Giorda (Anfia): “Trasporti siano più green ma con target raggiungibili”

Il settore dell’industria automobilistica è uno dei più toccati dalla transizione green. E fra i protagonisti di questo cambio di passo c’è Anfia, Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, che da tempo partecipa a Ecomondo proprio per accompagnare il cambiamento. GEA ha incontrato Gianmarco Giorda, direttore generale, per parlare delle prospettive del settore nel breve, medio e lungo periodo.

Anfia è presente ad Ecomondo da molti anni. Quale è l’importanza per voi di una fiera come questa?
“Abbiamo una lunga partnership con Ecomondo, sono oltre 10 anni. Organizziamo all’interno anche una piccola fiera nella fiera che si chiama Sal.Ve, che sta per salone biennale del veicolo per l’ecologia, e qui portiamo sostanzialmente tre comparti che sono rappresentati in Anfia: le aziende che producono spazzatrici, quelle dei compattatori e quelle dei veicoli per lo spurgo pozzi. Tre piccoli settori di nicchia che però in Italia sono importanti, dove ci sono sono molte tecnologie e un know how che viene in qualche modo riconosciuto da tutto il mondo perché sono aziende che esportano in Asia, negli Stati Uniti e in Sud America. Usiamo anche questa piattaforma fieristica per organizzare convegni su temi più orizzontali. Per esempio abbiamo partecipato come Anfia a una tavola rotonda sul trasporto merci green”.

Su questo tema è stata elaborata anche una proposta…
“Abbiamo presentato una proposta importante. Direi quasi storica. Abbiamo messo insieme l’associazione dei costruttori, di chi distribuisce i veicoli pesanti e anche delle aziende e delle associazioni che rappresentano i trasportatori, e abbiamo presentato un documento unitario che poi verrà dettagliato nei prossimi giorni. E’ un documento che ha l’obiettivo di presentare al Governo una proposta per mettere in campo degli strumenti per rivitalizzare, per rendere più competitivo questo settore, a partire, ad esempio, da un piano di incentivi per il rinnovo dei mezzi che noi immaginiamo dal 2023 al 2026 con una dotazione importante di 700 milioni di euro suddivisi per i quattro anni. L’obiettivo è ringiovanire un parco che in Italia è vecchissimo cercando di mettere su strada dei veicoli che siano meno inquinanti e che abbiano anche delle dotazioni di sicurezza più aggiornate. Vogliamo lavorare insieme al Governo, speriamo nei prossimi giorni di iniziare questo percorso per introdurre un piano di lavoro strutturato anche per questo settore nei prossimi anni”.

Con il Governo avete già collaborato recentemente, firmando un protocollo insieme al Mimit.
“Noi come Anfia rappresentiamo molti comparti, anche uno importante che è quello della componentistica auto. L’accordo che abbiamo siglato con il Mimit un paio di settimane fa, col ministro Urso, ha un triplice obiettivo. Il primo è cercare di aumentare la produzione di veicoli in Italia per arrivare a superare il milione, purtroppo negli ultimi anni c’è stato un calo significativo dei volumi di produzione. Il secondo obiettivo è mantenere in Italia un’attività centrale di innovazione, di ricerca e di sviluppo da parte di chi costruisce i veicoli, Stellantis in primis. Il terzo obiettivo è, in questi processi, coinvolgere il più possibile anche la nostra componentistica, perché, nonostante abbiamo perso quote a livello di volumi prodotti, la nostra componentistica continua a essere la seconda per importanza in Europa dopo quella tedesca. Questo significa che, al di là del cliente nazionale, le aziende hanno saputo negli anni trovare anche dei clienti all’estero, non solo in Europa, ma anche in Giappone, Corea e Stati Uniti. Per cui l’obiettivo dell’accordo è creare proprio un piano di politica industriale nei prossimi anni che possa continuare a mantenere competitiva a componentistica italiana alla luce delle grandi sfide che la transizione imporrà”.

Parlava di Stellantis, voi vi siete anche proposti come trait d’union con il Governo.
“Noi siamo un po’ il cuscinetto tra il Governo e Stellantis, abbiamo un rapporto positivo con entrambi. Nei prossimi giorni dovrebbero anche siglare un accordo Stellantis col Mimit. Poi quello che si dovrà fare è subito convocare un tavolo operativo di lavoro anche con le Regioni italiane che hanno stabilimenti Stellantis e poi con i sindacati per implementare tutta una serie di strumenti industriali per far sì che gli obiettivi siano raggiunti. Noi ci mettiamo a disposizione facendo uno studio che tra le varie cose analizzerà anche i gap di competitività che ci sono in Italia rispetto ad altri Paesi in modo che su questi gap il Governo poi possa incidere con degli strumenti ad hoc e in qualche modo essere più attrattivo rispetto a Stellantis, che dovrà aumentare la produzione nei prossimi anni qui, e magari anche attirare nuovi investimenti produttivi nei prossimi anni”.

A livello europeo ci sono molte novità per il settore dell’auto, a partire dallo stop ai motori endotermici al 2035. Quale è la vostra posizione?
“Noi siamo a favore della neutralità tecnologica, per cui sosteniamo che gli obiettivi di decarbonizzazione debbano essere ottenuti portando avanti più tecnologie. In questo momento l’elettrico, ovviamente è l’unica tecnologia scelta dal legislatore europeo, e nei prossimi anni sarà dominante per cui è giusto che si investa in quella direzione. Però, secondo noi, è anche importante sia sui veicoli leggeri sia su quelli pesanti mantenere aperte anche delle altre opzioni”.

E la proposta di standard Euro7?
“Siamo riusciti, con l’aiuto anche dell’associazione europea e un po’ di tutti, a modificare la prima proposta che era abbastanza irricevibile nei contenuti. Speriamo che in termini di date, di target e di una serie di altri elementi questa prima proposta della Commissione venga rivista e adottata in maniera che gli obiettivi siano importanti, ma raggiungibili anche da un punto di vista economico-finanziario per non mettere in ginocchio un pezzo dell’industria”.

Trasporti, Moro (Bitron): “Investiamo in innovazione, siamo presenti su tutti i fronti”

L’investimento principale è sicuramente in innovazione. Cosa intendo per innovazione? Noi abbiamo un modo abbastanza particolare di farla. Abbiamo lavorato tanto per mettere a punto dei sistemi strutturati di forecast tecnologico per capire quali sono i trend e quindi poi andare a innovare in aree ben precise. Adesso stiamo spendendoci molto su tutti quelli che sono i possibili scenari. Quindi sull’elettrico, dove in parte si possono utilizzare anche parti che già si usano per i termici, per esempio le valvole ad acqua o delle gestioni elettroniche che prima raffreddavano il motore e adesso magari vanno a raffreddare le batterie. Investiamo molto sull’innovazione dei sistemi di ricarica, qualche anno fa erano grandi e oggi si vedono le colonnine piccole. Questo è frutto di un grosso investimento in ricerca e sviluppo”. Lo ha detto Alberto Moro, direttore generale Automotive Bitron, a margine dell’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’ a Roma.

 

Un altro campo in cui stiamo investendo molto è quello dell’idrogeno. E’ molto complicato da gestire, parliamo di pressione nei serbatoi intorno ai 600 bar che poi calano man mano che il serbatoio si svuota e bisogna ripristinarle. I sistemi che chiamiamo smart valvole sono molto complessi, è un know-how che prima non c’era e bisogna crearlo. Quindi investiamo in know-how, formazione e ricerca e sviluppo”, ha aggiunto.

L’elettrico è già una realtà indiscutibile, al di là delle polemiche. L’idrogeno è tutto da creare ma in certi ambiti può avere un futuro, ma anche il motore termico. Noi parliamo di mobilità tenendo in mente Europa, Usa e Cina, ma ci sono altri Paesi, come il Sud America, che tecnologicamente non sono allo stesso livello e continueranno a usare i motori termici. Il fatto di investire in ricerca e sviluppo per ridurre comunque il contributo alle emissioni inquinanti dei motori è fondamentale. Poi quale sarà lo scenario dominante non è certo. Noi abbiamo ritenuto importante seguire la politica di essere presenti su tutti i fronti”, ha concluso Moro.

Trasporti, per mobilità sostenibile dall’Ue servono meno regole e più incentivi

Transizione e sostenibilità non sono in discussione, ma nei modi l’Unione europea sta spingendo troppo sull’acceleratore. Troppe ambizioni e regole troppo severe, che rischiano di lasciare l’Ue al palo e, soprattutto, soccombere ad una concorrenza decisa di Stati Uniti e Cina. Servono cambi di passo, un compito lasciato a questo punto alla prossima legislatura. A fare il punto della situazione Withub, nell’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’ dedicato alla mobilità pulita.

Un tema, quest’ultimo, che già tanto ha fatto discutere e che ancora continua a far discutere. Perché, sostiene l’europarlamentare Carlo Fidanza, membro della commissione Trasporti, “la strada della transizione non è in discussione, ma il tema è capire come arrivare alla meta”, e qui l’Ue sembra aver sbagliato qualcosa. L’esponente dei conservatori europei (Ecr) contesta in particolare la scelta compiuta sui motori del futuro, e la decisione di inserire nella strategia ‘green’ a dodici stelle i soli combustibili sintetici. Da un punto di vista industriale, critica Fidanza, “oggi siamo all’avanguardia sui biocarburanti, e non tenere conto di questa filiera per un Paese come l’Italia è un colpo pesante, anche per l’indotto dell’automotive, che non potrà essere rimodulato”. Da un punto di vista di agenda sostenibile, invece, “se si conteggiano le emissioni solo allo scarico si crea un indirizzo tecnologico mono-direzionale”. Da un punto di vista di politiche, dunque, “è stato un errore non tenere aperte le porte a delle alternative”. Un errore che viene imputato ad un “approccio ideologico della Commissione e di Timmermans”, il commissario responsabile per il Green Deal nel frattempo dimessosi per correre alle elezioni olandesi di novembre.

C’è poi un secondo errore strategico, a detta di Marco Stella, vicepresidente di Anfia-Associazione nazionale filiera industria automobilistica. “L’ansia più grande che rimane è quella regolatoria”, e questo rischia di penalizzare l’Ue e la sua competitività economica. “Quello che ci differenzia dalle due grandi arre con cui ci confrontiamo a livello industriale, Stati Uniti e Cina e Asia, è che noi abbiamo avuto l’ansia di regolamentare l’industria mentre loro hanno stimolato l’industria”. Facendo un paragone, “noi (europei, ndr) ci siamo preoccupati di mettere la bandierina della sostenibilità, loro (Stati Uniti e Cina, ndr) hanno messo sul terreno aiuti”, come dimostra anche l’Inflation reduction act varato dall’amministrazione Biden, il piano da circa 369 miliardi di dollari per sostenere l’industria del green-tech. Ecco, nella corsa alla transizione “c’è stato da parte nostra un disarmo volontario”, lamenta ancora il vicepresidente di Anfia. “Abbiamo lasciato loro la leadership”. Per questo “l’auspicio è che nella prossima legislatura Ue si pensi profondamente all’industria del nostro continente”.

La questione del sostegno è centrale anche per Massimo Nordio, presidente di Motus-E. “Oggi c’è bisogno di un aiutino. Parlo degli incentivi”. Certo, l’Ue ha meno disponibilità, e regole comuni di spesa per tenere in ordine conti pubblici dissestati da crisi sanitaria prima e crisi energetica poi. Ma servono interventi, visto e considerato che, insiste Nordio, “il sistema degli incentivi nel passato ha funzionato”. Questo per l’impresa non può essere ignorato, poiché quando si parla di mobilità sostenibile “il mercato che non si sta sviluppando è quello della fiscalità dell’auto”. Che si scelgano sgravi, incentivi o bonus “l’auto elettrica deve essere trattata, dal punto di vista fiscale, in maniera diversa perché è una scelta virtuosa e coraggiosa”. In Italia “interloquiamo con il governo anche da questo punto di vista”, affinché la politica tricolore possa fare pressione a livello Ue per un cambio di rotta ritenuto imprescindibile.

Marco Castagna, presidente di Duferco energia, attira l’attenzione sulla necessità di sostegno all’auto elettrica e le sue potenzialità sfatando quello che considera un mito. “Quello dei tempi di ricarica nelle aree di sosta è un falso problema, perché alla fine decido io quando e dove ricaricare”. Certo, riconosce, “il tema rimane il prezzo” al concessionario, ma, “andrebbe considerato il prezzo dell’intero ciclo”, perché l’auto elettrica “costa molto meno in manutenzione” rispetto a un’auto tradizionale. Stando ai numeri diffusi da Withub nel corso dell’evento, c’è tanto in ballo, soprattutto per l’industria italiana. Ad agosto 2023 i numeri di immatricolazioni auto elettriche sono i seguenti: 165.165 in Regno Unito, 86.649 in Germania, 19.657 in Francia, 4.055 in Italia, 3.583 in Spagna. L’Italia fa fatica. E rischia di continuare a fare fatica per le scelte compiute.

La decarbonizzazione trasporti è già iniziata: è resa possibile dalle tecnologie già disponibili, come il biocarburante HVO, già disponibile in purezza, che può essere utilizzato con le infrastrutture esistenti e in molti veicoli già in circolazione”, scandisce Alessandro Sabbini, Responsabile Relazioni Istituzionali Centrali di Eni. “L’HVO – spiega – è un esempio di economia circolare applicata alla mobilità e contribuisce da subito alla riduzione delle emissioni del trasporto stradale, anche pesante, e dei traporti aereo, marittimo e ferroviario”.

Massimiliano Salini (Fi/Ppe), membro della commissione Trasporto del Parlamento europeo, insiste sulla necessità di un più ampio ventaglio di scelte. “Indicare un’unica formula produce in genere l’effetto contrario di quello che volgiamo ottenere”, dice riferendosi allo stop europeo ai biocarburanti. “Il principale alleato della transizione è l’innovazione e il principale alleato dell’innovazione è la libertà tecnologica, quello che noi definiamo neutralità”. L’auspicio implicito è un cambio di rotta, affidato alla prossima legislatura che verrà. “Nessuno chiede di ridurre le ambizioni, ma di farlo collocando queste sfide nel tempo e nella storia, in modo che tutti possano concorrere: industria, i cittadini con la tutela delle loro tasche, e la politica affezionata all’ambiente ma affezionata a quella sintesi che noi cerchiamo di realizzare tra ambiente, innovazione tecnologica e il mantenimento in vita di una brillante manifattura che fa il bene dell’economia europea”.

Un’impostazione condivisa da Alberto Moro, direttore generale Automotive di Bitron, azienda che guarda alla transizione a 360 gradi. “Sui biorcarburanti possiamo sviluppare i motori termici. Sull’idrogeno abbiamo iniziato a lavorare da qualche anno e abbiamo prodotto delle soluzioni innovative, da fornire ai clienti”. Perché nel mondo e nella mobilità che cambiano “la sperimentazione tecnologica gioca un ruolo strategico” e a Bitron “cerchiamo di anticipare i bisogni dei nostri clienti”.

A Roma l’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’. Urso: “La strada della decarbonizzazione è segnata”

Al via a Roma il convegno ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’, organizzato a Roma da Withub con la direzione editoriale di Gea, Eunews e Fondazione Art.49. In apertura, un messaggio inviato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “L’evoluzione dei Trasporti nel prossimo decennio è centrale nel dibattito europeo sulle politiche per il raggiungimento degli obiettivi ambientali derivanti dagli Accordi di Parigi. A livello nazionale il settore è responsabile per oltre un terzo del consumo finale energetico complessivo. Il contributo di gran lunga più importante, pari al 90%, è fornito dai prodotti petroliferi”, scrive il ministro, aggiungendo che “in linea con gli obiettivi europei, il governo condivide l’esigenza di un forte impegno per decarbonizzare il settore, in termini di efficientamento, di ottimizzazione dell’uso dei Trasporti e di aumento dell’uso delle fonti rinnovabili. Il percorso è segnato ma è da condurre tenendo sempre presenti le ricadute sul sistema produttivo in termini di imprese, occupazione e competitività”.

Secondo Urso “insieme possiamo vivere questo momento di cambiamenti come una grande occasione per crescere e costruire un futuro più green, anche grazie al contributo dei trasporti” e “il governo si è fatto promotore da subito di una nuova pragmatica postura in Europa e abbiamo ottenuto in pochi mesi risultati importanti: dopo l’apertura agli e-fuels nel regolamento veicoli leggeri, anche nei considerando del regolamento Euro 7 si va concretizzando la possibilità di immatricolare autovetture alimentate a Co2 Neutral Fuel”, inoltre “nella proposta di Regolamento Euro 7 sono stati confermati i test di emissioni del Regolamento Euro 6 così da concedere tempo e risorse alle imprese per investire sull’elettrico. Parallelamente, per sostenere la penetrazione dei veicoli elettrici siamo impegnati nello sviluppo delle infrastrutture di ricarica”. “Il Pnrr – continua Urso – ha previsto più di 700 milioni di euro per l’installazione di infrastrutture di ricarica sulle strade extraurbane e nelle città. Il Pniec riafferma questa linea, impegnandosi a sostenere colonnine di tecnologie di ricarica smart e il vehicle to grid, accompagnate da pannelli solari per l’autoproduzione di elettricità”. E, scrive ancora il ministro, “la scorsa settimana il Mimit ha aperto il bando per l’acquisto e la posa in opera di colonnine dedicate a privati e condomini: 80 milioni di euro destinati alla copertura dell’80% del prezzo di acquisto e posa delle infrastrutture di ricarica per le spese effettuate nel 2022 e nel 2023”.

L’energia per i veicoli del futuro: elettrico, idrogeno e biocarburanti

La mobilità e i trasporti sono uno dei vulnus della transizione energetica, soprattutto in Italia dove è ancora largamente diffuso l’utilizzo dell’automobile. In questo contesto, guardando al futuro, è fondamentale capire come i veicoli dovranno evolversi, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo dell’energia, per garantire il percorso verso la sostenibilità. E se l’elettrico, al momento, sembra la strada maestra, non si possono non considerare le altre possibilità: idrogeno, biocarburanti, e-fuels. ‘Elettricità, idrogeno, biocarburanti, e-fuel: l’energia per i veicoli di domani’ sarà il titolo di uno dei panel dell’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’ che Withub, con la direzione editoriale di eunews, GEA e Fondazione art. 49, organizzerà a Roma il prossimo 12 ottobre presso l’esperienza Europa David Sassoli.

 

E se la decarbonizzazione dei trasporti è ormai un punto fermo, la modalità con cui raggiungerla non è ancora nettamente delineata. Lo stesso ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, più volte ha ribadito come l’elettrico sia “la via maestra”, ma come vadano considerate anche le altre tecnologie. In particolare i biocarburanti, sui quali sembra che l’Ue sia pronta ad una riapertura anche dopo il 2035.

 

Diversa la posizione delle associazioni ambientaliste, che in un position paper formulato a maggio continuano a perseguire l’elettrico come unica via. La sola apertura a biocarburanti avanzati, con l’idrogeno verde e i carburanti sintetici rinnovabili, è concessa per i trasporti non elettrificabili come l’aviazione e la navigazione a lunga distanza. Secondo le associazioni la crescita sia delle rinnovabili che dell’efficienza nei trasporti consentirà di ridurre del 25% le emissioni di CO2 del settore. Netta la posizione sul biodiesel all’olio di palma e derivati: “Chiediamo di uscire dalla ‘false rinnovabili’ e di usare d’ora in poi solo biocarburanti ‘avanzati’, quelli derivati da rifiuti ‘veri’ cioè scarti non altrimenti utilizzabili, con meccanismi di certificazione che ne possano garantire la tracciabilità, e di concentrare la sperimentazione di idrogeno verde e carburanti sintetici rinnovabili limitatamente ai trasporti non elettrificabili, come ad esempio l’aviazione e la navigazione di lunga distanza”.

Pitto (Fedespedi): “Servono nuove infrastrutture per trasporto merci e tutela export”

Il 27 settembre si terrà a Roma l’assemblea di Fedespedi, la Federazione guidata da Alessandro Pitto che rappresenta le imprese di spedizioni internazionali in Italia: un settore che genera un fatturato di oltre 15 miliardi di euro l’anno – circa il 20% del giro d’affari dell’intero settore dei trasporti e della logistica – e impiega circa 50.000 addetti. Il titolo dell’assemblea di quest’anno è ‘La merce al centro: politiche e prospettive di sviluppo del commercio internazionale’’. “Al centro” di una transizione e di un cambiamento storico, legato alle direttive ambientali europee e internazionali. “Al centro”, spiega Pitto, “per risvegliare l’attenzione istituzionale sull’importanza del made in Italy“. “Servono nuove infrastrutture per consentire lo spostamento di persone, ma anche di merci considerando la strategicità dell’export per l’Italia e serve una semplificazione amministrativa e burocratica. Questa è la vera sostenibilità”.

Presidente, la transizione energetica e il boom della mobilità possono andare di pari passo o si rischia di non fare bene l’una o l’altra?

“A me piace parlare di ottimismo ambientale, non di catastrofismo ambientale. Dobbiamo essere spinti da ottimismo, anche perché, non da oggi, stiamo già facendo molto per cambiare il nostro mondo. Gli Usa oggi, ad esempio, producono la stessa quantità di CO2 del 1970, ma l’economia americana oggi è 30 volte più grande. Un altro esempio è che con la quantità di plastica necessaria oggi per realizzare 10 bottigliette, dieci anni se ne produceva una. Per questo affermo che occorre essere animati da un sano ottimismo ambientale. Certo, la sfida non è semplice: da una parte il contesto normativo e di indirizzo dato dalla Ue ci spinge a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, dall’altra parte abbiamo previsione di aumento del trasporto che incrementerà le emissioni. Noi spedizionieri siamo un punto di contatto privilegiato con le imprese esportatrici e importatrici e possiamo incidere fornendo loro un servizio consulenziale che le orienti a scelte di sostenibilità anche nella gestione della logistica. A conferma di questa consapevolezza, la Federazione, e in particolare Fedespedi Giovani, ha avviato fin dal 2019 un percorso di sensibilizzazione della categoria rispetto al ruolo che le imprese di spedizioni possono giocare nella transizione green del settore logistico. Questo impegno si è concretizzato nel 2023 con il progetto ‘KPI di sostenibilità ambientale’, realizzato in partnership con il Green Transition Hub dell’Università LIUC e volto a individuare una serie di indicatori di misurazione delle performance ambientali derivanti dall’attività delle imprese di spedizioni”.

A proposito di sfide: l’Italia vale 600 miliardi di export. Saremo in grado di sostenere la domanda innanzitutto europea seguendo le direttive di Bruxelles su ambiente e trasporti? La tempistica non è troppo stringente?

“Trovo che sia corretto darsi obiettivi ambiziosi e sfidanti, che ci spronino a un cambio di mentalità, anche correndo il rischio di non centrarli in pieno. Un cambiamento è già in atto: abbiamo clienti che ci chiedono di ridurre le emissioni nel trasporto di merci, c’è un movimento di pensiero che si è messo in moto. La cosa importante è che non è più in discussione, ma in pratica”.

La lotta alle emissioni rivoluzionerà il mondo dei trasporti. Vedete più opportunità o più criticità sui costi?

“Ci sono due temi sul tavolo. C’è un tema di investimenti per essere più sostenibili e qui le risorse non mancano, sia a livello pubblico che privato: penso all’incremento di mezzi a propulsione alternativa, allo sviluppo porti più green, allo switch modale da strada a treno molti di questi punti ad esempio sono oggetto del Pnrr. Da questo punto di vista la preoccupazione è semmai più sui tempi che sui costi viste le scadenze del 2026. Indubbiamente per le aziende ci sono costi da sostenere nell’immediato ma credo che si tratti di un tema di scala: se si inizia a usarli di più ci sarà un progressivo allineamento. L’altro tema è scegliere la tecnologia su cui puntare – su cui l’Unione Europea ha dato obiettivi ben precisi – e soprattutto trovare standard universalmente riconosciuti per orientare le scelte”.

Si riferisce alle certificazione ambientale o Esg?

“Certo, ci preme sottolineare la strategicità dell’elaborazione di standard di misurazione che possano uniformare le numeriche di sostenibilità su cui costruire strategie concrete di transizione verde. Per questo apprezziamo gli ultimi sviluppi a livello europeo con cui la Commissione ha riconosciuto il nuovo standard internazionale ISO 14083 per il calcolo delle emissioni dell’attività di trasporto merci”.

Camion, treno, aereo, nave: quale tipo di mobilità vedete più sulla retta via per gli obiettivi del 2030?

“Il trasporto su ferro è indubbiamente la modalità di trasporto più sostenibile e che consente di movimentare ingenti quantità di merci, peraltro riducendo la congestione delle arterie stradali. Il trasporto su strada, come detto, è il classico settore cosiddetto ‘hard to abate’, in cui diverse tecnologie si profilano all’orizzonte, ma non è ancora chiara la strada che le aziende dovranno seguire e su cui investire. Il trasporto marittimo ha un notevole impatto in termini assoluti sull’ambiente, per via dei volumi trasportati, ma è anche quello che risulta più sostenibile per tonnellata trasportata, soprattutto dove si pone in alternativa alla strada. in vantaggio, grazie a motrici elettrici, segue il trasporto aereo considerato che ci sono già sperimentazioni in corso su Saf, il biocarburante che impatta meno che si sta proponendo anche al trasporto marittimo. Porto poi l’esempio italiano: le autostrade del mare. Un recente studio ha rilevato che contribuiscono a togliere 1,7 milioni di camion dalla strada all’anno”.

Per quanto riguarda la strada, in Europa si punta tutto sull’elettrico, in altri continenti si portano invece avanti tutte le tecnologie, idrogeno compreso, o semplicemente spingendo sui biocarburanti. Qual è la vostra visione o preoccupazione?

“Dal mio punto di vista sarebbe stato preferibile un approccio di neutralità tecnologica: porre l’obiettivo e lasciare libere le aziende di raggiungere il target di emissioni zero. Credo che la strada intrapresa sui biocarburanti rappresenti una soluzione transitoria, in attesa che si affaccino tecnologie che risolvano definitivamente il problema, ma che oggi non sono ancora percorribili, come ad esempio l’elettrico. Sull’utilizzo in larga scala dei mezzi pesanti pesa il tema dei tempi di ricarica ancora troppo lunghi: è una questione che impatta a sua vota sui tempi di guida degli autisti. E poi la sostenibilità della rete: come viene prodotta l’energia?”

Ci saranno maggiori costi?

“Nel breve termine probabilmente sì, ma credo che tutti gli stakeholders siano consapevoli di dover fare uno sforzo oggi per evitare di avere costi ancora maggiori in futuro. Il vero costo della transizione non è però oggi rappresentato dai costi espliciti, ovvero dall’uso di carburanti più costosi, quanto da quelli impliciti legati a soluzioni che potrebbero creare ritardi o disservizi su larga scala, come ad esempio i tempi di ricarica”.

Tutto ciò potrebbe alimentare un’inflazione alta?

“Penso sia un rischio di breve periodo. Il mercato dei noli marittimi e dei noli aerei è stato molto oscillante negli ultimi tempi, toccando livelli mai sperimentati in precedenza. Oggi i livelli sono mediamente molto bassi, per cui non penso che un cosiddetto costo ambientale potrebbe avere un grande riflesso su prezzi al consumo”.

C’è il rischio, con le regole che si sta dando l’Unione Europea, di favorire operatori extra-Ue che non sono soggetti alle nostre norme?

“La Ue ha pensato a misure a contrasto del rischio, attraverso il Cbam, una carbon tax su prodotti realizzati ad alta intensità di Co2. La normativa entrerà in vigore l’1 ottobre in via sperimentale e transitoria fino a fine 2025. Per ora l’applicazione sarà informativa, ovvero gli importatori dovranno comunicare le emissioni legate a merci importate. Dal 2026 scatterà il dazio e dovranno essere eventualmente acquistati certificati ambientali come compensazione. Una misura che ritengo corretta. Occorre tuttavia monitorarne da vicino l’applicazione per evitare che si trasformi solo in un nuovo onere burocratico a carico delle imprese di spedizioni”.

Frejus in tilt, arriva l’accordo Italia-Francia: ok al rinvio della chiusura del Monte Bianco

In pieno caos trasporti tra Italia e Francia dopo la chiusura del Frejus a causa di una frana, la decisione è arrivata: i lavori che avrebbero portato alla chiusura del Monte Bianco da lunedì 4 settembre e fino al 18 dicembre non si faranno. O, quantomeno, non subito. Il vicepremier e ministro Matteo Salvini ha sentito il collega francese Clément Beaune e i due hanno condiviso l’opportunità di evitare, almeno in questa fase, la chiusura del Traforo del Monte Bianco. La decisione verrà formalizzata solo lunedì da parte della Conferenza Intergovernativa. Era questa la soluzione auspicata da Alberto Cirio: “Il Piemonte non può accettare soluzioni che contemplino la contemporanea chiusura dei due valichi transalpini“, aveva ribadito mercoledì il governatore della Regione. Fra i nodi dello slittamento, però, ci sono le date. La richiesta arriva direttamente dal presidente della Regione Valle d’Aosta, Renzo Testolin. Il ragionamento è: ok allo spostamento dei lavori, ma il traforo dovrà essere operativo per le festività natalizie, quelle con il maggior afflusso di turisti. E infatti sono fonti del Mit a fare sapere che i lavori per rifare la volta in cemento armato dei 12 km di galleria slitteranno probabilmente a settembre 2024, con un ritardo, quindi, di un anno.

Intanto permangono seri problemi di traffico dovuti alla grossa frana crollata domenica scorsa nella Maurienne, in territorio francese: i detriti hanno invaso l’autostrada A43, che collega Italia e Francia, e lo stesso Frejus è stato interdetto al traffico. Ciò ha ovviamente portato tutti i mezzi a convergere sul Monte Bianco: l’ingorgo è stato, purtroppo, inevitabile. Secondo fonti Mit il ministro francese ha sottolineato che l’autostrada dovrebbe riaprire, se tutto va bene, già entro la fine della prossima settimana. Problemi più gravi per la linea ferroviaria, che non ripartirà prima di ottobre.

E se si parla della questione trasporti Italia-Francia, non si può non citare la Tav. Lo stesso ministro Salvini, parlando con l’omologo francese, ha ribadito l’importanza della linea Torino-Lione dopo avere portato il suo saluto al nuovo consiglio di amministrazione di Telt. Cda che proprio giovedì ha dato il via libera alla firma del contratto per la realizzazione del tunnel di base del Moncenisio in Italia. L’appalto del valore di 1 miliardo di euro è stato assegnato al raggruppamento composto da Itinera (mandataria), Spie Batignolles e Ghella. Si completa in questo modo l’assegnazione di tutti i lavori per lo scavo dei 57,5 km del tunnel ferroviario sotto le Alpi cofinanziato da Europa, Francia e Italia. La realizzazione della sezione internazionale della nuova ferrovia per merci e passeggeri tra Saint-Jean-de-Maurienne e Susa/Bussoleno, anello centrale del Corridoio Mediterraneo della rete TEN-T, è in pieno svolgimento con dieci cantieri che avanzano all’aperto e in sotterraneo sui due lati delle Alpi. Venerdì 7 luglio è stata consegnata nella fabbrica della Herrenknecht in Germania, la prima delle 7 TBM che completeranno lo scavo delle due gallerie del tunnel di base, di cui due lavoreranno sul tratto italiano. Nei prossimi anni i cantieri in Italia e Francia vedranno impegnati fino a 8.000 lavoratori tra diretti e indotto.

I piani di Fs: 200 miliardi di investimenti per l’Italia, ma l’obiettivo è la leadership in Europa

L’obiettivo prefissato dall’ad, Luigi Ferraris, nel piano industriale di Fs prevede per lo sviluppo extra-italiano un incremento di ricavi da 1,8 miliardi di euro del 2019 a circa 5 miliardi nel 2031, grazie alla crescente liberalizzazione e alla spinta verso un trasporto collettivo e condiviso, attraverso tutte le divisioni: dalla rotaia alle quattro ruote, passando per la logistica. Un obiettivo ribadito dall’amministratore delegato dopo che il Financial Times ha dedicato un focus alle ambizioni del gruppo tricolore. In primo piano, secondo Ferraris, resta comunque l’Italia: “Il nostro piano industriale, che traguarda al 2032 – dice – ha tra i suoi principali obiettivi la messa a terra di 200 miliardi di investimenti, 180 dei quali per potenziare e ammodernare le infrastrutture ferroviarie e stradali del paese”.

Solo il Pnrr affida alle società di Ferrovie dello Stato circa 25 miliardi di euro e individua in Rete Ferroviaria Italiana, capofila del Polo Infrastrutture, la sua principale stazione appaltante. Ma al di là del Piano di ripresa e resilienza, nel Paese sono già tante le opere che vedono Fs impegnata per l’ammodernamento e il potenziamento della rete, per colmare il gap infrastrutturale tra il nord e il sud dell’Italia e per aumentare la capacità di trasporto della rete ferroviaria di almeno il 20%. Il tutto per collegare meglio Italia ed Europa.

Nel Vecchio continente, Trenitalia ha acquistato nel 2017 c2c (City to Coast), il quarto operatore ferroviario in Gran Bretagna, per la gestione dei collegamenti tra la città di Londra e Shoeburyness, sulla costa orientale nella regione del South Essex. Inoltre, in partnership con First Group, ha acquisito i collegamenti sulla West Coast (fino al 2031) inclusi i servizi da Londra a Birmingham, Manchester, Liverpool, Preston, Chester, Edimburgo e Glasgow: con il marchio Avanti West Coast vengono prodotti duecentocinquanta collegamenti giornalieri che, con 76 treni, trasportano ogni anno 39 milioni di passeggeri. I due soci stanno anche lavorando ai fini dello sviluppo e della messa in esercizio della nuova linea High Speed 2 (Londra-Birmingham di 160 km), di cui dovranno gestire i sevizi dal momento dell’avvio atteso per il 2029 (collegando circa 30 milioni di persone).

In Germania la controllata Netinera Deutschland è il secondo operatore del trasporto pubblico locale del Paese e un mese fa Ferraris, intervistato dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (FAZ), ha anche annunciato l’accelerazione del progetto di portare il Frecciarossa in Germania, in cooperazione con Deutsche Bahn, riducendo a poco più di quattro ore il tempo di viaggio fra Milano e Monaco di Baviera.

In Grecia la Helleninc Train (100% Trenitalia) è la principale impresa ferroviaria del Paese e Trenitalia France è primo operatore ferroviario alternativo Oltralpe per il trasporto passeggeri, garantendo collegamenti con l’Italia (il Parigi-Milano), con l’obiettivo di affermarsi nel business dell’Alta Velocità. Alta velocità dove Trenitalia, come parte del consorzio Ilsa, è tra i primi operatori privati abilitato a entrare sul mercato spagnolo: ogni giorno col brand Iryo la penisola iberica è attraversata dalle corse del Frecciarossa 1000 tra Madrid-Barcellona, Madrid-Valencia/Alicante e Madrid-Malaga/Siviglia.

Poche settimane fa, parlando al seminario sull’Intelligence economica nell’era digitale, organizzato dalla Luiss, l’ad Ferraris, ha accelerato sulla internazionalizzazione: “Per i Paesi dell’Europa centrale andremo verso un mercato unico dell’alta velocità – ha detto – con infrastrutture avanzate che permetteranno di connettere Berlino con Parigi in 4-5 ore. Da qui l’importanza di conoscere sempre meglio quei mercati e gli scenari in continua evoluzione. Prima di entrare nel mercato francese abbiamo fatto un’attenta analisi dei dati, anche se non tutte le informazioni erano disponibili. Sul nostro Frecciarossa Milano–Parigi avevamo previsto – ha precisato Ferraris – una domanda che pensavamo di poter soddisfare riempiendo i nostri treni al 60-70%, invece siamo attualmente oltre l’80%”.

Tra le nuove rotte, come sottolineato nel focus del Financial Times, ci potrebbe essere anche la Bruxelles-Amsterdam. L’obiettivo rimane sempre il solito: rendere il treno un’opzione maggiormente attrattiva per i passeggeri anche per il collegamento delle grandi capitali europee, sviluppando così una mobilità sempre più sostenibile. Una missione green che riguarda anche il trasporto delle merci. Lo sviluppo della logistica intermodale e lo switch modale dalla strada alla ferrovia rimane, infatti, uno dei traguardi principali di Ferrovie dello Stato in ambito nazionale, ma anche europeo “come testimonia la recente acquisizione in Germania di Exploris, una holding di trasporto ferroviario merci, da parte della nostra Tx Logistics – ha ricordato Ferraris – che ci fa diventare secondo operatore di trasporto merci nel paese tedesco”.

Non solo treni però. Un mese fa Qbuzz, la società olandese del Polo Passeggeri di Ferrovie dello Stato, si è aggiudicata una nuova concessione di 15 anni per i servizi di trasporto pubblico locale su gomma del valore di 1,8 miliardi. I servizi riguarderanno l’area di Zuid-Holland-Noord nella regione del Randstad che conta otto milioni di abitanti ed è compresa tra le città di Amsterdam, Rotterdam e L’Aia. Qbuzz trasporterà 195 milioni di passeggeri-km all’anno, attraverso 52 linee automobilistiche passando per 1041 fermate. E a circolare sarà una una flotta di 275 autobus elettrici.

Legora de Feo (Uniport): “Serve regia nazionale su grossi nodi come ‘cold ironing'”

Una regia centrale, un coordinamento nazionale, un’uniformità nell’applicazione delle regole per i diversi scali italiani. E un’attenzione particolare al cosiddetto ‘Cold Ironing’, processo che consente a una nave attraccata in porto di spegnere i motori e connettersi ad una fonte di energia elettrica in banchina. Sono questi i nodi principali per avviare una transizione davvero ‘green’ e sostenibile dei porti, secondo Fise Uniport, associazione del mondo logistico portuale che aderisce al sistema Conftrasporto.

Il trasporto marittimo rappresenta infatti uno dei settori con tassi significativi di emissioni di gas serra (oltre un miliardo di tonnellate di CO2, pari circa al 3% delle emissioni globali) che peraltro in alcuni casi (es. attraverso i collegamenti marittimi alternativi a quelli stradali) contribuiscono alla riduzione dell’inquinamento da trasporto. Con la crescita del traffico navale internazionale e in assenza di rapide misure di mitigazione , che comunque l’armamento più evoluto sta adottando mediante investimenti consistenti , queste emissioni aumenterebbero significativamente fino, addirittura a percentuali al di sopra del 15% entro il 2050. Uno degli aspetti del problema è posto dalle emissioni delle navi attraccate in porto. Durante la sosta in banchina i motori a propulsione vengono spenti, ma per garantire l’erogazione dei servizi a bordo vengono utilizzati motori diesel ausiliari, che comportano un elevato consumo di combustibile ed emissione di gas di scarico. In risposta a questa crescente esigenza, a livello europeo, di mitigare le emissioni inquinanti delle navi in porto e di accelerare il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale per il settore, il Cold Ironing sembra essere una delle soluzioni disponibili. Ma, su questo, “non esistono ancora indicazioni precise e definitive”, spiega a GEA il neo presidente Uniport, Pasquale Legora de Feo.

Sul tavolo di discussione ci sono infatti tempi e modalità di realizzazione delle connessioni tra il porto e la rete elettrica nazionale; tempi e modalità di realizzazione dell’impiantistica in porto e nei terminal; modalità di organizzazione e gestione del servizio di connessione con le navi; tariffazione. “Siamo convinti della necessità di rendere più sostenibile il sistema portuale, così come chiede anche l’Europa nella sua direttiva ‘Fit for 55’ ma ci manca ancora una regia collettiva, un tavolo di coordinamento con il governo perché i vari soggetti che dovranno intervenire per rendere questa sostenibilità raggiungibile e ridurre impatto ambientale necessitano di una regolamentazione unica”.

Centrale, spiega, è un maggior coinvolgimento del settore privato nei piani delle autorità portuali sul fronte della governance. “I fondi del Pnrr per il comparto portuale, ad esempio, vanno spesi proprio per realizzare porti sempre più ‘green’, ma non con investimenti a pioggia – continua -. Noi come imprese affrontiamo la crescita dei prezzi, dei canoni difformi fra porto e porto e un calo dell’export che riduce il traffico”. In questo, “il settore privato darà il suo contributo per ammodernare le infrastrutture ma va assicurata una uniformità dei canoni fra i diversi scali e una nostra maggiore rappresentanza nella governance“. E poi, servono regole uguali fra tutti. “Anche sugli investimenti – incalza il neo presidente -. Non è possibile avere 16 autorità portuali che agiscono come 16 repubbliche autonome. Se investo a Napoli milioni di euro sulle gru non ho dei benefici sul canone mentre in altri porti sì“.

Dal canto suo, assicura, Uniport vuole essere parte ancor più attiva e propositiva con l’obiettivo di raggiungere soluzioni “che consentano a tutte le imprese di offrire ai propri clienti-nave servizi adeguati, a costi contenuti, secondo modalità di organizzazione del servizio che tengano conto delle specifiche realtà portuali ed aziendali”. E che siano “sostenibili”. Ma, ribadisce, “serve il decisore politico”. Il settore auspica chiarezza, soprattutto su una transizione ‘green’, e una regia centrale “che non c’è mai stata: con il viceministro Rixi qualcosa si è messo in moto, soprattutto sui dossier importanti ma ora aspettiamo la convocazione di un tavolo di concertazione”, continua Legora De Feo.

Tra le priorità del mandato del nuovo presidente ci sono la riforma delle procedure per il rilascio delle concessioni terminalistiche e per la determinazione dei canoni le cui recenti linee guida sembrano “molto complesse e farraginose. Per quanto riguarda invece le concessioni già esistenti, appare urgente insistere nell’opera tesa a rivedere il sistema di indicizzazione annuale dei canoni di concessione demaniali”. Ulteriore tematica su cui attivarsi è quella dei dragaggi dei fondali dei porti perché nonostante la recente approvazione di nuove norme ambientali “permangono grosse difficoltà”.

La tabella di marcia Ue per trasporti navali più green: svolta per il 2024

Meno CO2, meno metano, meno protossido di azoto, e più alimentazione sostenibile. La nuova mobilità pulita dell’Ue per il mare è prevista per il 2024. Queste sono le scadenze fissate dalla commissione europea nella sua tabella di marcia per nuove regole in fatto di trasporti sull’acqua. Tre gli ambiti di intervento. Il primo riguarda l’anidride carbonica. La Commissione si prepara ad adottare diversi atti delegati e di esecuzione entro la fine del 2023 al fine di consentire l’inclusione tempestiva del settore del trasporto marittimo nel sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (Ets) a partire dal 1° gennaio 2024.

Per quanto riguarda metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), altri gas a effetto serra a cui l’Ue intende mettere freno e tetti di emissione, la Commissione europea adotterà atti delegati per tenerne conto e includerli nel sistema di contabilizzazione entro l’1 ottobre 2023. Queste almeno le intenzione, secondo quanto dichiarato da Frans Timmermans, il vicepresidente esecutivo responsabile per il Green Deal, rispondendo a un’interrogazione parlamentare in materia.

All’abbattimento dei gas clima-alteranti prodotti dalle flotte passeggeri e merci, si aggiunge anche misure per trazione pulita delle imbarcazioni. Il 23 marzo di quest’anno è stato raggiunto l’accordo sulla cosiddetta ‘FuelEU Maritime’, la proposta di regolamento per introdurre motori di nuova generazione alimentati da combustibili ‘green’. L’obiettivo è far sì che l’intensità di gas a effetto serra dei combustibili utilizzati dal settore marittimo diminuisca gradualmente nel tempo, dal 2% nel 2025 fino all’80% entro il 2050. In tal senso “la Commissione si sta preparando all’attuazione del regolamento FuelEU Maritime”, assicura ancora il commissario responsabile per il Green Deal. L’obiettivo del collegio è “pubblicare gli atti delegati e di esecuzione pertinenti nel 2024”. Le elezioni europee, con il rinnovo del Parlamento e l’insediamento del nuovo collegio dei commissari, non dovrebbero dunque incidere sulla tabella di marcia per una mobilità marittima sostenibile.

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