in otto anni, da 1,69 mln di tonnellate l’anno a 1,55 mln nel 2030 e 1,52 nel 2035, attraverso accordi con i settori produttivi, campagne di comunicazione, centri del riuso. Il Piano consentirà una sensibile riduzione dei rifiuti che non è possibile avviare al riciclaggio di circa un terzo, passando da 1 milione di tonnellate l’anno del 2019 a oltre 700mila tonnellate nel 2030 che si potrà ridurre ulteriormente a circa 660mila nel 2035. Strategici gli obiettivi legati ad un rendimento elevato del recupero di materia da raccolta differenziata (65% al 2035), basato su una qualità migliore dei conferimenti, a partire dal recupero del servizio destinato alle Unità non domestiche (attività commerciali), oltre che al ricorso a nuovi impianti. Altrettanto importante sarà il recupero dalle frazioni organiche avviate ai nuovi impianti di digestione anaerobica (compost e metano), e la gestione efficiente degli scarti degli impianti di selezione di frazioni secche. Questo contribuirà ad una netta riduzione del conferimento di rifiuti in discariche, che saranno così destinate al solo smaltimento degli scarti non destinabili a recupero energetico, passando da 500mila tonnellate a 23mila nel 2030, fino a circa 24mila nel 2035. Tali risultati consentiranno di andare ben oltre gli obiettivi fissati dall’Unione Europea, che individuano una percentuale massima del 10% di ricorso alla discarica entro il 2030; Roma Capitale, partendo dal 30% attuale, raggiungerà il 4,8% nel 2030 e il 3,2% nel 2035. Lo scenario descritto dal Piano porterà ad una riduzione del 90% circa delle emissioni di CO2, rispetto allo ‘scenario 0’ (raccolta differenziata al 65% ma con la situazione impiantistica immutata) e ancora di più rispetto a quello attuale con la differenziata al 45%. Il contributo al percorso di Roma verso la neutralità climatica arriverà grazie al recupero di energia da rifiuti residui, alla diminuzione sostanziale di emissioni di gas climalteranti, alla chiusura delle discariche. Fondamentale anche l’ottimizzazione dei trasporti, grazie all’eliminazione delle lunghe percorrenze per il conferimento ad impianti collocati fuori regione e all’estero.

COMPLETAMENTO DELLA RETE IMPIANTISTICA

Il Piano prevede la realizzazione di impianti basati sulle migliori tecnologie di settore disponibili. Da quelli di selezione di carta e plastica da raccolta differenziata ai biodigestori anaerobici. Le attività di progettazione per la realizzazione di questi impianti sono affidate ad Ama che ha partecipato ai bandi PNRR per il loro finanziamento. Verranno realizzati nelle aree di Rocca Cencia e Ponte Malnome due impianti di selezione delle frazioni secche da raccolta differenziata da 200mila tonnellate complessive (carta, cartone e plastica) con un investimento totale di 43 mln di euro. A Cesano e a Casal Selce di 2 impianti per la digestione anaerobica della frazione organica (produzione biometano per trasporti e di compost per agricoltura), da 200mila tonnellate complessive, per un investimento di 59 milioni di euro ciascuno.

TERMOVALORIZZATORE

Il nostro obiettivo – ha spiegato Gualtieri – è di avviare l’operatività del termovalorizzatore entro la fine 2025 e di avere una piena operatività nel 2026”. Per quanto riguarda il terreno sul quale sorgerà, “stiamo completando le procedure di individuazione e selezione”, ha aggiunto. L’impianto tratterà i rifiuti indifferenziati residui e gli scarti non riciclabili derivanti dagli impianti di selezione e trattamento. Avrà una capacità di trattamento di 600mila tonnellate annue e sarà realizzato adottando la tecnologia di combustione più consolidata e ad alta efficienza per il recupero energetico con i sistemi più avanzati per la riduzione delle emissioni in atmosfera; allo stesso tempo saranno gestite ceneri da combustione e si avvierà la sperimentazione per la cattura di anidride carbonica. L’investimento complessivo sarà di circa 700 milioni di euro ai quali si aggiungeranno ulteriori 150 milioni circa per la tecnologia di trattamento e riciclo degli scarti di lavorazione.

pioggia

Caldo in escalation fino a 40°: ma da domenica tornano i temporali

Breve fortissima fiammata africana con punte di 38-40°C e caldo insopportabile. Ma all’orizzonte arriva una buona notizia: da domenica il possente anticiclone africano potrebbe perdere potenza e lasciare spazio a temporali e veloci rinfrescate ad iniziare dal Nord. Le prossime ore vedranno l’ulteriore espansione di un cuneo di alta pressione nordafricana (con temperature 10-12°C superiori alle medie del periodo) lungo un asse sudovest-nordest: l’ondata di calore investirà in modo intenso Francia, Germania e regioni alpine. Anche in Italia vivremo una breve fortissima fiammata africana fino a sabato in estensione graduale dal centro-nord verso il meridione.

Gli ultimi aggiornamenti modellistici indicano la probabilità di un parziale cedimento del campo anticiclonico africano da domenica, con l’arrivo di temporali a tratti intensi al Nord: potremo avere anche un calo delle massime di 7-8°C. Buona notizia seguita da un’altra altrettanto buona: la prossima settimana, temporali e calo delle temperature potrebbero interessare quasi tutta l’Italia, soprattutto nel pomeriggio.

Andrea Garbinato, Responsabile Redazione del sito www.iLMeteo.it, conferma la possibilità di rovesci dalle Alpi alla Sicilia per la prossima settimana, in un contesto più tardo primaverile che estivo: al mattino prevalenza di sole, nel pomeriggio acquazzoni a macchia di leopardo. Va detto che, essendo nel periodo del Solleone, quello climatologicamente più caldo per l’Italia, le temperature massime saranno ancora ben oltre i 30°C, ma decisamente più sopportabili.

mare liguria

Allarme mari italiani: tra i più caldi al mondo, 29-30 gradi come Caraibi

Il sole picchia duro, anche sull’acqua. L’ondata di calore dell’estate 2022, infatti, consegna alle cronache nuovi record negativi: secondo l’analisi della redazione di ilmeteo.it, la temperatura dell’acqua dei mari italiani ha raggiunto i 29-30 gradi centigradi, come quella del clima dei Caraibi, con 10 gradi in più rispetto alle coste californiane. Il clima fuori controllo, con la continua estrema espansione dell’anticiclone nordafricano verso il Mediterraneo, ha causato un aumento della temperatura dell’acqua fino a valori bollenti, eccezionali. L’acqua è così calda che difficilmente troviamo refrigerio anche al largo, neppure immergendosi di qualche metro l’acqua sembra quella di qualche anno fa. E se quest’anno il periodo è eccezionale, con valori fino a 5-6 gradi oltre la norma, l’Agenzia europea dell’Ambiente certifica che stiamo assistendo ad un aumento della temperatura dei mari da più di un secolo: in particolare il Mar Mediterraneo, solo negli ultimi 20 anni, ha fatto registrare un aumento medio di oltre 0,5 gradi, un valore molto alto a dispetto di quello che sembra.

In questo scenario, quale posizione occupa l’Italia tra i mari più caldi del mondo? Acque tropicali leggermente più calde delle ‘nostre’, oltre i 30 gradi centigradi e fino a 32-33 gradi, attualmente si registrano nel Mar Rosso, nel Golfo Persico, nel Golfo del Bengala e nel Mar Cinese Meridionale. Altrove, in particolare sulle coste del Pacifico orientale i valori sono più bassi anche di 10 gradi rispetto ai mari italiani, anche a causa del fenomeno de La Niña. In buona sostanza l’Italia ha uno dei mari più caldi al mondo, in questo momento.

Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLmeteo.it, conferma che questa situazione anomala è legata alla ‘Pazza Calda Estate 2022’, iniziata in anticipo il 10 maggio e proseguita con valori termici eccezionali per quasi 3 mesi senza interruzione. Il calore del sole, l’assenza di perturbazioni o di temporali forti sul mare e l’assenza di venti freschi da Nord hanno bloccato il rimescolamento dell’acqua, non hanno permesso il raffreddamento superficiale del mare e, giorno dopo giorno, hanno fatto accumulare tanto calore: al momento, i bacini più caldi sono il Mar Ligure, il Mar Tirreno e il Canale di Sicilia con temperatura dell’acqua di 30 gradi. Tutto questo si traduce in un enorme stress per il mondo ittico, in stravolgimenti di cui non conosciamo le conseguenze, ma soprattutto di un pericolo reale: avremo temporali marittimi più forti appena arriverà una perturbazione. Il calore del mare infatti si trasformerà in energia per lo sviluppo di nubifragi e/o altri fenomeni violenti: ad essere pessimisti o catastrofisti (non ci piace esserlo, ma questa ricerca è pubblicata in vari articoli scientifici) con acque marine ad oltre 26,5 gradi è più probabile la formazione di Tlc, ovvero Tropical Like Cyclones, piccoli uragani anche sul Mar Mediterraneo.

Negli ultimi anni infatti, con l’aumento della temperatura dell’acqua del Mar Mediterraneo, si sono avuti a ripetizione Tlc, anche definiti Uragani Mediterranei o Medicane: 28 ottobre 2021, Apollo; 17 settembre 2020, Ianos (sulla Grecia), 11 novembre 2019, Detlef ad ovest della Sardegna, 28 settembre 2018, Zorbas a sud della Sicilia e così via con una frequenza che è aumentata sensibilmente a causa dei mari sempre più caldi. In sintesi, prendendola a ridere, è possibile fare una vacanza ai Caraibi senza prendere l’aereo: stesso mare ‘bollente’, simile probabilità (minore, ma in aumento) di trovare un uragano alla fine dell’estate.

ghiacciai

Nel 2100 quasi tutti i ghiacciai lombardi saranno scomparsi

Siccità e cambiamenti climatici non danno scampo: secondo il Servizio glaciologico lombardo nel 2100 (scenario pessimistico) quasi tutti i ghiacciai della Lombardia saranno scomparsi. Il dato emerge dal monitoraggio e dalle stime che il sistema diffonde attraverso il link ‘Scenari futuri’.

In questa sezione dell’Osservatorio si mostra l’evoluzione futura della massa glaciale dell’intera regione Lombardia nei più recenti scenari climatici Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) elaborati da Zekollari et. al. nel 2019. Lo studio mette a confronto tre scenari: il primo è definito ‘Business as usual’, cioè sic stantibus rebus, perché non prevede alcun intervento per il contenimento del cambiamento climatico. Il secondo scenario è mediano e prende in considerazione interventi moderati che non consentono comunque il raggiungimento degli obiettivi di contenimento a +2 °C previsto dall’accordo di Parigi; infine il terzo considera raggiunti gli obiettivi di contenimento. In tutti i casi la prospettiva non è allettante; si va infatti sempre verso la quasi completa scomparsa dei ghiacciai, ma a un ritmo un po’ più lento a seconda delle misure intraprese.

Il Servizio glaciologico prende in considerazione gli oltre 100 ghiacciai lombardi e per ognuno realizza un grafico con i tre scenari. Quelli più indicativi riguardano però i ghiacciai maggiori, come l’Adamello, Forni o Fellaria Palù. Secondo il grafico dell’Adamello, i tre scenari corrono paralleli e crollano intorno al 2050 per azzerare il ghiacciaio intorno al 2060. Il ghiaccio Forni invece nella peggiore delle ipotesi scomparirà poco prima del 2100; secondo lo scenario mediano resterà intorno al 10% a fine secolo e nella migliore delle ipotesi al 2100 sarà presente solo il 24% del ghiacciaio originario. L’altro terzo grande ghiacciaio è quello di Fellaria Palù: qui le cose vanno un po’ meglio, nel senso che per lo scenario più ottimistico nel 2100 la massa di ghiaccio sopravvivrà per poco più del 50%; lo scenario mediano lo vede ridotto al 25% nel 2100; quello peggiore completamente estinto alla fine del secolo.

Questi modelli – spiega a GEA il responsabile scientifico del Servizio glaciologico lombardo, Riccardo Scottifunzionano meglio su un ghiacciaio consistente, sono infatti più attendibili. Chiaramente questa è una stima di massima, perché vanno tenute in debita considerazione le variabili annuali con minore o maggiore apporto di neve, ma è innegabile che i ghiacciai si stanno ritirando a ritmo molto sostenuto“. Secondo Scotti questa accelerazione è stata osservata con chiarezza a partire dagli anni Novanta del secolo scorso e poi dal 2003. “Da quelle date – spiega – ci sono state sempre più annate molto negative; in pratica negli ultimi vent’anni i ghiacciai arretrano sei volte più velocemente rispetto alla media degli anni precedenti agli anni Novanta. Chiaramente questo è imputabile al surriscaldamento globale, evento che pare inarrestabile“.

Ma perché i ghiacciai sono importanti? “La loro funzione – prosegue Scotti – è quella di fornire acqua ai fiumi durante l’anno, ma con impatto maggiore durante l’estate; nelle altre stagioni invece i fiumi vengono ingrossati dalle piogge o dallo scioglimento delle nevi. Quindi i ghiacciai sono un prezioso serbatoio di acqua in periodi siccitosi come quello che stiamo vivendo in questi mesi. Si stima che i ghiacciai diano un contributo del 30% ai fiumi, percentuale che sale in estate a causa della scarsità di piogge. Se scomparissero dunque, perderemmo una risorsa d’acqua che serve a tamponare i periodi di siccità estiva“.

Tutto l’arco alpino in questi anni e negli ultimi mesi sta vivendo un periodo di forte disequilibrio naturale a causa del cambiamento climatico. In questa fase di transizione i ghiacciai tendono quindi a sparire e anche il permafrost (il ghiaccio ritenuto perenne) risale.

Non va poi dimenticato un altro aspetto – chiarisce Scotti –: anche se non sembra, i ghiacciai sono degli ecosistemi ricchi di vita; contengono infatti batteri ed alghe poco conosciuti e che forse non conosceremo mai se il ghiaccio continua a sciogliersi a questa velocità. La scomparsa dunque significa anche una perdita ecologica. Poi la loro presenza ha un’importanza anche turistica ed energetica; della loro acqua infatti si arricchiscono i torrenti che producono energia idroelettrica. Questo per quanto riguarda i ghiacciai alpini, se guardiamo invece a quelli molto più estesi a livello globale, la loro perdita significa l’innalzamento dei livelli degli oceani“.

Scotti conclude infine con un’immagine poco confortante per le generazioni future: “Alla fine di questo secolo, osservare la scomparsa dei ghiacciai, non sarà il problema più urgente per l’umanità. Se si sarà infatti giunti a questo punto, significa che la situazione climatica a livello globale sarà drammatica“.

traffico strada

Turismo poco sostenibile, 3/4 dei villeggianti usano ancora l’auto

La mattina di sabato 6 agosto la Polizia di Stato informa che sulle autostrade italiane il traffico sarà da bollino nero, ovvero si prevedono code e forti rallentamenti per il primo grande esodo estivo verso le località turistiche (di mare principalmente). Perché, dagli anni del Boom economico in avanti, l’automobile resta il principale mezzo di trasporto utilizzato dagli italiani per spostarsi lungo lo Stivale, ma anche all’estero. Nonostante la comodità del treno (che permette di rilassarsi durante il tragitto e conduce direttamente nei centri storici delle città) la macchina viene infatti preferita per la sua praticità e per la possibilità di utilizzarla anche nei piccoli spostamenti una volta giunti a destinazione. Il turismo sostenibile, dunque, resta un miraggio, nonostante gli sforzi delle grandi società di trasporti e delle amministrazioni pubbliche.

La macchina viene preferita soprattutto dalle famiglie che con bambini dichiarano di essere più libere e rilassate negli spostamenti, mentre i più giovani tendono a preferire il treno. Secondo lo studio Ispra ‘Flussi turistici per modalità di trasporto’ a fronte di una diminuzione dei viaggi in generale dovuto inevitabilmente al ‘pandemico’ 2020, la scelta dell’automobile, da sempre il mezzo più utilizzato, diventa prevalente per il 73,9% dei viaggi effettuati nel 2020 e del 78,2% di quelli compiuti in Italia. Osservando i dati degli spostamenti in vacanza, ben il 79,6% dei turisti si mette alla guida di un’auto; il 7% viaggia in treno, il 5,2% prende l’aereo, il 2% la nave e il 6,3% altri mezzi di trasporto.

turismo

Anche i turisti che arrivano dall’estero in Italia non sono poi così sensibili all’ambiente. Guardando i dati sull’andamento, nel corso degli anni, delle infrastrutture utilizzate per raggiungere il Bel Paese, si nota come quelle stradali rappresentino oltre il 60% del totale. Dal 1996 al 2003 le infrastrutture stradali sono state preferite da oltre il 70% dei turisti stranieri; dal 2004 il dato è calato a poco più del 60%, fino a restare stabile fino al 2016, per scendere sotto il 60% dal 2017 al 2019. Lo spazio lasciato vuoto è stato occupato dalle infrastrutture aeroportuali, il che significa che molti turisti (quelli extra Ue) hanno raggiunto l’Italia in aereo. Fanalino di coda restano le infrastrutture ferroviarie (assottigliatesi sempre più dal 1996 al 2019) e quelle portuali.

Nonostante l’impennata dei prezzi dei carburanti, gli italiani pare non vogliano rinunciare alla macchina per i loro spostamenti, forse perché vengono da ‘anni pandemici’ che li hanno visti rinunciare o limitare parecchio gli spostamenti e per questo ora vogliono sentirsi liberi. Ma le prospettive sostenibili restano comune buone.

Secondo un recente studio realizzato da ‘EY Future Travel Behaviours’ diffuso in primavera, aumenta infatti rispetto al 2020 l’utilizzo di treno e aereo rispetto ai mezzi personali, ma con livelli ancora inferiori rispetto al 2019, e con alcune differenze per fascia d’età che rivelano un incremento consistente dei voli aerei per gli under 40 (42% contro il 30% del campione totale). Aumentano anche gli spostamenti per lavoro: tra chi viaggia per lavoro, l’auto resta il mezzo più utilizzato (60%), il treno è usato in misura maggiore rispetto al 2019 (55%), mentre solo 1 su 3 si sposta in aereo. Comodità e prezzo sono i principali fattori che influenzano la scelta del mezzo di viaggio, come per la precedente rilevazione, ma, anche se la sicurezza dell’esperienza di viaggio resta importante, quest’ultima tuttavia assume meno rilevanza nelle priorità dei viaggiatori. Aumenta invece l’importanza attribuita alla sostenibilità: il 74% degli individui afferma di aver fatto scelte di viaggio pensando alla sostenibilità in quanto sono preoccupati per le conseguenze delle proprie azioni sul pianeta.

Nel confronto tra auto e treno, si registra un’elevata attenzione dei viaggiatori alle iniziative di riduzione dell’impatto ambientale dei viaggi in aereo, con oltre la metà del campione che ritiene rilevanti quelle relative all’utilizzo di carburanti green, ma si evidenzia anche una disponibilità da parte dei 2/3 degli intervistati a pagare un sovrapprezzo per garantire la compensazione delle emissioni di CO2 dei propri viaggi di breve e lungo raggio.

L’analisi delle attitudini, effettuata con test impliciti, verso un atteggiamento di tipo ‘Environmental Concern’, evidenzia una netta tendenza verso l’adozione di comportamenti eco-friendly ed attenti all’ambiente. Dalle risposte esplicite emerge che il 46% considera importante o molto importante l’impatto sull’ambiente delle proprie scelte, un dato in aumento rispetto alla precedente rilevazione. Anche i test impliciti confermano il trend di crescita della preoccupazione verso i temi ambientali. Infatti, il 75% degli intervistati ha un atteggiamento ansioso verso i problemi ambientali (contro il 67% dello scorso sondaggio).