siccità

Oggi tavolo su siccità: ipotesi commissario contro burocrazia. Rischio razionamenti

Il maltempo di questi giorni sembra aver portato sollievo ai bacini del Po, in secca da settimane. Piogge e nevicate hanno infatti favorito una ripresa dei deflussi nei corsi d’acqua dell’Emilia Centrale e della Romagna, anche se le portate medie giornaliere del Po nella sezione di Piacenza e Cremona sono ancora prossime ai valori di ‘portata caratteristica di magra’,  come segnala l’Autorità di Bacino del fiume. Una situazione di allarme, soprattutto per l’agricoltura, che ha fatto correre ai ripari il governo: oggi è infatti convocato a Palazzo Chigi il tavolo di lavoro interministeriale sull’Acqua presieduto dalla premier Giorgia Meloni a cui saranno presenti i ministri Salvini, Lollobrigida, Fitto, Pichetto Fratin e Musumeci. Da giorni i dicasteri di Infrastrutture, Agricoltura, Coesione, Ambiente e Protezione civile lavorano per arrivare a varare un piano di interventi a breve scadenza, ma anche una programmazione di medio-lungo periodo. Quello a cui si guarda è una sorta di cabina di regia, guidata da un commissario con poteri sulla gestione dell’acqua: una proposta che molto probabilmente sarà discussa nel prossimo Consiglio dei ministri.

La siccità non è stata un’emergenza” perché “ormai in Italia è un evento ciclico, ha spiegato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, al termine dell’incontro al Parlamento europeo con gli eurodeputati italiani. Per questo, al tavolo, il governo porterà documenti di analisi della situazione sia nella fase emergenziale, ma soprattutto in quella strutturale. “Bisogna lavorare parallelamente sull’emergenza di quest’anno, quindi riuscire a trovare il modo di efficientare quello che abbiamo, e poi lavorare in termini strategici per arginare la dispersione idrica che in Italia arriva a una media del 40%, in alcune regioni anche al 50%“, ha aggiunto Lollobrigida. Sul tavolo vi sarà anche la proposta di un meccanismo, con un commissario o un’altra formula, che permetta di superare la burocrazia, in emergenza, ma che attivi una cabina di regia permanente “che permetta di immaginare interventi per l’oggi, di medio periodo e di prospettiva“, ha concluso il ministro.

A oggi, secondo l’indice standardizzato dei deflussi calcolato negli ultimi 30 giorni, si trova in condizione di siccità estrema il tratto del fiume Po tra Piacenza e Pontelagoscuro, mentre per le sezioni di Cremona, Boretto e Borgoforte sono state calcolate condizioni idrologiche di siccità severa. Per Legambiente gli interventi che il governo dovrebbe attuare riguardano soprattutto la definizione di un piano di razionamento dell’acqua per agricoltura e il riutilizzo delle acque reflue depurate. “Bisogna prelevare meno acqua possibile, senza se e senza ma – ha sostenuto l’associazione – , e per far ciò occorre adottare un approccio circolare delle acque prendendo come esempio anche quelle esperienze virtuose già attive in diversi territori“. Secondo l’indagine ‘Il riutilizzo delle acque reflue in Italia’, realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi all’anno, l’acqua esce dai depuratori), ma in Italia viene sfruttato, a causa di limiti normativi, pregiudizi degli agricoltori e una governance non ancora ben definita, solo per il 5% (475 milioni di metri cubi).

Siccità, Tonina: In Trentino -34% riempimento bacini, servono risorse Pnrr

I grandi bacini idrici del Trentino sono riempiti di acqua per 141 milioni di metri cubi, di cui 102 riferiti ad invasi artificiali e 39 riferiti a laghi naturali regolati. Il riempimento complessivo medio – informa la Provincia autonoma – è pari al 34%: nello specifico 29% per gli invasi artificiali e 53% per i laghi naturali regolati. Il grado di riempimento complessivo è inferiore del 37% rispetto al corrispondente dato medio storico, registrando – sui singoli invasi – percentuali variabili tra l’11% e il 44%. Significativo è che gli invasi più capienti sono quelli che più si discostano dal grado di riempimento medio storico. Questa è la fotografia della siccità in Trentino, territorio chiave per i rifornimenti d’acqua al Nord. Mario Tonina, vicepresidente della Giunta provinciale e assessore all’Ambiente urbanistica e cooperazione, è molto preoccupato: “Le soluzioni non sono facili da trovare, ma quello che possiamo raccomandare da subito, rinnovando l’appello dell’estate 2022, è il risparmio. Un messaggio ai cittadini, alle imprese, anche ai Comuni a cui torneremo a rivolgerci con una lettera, per promuovere i comportamenti consapevoli nell’utilizzo di questa risorsa sempre più preziosa. L’impegno passa dalle azioni quotidiane di ognuno di noi”.

Vicepresidente, è a rischio la produzione di energia idroelettrica?

“I primi sei mesi sono già compromessi, come ci dice Dolomiti Energia che gestisci le nostre principali concessioni. Alcune centrali sono ferme perché devono garantire un minimo di acqua dei bacini anche per rispettare gli accordi con Terna. Non turbinano. E poi comunque bisogna garantire livelli per l’irrigazione“.

Un paio di giorni fa è andato in sopralluogo alla diga di Santa Giustina in val di Non, il più importante bacino del Trentino. Cosa ha visto?

“E’ presente un volume d’acqua di 39 milioni di metri cubi, cioè il 30% della capacità utile operativa: dato di gran lunga inferiore rispetto al dato medio di 69 milioni di metri cubi registrato negli ultimi dieci anni in questo stesso periodo. Dai dati forniti dall’Agenzia provinciale per le risorse idriche e l’energia (Aprie), contando i dati della diga di Santa Giustina e dei bacini di Bissina e Boazzo, che rappresentano quasi la metà di tutte le riserve, abbiamo metà dell’acqua che dovrebbe esserci”.

E la neve? Potrà aiutare?

“Sulle cime di neve non ce n’è, quindi ad aprile la neve non si scioglierà e non alimenterà i bacini. Spero vivamente che arrivino piogge o altre nevicate per garantire l’idropotabile, l’irriguo agricolo e l’idroelettrico”.

Il Trentino aiuta molto anche le regioni vicine. E quest’anno?

Se non cambia la situazione non riusciremo a soddisfare le richieste di Lombardia e Veneto. Faremo fatica a garantire l’acqua per noi”.

Servono più investimenti sulle infrastrutture?

“Il Trentino ha investito soprattutto in agricoltura, migliorando il sistema irriguo, introducendo l’irrigazione a goccia, etc… Bisogna migliorare anche la rete acquedottistica, noi facciamo investimenti ma dai nostri conteggi servono 400 milioni per riqualificare la rete. Ma oltre ai soldi, serve tempo. Mi auguro che il Pnrr possa destinare le risorse necessarie nel campo agricolo e sulla rete acquedottistica. Invito poi gli amici delle regioni confinanti a investire di più, le discariche abbandonate vanno trasformate in bacini di raccolta…”.

Siccità, 1 marzo cabina regia: ipotesi commissario. Rischio razionamenti

L’emergenza siccità attanaglia ancora l’Italia. Pioggia, correnti fredde e neve previste per il prossimo weekend saranno ininfluenti e l’agricoltura trema. In alcune zone, è a rischio fino al 30% del raccolto.

I ministeri di Ambiente, Infrastrutture, Agricoltura, Coesione e Protezione civile lavorano senza sosta in vista dell’1 marzo, per la prima cabina di regia a Palazzo Chigi, presieduta dalla premier Giorgia Meloni. Si dovranno definire le prossime mosse per varare un piano di interventi a breve scadenza, ma anche una programmazione di medio-lungo periodo. Si valuta la nomina di un commissario che abbia tutti i poteri sulla gestione dell’acqua, una proposta che sarà discussa la prossima settimana in Consiglio dei ministri.

Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, mette in guardia dai rischi enormi per la produzione di energia idroelettrica: “Speriamo che si riescano a riempire le dighe, importiamo energia dalla Francia da fonte nucleare, ma la carenza d’acqua può portare alla chiusura degli impianti”, avverte. Si pensa già a dei razionamenti, anche se, ripete, “non è ancora stata presa nessuna decisione, ma dopo un confronto si devono tirare le somme e potrebbero essere necessari“.

La Cia-Agricoltori italiani intanto chiede di finalizzare un piano infrastrutturale di piccoli laghetti e invasi da affiancare alle azioni già previste con il Pnrr e per il riutilizzo a uso agricolo delle acque reflue depurate. Ma anche di avviare urgentemente la sperimentazione in pieno campo delle nuove tecniche di miglioramento genetico (New Breeding Techniques-Nbt) e dare al Paese una legge nazionale contro il consumo di suolo. Le aree perse, dal 2012 a oggi, avrebbero garantito l’infiltrazione di 360 milioni di metri cubi di pioggia.

Questa nuova emergenza “si poteva evitare”, conferma il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida. “Il primo provvedimento per il senso di responsabilità che tutto il governo sente di fare è una cabina di regia per trovare strumenti in un lavoro osmotico tra i ministeri, per pianificare le azioni sulle criticità che emergono e possono evitare danni in termini di dissesto idrogeologico”, spiega.

Il ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, ricorda che “Recuperare anni di inerzia sul settore idrico impone decisioni coraggiose e immediate“: “La carente infrastrutturazione malgrado le risorse disponibili, sta determinando una condizione di emergenza, malgrado la siccità non sia più un fenomeno raro”.

La siccità, infatti, è praticamente strutturale in Italia: sulle Alpi la neve è diminuita del 45% rispetto al 2022 e gli invasi riescono a trattenere non più dell’11% di acqua, quando servirebbe arrivare almeno al 30%, soprattutto al Nord. Dal Piemonte all’Emilia-Romagna, con il Po a secco, la crisi idrica potrebbero arrivare a togliere fino a 8mila ettari di riso, visto l’abbandono già in atto, mentre le semine di mais, strategico per gli allevamenti, sono scese al minimo storico nazionale di 564 mila ettari, oltre il 30% solo in Veneto, e registrano un calo di 21 milioni di tonnellate a livello Ue. Ma il 2023, spiega la Cia, sarà difficile anche per gli ortaggi in pieno campo, dove si conta un 10% in meno di prodotti, legato a siccità, caldo di inizio inverno e freddo improvviso.

E’ a rischio un terzo del Made in Italy a tavola che si produce nella food valley della Pianura Padana, dove si concentra anche la metà dell’allevamento nazionale“, denuncia Coldiretti. Parliamo di alimenti base della dieta mediterranea, dal grano duro per la pasta alla salsa di pomodoro, dalla frutta alla verdura fino al mais per alimentare gli animali per la produzione dei grandi formaggi come Parmigiano reggiano e il Grana Padano e i salumi più prestigiosi come il prosciutto di Parma o il Culatello di Zibello. “Dopo questi tre anni in cui la fiera dei nostri giovani non c’è stata a causa della pandemia – lamenta il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti -, ci troviamo di fronte uno scenario radicalmente mutato. Noi imprenditori, però, pur tra innegabili difficoltà, non possiamo rimanere immobili aspettando il corso degli eventi”.

Legambiente: 2022 annus horribilis per il clima. In Italia 310 fenomeni estremi, +55% sul 2021

Alluvioni, ondate di caldo anomalo e di gelo intenso, frane, mareggiate, siccità, grandinate hanno fatto vittime e sfollati negli ultimi dodici mesi. Gli eventi estremi si moltiplicano a una velocità crescente, come raccontano i dati di bilancio dell’Osservatorio Città Clima di Legambiente, realizzato in collaborazione con il gruppo Unipol, e sintetizzati nella mappa del rischio climatico.
Nel 2022 la Penisola ha registrato un incremento del +55% di casi rispetto al 2021, parliamo di 310 fenomeni estremi che quest’anno hanno provocato impatti e danni da nord a sud e causato ben 29 morti. Nello specifico si sono verificati 104 casi di allagamenti e alluvioni da piogge intense, 81 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 29 da grandinate, 28 da siccità prolungata, 18 da mareggiate, 14 eventi con l’interessamento di infrastrutture, 13 esondazioni fluviali, 11 casi di frane causate da piogge intense, 8 casi di temperature estreme in città e 4 eventi con impatti sul patrimonio storico. Molti gli eventi che riguardano due o più categorie, ad esempio casi in cui esondazioni fluviali o allagamenti da piogge intense provocano danni anche alle infrastrutture. Nel 2022 sono aumentati, rispetto allo scorso anno, i danni da siccità, che passano da 6 nel 2021 a 28 nel 2022 (+367%), quelli provocati da grandinate da 14 nel 2021 a 29 nel 2022 (+107%), i danni da trombe d’aria e raffiche di vento, che passano da 46 nel 2021 a 81 nel 2022 (+76%), e allagamenti e alluvioni, da 88 nel 2021 a 104 nel 2022 (+19%).

La siccità ha piegato soprattutto il centro nord. Nei primi sette mesi dell’anno, le piogge sono diminuite del 46% rispetto alla media degli ultimi trent’anni. Cruciale la prima parte dell’anno con cinque mesi consecutivi gravemente siccitosi, e un’anomalia, da gennaio a giugno, pari a – 44% di piogge, equivalente a circa 35 miliardi di metri cubi di acqua in meno del normale. In crescente difficoltà i fiumi, come il Po che al Ponte della Becca (PV) risultava con un livello idrometrico di -3 metri, e i grandi laghi con percentuali di riempimento dal 15% dell’Iseo, al 18% di quello di Como fino al 24% del Maggiore. In autunno è peggiorata la situazione delle regioni del centro, soprattutto in Umbria e Lazio. Nel primo caso il deficit pluviometrico si è attestato sul 40%, il lago Trasimeno ha raggiunto un livello ben inferiore alla soglia critica, con -1,54 metri. Nel Lazio, il lago di Bracciano è sceso a -1,38 metri rispetto allo zero idrometrico. Gravi le conseguenze per l’agricoltura e per gli habitat naturali. L’11% delle aziende agricole si è ritrovata in una situazione talmente critica da portare alla cessazione dell’attività. In molte aree urbane si sono dovute imporre restrizioni all’uso dell’acqua. La siccità ha causato la perdita di produzione di energia, in particolare da idroelettrico. Nonostante i dati di Terna relativi ad aprile abbiano evidenziato un record assoluto di energia prodotta da fonti rinnovabili, è mancato all’appello l’idroelettrico. La produzione di energia da questa fonte, infatti, segnava -41% per effetto delle scarse precipitazioni, che hanno portato per mesi i livelli di riempimento degli invasi prossimi ai valori minimi registrati negli ultimi 50 anni. A dicembre, il livello del Po è rimasto inferiore alla media degli ultimi 20 anni ed a preoccupare è soprattutto la situazione delle falde, con livelli tra il 35 ed il 50% in meno della media mensile.

Si sono registrate temperature eccezionali già da maggio con punte di 36,1°C a Firenze, 35,6°C a Grosseto, 34°C a Pisa e 32,8°C a Genova. Ma anche a Ustica con 33,4°C e Torino con 29,2°C. Il mese di giugno ha visto un’anomalia della temperatura media di +3,3°C se consideriamo l’Italia nel suo insieme, con punte di 41,2°C a Guidonia Montecelio (RM), 40°C a Prato, Firenze, Viterbo e Roma. A luglio record per le città lombarde: a Brescia e Cremona si sono registrati 39,5°C, a Pavia 38,9°C e a Milano 38,5°C. Ad agosto i termometri hanno segnato tra i 40 e i 45°C a Palermo, Catania e Reggio Calabria, mentre a Bari si è arrivati a 39°C. Questi livelli di caldo eccezionale, prolungati per settimane e mesi in gran parte del Paese, hanno portato a gravi conseguenze sulla salute umana. L’ondata di calore che ha impattato più duramente è stata quella della seconda metà di luglio, con un aumento di mortalità che ha raggiunto, stando ai dati di Ministero della Salute e Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, il 36% in tutte le aree del Paese, ma in particolare in alcune città del nord. Tra le città maggiormente colpite Torino che ha visto un eccesso di mortalità pari a +70%, a cui segue Campobasso (+69%), poi Bari (+60%), Bolzano (+59%), Milano e Genova (+49%), Viterbo (+48%), Firenze (+43%), Catania (+42%). Solo nel 2022 sono stati oltre 2.300 i decessi in Italia dovuti alle ondate di calore, secondo le analisi del ministero della Salute e Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, in crescita rispetto ai 1.472 del 2021 e ai 685 del 2020.

Strage di animali selvatici in Kenya, sterminati dalla siccità

“Prima dovevo indossare una maschera per sopportare l’odore degli animali in decomposizione, ma ora ci sono abituato”. In Kenya, una siccità di intensità senza precedenti negli ultimi 40 anni sta decimando elefanti, bufali e zebre nei parchi nazionali. Ad Amboseli, nel sud del Paese, vicino al confine con la Tanzania, la terra è secca e scricchiola sotto i piedi. Non c’è un’erba alta all’orizzonte, le foglie degli alberi spogli sono ingiallite. Lungo la strada giacciono carcasse di animali. “L’ultima pioggia abbondante che abbiamo avuto qui è stata nel dicembre 2021”, lamenta Josphat Wangigi Kagai, 37 anni, ranger del Nature Conservation Service (Kws) che lavora nel parco dal 2016. È stato appena chiamato da Kelembu Ole Nkuren, un mandriano Masai che ha scoperto un elefante morto da quasi un mese mentre pascolava la sua mandria. Il pachiderma, sventrato da rapaci e altri predatori, giace nella vasta pianura dominata dalle cime innevate del Kilimangiaro. Un odore sgradevole avvolge i resti dell’animale, che ha solo sette anni quando l’aspettativa di vita degli elefanti è di circa 60 anni. “Questo elefante è morto a causa della siccità”, dice Josphat Wangigi Kagai. Con un’ascia, procede poi a rimuovere le zanne dell’animale per evitare che vengano recuperate dai bracconieri. “Nelle ultime settimane lo abbiamo fatto quasi ogni giorno, questa è la prima volta che lo vedo, mi rende particolarmente triste”, sospira.

Il Corno d’Africa soffre di precipitazioni insufficienti dalla fine del 2020. In Kenya, la siccità, conseguenza del cambiamento climatico, ha lasciato alla fame almeno 4 milioni di persone (su una popolazione di oltre 50 milioni), ma anche la sua eccezionale fauna selvatica, che lo rende una popolare destinazione turistica. Secondo il ministro del Turismo, Peninah Malonza, tra febbraio e ottobre sono morti a causa della siccità 205 elefanti, 512 gnu, 381 zebre e 12 giraffe. Ad Amboseli, uno dei due parchi simbolo del Paese insieme al Masai Mara, i pozzi si stanno prosciugando, i pascoli si stanno trasformando in polvere. “Qualche tempo fa ho visto un elefante che era allo stremo delle forze, gli ho dato da bere ma era già troppo tardi. Poco dopo è crollato”, afferma Josphat Wangigi Kagai, sostenendo che le zebre e le antilopi sono le più colpite.

“Questa siccità è terribile perché sta scomparendo tutto: zebre, gnu, giraffe ed elefanti. Non ho mai visto così tanti animali selvatici morti”, dice Kelembu Ole Nkuren, il pastore Maasai che ha trascorso 35 anni della sua vita ad Amboseli. “Prima della siccità, si potevano vedere branchi di elefanti aggirarsi in questa parte del parco, ora non si trovano più”, dice. In una zona remota del parco, corpi in decomposizione di zebre, bufali e antilopi giacciono sul terreno asciutto. Si formano sciami di mosche. “La pozza d’acqua più vicina è a circa 30 km di distanza, era troppo lontana per loro”, dice Josphat Wangigi Kagai.

Secondo Norah Njiraini, membro dal 1985 dell’Amboseli Trust for Elephants, un’organizzazione che studia i pachidermi del parco, da giugno sono morti più di 100 elefanti – su un totale di 2.000 – nel parco Amboseli. Il periodo attuale gli ricorda un altro episodio di siccità, nel 2009, particolarmente letale per gli elefanti. A causa di una mancata previsione, quell’episodio è stato “peggiore di oggi” per gli animali, ha detto. “Nel 2009 abbiamo perso le femmine adulte, quest’anno è diverso perché stiamo perdendo i più giovani”, ha detto. Ad Amboseli, i ranger portano il fieno agli animali a giorni alterni. Nel Parco Nazionale dello Tsavo Est, a circa 140 km a nord, il Kws ha scavato dei pozzi per portare l’acqua in superficie e permettere agli animali di abbeverarsi. Cinquantaquattro elefanti sono morti ancora lì tra febbraio e ottobre. “Secondo le previsioni meteorologiche, le precipitazioni per questa stagione delle piogge (da ottobre a dicembre) non dovrebbero essere sufficienti”, afferma Kenneth Ochieng, direttore del parco, nonostante alcune piogge recenti.

scarsità acqua

Allarme Onu: Accesso all’acqua negato a miliardi di persone

Lo scorso anno, tutte le regioni del mondo sono state colpite da eventi meteorologici estremi legati all’acqua, il cui accesso è negato a miliardi di persone. L’allarme arriva dall’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, nel suo primo rapporto annuale sullo stato delle risorse idriche mondiali che ha lo scopo di aiutare a monitorare, gestire le limitate risorse mondiali di acqua dolce e soddisfare la crescente domanda.

Nel 2021, segnala il dossier dell’Omm, vaste aree del mondo hanno registrato condizioni più secche del normale, sotto l’influenza del cambiamento climatico e della ‘Nina’.
Gli effetti del cambiamento climatico si fanno spesso sentire attraverso l’acqua. Tra questi, siccità più intense e frequenti, alluvioni più estreme, scioglimento accelerato dei ghiacciai, che hanno effetti a cascata sulle economie, sugli ecosistemi e su tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana. Eppure non abbiamo una comprensione sufficiente dei cambiamenti nella distribuzione, nella quantità e nella qualità delle risorse di acqua dolce“, spiega il segretario generale dell’Omm, Petteri Taalas.

Attualmente, 3,6 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua per almeno un mese all’anno. Secondo il rapporto, questa cifra è destinata a salire a più di cinque miliardi entro il 2050. Tra il 2001 e il 2018 il 74% di tutti i disastri naturali è stato legato all’acqua. “Nel 2021, tutte le regioni hanno sperimentato eventi idrologici estremi sotto forma di inondazioni e siccità, che hanno avuto un impatto significativo sulle comunità e hanno causato molti morti“, si legge nel rapporto.

Rispetto alla media idrologica trentennale, nel 2021 gran parte del mondo ha registrato condizioni più secche del normale. È il caso del Rio de la Plata in Sud America, che sta vivendo una siccità persistente dal 2019, dell’Amazzonia meridionale e sudorientale e dei bacini in Nord America, tra cui i fiumi Colorado, Missouri e Mississippi.

In Africa, fiumi come il Niger, il Volta, il Nilo e il Congo hanno registrato una portata inferiore alla norma nel 2021. Lo stesso vale per alcune zone della Federazione Russa, della Siberia occidentale e dell’Asia centrale. Etiopia, Kenya e Somalia stanno vivendo una grave siccità dopo diversi anni consecutivi di precipitazioni inferiori alla media.
Al contrario, gravi inondazioni hanno causato molte vittime, in particolare nella provincia cinese di Henan, nell’India settentrionale, nell’Europa occidentale e nei Paesi colpiti da cicloni tropicali, come Mozambico, Filippine e Indonesia.

Il rapporto sottolinea che la criosfera – ghiacciai, manti nevosi, calotte di ghiaccio e permafrost – è la più grande riserva naturale di acqua dolce al mondo.
Circa 1,9 miliardi di persone vivono in aree in cui l’acqua è fornita dai ghiacciai e dallo scioglimento delle nevi. Di conseguenza, i cambiamenti nella criosfera hanno un impatto importante sulla sicurezza alimentare, sulla salute umana, sugli ecosistemi e sullo sviluppo umano. A livello globale, lo scioglimento dei ghiacciai è proseguito nel 2021 e sta accelerando.

L’autunno nella morsa della siccità. Anbi: Il 2023 sarà anche peggio

Non sono bastati pochi giorni di pioggia, l’umidità e una spruzzata di neve in montagna. La siccità che ha attanagliato il Paese per tutta l’estate non è affatto scomparsa. E a dirlo sono i numeri contenuti nel report settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche, dal quale emerge che “permane una situazione molto preoccupante perché finora è caduta mediamente la metà della pioggia consueta sull’Italia“.
In particolare, a soffrire di più sono alcune zone del nord Italia. La portata del fiume Po è in veloce diminuzione (a Pontelagoscuro c’è stato un ulteriore calo di 63 metri cubi al secondo in 5 giorni) e ormai si conferma ininterrottamente sotto la media da dicembre 2020. Il timore, avverte l’Anbi, è che il 2023 sarà un anno ancora più difficile per le maggiori riserve idriche del Paese rispetto al già difficile 2022. I grandi laghi del nord, infatti, sono tutti in grande sofferenza. Cala il livello del Lago Maggiore, che è 90 centimetri sotto la media, e quello del Garda, che ha toccato un’altezza di 35,4 centimetri sullo zero idrometrico contro una media di 81,3 cm, mentre l’Iseo ha una percentuale di riempimento quasi dimezzata rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Non piove da così tanto tempo che i bacini non hanno avuto modo di ricaricarsi.

Come ricorda il presidente di Anbi, Francesco Vincenzi, “non può certo bastare qualche pioggia a risolvere una situazione di deficit idrico, che si protrae da molti mesi”. I dati confermano una situazione che rimane complessa in molte zone del Paese. In Veneto i fiumi sono ai livelli minimi, così come in Valle d’Aosta e in Emilia Romagna, dove alcuni corsi d’acqua hanno addirittura le portate quasi azzerate e il 90% del territorio è ancora in zona rossa per la siccità. Il Lazio è la regione dell’Italia centrale che soffre di più per la mancanza di acqua i livelli degli invasi testimoniano la penuria di piogge autunnali: sono quasi tutti al di sotto dei livelli registrati in estate. Non va meglio nelle Marche, dove i laghi trattengono poco più di 30 milioni di metri cubi d’acqua, in Umbria, dove a ottobre non è quasi mai piovuto e in Abruzzo, dove il deficit pluviometrico è tra l’80 ed il 100%. Migliore, invece, la situazione al sud.

Finora, spiega Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l’attuale stagione “sta deludendo le speranze di recupero per una situazione idrologica gravemente compromessa e del cui cambiamento si fa fatica a prendere atto, assumendo decisioni conseguenti“. L’estate 2022, dice, “rappresenta una linea di confine per l’Italia davanti ad una crisi climatica, cui si deve rispondere anche con nuove infrastrutture multifunzionali, capaci di trattenere le acque, aumentando la resilienza di comunità e territori”. Il Piano Laghetti, il Piano Invasi, il Piano di Efficientamento della Rete Idrica sono strumenti, conclude “in gran parte cantierabili, che mettiamo a servizio del Paese e del suo Governo”.

incendio

Un’estate di incendi in tutta Ue: emissioni CO2 più alte da 15 anni

Era dal 2007 che non si registravano così tante emissioni di CO2 nell’atmosfera e questo a causa degli incendi record registrati in estate durante il periodo estivo, soprattutto tra Francia e Spagna. Il dato emerge dal report diffuso dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service (Cams). Secondo gli scienziati i devastanti roghi registratisi in tutta Europa quest’estate hanno causato le emissioni di CO2 più alte da 15 anni a questa parte. Cams ha monitorato l’intensità e le emissioni giornaliere e gli impatti sulla qualità dell’aria risultanti da questi incendi durante l’estate insieme ad altri incendi in tutto il mondo.

La combinazione dell’ondata di caldo di agosto con condizioni di siccità prolungate in tutta l’Europa occidentale ha provocato un aumento dell’attività, dell’intensità e della persistenza dei roghi. Secondo i dati del Cams Global Fire Assimilation System (Gfas) che utilizza le osservazioni satellitari dei luoghi degli incendi e il Fire Radiative Power (Frp) – una misura di intensità per stimare le emissioni degli inquinanti atmosferici presenti nel fumo – le emissioni totali di incendi boschivi dell’Ue + Regno Unito dal 1 giugno al 31 agosto 2022 sono stati stimati in 6,4 mega tonnellate di carbonio, il livello più alto di questi mesi dall’estate del 2007.

Il Cams spiega che le emissioni registrate per l’estate 2022 sono state in gran parte dovute ai devastanti incendi nel sud-ovest della Francia e nella regione iberica Penisola, con Francia e Spagna che hanno registrato le loro più alte emissioni di incendi negli ultimi 20 anni. In altre regioni dell’emisfero settentrionale, che tipicamente registrano un picco di attività degli incendi durante i mesi estivi, le emissioni totali stimate sono state notevolmente inferiori rispetto agli ultimi anni, nonostante alcuni incendi devastanti. La Repubblica di Sakha e l’Oblast autonoma di Chukotka nell’estremo oriente della Russia non hanno subito tanti incendi come nelle ultime estati con la maggior parte degli incendi questa estate più a sud nel Krai di Khabarovsk. Le regioni più centrali e occidentali della Russia, tra cui Khanty-Mansy Autonomous Okrug e Ryazan Oblast, hanno subito un numero maggiore di incendi che hanno provocato diversi giorni di fumo denso e qualità dell’aria degradata. Le emissioni totali stimate degli incendi nel Distretto Federale Centrale della Russia sono state le più alte dai grandi incendi di torba che hanno colpito la Russia occidentale nel 2010.

Secondo Mark Parrington, scienziato senior ed esperto di incendi boschivi del Copernicus Atmosphere Monitoring Service, “la portata e la persistenza degli incendi nel sud-ovest dell’Europa sono state estremamente preoccupanti per tutta l’estate. La maggior parte degli incendi si è verificata in luoghi dove il cambiamento climatico ha aumentato l’infiammabilità della vegetazione, come nell’Europa sudoccidentale, e come abbiamo visto in altre regioni in altri anni“.

somalia

Vite in pericolo: in Somalia la carestia bussa alla porta

La Somalia è sull’orlo della peggiore carestia del decennio. Lo denuncia il capo dell’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite, in quello che definisce un “ultimo avvertimento” prima della catastrofe nel Paese del Corno d’Africa, afflitto da una storica siccità. “La carestia bussa alla porta. Questo è un ultimo avvertimento“, le parole di Martin Griffiths, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), nel corso di una conferenza stampa a Mogadiscio. Gli ultimi dati, osserva, “mostrano indicazioni concrete che una carestia si verificherà tra ottobre e dicembre di quest’anno” in due distretti del sud del Paese, Baidoa e Buurhakaba. Arrivato in Somalia giovedì, si dice “profondamente scioccato dal livello di dolore e sofferenza che tanti somali stanno sopportando“, raccontando di aver visto “bambini così malnutriti da riuscire a malapena a parlare” durante una visita a Baidoa, l'”epicentro” dell’imminente disastro.

Queste condizioni estreme “probabilmente dureranno almeno fino a marzo 2023“, prevede. In tutto il Paese, un totale di 7,8 milioni di persone, ovvero quasi la metà della popolazione, sono colpite da una siccità storica, 213mila sono a grave rischio di fame, secondo i dati delle Nazioni Unite. La fame e la sete hanno gettato in strada un milione di persone dal 2021.

Scosso dalla violenta insurrezione degli islamisti radicali Shebab, il Paese sta vivendo la terza siccità in un decennio, ma quella attuale “ha superato le terribili siccità del 2010-2011 e del 2016-2017 in termini di durata e gravità“, ha stimato Ocha a luglio. Questa siccità è il risultato di una sequenza di quattro stagioni piovose consecutive scarse, mai viste da almeno 40 anni, a partire dalla fine del 2020. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), l’agenzia meteorologica delle Nazioni Unite, ha avvertito a fine agosto che anche la prossima stagione, prevista per ottobre e novembre, rischia di fallire.

La siccità ha decimato le mandrie, essenziali per la sopravvivenza della popolazione, così come i raccolti, già devastati da un’invasione di locuste che ha attraversato il Corno d’Africa tra la fine del 2019 e il 2021. E le conseguenze della pandemia di coronavirus hanno reso la vita di molti somali ancora più precaria. Negli ultimi mesi, poi, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha avuto ripercussioni drammatiche sulla Somalia, il cui approvvigionamento di grano dipendeva per il 90% da questi due Paesi. La consegna degli aiuti è impossibile anche in vaste aree rurali sotto il controllo degli Shebab, islamisti radicali affiliati ad Al-Qaeda che combattono il governo federale da 15 anni. “I mezzi a disposizione della popolazione per produrre cibo e guadagnare un reddito sono esauriti oltre ogni limite e un intervento su larga scala è urgentemente necessario per salvare vite umane ed evitare la carestia“, ha dichiarato l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

Nel 2011-2012 la Somalia è stata colpita da una carestia che, secondo le stime, ha ucciso circa 260mila persone, metà delle quali erano bambini sotto i cinque anni. Tra luglio 2011 e febbraio 2012 è stato dichiarato lo stato di carestia in diverse aree del sud e del centro del Paese. Nel 2017 è stato evitato un nuovo disastro grazie alla tempestiva mobilitazione della comunità internazionale. Ma quest’anno, di fronte alla molteplicità delle emergenze umanitarie (Yemen, Afghanistan, Ucraina…), i numerosi appelli lanciati dalle ONG umanitarie e dalle agenzie ONU per evitare una tragedia – non solo in Somalia, ma in tutto il Corno d’Africa (Etiopia, Kenya) – hanno avuto scarsa eco. Alla fine di giugno, l’ONG Save The Children ha avvertito la comunità internazionale che in Somalia si stava “barcollando verso una carestia catastrofica”.

(photo credits: EDUARDO SOTERAS / AFP)

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Tempeste causate da riscaldamento globale: “Un colpo di frusta meteorologico”

Le tempeste che si sono abbattute sugli Stati Uniti e in altre parti del mondo questa estate sono un chiaro segnale del riscaldamento globale. La scienza concorda: il cambiamento climatico sta avendo effetti devastanti su tutto il pianeta e questi fenomeni meteorologici, un tempo raro, ora stanno diventando più intensi e frequenti, con effetti potenzialmente devastanti. Gli Usa stanno pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane: almeno 40 persone sono smorte a luglio in Kentucky, Illinois, Texas e Missouri, a causa delle tempeste arrivate in un periodo di estrema siccità. Il suolo, troppo secco, non è più in grado di assorbire l’acqua. Durante uno di questi episodi sono caduti più di 300 millimetri di pioggia, evento che, secondo i modelli statistici, si verifica solo una volta ogni mille anni. “È come un colpo di frusta meteorologico“, spiega Peter Gleick, co-fondatore del Pacific Institute, una ong specializzata nello studio dell’acqua. E ciò è dovuto ad “un’intensificazione del ciclo idrologico globale“, conseguenza del riscaldamento globale.

Da anni gli scienziati da anni avvertono dell’impatto dell’innalzamento della temperatura del pianeta causato in particolare dall’uso di combustibili fossili e dall’emissione di gas serra, le cui conseguenze ora sono chiare. Gli effetti del cambiamento climatico stanno infatti diventando molto concreti: i luoghi asciutti sono ancora più asciutti, i luoghi umidi ancora più umidi. “Il punto in comune tra queste forti precipitazioni e altri fenomeni eccezionali dello stesso tipo è un cocktail di ingredienti molto preciso“, necessario per il loro innesco, sottolinea David Novak, che dirige l’ufficio previsioni del tempo all’interno dei Servizi meteorologici americani (NWS). “Servono umidità e instabilità nell’atmosfera. E poi un innesco per la formazione della tempesta“, spiega.

Le tempeste ovviamente non sono rare in Texas o nell’Illinois in estate, ma la loro intensità legata all’altissima pressione atmosferica è la diretta conseguenza del riscaldamento del pianeta. “Più l’aria è calda – dice il meteorologo – più sarà maggiormente umida. E più c’è umidità più è facile che si formino le tempeste“. Secondo la formula di Clausius-Clapeyron, un aumento della temperatura di 1 grado Celsius è associato a un aumento di circa il 7% dell’umidità nell’atmosfera. Questo, dice Novak, è ciò che capovolge i modelli statistici delle previsioni meteorologiche e spiega perché quello che una volta era un fenomeno raro ora è più frequente, come le cinque tempeste che hanno colpito gli Stati Uniti quest’estate. tempeste che, prima dell’era industriale, avevano una probabilità dello 0,1% di formarsi, il che significa che in media si verificavano solo ogni mille anni. Ma questa percentuale aumenta drammaticamente in un contesto di riscaldamento globale.

(Photo credits: Valery HACHE / AFP)