L’Ue risponde agli Usa: dazi sui prodotti per 26 miliardi. Trump: “Vinceremo noi”

Bruxelles risponde di primo mattino a Washington. Nel giorno di entrata in vigore dei dazi Usa del 25% su acciaio e alluminio, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, annuncia “misure pesanti ma proporzionate”. Da oggi rientrano non solo in vigore le tariffe imposte dalla prima amministrazione Trump nel 2018, su diversi tipi di prodotti semilavorati e finiti, come tubi in acciaio, filo metallico e fogli di stagno, ma anche su altri prodotti derivati come articoli per la casa, pentole o infissi e diversi macchinari, alcuni elettrodomestici o mobili. Interesseranno un totale di 26 miliardi di euro delle esportazioni europee, circa il 5% del totale dell’export Ue negli Usa.

La Commissione Ue, intanto, calcola che gli importatori americani pagheranno fino a 6 miliardi di euro la mossa di Trump. E per fonti Ue, i dazi Usa “non sono intelligenti” perché “danneggeranno davvero la loro economia”.

Due gli elementi di risposta, duque: la reimposizione delle misure di riequilibrio del 2018 e del 2020 – che erano state sospese fino al 31 marzo prossimo e che ora rientreranno automaticamente in vigore dal primo aprile – e un nuovo pacchetto di misure aggiuntive che colpiranno circa 18 miliardi di euro di beni e che saranno poi applicate con le misure reimposte dal 2018. Per il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, però, “non basta difendersi sul piano commerciale, occorre una nuova politica industriale che restituisca competitività alle nostre imprese. Occorre agire, non solo reagire”. Per definire i prodotti del nuovo pacchetto, la Commissione ha avviato oggi le consultazioni di due settimane con le parti interessate dell’Ue.

Si mira a beni industriali e agricoli: da quelli in acciaio e alluminio ai tessili, dalla pelletteria agli elettrodomestici, dagli utensili per la casa alle materie plastiche e i prodotti in legno; dal pollame al manzo, da alcuni frutti di mare alle noci, dalle uova ai latticini, dallo zucchero alle verdure. Come spiegato da fonti Ue, la Commissione sta “cercando di colpire gli Stati Uniti in settori importanti per loro – ma che non costeranno tanto all’Ue” – e in particolare i beni rilevanti per gli Stati a maggioranza repubblicana. I Paesi Ue saranno invitati, poi, ad approvare le misure proposte prima della loro adozione e partenza previste per metà aprile. Ma se Bruxelles, da un lato, restituisce il favore all’alleato d’oltreoceano, allo stesso tempo prova a tenere aperto il dialogo. Precisa che “le misure possono essere revocate in ogni momento qualora si trovi una soluzione” e von der Leyen conferma al commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, l’incarico di “riprendere i colloqui” e aggiunge: “Rimarremo sempre aperti al negoziato”. Stesso messaggio del presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, secondo cui si deve “evitare un’escalation” e la situazione richiede “dialogo e negoziazione“. Non la pensa allo stesso modo Washington, secondo cui l’Ue è “fuori contatto con la realtà” e le sue “azioni punitive non tengono conto degli imperativi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e internazionale”. Non solo. In un incontro con il premier irlandese, Micheal Martin, Donald Trump dichiara: “Vinceremo noi questa battaglia finanziaria”. Lo scorso 10 febbraio, Washington aveva annunciato l’aumento dei dazi sulle importazioni di acciaio, alluminio e prodotti derivati dall’Ue. Da quel giorno, è partito il dialogo tra le due parti che ha visto anche Sefcovic volare negli Usa per provare a “evitare il dolore inutile” della guerra commerciale. Ma, proprio lunedì scorso, Sefcovic aveva annunciato che l’amministrazione Usa “non sembra impegnata a trovare un accordo” con l’Ue.

Auto elettrica

Elettriche, flessibilità sulle multe e revisione emissioni Co2: l’Ue svela il Piano Auto

Innovazione e digitalizzazione, mobilità pulita, competitività e resilienza della catena di fornitura, competenze, parità di condizioni. Sono i punti del Piano d’azione della Commissione europea per l’automotive scaturito dalle 5 settimane di Dialogo strategico di Bruxelles col settore.

Di fatto, la Commissione conferma le anticipazioni di lunedì della presidente Ursula von der Leyen sulla flessibilità sulle multe per il 2025 e sulla neutralità tecnologica e, poi, cala l’asso annunciando, come auspicato dall’Italia, di anticipare dal 2026 alla seconda parte del 2025 la revisione del regolamento sulle emissioni di Co2. Il cambiamento di tempi, però, non toccherà lo stop per il 2035 alle immatricolazioni di auto a motore endotermico. “Ci atteniamo ai target”, ma “valuteremo la possibilità di nuove o altre tecnologie” perché “per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2035 avremmo bisogno di un approccio tecnologicamente neutro“, ha dichiarato in conferenza stampa il commissario Ue ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, che ha redatto il Piano d’azione.

Dunque, nella revisione “saranno presi in considerazione gli e-fuels”, come già annunciato, ma esamineranno “altre tecnologie” considerate utili ad arrivare agli obiettivi del 2035. E, con il principio della neutralità tecnologica, si riapre la partita per i biofuels cari all’Italia. Il Piano Ue per l’automotive stabilisce “iniziative di punta in cinque aree rivoluzionarie“, per Tzitzikostas, e l’Unione ha “i fondi per trasformare l’ambizione in realtà“.

Ed ecco le cifre: alle tecnologie e alla mobilità pulite fino a 50 miliardi di euro nell’ambito di InvestEu; alla produzione di batterie 1,8 miliardi di euro dal Fondo per l’innovazione; per veicoli e batterie connessi e autonomi 1 miliardo di euro da Horizon Europe; a punti di ricarica, con focus sui camion 570 milioni di euro nell’ambito dell’Alternative Fuels Infrastructure Facility. E ci saranno poi finanziamenti per lo sviluppo delle competenze, inclusi 90 milioni di euro da Erasmus+ per la formazione della forza lavoro, e finanziamenti aggiuntivi per le Pmi.

Più nel dettaglio, sull’innovazione e alla digitalizzazione, il Piano lancia una Alleanza europea per i veicoli connessi e autonomi, che riunirà gli stakeholder automobilistici europei per sviluppare i veicoli di prossima generazione e contribuire a sviluppare il software condiviso e l’hardware digitale necessari. Sulla mobilità pulita, Bruxelles introduce – oltre all’anticipo a fine 2025 della revisione – la flessibilità sulle multe per il mancato raggiungimento degli obiettivi di Co2 del 2025, permettendo ai produttori di conformarsi calcolando la media delle loro prestazioni su un periodo di tre anni (2025-2027) e non più su uno. Sul fronte della domanda, la Commissione punta ad incoraggiare gli Stati membri a intraprendere azioni per rendere più ecologiche le vetture aziendali (pari al 60% delle nuove immatricolazioni) e prevede incentivi ai consumatori: agevolazioni fiscali, regole per taxi e servizi di car-sharing, azioni per le società di autonoleggio, programmi di leasing sociale e un’installazione più rapida di punti di ricarica. Infine, su competitività e resilienza della catena di fornitura, Bruxelles vuole concentrarsi sulle batterie – “L’Europa ha bisogno di una propria fornitura“, ha affermato Tzitzikostas – e valuta dei requisiti “europei” per batterie e componenti venduti nel vecchio continente. Sul fronte del lavoro, un Osservatorio per una transizione equa seguirà le tendenze occupazionali, mentre sulla dimensione internazionale, l’Ue continuerà “a perseguire accordi di libero scambio e partnership“.

Difesa, i 5 pilastri del piano ReArm Europe presentato da von der Leyen: vale 800 miliardi

Un piano composto da 5 punti e, sul piatto, 800 miliardi di euro.  ReArm Europe – annunciato oggi dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in una lettera inviata ai capi di Stato e di governo che giovedì si riuniranno a Bruxelles in una riunione informale del Consiglio europeo – punta ad aumentare la spesa per la difesa europea e lo fa con cinque grandi interventi.

Il primo è un nuovo strumento finanziario dell’Ue per sostenere gli Stati membri nel potenziamento delle loro capacità di difesa. Ai sensi dell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue (TfUe) verrà istituito un nuovo strumento Ue “con un massimo di 150 miliardi di euro” per fornire agli Stati membri prestiti garantiti dal bilancio Ue. I finanziamenti verrebbero destinati a settori di capacità “prioritari” sui quali “è necessaria” un’azione a livello europeo in linea con la Nato: difesa aerea e missilistica; sistemi di artiglieria; missili e munizioni; droni e sistemi anti-droni; facilitatori strategici e protezione delle infrastrutture critiche, anche in relazione allo spazio; mobilità militare; cyber, intelligenza artificiale e guerra elettronica. Questo nuovo strumento potrebbe essere potenziato da “acquisti congiunti” che, secondo Bruxelles, darebbero interoperabilità e prevedibilità, ridurrebbero i costi e creerebbero la scala necessaria per rafforzare la base industriale di difesa europea.

Il secondo pilastro è lo sblocco dell’uso dei finanziamenti pubblici nella difesa. “La Commissione proporrà di attivare in modo coordinato la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita. Ciò sosterrà gli sforzi dell’Ue per ottenere un rapido e significativo aumento della spesa per la difesa al fine di rispondere alla situazione di sicurezza e difesa senza precedenti. I prestiti erogati nell’ambito del nuovo strumento dell’Ue beneficerebbero della clausola di salvaguardia nazionale prevista dal Patto di stabilità e crescita“, ha precisato la presidente.

Terzo elemento: incentivare gli investimenti legati alla difesa nel bilancio dell’Ue. “La revisione intermedia dei programmi della politica di coesione è un’opportunità per aiutarvi a destinare maggiori fondi agli investimenti legati alla difesa“, ha evidenziato von der Leyen. Tra le opzioni per aumentare i finanziamenti al settore della difesa nei programmi c’è “l’eliminazione delle restrizioni esistenti al sostegno alle grandi imprese nel settore della difesa”; “l’aumento degli incentivi finanziari quali il prefinanziamento e il cofinanziamento”; “l’allentamento delle regole di concentrazione per i fondi investiti nella difesa”; “l’agevolazione del processo di trasferimenti volontari verso altri fondi dell’Ue con obiettivi di difesa”.

Il quarto pilastro è il contributo della Banca europea per gli Investimenti (Bei) che “ha un ruolo chiaro e decisivo” da svolgere. Qui, il piano d’azione per la sicurezza e la difesa del Gruppo Bei “è un primo passo importante e dobbiamo assicurarne la rapida attuazione“.

Infine, il quinto pilastro è la mobilitazione del capitale privato. “Incrementare i nostri investimenti pubblici è indispensabile. Ma non sarà sufficiente di per sé”, ha ribadito von der Leyen. “Dobbiamo garantire che i miliardi di risparmi degli europei siano investiti nei mercati all’interno dell’Ue” e, “per questo, completare l’Unione dei mercati dei capitali è assolutamente fondamentale” perché “potrebbe, da sola, attrarre centinaia di miliardi di investimenti aggiuntivi all’anno nell’economia europea, rafforzandone la competitività”. Perciò “presenteremo una comunicazione su un’Unione di Risparmio e Investimenti”, ha spiegato von der Leyen.

Tajani

Dazi, Ue risponderà ma è aperta a dialogo con Usa. Tajani: “Noi buoni ambasciatori”

L’Unione europea risponderà ai dazi del presidente Usa, Donald Trump. Da giorni e a più livelli, Bruxelles sta sostenendo la stessa posizione e l’ultima a puntellarla è stata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che da Monaco, dal palco della Conferenza sulla Sicurezza, ha scandito: “Le guerre commerciali e tariffe punitive non hanno senso”. Un concetto ribadito anche dal vice premier, Antonio Tajani. In partenza per Monaco, il ministro degli Affari esteri ha evidenziato che “le guerre commerciali non portano vantaggio a nessuno” e che l’Italia, “in cui il 40% del Pil viene dall’export”, non ha “alcun interesse che ci siano”. Anzi, “dobbiamo scongiurarle”, ha aggiunto. “Vedremo il da farsi” e “tutte le decisioni le prenderemo come Unione europea”. Ma rimanendo aperti al dialogo con Washington e, qui, l’Italia può fare da ponte tra le due sponde dell’Atlantico: “È ovvio che bisogna trattare come Europa. Noi possiamo essere dei buoni ambasciatori dell’Ue”, ha affermato.

La volontà di dialogo c’è. A Monaco, von der Leyen ha osservato che “le tariffe agiscono come una tassa, stimolano l’inflazione” e “i più colpiti sono inevitabilmente i lavoratori, le aziende, i redditi bassi e le classi medie su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Inoltre, “le tariffe possono rapidamente influenzare le catene di fornitura transatlantiche essenziali”. A tutto ciò, che per l’Ue “non è un buon affare”, Bruxelles risponderà. Siamo uno dei mercati più grandi del mondo. Useremo i nostri strumenti per salvaguardare la nostra sicurezza economica e i nostri interessi e proteggeremo i nostri lavoratori, le nostre aziende e i consumatori a ogni svolta”, ha dichiarato la presidente della Commissione. Ma, “naturalmente, siamo pronti a trovare accordi che funzionino per tutti per lavorare insieme per renderci reciprocamente più prosperi e sicuri”, ha evidenziato.

E sul piano del dialogo si registra qualche movimento. Nella conferenza stampa quotidiana dell’esecutivo Ue, il portavoce al Commercio, Olof Gill, ha precisato che, “senza entrare nei dettagli di ciò che sarà o meno incluso nell’ambito dei colloqui tra l’Ue e gli Usa per trovare soluzioni ad alcune delle questioni commerciali”, ciò che si può dire è che “i contatti sono in corso: ci sono stati questa settimana a livello di responsabili politici e l’intenzione è di continuare a farlo nei giorni e nelle settimane a venire per trovare soluzioni reciprocamente vantaggiose”.

Un dialogo che appare complesso. L’Ue – che “mantiene alcune delle tariffe più basse al mondo” e ha “oltre il 70% delle importazioni che entrano a tariffa zero” nel suo mercato unico – considera la politica di Trump “un passo nella direzione sbagliata” e “non vede alcuna giustificazione per l’aumento delle tariffe statunitensi alle esportazioni” europee. Nella dichiarazione ufficiale di venerdì mattina l’esecutivo Ue ricorda che “per decenni l’Ue ha lavorato con partner commerciali come gli Stati Uniti per ridurre le tariffe e altre barriere commerciali in tutto il mondo, rafforzando questa apertura attraverso impegni vincolanti nel sistema commerciale basato su regole, impegni che gli Stati Uniti stanno ora minando”. Nelle righe ufficiali, Palazzo Berlaymont non fa accenno al dialogo, ma piuttosto specifica che “l’Ue reagirà fermamente e immediatamente”. Ma, prima ancora che ai dazi, sembra che Bruxelles si trovi a dover rispondere a una pratica politica ed economica che dice di non comprendere. Ed è da questo punto di partenza che dovrà dialogare.

Von der leyen

Von der Leyen: “Spese militari fuori dal patto di stabilità”. Crosetto: “Vittoria italiana”

Più spese per la difesa in Europa. Ursula von der Leyen propone di attivare la clausola di salvaguardia generale dal Patto di Stabilità, proprio come è accaduto negli anni del Covid, per permettere ai Paesi membri di avere più spazio di manovra per le proprie risorse. Un’autorizzazione ad aumentare il debito e sopravvivere in un momento eccezionale di crisi.

Una proposta analoga per affrontare gli investimenti green e non considerarli ai fini del debito è stata però respinta in passato. In altre parole: flessibilità concessa sulle armi, non sulla maxi-sfida della transizione. “Credo che ora siamo in un periodo di crisi che giustifica un approccio simile”, spiega la presidente della Commissione europea da Monaco di Baviera, assicurando che questo aumento di spesa dei singoli Stati sulla difesa sarà “controllato e condizionale”. Per un massiccio pacchetto, a ogni modo, servirà un “approccio europeo nel definire le nostre priorità di investimento“, sottolinea von der Leyen che, nella stessa ottica, promette un lavoro più intenso per accelerare il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione. “Abbiamo già fatto progressi significativi, ma ora è di nuovo il momento di spostare le montagne”, chiosa.

Bene l’approccio per il governo Meloni. L’Europa dovrà “essere protagonista” nel processo di pace in Ucraina, mette in chiaro Antonio Tajani, precisando che l’Unione “dovrà fare ancora di più per quanto riguarda la difesa”. Bisognerà, per l’esecutivo di Roma, aumentare la spesa a livello comunitario, ma anche a livello italiano per rispettare gli impegni con la Nato. L’obiettivo minimo è il 2%, ma, sottolinea il ministro degli Esteri, “sappiamo bene che la Nato poi chiederà ancora di più”. Von der Leyen sta “recependo le nostre proposte”, rivendica.

Di “grande vittoria politica e diplomatica dell’Italia e del governo Meloni” parla Guido Crosetto, che confessa: “L’annuncio della presidente von der Leyen è sempre stata una mia vera ossessione, la necessità di scorporare le spese della difesa dal Patto di Stabilità che impone, alla Ue, e da decenni, rigide regole e vincoli di bilancio per gli Stati che ne sono membri”. Sin dall’inizio del suo mandato, ricorda il ministero della Difesa, Crosetto ha sostenuto la necessità di escludere dal Patto di Stabilità gli investimenti in sicurezza e impedire che possano intaccare o indebolire le spese dei singoli Stati in salute, istruzione, welfare. E’ un primo passo, ma non basta, avverte il titolare della Difesa. L’Italia è “pronta a fare la sua parte”, garantisce, per un’Europa “più sicura e autorevole, ma anche più salda nei suoi principi democratici e di benessere collettivo per i suoi cittadini, nel nostro continente come nel mondo”.

Lo scorporo degli investimenti in Difesa, indica Palazzo Chigi, dovrà essere seguito anche dall’istituzione di strumenti finanziari comuni. “Il Governo italiano è pronto a lavorare costruttivamente con le istituzioni europee e con gli altri Stati membri per raggiungere insieme questi importanti obiettivi, a partire dalla prossima presentazione del Libro bianco della difesa dell’Ue”.

Von der Leyen lancia Fondo globale su transizione verde: “Più progetti e investimenti”

Mantenere lo slancio sulla transizione verso l’energia pulita, realizzare progetti di punta e sbloccare più investimenti. Sono gli obiettivi del nuovo Forum globale per la transizione green lanciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen insieme  al Direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia, Fatih Birol. “Alla COP28, il mondo si è unito dietro gli obiettivi di triplicare l’energia rinnovabile e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. La scadenza si avvicina rapidamente”, ha spiegato dal palco del World Economic Forum in corso a Davos. In generale, per von der Leyen, sull’energia pulita “non ci stiamo muovendo abbastanza velocemente. Si tratta anche di aumentare la produzione. Ogni regione deve essere in grado di produrre le tecnologie di cui ha bisogno”. Quindi si tratta di costruire reti, o aggiornarne 25 milioni di chilometri entro il 2030, di sviluppare la capacità di tenere accese le luci se il vento non soffia o il sole non splende. “Tutto questo richiede investimenti massicci e nessuna azienda, nessun paese e nessuna regione può farlo da sola. Dobbiamo lavorare insieme e dobbiamo agire ora”. Ed è per questo che è nato il Forum globale sulla transizione energetica.

Il Forum riunisce partner da tutto il mondo, dal Brasile, Canada e Repubblica Democratica del Congo, al Kenya, Perù, Sudafrica, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e molti altri, nonché aziende e investitori, con 3 obiettivi principali: in primo luogo, sostenere lo slancio dell’accordo energetico globale. “Questi obiettivi energetici globali devono trovare la loro strada nella prossima ondata di contributi determinati a livello nazionale, i famosi NDC – ha spiegato von der Leyen -. Dobbiamo trasformare le promesse collettive in progressi misurabili”. In Europa, ha ricordato, è stato aumentato l’ obiettivo di energia rinnovabile per il 2030 a oltre il 42%. Oggi siamo al 23%, quindi “ci aspetta molto lavoro buono e duro”.

Secondo obiettivo: trasformare tutto questo ​​progetti molto concreti. Ecco perché, sotto la guida della COP30 brasiliana, il Forum si concentrerà su iniziative di punta, ad esempio progetti che portano energia alle comunità svantaggiate o progetti che danno il via a nuove industrie pulite e aumentano l’energia pulita a livello globale. E infine, il Global Energy Transition Forum dovrebbe aiutare a sbloccare più investimenti. “Se vogliamo essere più veloci, abbiamo bisogno di più investimenti”, ha ribadito la presidente europea dicendosi “contenta” che il Regno Unito stia guidando questo cambiamento. L’Europa “intende mantenere la sua strada sull’energia pulita ed è pronta a lavorare con chi è interessato ad accelerare la transizione”. Anche perché, “è evidente che la transizione verso l’energia pulita sta avvenendo, e ci resterà”.

Solo l’anno scorso, la spesa globale per l’energia pulita ha raggiunto un record di 2 trilioni di dollari per ogni dollaro investito in combustibili fossili, mentre 2 dollari sono stati investiti in energia rinnovabile e nel settore energetico. Gli investimenti in energia pulita superano di 10 a 1 i combustibili fossili. Tutto questo non è solo una buona notizia per il pianeta, ha ricordato von der Leyen, ma “è anche una buona notizia per l’innovazione. È una buona notizia per l’indipendenza energetica”, è un bene “per la competitività economica” e, in ultimo, “riduce le bollette energetiche, quindi è un bene per le famiglie e le aziende“. Tuttavia, in questo percorso “nessuno può essere lasciato indietro“. Per questo, nel suo discorso, la presidente von der Leyen ha anche sottolineato la necessità di uno sforzo collettivo per aumentare la produzione di energia rinnovabile in Africa. “Nonostante detenga il 60% delle migliori risorse solari del mondo e punti ad aumentare la sua capacità di energia rinnovabile di cinque volte entro il 2030, il continente riceve attualmente meno del 2% degli investimenti globali in energia pulita“, ha ricordato.

La Commissione europea a gennaio lancia il dialogo strategico sull’automotive

Il Dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica in Europa – annunciato lo scorso 27 novembre dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un discorso durante la plenaria del Parlamento, a Strasburgo – sarà lanciato ufficialmente a gennaio 2025. “Oggi abbiamo lanciato un dialogo strategico affinché il futuro dell’industria automobilistica sia costruito in Europa. Sarò lieta di presiedere la sua prima riunione a gennaio“, ha scritto von der Leyen su Twitter. Per il vice presidente esecutivo, Stéphane Séjourné, si tratta di un “passaggio chiave” “per riportare l’industria automobilistica Ue sulla strada della crescita“.

L’esecutivo Ue ha ricordato che l’obiettivo del Dialogo è “proporre e attuare rapidamente le misure di cui il settore ha urgente bisogno“. E che si concentrerà in particolare sulla promozione dell’innovazione e della digitalizzazione basate sui dati, basate su tecnologie lungimiranti come l’intelligenza artificiale e la guida autonoma; sul sostegno alla decarbonizzazione del settore, in un approccio tecnologico aperto, dato il suo ruolo nel raggiungimento degli ambiziosi obiettivi climatici dell’Europa; sull’affrontare posti di lavoro, competenze e altri elementi sociali nel settore; sulla semplificazione e modernizzazione del quadro normativo; sull’aumento della domanda, il rafforzamento delle risorse finanziarie del settore e sulla sua resilienza e catena del valore in un ambiente internazionale sempre più competitivo.

Il Dialogo strategico riunisce le principali parti interessate di tutto il settore, tra cui aziende automobilistiche europee, fornitori di infrastrutture, sindacati e associazioni imprenditoriali, nonché parti della catena del valore automobilistica e altre parti interessate. Al lancio formale, sotto la guida di von der Leyen, seguirà una serie di riunioni tematiche, presiedute dai membri del collegio. “Queste riunioni daranno vita a una serie di raccomandazioni che aiuteranno a costruire una strategia olistica dell’Ue per il settore, per gestire le varie sfide e, ove necessario, adattare di conseguenza il quadro normativo Ue applicabile. Le riunioni al vertice, guidate dalla presidente, verificheranno i progressi compiuti e forniranno gli impulsi politici necessari per ulteriori lavori. Il Consiglio e il Parlamento europeo saranno strettamente coinvolti nel processo e saranno regolarmente informati e consultati sul Dialogo“, ha illustrato la Commissione.

L’industria automobilistica è un orgoglio europeo ed è fondamentale per la prosperità dell’Europa“, ha affermato von der Leyen oggi. “Dobbiamo sostenere questo settore nella profonda e dirompente transizione che ci attende. E dobbiamo garantire che il futuro delle auto rimanga saldamente radicato in Europa. Ecco perché ho chiesto un Dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica europea. Lanceremo questo Dialogo già a gennaio, per dare forma insieme al nostro futuro comune“, ha precisato.

Sul tema è intervenuta la segretaria del Pd, Elly Schlein. A margine dei lavori del Partito socialista europeo (Pse) – che si è tenuto a Bruxelles prima del Consiglio europeo -, ha annunciato che i socialisti hanno chiesto “un fondo europeo sull’automotive, per evitare di soccombere all’auto elettrica cinese“. “Abbiamo portato questa idea” all’attenzione della vice presidente esecutiva per la Transizione, Teresa Ribera, presente al pre vertice del Pse. “La Commissione è consapevole della situazione per il settore“, ha concluso Schlein.

A Parigi l’Italia industriale mostra la sua forza e impressiona Francia e Germania

Nei giorni 21 e 22 novembre scorsi si è tenuto a Parigi l’incontro trilaterale tra MEDEF, la Confindustria franceseBDI, la Confindustria tedesca, e la nostra  Confindustria. Ho partecipato e sono intervenuto ai lavori del convegno come Consigliere del Presidente Orsini per la Competitività e l’Autonomia strategica europee.

Si è trattato di un confronto importante perché, oltre agli esponenti delle associazioni degli industriali, sono intervenuti anche la Presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, il Primo Ministro francese Michel Barnier, il Vice-Primo Ministro e Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, il Ministro dell’Industria italiano Adolfo Urso, il Ministro dell’Industria francese Marc Ferracci, il Sottosegretario tedesco all’Economia Bernhard Klutting.

Era annunciata anche la presenza della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen che però all’ultimo momento non è potuta intervenire. Anche il Ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, che pure era atteso, non si è fatto vedere mostrando l’enorme difficoltà della politica tedesca in questo momento.

L’incontro trilaterale ha coinciso con un momento molto particolare e a tratti drammatico dell’economia europea: forte rallentamento della congiuntura ovunque e recessione in Germania, progressiva perdita di competitività dell’industria in generale e crisi drammatica dell’automotive, grandi incertezze geopolitiche connesse ai due conflitti in corso alle porte dell’Europa, vittoria di Trump alle presidenziali in USA e incognite relative all’annunciata politica dei dazi che verrà praticata dalla nuova Amministrazione americana e all’atteggiamento statunitense nei confronti della Nato.

Nella due giorni si è respirata un’aria di grande preoccupazione per la situazione attuale sia da parte industriale che da parte politica, e più volte sono stati richiamati i contenuti del Rapporto Draghi e il suo messaggio di fondo relativo alla necessità di agire con urgenza se si vuole evitare che il declino in atto in Europa si trasformi in una neanche troppo lenta agonia.

I dati macroeconomici sono impietosi. Nonostante condizioni al contorno molto favorevoli per l’Europa negli ultimi 20 anni (il più grande e ricco mercato del mondo, tassi di interesse bassissimi o in certi momenti nulli che avrebbero consentito investimenti in ricerca e sviluppo e innovazione che invece non sono stati fatti, energia comprata a costi bassi dalla Russia) la performance dell’economia europea ha continuato a peggiorare nei confronti delle due altre grandi aree economiche del mondo, Usa Cina.

Tale traiettoria negativa è confermata da una serie di elementi:

  • Il confronto tra l’andamento dell’economia americana e quella europea; nel 1992 i due continenti avevano una quota di PIL mondiale praticamente identica, oggi l’Europa è nettamente dietro gli Stati Uniti con un reddito medio pro capite  dei suoi cittadini che è praticamente la metà di quello americano;
  • Con riferimento alla quota di mercato dell’industria manifatturiera, a livello mondiale siamo passati dalla prima posizione del 2007 alla terza, dopo Usa e Cina, del 2022;
  • Nel ranking mondiale delle grandi imprese la prima impresa europea è solo 25esima;
  • Gli investimenti esteri in Europa, che per moltissimo tempo hanno superato di molto quelli realizzati negli Usa e in Cina, sono collassati del 44% nel periodo 2019-2023 rispetto ai dieci anni precedenti, con una riduzione di circa 150 miliardi di dollari all’anno;
  • A partire dal 2000 vi è stata una significativa caduta di produttività del lavoro rispetto a quella registrata negli Usa;
  • L’Europa rimane strutturalmente sotto gli Usa con riferimento alle spese di ReS (poco più di 2 miliardi di dollari l’anno contro i 3,5 degli USA) e negli ultimi due anni anche la Cina ha superato il nostro continente con riferimento a questo parametro;
  • Il prezzo dell’energia negli Usa è meno di un terzo di quello pagato in Europa dalle imprese industriali (se si guarda il dato italiano parliamo di 1/5).
  • E infine le tendenze demografiche europee sono drammatiche, con un progressivo invecchiamento e diminuzione della popolazione che apre prospettive fosche rispetto ai livelli di spesa sanitaria e sociale e alla loro sostenibilità.

A fronte di questa situazione che, come ho sostenuto più volte, comporta rischi esistenziali per l’Unione Europea e il suo modello sociale e politico, ed evidenzia i gravi errori di presunzione delle politiche europee dell’ultimo decennio,  afflitte da quella che ho definito “la sindrome del primo della classe”, non sembra ancora esservi una diffusa presa di coscienza.

In particolare il confronto di Parigi ha evidenziato da un lato titubanze e paure anche di parte degli industriali francesi e tedeschi e dei loro governi ad esprimere una critica troppo radicale dell’eccesso regolatorio dell’Europa e del green deal così come è stato concepito, dall’altro una posizione rigida e ideologica della burocrazia europea che nei suoi esponenti di punta ha confermato l’approccio iper regolatorio (che costituisce la fonte del suo potere) e il sostegno incondizionato alle politiche di decarbonizzazione estremiste e ideologiche dell’era Timmermans.

Emblematico al riguardo è stato l’intervento della tedesca Kerstin Jorna, Direttore Generale per il Mercato interno, l’industria, l’imprenditoria e le PMI della DG Crescita della Commissione. Discutendo e polemizzando con me in un panel dal titolo “Quali urgenti azioni sono necessarie per prevenire il declino e la debolezza dell’industria europea” Jorna, nello sconcerto generale della sala, ha affermato che l’unico modo per abbassare il prezzo dell’energia è continuare a investire esclusivamente in rinnovabili e non nel nucleare, che è troppo caro: alla faccia del principio di neutralità tecnologica.

Rispetto a questo quadro  e a tutte le sue incertezze la vera novità è stata la forza e la compattezza  della posizione italiana espressa chiaramente non solo dai rappresentanti di Confindustria ma anche dai Ministri Tajani e Urso. Le nostre posizioni sono state in gran parte recepite nella Dichiarazione finale firmata dai tre presidenti delle organizzazioni imprenditoriali di cui riportiamo il testo integrale in allegato. (leggi qui)

La sensazione che abbiamo avuto è che l’Italia industriale, anche per la profonda crisi in atto dell’economia e delle industrie tedesche e francesi, abbia un ruolo centrale e di traino  e che questo ruolo sia percepito come tale dagli altri partner europei.

Il primo Ministro francese Barnier ha riconosciuto che il modello industriale italiano, così diversificato in una molteplicità di filiere, così intrecciato con i territori e i distretti di specializzazione, così creativo alla ricerca della qualità, del design, dell’innovazione, così performante in termini di esportazioni (siamo i quarti del mondo avendo superato Giappone e Corea del Sud), così inclusivo anche dal punto di vista sociale, rappresenta un modello importante per la ricerca di competitività. E l’attenzione di Barnier per l’Italia è stata confermata dal fatto che la prima visita di Stato nel nuovo primo Ministro francese non sarà a Berlino ma a Roma.

L’industria italiana oggi resiste meglio alla tempesta per le caratteristiche sopra richiamate, e forse anche per l’attitudine degli italiani ad adattarsi e a gestire le situazioni di crisi in cui permanentemente abbiamo vissuto. Viene sempre alla mente la considerazione di Darwin “nel lungo periodo non vinceranno e sopravviveranno né i più forti, né i più intelligenti ma i più adattivi”.

Oggi noi italiani possiamo svolgere in Europa, senza presunzioni e arroganze, ma con autorevolezza, un importante ruolo di guida. Dobbiamo esserne coscienti per la responsabilità e la fatica che ci toccheranno ma anche con la consapevolezza di essere un grande Paese.

Parte la nuova Commissione Ue. Von der Leyen: “Con Fitto le regioni tornano centrali”

La maggioranza più piccola di sempre e il primo caso in cui la squadra riceve un supporto minore di quello dato a chi la presiede. E’ questa la spinta che il Parlamento europeo, con il voto di oggi in plenaria, dà alla seconda Commissione europea targata Ursula von der Leyen: il Collegio dei 26 commissari è stato approvato con 370 voti a favore, 282 contrari e 36 astenuti. Un risultato che riporta 31 consensi in meno rispetto ai 401 che a luglio avevano fatto rieleggere la politica tedesca alla guida di Palazzo Berlaymont e che segna la più bassa fiducia incassata da un esecutivo Ue dal 1995, cioè da quando l’Eurocamera elegge il Collegio.

Ma la squadra è approvata e a farne parte, nel ruolo di vice presidente esecutivo a Riforme e Coesione, c’è Raffaele Fitto. Dopo il voto ha ricordato che è “fondamentale lavorare tutti insieme e dare prova di unità” per vincere le sfide. “Ogni mia energia e tutto il mio impegno dei prossimi cinque anni saranno dedicati a questo scopo, nel pieno rispetto dei Trattati ed a difesa dell’interesse comune europeo“, ha ribadito. Ma proprio sul suo nome si è consumata, in queste settimane, una frattura nella maggioranza tradizionale e in quella possibile con i Verdi. E, nonostante in aula la presidente oggi abbia promesso di lavorare “sempre dal centro” e con tutte le “forze democratiche pro-Ue”, le reazioni e il voto dei gruppi hanno fatto capire quanto il sostegno esca lesionato dall’affidamento di una vice presidenza esecutiva un membro, Fitto, della famiglia dei conservatori e riformisti europei (Ecr) considerata sovranista.

Nel presentare il lavoro del meloniano, von der Leyen evidenzia la necessità per l’Ue di impegnarsi “per affrontare i problemi che le regioni hanno davanti“. E “questo è il compito di coesione e riforme che ho affidato come vice presidente esecutivo a Raffaele Fitto: è una scelta che ho fatto anche perché so quanto sia fondamentale dare alle regioni l’importanza politica che meritano”, puntualizza. Una scelta divisiva, però. Si inizia con l’Spd tedesco (nel gruppo S&D), che annuncia l’astensione dal voto sulla nuova Commissione. I Verdi – spaccati, ma con una leggera maggioranza a favore – confermano di essere “dell’opinione che sia un errore fare Fitto vice presidente esecutivo di questa Commissione europea“.

Alla fine, comunque, il von der Leyen 2 incassa un appoggio frastagliato dai liberali di Renew Europe (67 sì e 6 astensioni), dal Ppe, che però conta 25 franchi tiratori – la delegazione del Partido Popular spagnolo, delusi dalla presenza della connazionale Teresa Ribera, e tre eurodeputati sloveni -, dai socialisti, che registrano 25 contrari e 18 astenuti. Spaccati sono i Verdi (27 a favore, 19 contro e 6 astensioni) e l’Ecr (33 a favore, 39 contro e 4 astenuti). Contrari La Sinistra, i Patrioti per l’Europa e l’Europa per le Nazioni Sovrane. Usando la lente d’ingrandimento sull’Italia: hanno votato compattamente Fratelli d’Italia e Forza Italia a favore, Lega, Alleanza Verdi e Sinistra e Movimento 5 Stelle contro. Tra i 21 deputati del Partito Democratico nel gruppo S&D, si registrano 19 sì e i voti contrari di Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Dunque, gruppi politici divisi e una maggioranza flebile: ma dal primo dicembre l’esecutivo Ue entra in carica.

 

Scatta l’ora X per il von der Leyen 2: il voto tra le divisioni nei gruppi

Scocca alle 12 di mercoledì l’ora X per la Commissione europea: la plenaria del Parlamento europeo voterà il collegio dei 26 commissari del secondo esecutivo guidato dalla tedesca Ursula von der Leyen. A poche ore dal verdetto, quello che appare chiaro è che la maggioranza centrista – Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e Liberali (Renew Europe) – terrà, ma riportando le ferite di alcune defezioni non insignificanti. E spaccati appaiono anche i Verdi e i Conservatori e riformisti (Ecr), dove i meloniani sosterranno il nuovo Collegio. No netto, invece, dalle opposizioni di estrema destra e sinistra radicale.

È arrivato il momento di iniziare a lavorare, per questo il Ppe sosterrà il Collegio e voterà a favore”, ha dichiarato Manfred Weber, presidente del Ppe. Ma il suo partito – che esprime von der Leyen e Metsola e che conta 13 commissari nel collegio – dovrebbe veder una trentina di voti contrari al nuovo collegio: i 22 eletti col Partido popular spagnolo, i cinque sloveni dell’Sds e, forse, anche i sei Républicains francesi. Schierati per il sì i 9 deputati di Forza Italia. Fibrillazione in casa S&D che deciderà stasera la posizione definitiva ma che sa già di non avere i 13 deputati francesi. In bilico sono i 14 dell’Spd tedesca, così come indecisi sono belgi e olandesi. Della delegazione italiana di 21 deputati, al momento sembra che possano esserci dei contrari tra gli indipendenti. Malumori si registrano anche tra le fila di Renew che potrebbe vedersi dimagrire nell’appoggio a von der Leyen di una decina di astensioni. Spaccati quasi a metà sono i Verdi. Il co-capogruppo Bas Eickhout ha detto di aspettarsi che “una piccola maggioranza” a sostegno a von der Leyen bis, come già a luglio. Contro saranno gli altri, compresi i 4 italiani, che non hanno digerito la vice presidenza esecutiva della Commissione in mano a Raffaele Fitto dell’Ecr. E proprio dalle fila dei Conservatori arriverà il sì dai deputati di Fratelli d’Italia – che con 24 deputati è la delegazione più nutrita del gruppo – insieme ai fiamminghi di N-Va e i cechi di Ods (3 seggi ciascuno). A opporsi saranno invece i 20 eletti polacchi del PiS. All’opposizione ci saranno invece il gruppo della sinistra radicale (The Left), che ospita i due eletti di Sinistra italiana in quota Avs e gli otto del M5s, e quelli dell’estrema destra, i Patrioti per l’Europa (PfE), dove siedono gli otto leghisti, e i sovranisti dell’Esn.

Nel voto di mercoledì, la presidente della Commissione dovrà ottenere la maggioranza semplice dei voti espressi: se tutti e 720 i deputati saranno presenti, il numero sarà fissato a 361. Al momento attuale, sembra che von der Leyen non riuscirà a ripetere il risultato di luglio, quando aveva raccolto 401 consensi. In quell’occasione, la sua rielezione era stata assicurata dal sostegno di buona parte dei Verdi, che avevano compensato le defezioni nei tre gruppi centristi, e dal no di altre delegazioni che domani voteranno “sì”, come quella di FdI. Nel luglio del 2019, von der Leyen fu eletta presidente con 383 voti, appena nove in più della maggioranza assoluta dell’epoca: salvata da tre partiti nazionalisti e populisti, il PiS polacco, il Fidesz ungherese e il M5s italiano, che domani si esprimeranno contro al bis. Per l’intero collegio, a novembre 2019, i voti a favore furono 461, i contrari 157 e gli astenuti 89.