Agricoltura, Cia chiede un Piano Nazionale: Da tutela filiera a gestione acque

Un Piano Nazionale per l’Agricoltura e l’Alimentazione. Lo Chiede Cia-Agricoltori italiani al governo, durante l’assemblea annuale a Roma. Accrescere peso economico e forza negoziale dell’agricoltura; incentivare ruolo e presidio ambientale del settore; mettere l’agricoltura al centro dei processi di sviluppo delle aree interne; salvaguardare servizi e attività sociali vitali per i territori rurali; consolidare la crescita dell’export agroalimentare Made in Italy. Queste le cinque mosse da cui partire.

Salvare l’agricoltura per salvare il futuro”, osserva il presidente, Cristiano Fini. Perché, precisa, “senza un’agricoltura in salute, viene compromesso il diritto a un’alimentazione sana, sostenibile e accessibile a tutti“.

Credo che quest’anno, a un anno di distanza dall’ultima assemblea, possiamo vantare un risultato, non io come ministro, ma tutti: la sinergia all’interno del governo ha permesso di rimettere al centro l’agricoltura“, rivendica dal palco il ministro Francesco Lollobrigida. Tuttavia, mette in chiaro Fini, “il settore ora vive una crisi generalizzata, tra tante emergenze che acutizzano il divario tra i prezzi pagati agli agricoltori e quelli sugli scaffali dei supermercati, con aumenti che superano anche il 400% dal campo alla tavola”. Cia si candida dunque come interlocutore delle istituzioni per definire il Piano agricolo nazionale “sempre annunciato, ma mai realizzato, in grado di invertire la rotta, collocando finalmente il settore primario tra i protagonisti della filiera agroalimentare, un colosso da circa 550 miliardi di fatturato in cui l’agricoltura prende però solo l’11%”, afferma il presidente. In questo percorso “l’Italia e, soprattutto, l’Europa devono essere dalla nostra parte, abbandonando posizioni e regolamenti ideologici anche in vista delle prossime elezioni Ue. D’altronde – chiosa Fini – se non c’è agricoltura, il Made in Italy non può esistere, scompare il presidio del territorio e le aree interne muoiono. Un rischio che il Paese non può correre”.

A Bruxelles “l’Italia gioca in difesa“, replica Lollobrigida: “Abbiamo criticato l’Europa perché i dati non ci tornavano, non riteniamo giusto pagare coltivatori per non coltivare e pescatori per non pescare. Sacrificare il mondo produttivo in nome di ideologie è stato un errore. Se smettiamo di produrre per non inquinare, i prodotti dobbiamo prenderli da filiere lunghe“, riflette. “In 30 anni abbiamo perso il 30% delle aziende agricole per scelte sbagliate – aggiunge -. All’inizio, su diversi temi, abbiamo preso posizioni isolate, ma alla fine non siamo rimasti isolati“.

Il Piano agricolo presentato da Cia è di respiro pluriennale, da sviluppare secondo cinque assi d’intervento organizzati per obiettivi chiari e relative misure.

Quanto alla gestione delle acque, per Cia è urgente un nuovo Piano di gestione di quelle a uso irriguo, secondo una logica che preveda il trattenimento quando l’acqua è disponibile e il suo utilizzo in periodi di siccità, con una programmazione oltre il 2026 e risorse dedicate all’agricoltura per la crescita del sistema dei grandi invasi (dighe) da considerarsi integrati, e non alternativi, a quello dei piccoli invasi (laghetti). Gli agricoltori trovano anche la sponda del vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. “Il mio obiettivo è arrivare a mezzo miliardo per intervenire sulla dispersione idrica“, da inserire in un emendamento nella legge di Bilancio, “così come nella rimodulazione del Pnrr abbiamo aggiunto un miliardo di euro. Sono convinto che riusciremo a spendere fino all’ultimo centesimo i fondi per il settore idrico”, garantisce.

L’appoggio arriva anche dall’opposizione. “L’agricoltura è sottoposta a uno stress profondo e gli agricoltori sono i primi a sapere che bisogna lottare contro il cambiamento climatico. Ma non possiamo permetterci di lasciarli soli. Occorre fare una conversione ecologica insieme agli agricoltori, che sono presidio dei territori. Un’agricoltura resiliente è più diversificata“, dice la segretaria del Pd, Elly Schlein. “Il cibo è vita e non c’è vita senza cibo di qualità”, scandisce la leader dem. Sul Piano di lavoro il Partito Democratico è pronto, assicura: “Siamo qui e siamo disponibili a lavorare con voi“.

Fine mercato tutelato, Schlein: “È tassa Meloni, rinviare”. Salvini: “Rimediare a errore”

Dal 10 gennaio 2024 si uscirà dal mercato tutelato dell’energia elettrica per passare a quello libero. La scelta del governo di non intervenire, però, fa esplodere la polemica nel dibattito politico. A lanciare il guanto di sfida è il Partito democratico, con la segretaria che chiama in causa direttamente la premier: “E’ una tassa Meloni sulle bollette”, accusa Elly Schlein. La fine del mercato a maggior tutela “tocca la carne viva delle difficoltà di 5 milioni di famiglie e 10 milioni di utenze, sentiamo il bisogno di raccontare bene agli italiani cosa fa il governo”, rincara la dose.

I dem provano a smontare anche lo storytelling per cui la decisione sia frutto degli accordi con l’Europa e un passo indietro rischierebbe di far saltare anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza. “Ci hanno messo 10 mesi per cambiare diversi punti del Pnrr, non capiamo perché su questo non lo abbiano fatto”, eppure “il mondo è cambiato, il Piano è stato scritto quando non c’erano due guerre e una crisi energetica: in che mondo vivono al governo se di questo ce ne siamo accorti solo noi”, rincara la dose Schlein. Che affonda ancora il colpo: “Forse fanno più attenzione agli interessi economici delle grandi società energetiche che a quelli di 5 milioni di famiglie che rischiano di pagare bollette più alte”. La responsabile Clima e Transizione ecologica del Nazareno Annalisa Corrado, poi, lancia un appello all’esecutivo: “Siamo ancora in tempo per tornare indietro, ci ripensino”.

Il Pd ricorda anche i dubbi avanzati da diversi esponenti dei partiti di maggioranza, come Fabio Rampelli di FdI, Claudio Borghi della Lega ma anche in Forza Italia. “Malgrado l’espressione unanime di tutte le forze in Parlamento, che chiedevano un rinvio delle aste, il governo lo ha negato”, aggiunge Corrado. Ma è anche il vicepremier, Matteo Salvini, a intervenire sulla questione, durante una conferenza alla Stampa estera, esprimendo una posizione che non appare totalmente in linea con le scelte prese in Cdm. “Ne ho parlato con il ministro Fitto, conto che questo governo col dialogo e la trattativa con la Commissione europea, riesca a rimediare a un errore che ci siamo trovati sulla scrivania e che rischia di essere impegnativo”, dice alludendo alle intese sottoscritte dal Conte II e confermate dall’esecutivo Draghi.

Immediata la reazione delle opposizioni. “Se Salvini viene a raccontare all’Italia che la mancata proroga del mercato tutelato è stata un errore, siamo veramente alla fiera dell’assurdo e tutto ciò è inaccettabile”, commenta Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde, che prevede un “disastro per 6 milioni di famiglie, costrette a sostenere aumenti di costi insostenibili”. Per i Cinquestelle “gli italiani pagano il regalo del governo alle aziende fossili”, mentre da Avs il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, parla di “vera e propria rapina sociale: una patrimoniale su milioni di italiani”.

Il dibattito è più che mai vivo e, dunque, non mancano le voci dalla maggioranza. In alcuni casi di chi è stato tirato in ballo dalla minoranza. Come nel caso di Fabio Rampelli, deputato FdI e vicepresidente della Camera: “Trovo sorprendenti se non ridicole le accuse di Schlein e Conte. Quando infatti entrambi hanno condiviso la responsabilità di governo (Conte2 e con Draghi) non si sono fatti scrupolo di offrire a Bruxelles lo scalpo della ‘maggiore tutela’ in cambio di non si sa bene quale clausola del Pnrr”. Stesso leitmotiv per il leghista Claudio Borghi: “Trovo incredibile che il Pd giochi a fare l’anima bella sulla fine del mercato tutelato per l’energia. Si tratta di un punto del Pnrr votato anche dal Partito democratico e negoziato dal sottosegretario dem Vincenzo Amendola”.

La partita politica, molto probabilmente, è destinata a restare aperta ancora per giorni, nel frattempo c’è attesa nei cittadini per capire se le cose resteranno così come sono, dunque dal 10 gennaio del nuovo anno tutti dovranno passare al mercato libero, o se Bruxelles possa aprire un canale di dialogo che porti al rinvio, almeno di un anno. In entrambi i casi, il corso del 2024 può cambiare per milioni di italiani.

Nucleare, Pichetto: “Pronti dai primi anni del 2030”. Salvini: “Vorrei centrale a Milano”

Il governo va avanti sul nucleare, nel mix energetico considerato fondamentale per l’indipendenza e per la transizione energetica. L’esecutivo è “convintamente impegnato” sul tema, assicura il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto, “questa è la scelta di fondo”. Secondo il responsabile del Mase, “dai sondaggi il quadro nel Paese è cambiato molto”. Si riferisce ai referendum con cui gli italiani hanno detto No alla tecnologia, bloccando il piano italiano iniziato nel 1959 con la costruzione di quattro centrali, per due volte: prima nel 1987, dopo il disastro di Chernobyl, poi nel 2011. Nel 2022 però l’Europa ha inserito il nucleare tra le attività considerate sostenibili dalla tassonomia verde. La decisione è avvenuta dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la corsa al gas per l’Unione, che si riforniva principalmente dalla Russia. Per la quarta generazione del nucleare, secondo il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, bastano sei o sette anni, se si parte nel 2024: “Ho chiesto ad alcuni tecnici, se noi domani superiamo il dibattito ideologico, il primo interruttore si può accendere nel 2032”, afferma. L’obiettivo è che per quell’anno “tutti i protagonisti siano attorno allo stesso tavolo, perché se ogni ministero fa il suo tavolo non si arriva da nessuna parte”, precisa il ministro. Sulla sicurezza non ha dubbi: “Io da milanese lo vorrei un reattore di ultima generazione nella mia città, perché sono convinto che sia energia pulita, sicura e costante”, sostiene. “L’ho detto 2-3 anni fa, la prima centrale la vorrei a Milano, apriti cielo“, ricorda il vicepremier, che lancia un segnale politico: “è facile dire sì al nucleare, ma nella provincia a fianco”.

E’ d’accordo Pichetto: “Non ho assolutamente problema a dire a dire di sì a un reattore nella mia città, perché sono il primo a dire che deve avere garanzie di sicurezza e la ricerca dice che arriveremo qualcosa di molto sicuro“, garantisce. Anche il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo guarda ai primi anni trenta per l’inizio delle attività: “Non parliamo di terza generazione, noi parliamo di quarta e di reattori che sono un orizzonte che gli esperti tecnici mi dicono fattibile, realizzabile in quegli anni”, conferma. “Non è immaginabile un sistema energetico decarbonizzato, stabile e sicuro, senza la garanzia che offrono gli avanzamenti scientifici e tecnologici in questo settore“, scandisce la viceministra del Mase, Vannia Gava. Si dice pronta: “Archiviamo la stagione dei no e dei timori, apriamo quella dei sì. Le imprese ci sono, le istituzioni ci sono. Noi ci siamo”.

Le opposizioni però dissentono. “Salvini, l’uomo barzelletta, oggi ne ha sparata un’altra: vuole costruire una centrale Nucleare a Milano. Bene, lo sfido a fare un confronto pubblico con me in Piazza Duomo a Milano a spiegare che vuole la centrale a Milano e dove prenderà i soldi per finanziare la realizzazione delle centrali e io spiegherò perché quello che lui dice sul nucleare, e non solo, è una barzelletta”, tuona il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli. Alleanza Verdi Sinistra si prepara a due iniziative in piazza a Milano e Torino con cartonati di centrali nucleari. Bonelli ricorda che in Francia, Paese all’avanguardia dal punto di vista della tecnologia, a Flamanville hanno iniziato a costruire una centrale Nucleare terza generazione plus nel 2006 e dopo 17 anni i lavori non sono ancora terminati. “In più i costi da 3.7 miliardi di euro sono lievitati a 20 miliardi“, fa sapere.

Di “pantomima farsesca” parla il Movimento 5 Stelle: “Praticamente oggi il leader della Lega Salvini ci dice che vuole un reattore Nucleare nel cuore di Milano. Chissà, magari al posto del Teatro della Scala. Oppure dell’Arena Civica Gianni Brera. Sta di fatto che, fosse per lui, una mini-centrale se la metterebbe pure in garage. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i milanesi, e con loro tutti gli altri italiani“, scrivono in una nota i parlamentari M5s delle commissioni Ambiente di Camera e Senato Ilaria Fontana, Patty L’Abbate, Daniela Morfino, Agostino Santillo, Gabriella di Girolamo, Elena Sironi e Antonio Trevisi. Il governo, affermano, “spara promesse a casaccio su centrali nucleari da aprire tra dieci anni – dove e con quali soldi, non è dato sapere – ma sulle rinnovabili nel frattempo batte la fiacca“. Il discorso approda al question time della Camera, quando, in una interrogazione sulle Cer, la deputata del Pd, Sara Ferrari, chiede a Pichetto se “anche il suo governo creda davvero come il Partito democratico nelle comunità energetiche rinnovabili o preferisca invece puntare sulla centrale nucleare a Milano, come piacerebbe a Salvini”.

Frejus in tilt, arriva l’accordo Italia-Francia: ok al rinvio della chiusura del Monte Bianco

In pieno caos trasporti tra Italia e Francia dopo la chiusura del Frejus a causa di una frana, la decisione è arrivata: i lavori che avrebbero portato alla chiusura del Monte Bianco da lunedì 4 settembre e fino al 18 dicembre non si faranno. O, quantomeno, non subito. Il vicepremier e ministro Matteo Salvini ha sentito il collega francese Clément Beaune e i due hanno condiviso l’opportunità di evitare, almeno in questa fase, la chiusura del Traforo del Monte Bianco. La decisione verrà formalizzata solo lunedì da parte della Conferenza Intergovernativa. Era questa la soluzione auspicata da Alberto Cirio: “Il Piemonte non può accettare soluzioni che contemplino la contemporanea chiusura dei due valichi transalpini“, aveva ribadito mercoledì il governatore della Regione. Fra i nodi dello slittamento, però, ci sono le date. La richiesta arriva direttamente dal presidente della Regione Valle d’Aosta, Renzo Testolin. Il ragionamento è: ok allo spostamento dei lavori, ma il traforo dovrà essere operativo per le festività natalizie, quelle con il maggior afflusso di turisti. E infatti sono fonti del Mit a fare sapere che i lavori per rifare la volta in cemento armato dei 12 km di galleria slitteranno probabilmente a settembre 2024, con un ritardo, quindi, di un anno.

Intanto permangono seri problemi di traffico dovuti alla grossa frana crollata domenica scorsa nella Maurienne, in territorio francese: i detriti hanno invaso l’autostrada A43, che collega Italia e Francia, e lo stesso Frejus è stato interdetto al traffico. Ciò ha ovviamente portato tutti i mezzi a convergere sul Monte Bianco: l’ingorgo è stato, purtroppo, inevitabile. Secondo fonti Mit il ministro francese ha sottolineato che l’autostrada dovrebbe riaprire, se tutto va bene, già entro la fine della prossima settimana. Problemi più gravi per la linea ferroviaria, che non ripartirà prima di ottobre.

E se si parla della questione trasporti Italia-Francia, non si può non citare la Tav. Lo stesso ministro Salvini, parlando con l’omologo francese, ha ribadito l’importanza della linea Torino-Lione dopo avere portato il suo saluto al nuovo consiglio di amministrazione di Telt. Cda che proprio giovedì ha dato il via libera alla firma del contratto per la realizzazione del tunnel di base del Moncenisio in Italia. L’appalto del valore di 1 miliardo di euro è stato assegnato al raggruppamento composto da Itinera (mandataria), Spie Batignolles e Ghella. Si completa in questo modo l’assegnazione di tutti i lavori per lo scavo dei 57,5 km del tunnel ferroviario sotto le Alpi cofinanziato da Europa, Francia e Italia. La realizzazione della sezione internazionale della nuova ferrovia per merci e passeggeri tra Saint-Jean-de-Maurienne e Susa/Bussoleno, anello centrale del Corridoio Mediterraneo della rete TEN-T, è in pieno svolgimento con dieci cantieri che avanzano all’aperto e in sotterraneo sui due lati delle Alpi. Venerdì 7 luglio è stata consegnata nella fabbrica della Herrenknecht in Germania, la prima delle 7 TBM che completeranno lo scavo delle due gallerie del tunnel di base, di cui due lavoreranno sul tratto italiano. Nei prossimi anni i cantieri in Italia e Francia vedranno impegnati fino a 8.000 lavoratori tra diretti e indotto.

Ponte Morandi, ricordo a 5 anni dal crollo. Mattarella: Giustizia è responsabilità

Genova e l’Italia piangono le 43 vittime del crollo del Ponte Morandi, cinque anni dopo la tragedia, avvenuta alle 11.36 del 14 agosto 2018.
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella sollecita giustizia: “E’ una responsabilità“, scrive, una volta “completato l’iter processuale, con l’accertamento definitivo delle circostanze, delle colpe, delle disfunzioni, delle omissioni“.
La vicenda, insiste il Capo dello Stato, “interpella la coscienza di tutto il Paese, nel rapporto con l’imponente patrimonio di infrastrutture realizzato nel dopoguerra e che ha accompagnato la modernizzazione dell’Italia“.

Rinnova il dolore anche la premier, Giorgia Meloni. Non dimentica “l’eroismo dei soccorritori” e l’impegno senza sosta dei tantissimi che, in quelle ore e in quei giorni drammatici, “diedero testimonianza di quanto gli italiani sappiano donarsi al prossimo“. La presidente del Consiglio elogia “l’orgogliosa reazione dei genovesi“: “Da questa forza, dalla collaborazione tra le Istituzioni e dalle migliori energie del sistema imprenditoriale italiano è nato quel ‘modello Genova’ che ha permesso, in tempi record, di ricucire lo strappo inferto dal crollo del Morandi con la costruzione del nuovo Ponte Genova San Giorgio“, afferma.

Il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, dal palco della commemorazione promette una legge che equipari le vittime di incuria a quelle di terrorismo: “Piangiamo 43 vittime non del caso, non della sfortuna, non del cambiamento climatico, ma dell’avidità dell’uomo“, scandisce.

La commemorazione si tiene nella Radura della Memoria, sotto il nuovo viadotto San Giorgio. “Siamo sopravvissuti senza merito, perché su quel ponte poteva esserci ognuno di noi“, osserva amaramente il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti. Due le parole che chiede di tenere a mente: coraggio (“quello dimostrato dai familiari delle vittime“), e giustizia (“quella che affidiamo alle aule dei tribunali“). Con le lacrime, la polvere e il sudore dei soccorritori, ribadisce Toti “in quella tragica giornata di agosto iniziò il riscatto di un’intera regione, che ha portato alla ricostruzione di un’opera infrastrutturale diventata modello per l’Italia“. Una cosa è certa per il governatore: “Coloro che hanno avuto una perdita così profonda devono ricevere giustizia“.

Il comitato in ricordo delle vittime, però, si dice deluso: “Dagli organi democraticamente eletti e dai dipendenti pubblici interessati nella vicenda, ognuno per la sua parte, ci saremmo aspettati molto di più. Ci sono responsabilità molto diverse che si sono sedimentate negli anni e hanno portato al triste epilogo che conosciamo“, denuncia la portavoce Egle Possetti. “Dobbiamo comprendere che ogni piccola azione diventa parte di un sistema e che, sommate insieme, portano a conseguenze a volte inaspettate. Su questo – è l’invito – dobbiamo riflettere ogni giorno della nostra vita“.

Il decreto sul Ponte sullo Stretto è legge. Salvini: “Giornata storica”

Photo credits: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti

Il decreto sul Ponte sullo Stretto di Messina è legge. L’Aula del Senato lo ha approvato definitivamente con 103 voti favorevoli, 49 contrari e tre astenuti. Una “giornata storica, attesa da più di 50 anni”, festeggia il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini. Che, per l’occasione, convoca anche una conferenza stampa a Palazzo Chigi e celebra quella che, nelle intenzioni, sarà “un’opera green, non a chiacchiere ma nei fatti. Più di 100mila tonnellate di mancate emissioni di CO2 nell’aria, mare più pulito e non solcato da centinaia di traghetti”. Senza contare le ricadute economiche: previsti 100mila posti di lavoro e 6 miliardi di euro all’anno di risparmio per i siciliani in mancati collegamenti. Un “risarcimento danni per le promesse non mantenute” per Sicilia e Calabria, sferza Salvini attaccando i precedenti Governi. Il ministro immagina poi un altro tipo di ricaduta economica, legata al turismo, visto che sarà “un’opera che tutto il mondo verrà a studiare e visitare. Perché oltre ai benefici economici, sociali, ambientali, ci sarà anche un indotto turistico. Pensiamo a quanti italiani vanno a visitare ponti in altre città del mondo spendendo un bel po’ di soldi. Trasformarla in un’infrastruttura green, moderna, unica nel suo genere, però visitabile, è qualcosa che chiederò di aggiungere al progetto“.

Ora che il decreto è legge, il cronoprogramma prevede l’avvio dei cantieri entro l’estate del 2024, per concludere i lavori poco dopo il 2030. Un progetto ambizioso. Ma, prima del voto in Aula, Salvini chiama in causa addirittura i grandi artisti del Rinascimento italiano: “Bisogna osare. Se Michelangelo, Raffaello, Leonardo da Vinci non avessero osato e se fossero dovuti passare dalla commissione costi-benefici, non avremmo quello che hanno fatto. Le chiuse sui Navigli se ci fossero stati all’epoca i 5 Stelle non le avremmo mai viste”, attacca. E risponde anche a chi lo contesta: “E’ una giornata rilevante. Torno con un brevissimo inciso a ieri, quando la sinistra ci voleva convincere che non avremmo potuto e dovuto procedere alla discussione e all’approvazione di questo decreto perché stavamo infrangendo leggi. Vi ricordo che dicendo questo non avete mancato di rispetto al ministro Salvini, il decreto è stato emanato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quindi se avete dubbi di costituzionalità rivolgetevi al Colle che penso abbia tutti gli elementi di garanzia e di superiorità per decidere cosa si può fare e cosa no“.

Nel giorno dell’ok al dl Ponte, però, il Mit tiene a sottolineare che non è l’unica opera sulla quale il dicastero è focalizzato. Anzi, i finanziamenti per le infrastrutture sono tutti confermati, ed è “determinato a realizzare quante più opere possibili, utilizzando tutti i fondi e non solo quelli del Pnrr“. E, qualora alcune opere non potessero beneficiare dei fondi Pnrr, il Mit procederà con altre forme di finanziamento.

Camera dà fiducia sul Dl Ponte. Salvini: “50 anni di chiacchiere, si passa ai fatti”

L’aula della Camera concede il disco verde sul voto finale sul decreto Ponte sullo Stretto di Messina, con 182 sì, 93 no e 1 astenuto. Dopo il via libera alla questione di fiducia avvenuta in mattina, nel pomeriggio i gruppi hanno trovato l’accordo per anticipare anche lo scrutinio sul testo, che ora passa al vaglio del Senato.

Dopo cinquant’anni di chiacchiere, si passa finalmente ai fatti per unire e modernizzare il Paese“, festeggia sui social il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. “E’ un’opera che rappresenta un tassello prioritario e non più procrastinabile nella più complessiva strategia di ammodernamento della rete ferroviaria e stradale del Meridione d’Italia”, rivendica in Aula Aldo Mattia, deputato e membro della commissione Ambiente in quota Fratelli d’Italia. Per il partito della premier e per l’intera maggioranza, spiega, “è anche un’opera che potrà rappresentare un vanto per la Nazione, al quale guardare con ammirazione e stupore, una grande opera dell’ingegneria e della tecnologia italiana”. Per il sottosegretario al Mit, Tullio Ferrante, che rappresentava l’esecutivo a Montecitorio, quella di oggi è “una giornata storica“. Perché “il governo, di cui Forza Italia è parte leale ed essenziale, sta portando a compimento una obiettivo strategico e storico del presidente Silvio Berlusconi e di FI“, scrive in una nota. “Siamo convinti da sempre che questa opera farà onore all’Italia e rilancerà l’economia delle regioni meridionali“, rivendica il collega di partito, Giovanni Arruzzolo, intervenendo nell’emiciclo della Camera in fase di dichiarazione di voto. “Lo facciamo – spiega – anche per dare un segnale, ovvero, superare il pregiudizio ideologico e le logiche anti-sviluppo e pseudoambientaliste che hanno già prodotto danni enormi al Paese e al Sud”.

Per il Pd, l’unica motivazione di questo decreto, che “resuscita di fatto solo la vecchia Società costituita dall’ultimo governo Berlusconi per realizzare il Ponte, sono i possibili contenziosi che rischiano di arrivare ad un miliardo di euro”, sostiene Marco Simiani, capogruppo dem in commissione Ambiente. Dell’opera, ricorda, “non c è traccia: il governo ha già infatti ammesso che non c’è un progetto, non è stata quantificata la spesa e soprattutto non ci sono i finanziamenti. Quando la destra abbandonerà gli spot elettorali per affrontare con serietà il problema del gap infrastrutturale del Sud del paese saremo pronti a confrontarci”. Alza gli scudi anche il Movimento 5 Stelle: “Questo decreto verrà ricordato come il decreto degli sperperi, ma voi state superando il limite del buongusto“, tuona il capogruppo alla Camera Francesco Silvestri, in Aula. “Destinate 7 milioni per organizzare delle passeggiate ai cantieri. Ma vi rendete conto di quanto sia offensivo spendere 7 milioni in questo modo quando con 22 si potrebbe completare la strada Sila-Mare in cui proprio la settimana scorsa è crollato un Ponte? State dicendo ai cittadini: la nostra pubblicità e la nostra propaganda, la pagate voi“, lamenta l’esponente pentastellato, secondo cui “questo governo applica logiche di austerity quando si tratta di aiutare il ceto medio e le persone in difficoltà e logiche di sperpero quando si tratta di favorire I processi speculativi”.

Francia frena sulla Tav. Salvini chiede chiarezza ma Parigi precisa: “Nulla di deciso”

Nuovo fronte tra Italia e Francia. Ancora non sono rientrate le incomprensioni sulla gestione dei migranti che si è aperta una nuova crepa nei rapporti tra Roma e Parigi. Oggetto del contendere, la realizzazione della Torino-Lione, la cui storia, tra progetti e contestazioni di massa, risale all’inizio degli anni ’90. Parigi starebbe infatti valutando una dilazione dei tempi di almeno 10 anni. O meglio, come rivelato dal quotidiano La Repubblica, il Conseil d’orientation des infrastructures (Coi) nei nei mesi scorsi ha messo nero su bianco nel suo cronoprogramma (consegnato il 16 marzo scorso alla premier Elizabeth Borne) che servirà tempo ulteriore per completare la tratta di collegamento al tunnel transfrontaliero. E tra i motivi principali ci sono i costi troppo alti e la necessità di finanziamenti massicci. Il tutto farebbe dunque slittare la scadenza di completamento dell’opera al 2043.

Troppo per il governo di Giorgia Meloni che, per voce del suo vicepremier, e ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini, chiede immediati chiarimenti. Parigi precisa che in realtà il governo non ha preso alcuna decisione, per il momento. Tutto è rimandato a giugno, quando si terrà la Conferenza intergovernativa italofrancese a Lione a cui la Francia dovrà arrivare con una linea condivisa sui lavori della rete nazionale della Tav. Salvini accoglie con favore le rassicurazioni francesi, ma rimane cauto. “Aspettiamo Parigi alla prova dei fatti”, dicono dal Mit, ricordando che il ministro è determinato “a far viaggiare spedito il Cantiere Italia da Nord a Sud” e “presto farà un sopralluogo per verificare l’andamento dei lavori” della Torino-Lione.

L’allarme su possibili ritardi francesi era scattato un mese fa, con l’appello al presidente Emmanuel Macron da parte di 60 parlamentari francesi, preoccupati proprio dal rapporto del Coi, che raccomandava di rinviare “almeno al 2045” il completamento dell’opera. La proposta del Conseil è infatti quella di realizzare una delle tratte di accesso della Tav in Francia soltanto dopo l’entrata in funzione del tunnel del Moncenisio, tra la fine del 2032 e l’inizio del 2033. Si tratta di una galleria di confine che corre sotto le Alpi per 57,5 chilometri, ha un costo di 9 miliardi e ha bisogno di essere collegata a una rete ferroviaria adeguata su entrambi i versanti. In Italia arriverà in tempo, assicura il governo, mentre in Francia la rete adatta – quella che da Saint Jean de Maurienne incrocia la linea ad alta velocità Parigi-Marsiglia – arriverebbe solo nel 2043. Cioè più di dieci anni dopo la consegna di quello che molti hanno definito il ‘cantiere del secolo’, prevista per il 2030. Il motivo è semplice: in Francia il percorso su cui intervenire (circa 110 chilometri) è più lungo, e più costoso, di quello italiano ( 6,7 miliardi di euro contro i 2 miliardi di Roma). Nulla è deciso, ribadiscono da Parigi. Intanto domani, 12 maggio, ci sarà un confronto in Francia tra i capidelegazione Paolo Foietta, Josiane Beaud e i delegati di Bruxelles (l’opera è infatti cofinanziata al 50% dalla Ue).

Da Parigi ci aspettiamo chiarezza, serietà e rispetto degli accordi – ribadisce Salvini – l’Italia è stata ed è di parola, non possiamo accettare voltafaccia su un’opera importante non solo per i due Paesi ma per tutta Europa”. La preoccupazione del governo italiano è condivisa, poco dopo, anche dal governatore piemontese Alberto Cirio: “L’Italia sta andando avanti nel rispetto dei tempi e degli impegni presi con l’Europa e mi auguro che la Francia faccia altrettanto”, commenta. Marco Gay, presidente di Confindustria Piemonte, ricorda che “dopo più di 30 anni abbiamo finalmente una data di conclusione della Torino-Lione, ovvero il 2032”. Per questo, “auspichiamo che questa data sia certa e veda la conferma anche dei partner europei coinvolti. Non è una partita che si può non giocare”.

Gioiscono i No Tav: con il “rinvio dei lavori” che sta valutando la Francia l’opera “si schianta contro un muro”. “Senza la tratta nazionale francese va a cadere anche una delle ultime argomentazioni dei promotori dell’opera, cioè il guadagno di mezz’ora dei tempi di percorrenza tra Torino e Lione, a costo di sventrare due valli e spendere decine di miliardi. Ciò che sta accadendo – prosegue il movimento – è la dimostrazione plastica di quanto, da una parte all’altra del confine, ripetiamo da tempo: cioè che l’opera è antieconomica, inutile e rappresenta unicamente un grande regalo alle lobbies del cemento e del tondino”.

Ok dalla Camera alla mozione sul nucleare: l’Italia si impegna a valutarlo nel mix energetico

Via libera dall’Aula della Camera alla mozione di maggioranza sull’energia nucleare. Il testo approvato da Montecitorio impegna il Governo a “confermare l’obiettivo di zero emissioni al 2050, a partecipare attivamente, in sede europea e internazionale, a ogni opportuna iniziativa, sia di carattere scientifico che promossa da organismi di natura politica, volta ad incentivare lo sviluppo delle nuove tecnologie nucleari destinate alla produzione di energia per scopi civili”. Inoltre, “al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia”, si impegna il Governo “a valutare l’opportunità di inserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”. La mozione impegna poi il Governo a “adottare iniziative volte ad includere la produzione di energia atomica di nuova generazione all’interno della politica energetica europea, riaffermando in sede europea una posizione unitaria volta a mantenere nella tassonomia degli investimenti verdi la messa in esercizio di centrali nucleari realizzate con le migliori tecnologie disponibili” e “a valutare in quali territori al di fuori dell’Italia la produzione di energia Nucleare possa soddisfare il fabbisogno nazionale di energia decarbonizzata e a valutare l’opportunità di promuovere e favorire lo sviluppo di accordi e partnership internazionali tra le società nazionali e/o partecipate pubbliche e le società che gestiscono la produzione Nucleare al fine di poter soddisfare il suddetto fabbisogno nazionale“.

Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, nelle parole del ministro Pichetto e della sua vice Gava, ringrazia il Parlamento per “aver dato un preciso indirizzo al Governo” e spiega che ora “valuteremo, con la massima attenzione, come inserirlo nel mix energetico nazionale dei prossimi decenni con l’obiettivo di raggiungere, anche con il contributo dell’energia Nucleare, gli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti dall’Unione Europea, sino a quello finale della neutralità climatica del 2050”. Festeggia anche il ministro delle Infrastrutture Salvini, visto che “in un momento che richiede buonsenso nella transizione ambientale verso fonti alternative di produzione energetica, l’Italia non può più permettersi di essere fermata dai no pregiudiziali. Fondamentale pensare a percorsi rapidi per dire di sì al nucleare di ultima generazione, pulito e sostenibile“. 

Di parere del tutto contrario l’Alleanza Verdi e Sinistra. Con Angelo Bonelli che parla di una “grande operazione di disinformazione, che vuole fermare gli investimenti per fermare la transizione ecologica, investimenti che possono generare lavoro e rilancio dell’economia”, precisando che il nucleare “è l’energia più costosa, considerando i costi necessari a realizzare gli impianti che sono tutti a carico della finanza pubblica. In Europa il prezzo è intorno ai 120 euro a MWh, e si manterrà a questi livelli anche nel 2050 mentre il solare si collocherà nei prossimi anni, secondo l’agenzia internazionale dell’energia, ad un costo intorno ai 15 euro Mwh e l’eolico offshore sui 25 Mwh”. Insieme a Fratoianni, poi, punta il dito contro Italia Viva e Azione, che hanno “votato insieme alla destra per il ritorno del Nucleare in Italia”. “Il piano Nucleare da 40 GW di Calenda costa 400 mld di € finanziato con i soldi pubblici , dove si prenderanno le risorse economiche? Come sempre dalle bollette di famiglie e imprese. Il terzo Polo oggi, votando con la destra, conferma le parole della Premier Meloni, che aveva già individuato in Calenda un suo possibile alleato, insieme per difendere le lobby energetiche, come accaduto con la vicenda degli extraprofitti”, concludono.

Pnrr, per Meloni priorità è non perdere soldi. Fitto prepara richiesta terza rata

Repetita iuvant. Per chi lo avesse dimenticato, Giorgia Meloni ha un’unica, grande “priorità” sul Pnrr:Non perdere soldi“. La presidente del Consiglio, al ‘Foglio’, ribadisce la sua linea sui fondi europei del Next Generation Eu, assicurando che riporterà “le cose alla loro dimensione di progettazione e fattibilità”. Pur senza rinunciare all’obiettivo politico che si è prefissata: ottenere alcune modifiche al piano. Perché è il ‘suo’ da soli sei mesi, da quando cioè è arrivata a Palazzo Chigi. Dunque, sebbene “il Pnrr è una sfida per tutti, alcune cose vanno dette: lo abbiamo ereditato dai precedenti governi e il tentativo di mettere sulle spalle del mio esecutivo il peso di scelte sbagliate e ritardi ha il fiato corto”. Poi ribadisce: “Stiamo lavorando con la Commissione europea e intendiamo avvalerci di tutti i mezzi a nostra disposizione per realizzare le opere e fare le riforme necessarie”. Ma il Piano nazionale di ripresa e resilienza “soffre degli stessi problemi di altri strumenti concepiti prima del cambio dello scenario geopolitico – aggiunge Meloni -. Siamo in un’economia di inflazione alta, rialzo dei tassi e guerra, non più di emergenza post pandemia”.

La premier ripete che il Pnrr “ha problemi di costi delle opere, aumentati a causa del rialzo dei prezzi dei materiali da costruzione, non solo dell’energia” e “un approccio ideologico di cui risente una certa transizione green calata dall’alto che ha bisogno di una correzione di rotta: difetta di pragmatismo e per calarlo nella realtà italiana (come in quella di altri Stati) servono determinazione e calma, velocità e ponderazione. Una cosa è scriverlo (in qualche parte, male) a tavolino, un’altra è realizzare i progetti“. Ogni parola, però, alimenta il dibattito politico, nel bene e nel male. I Cinquestelle, ad esempio, continuano a tendere la mano alla maggioranza per aprire un tavolo di concertazione con le opposizioni, ma non rinunciano a punzecchiare il centrodestra: “La presidente del Consiglio smentisce seccamente la Lega, quando dice che l’obiettivo è non perdere soldi“, attacca il deputato pentastellato e questore della Camera, Filippo Scerra.

L’esecutivo, però, va avanti. Dopo aver incontrato le parti sociali, e in attesa dell’informativa di mercoledì prossimo alle Camere, il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, incontra alcuni dei colleghi di governo per fare il punto sullo stato dell’arte dei progetti e preparare la richiesta della terza rata di fondi europei. Con il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, illustra i contenuti delle linee guida necessarie a completare il raggiungimento della milestone relativa alle concessioni portuali, obiettivo necessario al completamento delle verifiche degli adempimenti connessi all’erogazione della terza rata. Dal Mit arriva la rassicurazione che il tema è stato chiuso “positivamente”. Con il responsabile del Mef, Giancarlo Giorgetti, poi, Fitto discute a livello complessivo su tutti gli adempimenti necessari ad assicurare la positiva valutazione da parte della Commissione degli obiettivi al 31 dicembre 2022, oltre a fare una prima valutazione sui prossimi passi per gli obiettivi in scadenza a giugno e l’avvio della fase di riprogrammazione del Pnrr contestuale all’inserimento del capitolo RePowerEu. Nella mattinata di incontri, inoltre, vede anche i ministri Matteo Piantedosi (Interno), Giuseppe Valditara (Istruzione e Merito). Tutti concordano sulla necessità di “rafforzare il monitoraggio” di tutti gli obiettivi.

Sul tema arriva anche un suggerimento dal Rapporto ‘Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la Legge di Bilancio 2023 e lo sviluppo sostenibile’, realizzato dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. Secondo lo studio, “in primo luogo, serve un più accurato, tempestivo e trasparente monitoraggio su modi e sui tempi con cui si realizzano gli investimenti e le riforme, accompagnato da una valutazione della coerenza sistemica delle varie azioni intraprese in relazione ai 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, specialmente quando gli investimenti del Piano verranno integrati con quelli finanziati dai Fondi di coesione europei e nazionali 2021-2027″. E, avverte ancora l’Asvis, “l’attuazione del Pnrr, nonostante i molteplici segnali di avanzamento, e la definizione del RePowerEu, richiedono decisioni urgenti per accelerare la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile“.