Gli estremismi del green deal e la mancanza di coraggio degli industriali europei

Ho più volte sostenuto su queste pagine che per riportare l’industria al centro delle politiche europee occorre un profondo cambiamento culturale che deve coinvolgere tutti.

Se non si comprende che il declino europeo è figlio di una visione sbagliata, di vere e proprie distorsioni cognitive, che ci hanno fatto presuntuosamente credere che il nostro primato nei diritti, nella democrazia, nel welfare possa essere eterno a prescindere dall’economia e dalla ricchezza creata, non si riuscirà a uscire dalla spirale involutiva in cui ci troviamo.

Come sempre quando le cose vanno male le responsabilità sono collettive. Le classi dirigenti europee al gran completo non sono state all’altezza della sfida. La politica non è stata capace di visione e di guida e, opportunisticamente, ha pensato di seguire e/o cavalcare l’onda di un ambientalismo populista e estremista che vede nelle imprese il problema invece che la soluzione.

Non riconoscere che dietro quest’onda verde si nascondevano, in molti casi, gli sconfitti della storia e gli epigoni di un pensiero anticapitalista e antioccidentale è stato un grave errore.

Questo atteggiamento non è stato solo delle forze politiche di sinistra ma, in molti casi, anche i moderati (vedi Von der Leyen sul green deal) e i conservatori non sono stati capaci di contrastare con argomenti razionali e scientifici l’estremismo ambientalista e la demagogia della “decrescita felice”.

Ma poiché le responsabilità sono collettive, in questo appannamento della ragione ci sono anche grandi responsabilità di vasti settori degli industriali europei e delle loro organizzazioni, che sono stati miopi o, troppe volte, deboli e senza voce in omaggio alla consuetudine del politically correct che impone di non alzare mai i toni con la Commissione Europea. In questo modo si sono accodati al pensiero dominante e, senza alcun coraggio, non hanno reagito né lottato per difendere la sopravvivenza dell’industria europea.

Molti sono gli esempi che, purtroppo, testimoniano di questa debolezza.

Era del tutto evidente, ad esempio, che non sostenere il principio della “neutralità tecnologica” come strada maestra per la decarbonizzazione dell’economia e dell’industria, ma puntare tutto sull’elettrico, sarebbe stato un grave errore concettuale e metodologico destinato ad avere gravissime conseguenze.

Gli industriali europei dell’automotive, soprattutto i tedeschi leader di questo settore, in preda ad una sorte di “sindrome di Stoccolma” e con la coscienza sporca per il dieselgate hanno rinunciato ad ogni battaglia per la difesa dei motori endotermici sui quali l’Europa aveva ed ha un primato tecnologico e industriale mondiale, optando per l’elettrico e accettando che dal 2035 non si vendano più auto alimentate con idrocarburi.

La cosa risulta assolutamente insensata se si considera che le tecnologie di decarbonizzazione messe a punto per i motori endotermici (Euro 6) o l’uso di combustibili sintetici o biologici consente di raggiungere livelli di inquinamento atmosferico e di emissioni di CO2 prossimi a quelli dei motori elettrici.

E così si è preferito fare giganteschi investimenti solo sui modelli elettrici senza valutare: da un lato i drammatici effetti industriali e occupazionali di questa scelta sulla filiera dell’automotive (un motore elettrico ha da 10 a 12 volte meno componenti di un motore endotermico); dall’altro gli enormi problemi ambientali e di dipendenza strategica connessi alla scelta dell’elettrico, come produzione del litio per le batterie, monopolio cinese o quasi nella produzione di tutte le tecnologie rinnovabili e dominio cinese nella produzione di auto elettriche .

Anche in questo caso ci è mancato tanto Sergio Marchionne, che sull’elettrico è sempre stato prudente, per non dire scettico, e che oggi sorriderebbe con un po’ di ironia vedendo tante case automobilistiche, a partire dalla giapponese Toyota, rallentare considerevolmente i loro programmi sull’elettrico.

O ancora, c’è stata una debolezza estrema degli industriali europei e delle loro organizzazioni sulla così detta “tassonomia” delle tecnologie eleggibili, cioè finanziabili con fondi pubblici, per la transizione. Da una parte vi è stata un’accettazione acritica della tecnologia dell’idrogeno per ora assai complicata e economicamente squilibrata perché basata su due risorse scarse e preziose (energie rinnovabili e acqua) e costosissima. Dall’altro si è deciso, per ragioni puramente ideologiche, di rifiutare l’inserimento nella tassonomia delle tecnologie di “carbon capture” applicate alla generazione elettrica da turbogas.

Quali sono le ragioni per le quali la generazione elettrica con il gas naturale deve essere contrasta anche se carbon neutral? Perché contrastare il gas naturale che sarà l’unica vera fonte energetica della transizione a basso costo e a basso inquinamento per quella parte di domanda che non potrà essere coperta dalle rinnovabili?

Non sono venute risposte a questi interrogativi.

Così come non vi sono state proteste significative (al riguardo gli agricoltori e gli allevatori sono stati molto più bravi degli industriali e dei lavoratori dell’industria) per tutte le misure adottate senza considerare gli effetti sui settori industriali di base (acciaio, chimica, carta, vetro, ceramica ecc.) che dal 2030-2032 non avranno più quote gratuite di CO2 e che per questo saranno costretti a chiudere o a delocalizzare creando gravi problemi alle filiere industriali sottostanti e nuove dipendenze strategiche.

Solo in un caso, quello delle norme sul packaging, si è vista una battaglia vincente degli industriali che si opponevano a norme assurde. Guarda caso la battaglia è stata condotta con successo dagli italiani che hanno raccolto intorno alla loro impostazione molti Paesi dell’Unione dimostrando che è possibile contrastare decisioni sbagliate della Commissione Europea.

In generale al di là di questo caso di successo, gli industriali europei e le loro organizzazioni devono recitare il mea culpa per la loro incapacità di difendere l’industria europea dagli eccessi del green deal e dalla caduta di competitività che ne discende.

Solo oggi, molto lentamente, si fa strada la consapevolezza che così non si può andare avanti e che gli eccessi dell’estremismo ambientalista e del mercatismo globalista rischiano di ammazzare l’industria europea. Ma la strada è ancora lunga e in salita.

Ripenso con tristezza e rabbia ai tanti interventi che ho svolto negli ultimi anni in Consiglio Generale di Confindustria su questi temi, interventi spesso accolti da alcuni autorevoli colleghi con fastidio come divisivi o addirittura antieuropei. Purtroppo non ha voluto davvero bene all’Europa proprio chi non ha saputo vedere cosa stava accadendo, e per conformismo ha preferito assecondare il mainstream, e per mancanza di coraggio non ha saputo o voluto contrastare un’ideologia che, nei fatti, vuole cancellare l’industria europea.

Forse qualcosa oggi sta cambiando ma tutto è diventato maledettamente più difficile.

Von der Leyen candidata Ppe alle elezioni europee: “Noi per un Green Deal pragmatico”

La strada verso la rielezione ora è ufficiale. Ursula von der Leyen, l’attuale presidente della Commissione Europea, è in corsa per succedere a se stessa per altri 5 anni anni alla guida dell’esecutivo dell’Unione, dopo la nomina arrivata al Congresso di Bucarest della sua famiglia politica europea – il Partito Popolare Europeo (Ppe) – come candidata comune alle elezioni di giugno. E la partita si gioca non solo sul piano delle alleanze post-elettorali a Bruxelles, ma anche sulla nuova visione di uno dei pilastri fondanti della Commissione da lei stessa guidata dal 2019 a oggi: il Green Deal europeo.

A differenza di altri, noi siamo per soluzioni pragmatiche e non ideologiche sul Green Deal“, ha rivendicato la ‘Spitzenkadidatin’ (candidata comune) del Ppe nel suo intervento di investitura. Nessuna sorpresa sulla nomina con 400 voti a favore e 89 contrari – considerato il fatto che von der Leyen era l’unica candidata in lizza e supportata dalla pressoché totalità dei leader dei partiti nazionali – ma ciò che ha più colpito a Bucarest è stata la veemenza e il vigore con cui la politica tedesca ha elencato le priorità della campagna elettorale del Ppe verso l’appuntamento alle urne di giugno.

Se da una parte von der Leyen si è implicitamente rifatta a una retorica ormai rodata dalla destra europea contro il suo stesso ex-braccio destro responsabile per l’Azione per il clima – il vicepresidente socialista della Commissione Ue fino ad agosto 2023, Frans Timmermans – dall’altra ha voluto rilanciare l’obiettivo dei popolari europei per la prossima legislatura: “Noi del Ppe sappiamo che non c’è economia competitiva senza protezione del clima e non c’è protezione del clima senza economia competitiva“, e allo stesso tempo “siamo stati i primi a progettare il Green Deal in modo sociale, industriale ed economico“.

Ad appoggiarla anche il vicepresidente del Ppe e vicepremier italiano, Antonio Tajani: “Dobbiamo proteggere le industrie e l’agricoltura, perché senza non abbiamo lavori per le giovani generazioni. Questo è il nostro impegno contro il cambiamento climatico“. Tajani si è definito “pragmatico” e “non un seguace della religione di Greta Thunberg e del commissario Timmermans“, calcando la mano sul fatto che “è possibile tracciare la strada per un futuro migliore e supportare allo stesso tempo industrie e agricoltura“. Parole simili a quelle scelte dal presidente dei popolari europei, Manfred Weber: “Come Ppe mostreremo che potremo portare insieme successo economico e responsabilità ambientale, siamo il partito dei protettori del clima“.

A proposito di economia e ambiente, inevitabile dopo l’ondata di proteste degli agricoltori che ha travolto i Paesi membri e l’Unione nel suo insieme il forte focus di von der Leyen sull’agricoltura europea: “Voglio essere molto chiara, il Ppe sarà sempre dalla parte dei nostri agricoltori“. Proprio i rappresentanti della categoria produttiva nel corso dell’ultimo mese “mi stanno spiegando le enormi sfide che stanno affrontando“, ha continuato la candidata dei popolari europei: “Si svegliano presto la mattina, lavorano duro per il cibo di qualità che noi mangiamo“, ma “i costi si alzano, i prezzi che ottengono per latte, carne e grano sono volatili e spesso imposti da altri nella catena alimentare” e “a volte sono costretti a venderli sotto i costi di produzione“. Tutto questo “è totalmente inaccettabile“, ha messo in chiaro con forza la presidente della Commissione Ue: “La nostra sicurezza alimentare dipende dalla sicurezza delle condizioni di vita dei nostri agricoltori, per questo dobbiamo riportare sostenibilità” al sistema alimentare. Da qui parte una campagna elettorale lunga 90 giorni, in vista delle europee del 6-9 giugno.

Sul Green Deal autogol dell’Europa che però non può essere abbandonata

In questi mesi che precedono le elezioni, il sentire (abbastanza) comune è criticare l’Europa. Non in assoluto, no, ma quella messa in piedi da Frans Timmermans e Ursula von der Leyen, l’Europa del Green Deal tanto ‘nobile’ nelle intenzioni quanto spropositato nell’applicazione. Al punto da ripiegarsi su se stesso e da venire sconfessato pezzetto dopo pezzetto. L’ultimo dietrofront è stato sui pesticidi, con la colonna sonora assordante dei trattori che hanno invaso (con danni) Bruxelles. I motivi di questo flop sono ormai una cantilena e diventa facile sintetizzarli: va bene decarbonizzare, ci mancherebbe, ma farlo in questa maniera esasperata, ponendo obiettivi irraggiungibili ed economicamente insostenibili, significa generare un movimento di rifiuto che poco alla volta produce effetti contrari.

In fondo, le ‘trattorate’ di queste ore sono l’ultimo meccanismo di espulsione da una politica verde che ha generato malumori in grandi ei e piccole aziende, nei cittadini ‘comuni’. Perché, riavvolgendo il nastro del tempo, non è possibile sorvolare sui guasti della direttiva sulle auto elettriche, sulle case green, sui gas serra, sugli imballaggi. Battaglie che l’Europa di Timmermans e Vdl ha perso, specialmente da quando l’ultra-ambientalista olandese ha lasciato i suoi incarichi a Bruxelles. Giugno è domani e con questo andazzo sarà complicato portare i cittadini alle urne, almeno in Italia. Nel 2019 la percentuale di votanti è stata di poco superiore al 50%, pressoché in linea con il resto d’Europa a eccezione di Belgio, Lussemburgo e Malta. Questo per dire che un’elezione ‘sentita poco’ rischia di essere addirittura ignorata in una situazione di massimo disagio quando, al contrario, diventa importantissimo votare per scegliere chi governerà tra Strasburgo e Bruxelles, incidendo poi sulle politiche dei vari Paesi. Per l’Europa presa in mezzo tra Putin e Netanyahu, smaniosa di sapere che strada prenderanno gli Stati Uniti, è fondamentale uscire fortificata dalle urne. Tocca alla politica farlo capire a chi non possiede una sensibilità europea e considera le decisioni di palazzo Berlaymont una sorta di implacabile mannaia. Che sia Europa o Stati Uniti d’Europa non è dirimente, basta che sia.

Quattro mesi non sano tanti ma neppure pochissimi, conviene che la tessitura della tela cominci subito e non sia schiava della campagna elettorale che, spesso, porta a una visione miope del futuro. Proprio sul tema ambientale, ad esempio, l’Europa si gioca molto: deve continuare a essere un esempio per il mondo senza dimenticare che la sua produzione di gas serra corrisponde più o meno all’8% di quella planetaria. Cina, India, Stati Uniti ‘valgono’ infinitamente di più e sono Paesi che per adesso hanno sempre anteposto i propri interessi economici a quelli della collettività. La condivisione di due esigenze contrapposte è una sfida, la vera sfida. Senza estremismi deleteri, usando persino l’attaccatutto per tenere unito il Vecchio Continente.

Von der leyen

Von der Leyen lancerà il 25 gennaio il dialogo strategico sull’agricoltura

Il dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura nell’Ue con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, partirà formalmente il 25 gennaio, alla presenza di una trentina di organizzazioni della filiera. Il dialogo strategico per rimettere gli agricoltori al centro della transizione era stato annunciato a settembre da von der Leyen in occasione del Discorso sullo stato dell’Unione e confermato a dicembre dalla leader tedesca, che ha indicato il mese di gennaio per l’avvio.

A guidare il confronto, spiegano a GEA fonti della Commissione, sarà Peter Strohschneider, indicato per la “lunga e riconosciuta esperienza professionale“, in particolare come presidente della ‘commissione per il futuro dell’agricoltura’ (Zukunftskommission Landwirtschaft, ZKL) del governo federale tedesco. L’iniziativa, a cui parteciperanno diverse organizzazioni degli agricoltori tra cui COPA e COGECA e IFOAM Organics Europe, punterà nei prossimi mesi a promuovere la creazione di nuove soluzioni e a realizzare una “visione comune” entro l’estate del 2024. Dopo la riunione di avvio saranno organizzati diversi incontri tematici, che si svolgeranno nella prima metà dell’anno.

Il confronto tra agricoltori, cooperative, imprese agricole e organizzazioni non governative e i rappresentanti della società civile, servirà a mettere a fuoco sfide e opportunità per la filiera, come un tenore di vita equo per gli agricoltori e le comunità rurali, il sostegno all’agricoltura entro i confini del nostro pianeta e dei suoi ecosistemi, lo sfruttamento delle enormi opportunità offerte dalla conoscenza e dall’innovazione tecnologica e la promozione di un futuro prospero per il sistema alimentare dell’Ue in un mondo competitivo.

L’intero sistema alimentare deve anche affrontare diverse sfide serie, come il cambiamento climatico e un mercato globale molto competitivo, con un enorme impatto sull’intero settore, in particolare sugli agricoltori e sulle comunità rurali”, ricordano fonti della Commissione. Il dialogo dovrebbe servire a trovare il giusto equilibrio tra gli obiettivi di sicurezza alimentare e il reddito degli agricoltori, non perdendo di vista gli obiettivi della transizione verde che devono coinvolgere anche il comparto (dal momento che da lì arriva oltre il 10 per cento delle emissioni).

Dallo scorso autunno la Commissione europea ha lanciato una nuova fase del Green Deal, più attenta alla realtà industriale e agli agricoltori che negli ultimi mesi hanno manifestato il loro disappunto su alcuni dei pilastri chiave della strategia per la crescita verde dell’Europa. E la loro insoddisfazione è presto diventata bandiera politica del Partito popolare europeo (Ppe) – famiglia politica della stessa von der Leyen – in vista delle prossime elezioni di giugno. Il gruppo e in generale il centrodestra europeo ha preso di mira prima la proposta di Legge sul ripristino della natura, accusata di minacciare la produzione agricola e dunque la sicurezza alimentare in un momento delicato, come quello attuale, della guerra di Russia in Ucraina. E poi, ha contribuito ad affossare la proposta di riduzione dell’uso dei pesticidi, che ormai slitterà direttamente alla prossima legislatura.

Meloni e von der Leyen in Emilia Romagna: nuovi fondi ai territori alluvionati

Dalla revisione del Pnrr e dall’accordo delle Politiche di sviluppo arrivano nuovi fondi per i territori alluvionati dell’Emilia Romagna. L’accordo viene siglato tra il governo e la Regione. Tra Bologna e Forlì il presidente, Stefano Bonaccini, accompagna la premier, Giorgia Meloni, il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, e la presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, incassando anche qualche protesta dei cittadini, che accusano le istituzioni di “passerelle” troppo facili. Con l’intesa, però, 588 milioni di euro vengono sbloccati dalle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021-2027 e assegnati alla regione. Se alle risorse FSC si aggiunge la quota di cofinanziamento (circa 99 milioni di euro), si arriva a 687 milioni di euro che serviranno a finanziare 92 progetti ritenuti strategici. “E’ stato fatto un lavoro silenzioso e difficile“, rivendica la premier smarcandosi dalle polemiche. L’obiettivo è dichiarato: “Trasformare l’Italia, spesso considerata fanalino di coda nell’utilizzo dei fondi europei, in un modello“.

Ursula von der Leyen era stata nei territori colpiti dal maltempo pochi giorni dopo le inondazioni, assicurando l’impegno dell’Europa. Ora “quelle risposte sono arrivate“, conferma Meloni. Intanto con la revisione del Pnrr, che “si diceva fosse impossibile e invece non solo era possibile, ma anche doverosa“, rimarca. Il nuovo piano, infatti, assegna un miliardo e 200 milioni alla difesa idraulica, al ripristino della viabilità e delle infrastrutture stradali, al patrimonio edilizio residenziale e pubblico, alle strutture socio-sanitarie pubbliche, alle scuole e infrastrutture sportive. In altre parole, con questi soldi, “si fa ricostruzione, ma anche e soprattutto prevenzione rispetto a eventuali ulteriori eventi di questa natura“, spiega la presidente del Consiglio. Si dice commossa dal ritorno in Romagna von der Leyen: “Mi ricordo chiaramente la visita a maggio dell’anno scorso e non dimenticherò mai la devastazione che hanno causato le inondazioni“, confessa, rimembrando “le enormi quantità di fango ovunque e le rovine delle case andate distrutte“, ma anche “la fenomenale solidarietà di uomini, donne e anche bambini per aiutarsi e confortarsi“. Il Fondo di solidarietà è stato mobilitato, con l’anticipo di 95 milioni per le emergenze, le operazioni di pulizia e ripristino. “Molto altro arriverà nei prossimi mesi“, garantisce la presidente della Commissione.

Gli Accordi delle Politiche di sviluppo e coesione “consentono al Governo di essere al fianco dei territori e seguire da vicino lo stato di attuazione dei progetti che scelgono di sostenere col ciclo 2021/2027 delle risorse”, precisa Fitto. “Da tempo ho stressato il ministro per firmare prima possibile questo accordo in linea con quel Patto per il lavoro e il clima condiviso con province, comuni, parti sociali. Oggi con questa firma il sistema regionale avrà ulteriori investimenti per ambiti cruciali”. Tira un sospiro di sollievo Bonaccini alla firma dell’accordo. Un programma, continua Bonaccini, “che andiamo ad attuare e che da tempo abbiamo condiviso con l’assemblea legislativa e con il Patto, naturalmente avrà attenzione particolare ai territori alluvionati“.

 

Meloni firma il patto con Emilia-Romagna: 687 milioni pro-alluvione. Oggi a Forlì con Von der Leyen

Prima Davos, poi Strasburgo, poi ancora l’Italia. Agenda impegnata quella della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che oggi tornerà in Emilia Romagna, in uno dei luoghi simbolo delle devastanti alluvioni che lo scorso maggio hanno colpito il centro Italia.

Von der Leyen in giornata sarà a Forlì, città toccata dalle inondazioni che hanno colpito la regione lo scorso anno, insieme alla premier Giorgia Meloni. Nel pomeriggio è prevista una conferenza stampa. Un incontro per discutere di fondi europei per le zone colpite dalle alluvioni, a cui parteciperanno anche il governatore della Regione, Stefano Bonaccini, e il ministro per gli Affari europei, il Sud e il Pnrr, Raffaele Fitto.

Il governo ha presentato a Bruxelles il 24 luglio la domanda di sostegno attraverso il Fondo europeo di solidarietà, per contribuire a ripristinare le infrastrutture principali, finanziare i servizi di soccorso e le operazioni di pulizia generale, e attuare misure di protezione del patrimonio culturale della regione. A novembre la Commissione europea ha deciso di concedere all’Italia un anticipo di 94,7 milioni di euro dal Fondo europeo di solidarietà per alleviare l’onere finanziario causato dal disastro naturale.

Il Fondo di solidarietà è un dispositivo fuori bilancio che permette di mobilitare fino a 500 milioni di euro all’anno – oltre ai fondi non spesi dell’anno precedente – per coprire parte dei costi per la ricostruzione. Gli Stati membri colpiti da disastri naturali possono richiederne l’attivazione alla Commissione entro 12 settimane dalla data dei primi danni rilevati, allegando alla domanda una stima dei danni. Questo dispositivo ammette interventi d’emergenza come il “ripristino immediato del funzionamento delle infrastrutture nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell’istruzione”. Dalla sua attivazione nel 2002 quasi un terzo degli 8,2 miliardi di euro complessivi – circa 3 miliardi – sono stati destinati all’Italia, quasi in doppio della Germania seconda beneficiaria con 1,6 miliardi.

Intanto in mattinata la premier ha firmato il nuovo accordo sui Fondi di sviluppo e coesione con il governatore Stefano Bonaccini e il ministro Raffaele Fitto.  “Arriviamo a una cifra di 687 milioni di euro che viene mobilitata oggi con questa firma. Complessivamente 92 progetti, poche grandi priorità: non risorse che vengono spese in centinaia di microprogetti, ma scegliere sulle priorità che rappresentano un volano” ha affermato la premier. “Non avremmo potuto non occuparci dell’alluvione, torna Von Der Leyen che si era presa responsabilità e impegni, quelle risposte sono arrivate – ha aggunto Meloni – grazie alla revisione del Pnrr, difesa idraulica, ripristino del patrimonio pubblico, delle scuole e delle infrastrutture sportive: 1,2 miliardi. Con il Fsc invece la Regione ha proposto, e il governo ha condiviso, 137 milioni per la manutenzione stradale, con rilevazione annuale del fabbisogno delle province. Sono risorse che si aggiungono a quelle che la Regione aveva già destinato a viabilità e trasporti, ci sono anche 27 milioni destinati a manutenzione straordinaria di opere idrauliche che insistono sui bacini idrografici della Regione, ma c’è anche molto altro”.

Ursula von der Leyen

Clima, il 6 febbraio la proposta Ue sul target intermedio al 2040

Sei febbraio. La comunicazione della Commissione europea sul nuovo obiettivo climatico intermedio al 2040 sarà discussa e adottata dal collegio a guida von der Leyen proprio in questa data a Strasburgo, secondo l’ultimo ordine del giorno della riunione del collegio dei commissari (sempre suscettibile a cambiamenti dell’ultima ora).

La Legge Ue per il clima (adottata a Bruxelles nel 2021) impegna tra le altre cose l’Unione europea a stabilire un nuovo obiettivo intermedio per il 2040 e un bilancio indicativo previsto per i gas a effetto serra dell’Unione per il periodo 2030-2050, ovvero quante emissioni nette di gas serra possono essere emesse in quell’arco temporale senza mettere a rischio gli impegni dell’Unione.
La legge sul clima ha fissato il target di ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Il 2040 è il secondo target intermedio prima di arrivare alla neutralità carbonica nel 2050. Dopo il 2050 si considerano emissioni negative: cioè non potranno più essercene di nuove, ma rimarranno quelle esistenti. La tempistica delle discussioni per il 2040 è strettamente legata al ciclo di ambizione quinquennale dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, che fissa l’impegno a limitare l’aumento della temperatura entro 1,5°C. Si prevede che tutte le parti dell’accordo inizieranno a pensare al prossimo obiettivo quest’anno per poi comunicarlo prima della Cop29 (29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) che si terrà il prossimo anno a Baku, in Azerbaijan.

I consulenti scientifici dell’Ue hanno suggerito una riduzione delle emissioni del 90% (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2040, pubblicando uno studio con raccomandazioni sulla fattibilità tecnologica, limiti e rischi ambientali, cooperazione internazionale. Il commissario Ue per azione per il clima, Wopke Hoekstra, ha promesso che la Commissione preparerà una valutazione d’impatto approfondita e analizzerà diversi scenari, costi e benefici, impegnandosi a lavorare in linea con i suggerimenti del comitato consultivo e dunque ha sostenuto personalmente l’obiettivo del 90% entro il 2040, anche se la decisione dovrà essere collegiale (di tutta la Commissione europea).

In attesa della proposta da parte della Commissione europea, i ministri Ue dell’Ambiente hanno avuto questa settimana a Bruxelles un primo confronto sull’argomento pranzo informale sul tema con Ottmar Edenhofer, presidente della Comitato consultivo scientifico europeo sui cambiamenti climatici. E anche l’Italia sembra possibilista sul target. Per l’Italia si tratta di “un obiettivo ambizioso, ma che dobbiamo perseguire. E’ legato allo sviluppo delle tecnologie e in linea con la riduzione del 55% al 2030, pertanto l’Italia deve fare di tutto per riuscirci e può riuscirci”, ha dichiarato il ministro per l’Ambiente e la sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in un punto a Bruxelles.

Il target climatico è tra le ultime grandi proposte che la Commissione europea ormai alla fine della legislatura si troverà ad avanzare. Anche dopo la comunicazione di febbraio, l’iter sarà appena avviato e spetterà alla prossima Commissione europea raggiungere un accordo politico con Parlamento e Consiglio Ue.

Rutte propone Hoekstra per il dopo Timmermans. Martedì colloquio con von der Leyen

E’ l’attuale ministro degli Esteri, Wopke Hoekstra, il candidato indicato dal governo dei Paesi Bassi per sostituire Frans Timmermans nel ruolo di commissario europeo con il portafoglio dell’azione per il clima. 47enne e attuale ministro degli Esteri del governo Rutte, Hoekstra è esponente dei conservatori liberali del partito Appello Cristiano Democratico (CDA), che a Bruxelles è membro del Partito popolare europeo di centrodestra. Il gruppo è lo stesso della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ma è un segnale di discontinuità con Timmermans che appartiene invece alla famiglia dei Socialisti & Democratici.

Martedì prossimo, ha confermato la portavoce dell’esecutivo, Dana Spinant, si terrà il tradizionale colloquio del candidato con von der Leyen, per poi arrivare ad essere audito in Parlamento europeo. All’audizione all’Eurocamera partecipano una o più commissioni parlamentari competenti per il portafoglio, dopo aver risposto a un questionario scritto e presentato la propria dichiarazione di interessi. La Commissione deve ottenere l’approvazione del Parlamento a maggioranza dei voti espressi prima che i candidati possano essere nominati dal Consiglio europeo.

Quanto al portafoglio del successore di Timmermans, ancora non è chiaro quante competenze avrà e se manterrà la sola priorità dell’azione per il clima. Timmermans era il vicepresidente esecutivo con la delega al Green Deal e commissario per l’azione per il clima. Accettando le dimissioni dell’olandese, von der Leyen ha ‘spacchettato’ le sue competenze, scegliendo di assegnare il ruolo di vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo al vicepresidente per le relazioni interistituzionali, Maroš Šefčovič, al quale andrà solo temporaneamente anche la responsabilità del portafoglio per la politica di azione per il clima fino alla nomina di un nuovo commissario proveniente dai Paesi Bassi (il collegio si compone di un membro per ciascuno Stato membro). Tutto lascia pensare che la delega al Green Deal rimarrà nelle mani di Sefcovic fino alla fine della legislatura, mentre al nuovo commissario andrà solo la competenza per l’azione del clima, che sul piano internazionale avrà un grande peso dovendo rappresentare Bruxelles nei negoziati alla prossima COP28 che si terrà negli Emirati Arabi dal 30 novembre al 12 dicembre.

Non solo per il piano internazionale il portafoglio climatico sarà importante. Timmermans se ne va lasciando aperti sul tavolo diversi dossier del Patto verde, come la direttiva sull’efficientamento energetico degli edifici (la famosa ‘direttiva case green’ su cui i negoziatori di Parlamento europeo e Consiglio si rincontreranno a settembre nel trilogo) e il regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggi, passando per la proposta di revisione della direttiva del Consiglio sulla tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità e dal taglio dei pesticidi. La Commissione ancora non conferma e spiega solo che il portafoglio del prossimo commissario olandese dipenderà dal “suo profilo e dalle sue qualifiche”, che emergeranno dal colloquio di martedì con von der Leyen. Già prima della conferma da parte di Palazzo Berlymont, le indiscrezioni sul nome hanno suscitato le critiche del gruppo S&D al Parlamento europeo che in una nota ha chiarito che ancora non c’è nulla di deciso e che il portafoglio di Timmermans del clima dovrebbe rimanere nella famiglia dei Socialdemocratici. “Sullo sfondo delle recenti manovre ciniche e populiste del PPE conservatore per annacquare il Green Deal e far deragliare documenti legislativi chiave come la legge sul ripristino della natura, è fondamentale per il nostro Gruppo che il portafoglio sul clima rimanga nelle mani dei socialisti”, si legge.

Von der Leyen promette alla Slovenia fino 6,3 mld per ripresa post-alluvione

Photo credit: AFP

 

Come da attese della vigilia, il viaggio della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen nella Slovenia devastata dalle alluvioni ha portato indicazioni importanti sul supporto che Bruxelles potrà mettere in campo a favore degli sforzi di ripresa e ricostruzione del Paese dopo il disastro naturale. “È una tragedia nazionale ed europea“, ha confermato la numero uno dell’esecutivo comunitario alla sessione straordinaria dell’Assemblea Nazionale slovena, dopo aver visitato con il primo ministro, Robert Golob, e il commissario per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič, i territori colpiti dall’alluvione: “Troveremo tutti i modi possibili per essere all’altezza della proverbiale solidarietà della Slovenia”.

Con il premier sloveno sono stati discussi in particolare i tre pilastri del pacchetto “per le necessità immediate, ma anche nel medio e lungo termine”. In primis c’è il Fondo di solidarietà, un dispositivo che permette di mobilitare fino a 500 milioni di euro all’anno – oltre ai fondi non spesi dell’anno precedente – per coprire parte dei costi per la ricostruzione: “Renderemo disponibili 400 milioni di euro, 100 milioni già quest’anno e 300 milioni il prossimo“, ovvero quasi 10 volte quelli ricevuti dal Paese dall’attivazione del dispositivo nel 2002 a oggi (48 milioni). Lubiana potrà richiederne l’attivazione entro 12 settimane dalla data dei primi danni rilevati, allegando alla domanda una stima dei danni, “poi potremo procedere al primo esborso”, ha spiegato von der Leyen. Sono ammessi interventi d’emergenza come il ripristino immediato del funzionamento delle infrastrutture nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell’istruzione.

Il secondo pilastro è il Next Generation Eu. “Oltre ai fondi che la Slovenia sta già usando e programmato, ci sono ancora 2,6 miliardi di euro che può richiedere“, è quanto annunciato dalla leader dell’esecutivo Ue, che ha precisato il fatto che “sono soldi nuovi, non programmati e potenzialmente accessibili” sotto forma di prestiti per finanziare un piano aggiuntivo dedicato alla ricostruzione e all’adattamento al clima. Ma perché Lubiana possa riceverli, “il tempo è tutto, la richiesta deve essere fatta entro la fine di agosto”, ha avvertito von der Leyen, e per questo motivo con il premier Golob è stata concordata l’istituzione di una task force tra Slovenia e Commissione Ue “per lavorare immediatamente sui requisiti amministrativi”.

Il terzo pilastro invece è composto dai fondi di Coesioneche possono essere riprogrammati”. Si tratta di “3,3 miliardi fino al 2027“, ma anche in questo caso “c’è bisogno della massima flessibilità, perché molto è già stato programmato”. Infine la presidente von der Leyen ha promesso anche che “mobiliteremo la riserva di crisi agricola europea per aiutare gli agricoltori che hanno perso bestiame, raccolti e macchinari”.

Un totale di 6,3 miliardi di euro che potenzialmente potrebbe arrivare a Lubiana per affrontare la ripresa e la ricostruzione a seguito delle alluvioni che “hanno portato scompiglio in due terzi” del Paese: “L’acqua ha spazzato via ogni tipo di infrastruttura critica – dai ponti alle linee elettriche – migliaia di famiglie sono state evacuate, quasi tutte le aziende nelle aree più colpite sono state coinvolte e sei persone hanno perso la vita”. La presidente della Commissione Ue ha rassicurato la popolazione sul fatto che “vi staremo vicini, potete contare sull’Ue“, dopo che in un solo giorno è caduta la pioggia di un mese: “La Slovenia è un eccellente esempio di un membro dell’Ue che ha sempre risposto immediatamente a chi aveva bisogno, come durante le alluvioni Italia o durante i terremoti in Croazia, ora è la Slovenia ad avere bisogno di aiuto” nel riprendersi da un disastro naturale causato dai cambiamenti climatici, “senza dubbio”.

Meloni: “Piano Mattei soluzione al grande problema d’Europa, l’energia”

La guerra in Ucraina ha cambiato la geopolitica energetica. L’approvvigionamento è diventato “il grande problema dell’Europa” che “non può guardare più a Est, ma deve guardare a Sud” del Mediterraneo. Nel ‘Forum in masseria’, organizzato ogni anno da Bruno Vespa, Giorgia Meloni torna a ripetere quanto fondamentale sia, non solo per l’Italia, ma per l’intero continente il suo Piano Mattei.

Un progetto che, a suo avviso, porterà non pochi benefici anche in Africa dove, scandisce, “sanno benissimo cosa significa”. Il tema si incrocia con una nuova, incombente, emergenza migratoria, di cui la premier ha discusso ieri con il cancelliere tedesco Olaf Scholz: “Chi è intellettualmente onesto non può notare che dalle sue parole, a margine dell’incontro di ieri, in Europa c’è un cambio di schema”, che c’è la necessità di “occuparci della dimensione esterna, mentre fino a ieri il dibattito era come gestiamo i movimenti secondari”.

La questione, insiste, “non si può risolvere se non si capisce che la frontiera d’Europa è una, che l’immigrazione illegale si deve fermare prima che arrivi in Europa e non si può prescindere da accordi con i Paesi di partenza e transito, è il lavoro che stiamo facendo con quei Paesi soprattutto del Nord Africa”, con il Piano Mattei: “Stiamo mettendo in campo un progetto di cooperazione non predatoria, da pari, come faceva Enrico Mattei e i Paesi africani“.

Domenica la presidente del Consiglio tornerà in Tunisia con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro olandese, Mark Rutte. L’obiettivo è spingere per trovare l’accordo sugli aiuti del Fondo monetario internazionale al Paese, bloccati per le mancate riforme: “Ci sto lavorando quasi quotidianamente e se domenica ci recheremo lì è grazie a lavoro, molto prezioso, fatto dall’Italia“, rivendica. “Insieme a quella missione, si sta per concretizzare un primo pacchetto aiuti della Commissione Ue, propedeutico all’accordo con il Fmi – aggiunge -. Accordo sul quale continuo a chiedere un approccio pragmatico e non ideologico, sia alla Tunisia che al Fondo monetario internazionale“.