Pichetto: “Le e-car sono il futuro, ma ora diciamo no alla monocultura dell’elettrico”

Le e-car saranno sicuramente il futuro “tra 15-20 anni“, ma per il momento l’Italia dice “no alla monocultura dell’elettrico“. Parola di Gilberto Pichetto. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, ospite del panel sui cambiamenti climatici alla quinta edizione della ‘Venice Soft Power Conference‘, riprende la vecchia ‘battaglia‘ sulla neutralità tecnologica e annuncia una delle prime mosse che il governo intende portare avanti una volta che si sarà insediata la nuova Commissione Ue: “Chiederemo di iscrivere i biocarburanti nella tassonomia europea, allargando il loro uso oltre aviazione e marina“.

Il concetto base non cambia: “Per raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi dobbiamo fare in modo che la politica climatica vada di pari passo con la nostra economia e la nostra società”, dunque anche l’Europa deve attivarsi per tenere insieme la tutela ambientale, i target climatici ma anche la sostenibilità per le tasche dei cittadini. Altrimenti “il rischio che si corre è di introdurre riforme e provvedimenti che rendano la transizione ecologica invisa all’opinione pubblica – avverte -. Che il cambiamento sia vissuto come un peso, un limite, non come un’opportunità”. Non a caso, sfruttare appieno le opportunità che arrivano dallo sviluppo della tecnologia è proprio la strada che Roma suggerisce a Bruxelles: “Non abbiamo bisogno di un’Europa proibizionista, ma di un’Europa innovativa che ponga le esigenze economiche, finanziarie e sociali dei suoi cittadini al centro del futuro approvvigionamento energetico”.

In questo senso non si può rinviare ancora la discussione su uno dei temi maggiormente divisivi nel dibattito pubblico e politico. “Sul nucleare il Parlamento si è espresso per andare avanti con ricerca e sperimentazione, ma tutte le forze politiche devono essere coscienti, e ancor di più lo devono essere i cittadini, perché ci sono stati due referendum sul tema, che senza questa tecnologia non ci sono altre forme di energia per raggiungere gli obiettivi”, sia energetici che ambientali.

Le sole fonti alternative non bastano è mantra ripetuto spesso da chi ha responsabilità di governo. Ma Pichetto coglie l’occasione per togliersi anche qualche sassolino dalle scarpe: “Il problema del consenso è fondamentale, anche se colgo qualche contraddizione in chi a Roma ci accusa di essere negazionisti e poi blocca le rinnovabili a livello locale dove governa”. Ogni riferimento al braccio di ferro con la Sardegna sulla legge per le aree idonee dove installare nuovi impianti, appare puramente voluto.

Nel discorso, molto articolato, che il ministro porta al tavolo della discussione a Venezia, c’è anche la necessità di cambiare approccio con i Paesi da cui oggi ci forniamo per gli approvvigionamenti energetici. Primo tra tutti l’Africa. L’Italia ha lanciato da tempo il Piano Mattei: “Il nostro Governo vuole invertire la rotta, puntando a un cambio di prospettiva per costruire con i nostri vicini della sponda Sud del Mediterraneo un rapporto partitario e non predatorio”, assicura Pichetto. Che allarga la riflessione: “Il Piano Mattei incarna una missione storica dell’Italia, che oggi si riprende con orgoglio il proprio spazio” nel Mediterraneo, dove “riveste un ruolo cruciale” anche come “ponte” con l’Europa.

Ma i vantaggi sono potenzialmente più ampi e importanti, per tutti. Perché “la diffusione delle rinnovabili in Nord Africa è un contributo essenziale alla transizione energetica, sia diminuendo le emissioni globali complessive sia fornendo energia pulita da esportare nell’Europa che ne ha bisogno”. La stagione politica è ripresa.

Il G7 lavora su Africa, Medioriente, Ucraina. Meloni: “C’è già consenso su documento finale”

Photo credit: Palazzo Chigi

La giornata è stata densa, ma il “consenso dei leader è già unanime”. Al termine del primo giorno del G7 a Borgo Egnazia, in Puglia, Giorgia Meloni si dice “molto soddisfatta” del confronto e dei risultati. Quattro le sessioni di lavoro: Africa, Medioriente, due sull’Ucraina. Si aggiunge, a margine, un evento sulla Partnership for Global Infrastructure and Investment. La presidenza italiana vuole dedicare ampio spazio all’Africa, con un approccio “diverso dal passato”, ricorda la premier, in linea con il Piano Mattei. La Partnership for Global Infrastructure and Investment prevede infatti di stanziare 250 miliardi di dollari per l’Africa. Per il Sudafrica e l’Africa sub-sahariana “sono già stati pagati 33 miliardi di dollari“, ricorda la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ribadendo che il Continente ha bisogno di “maggiori investimenti privati”. In questo senso la prossima conferenza Ue-Egittomostrerà la via da seguire“, anticipa.

Per accelerare tutte le iniziative in Africa, si pensa di coordinare le azioni finanziarie: “Sono orgogliosa di annunciare la creazione con la Banca africana di sviluppo di strumenti innovativi finanziari a disposizione di coloro che sono interessati“, spiega Meloni. Il presidente William Ruto del Kenya rivendica che l’Africa “non è parte del problema, è parte della soluzione”. “L’Africa non chiede la carità ma chiede di competere per uguaglianza e non si può fare se non ha infrastrutture, è la nostra priorità“, assicura Meloni. La seconda è che i governi “non possono agire da soli e neppure il settore privato e le banche di sviluppo ma insieme possiamo farcela. Vogliamo trasformare gli impegni in concretezza“, scandisce. I conflitti, la necessità di investire nelle infrastrutture, nelle telecomunicazioni, nel digitale, ma anche nel settore energetico sono le sfide che si presentano al mondo, davanti a un Continente in fortissima crescita demografica, tra i primi a sperimentare le conseguenze del cambiamento climatico.

Serve un maggiore accesso al capitale. Dobbiamo stare dalla parte giusta”, rileva il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, parlando di un partenariato “basato sulla fiducia, sul rispetto”. Non potrebbe essere più d’accordo di così su questo approccio l’Ad di Eni, Claudio Descalzi, che invoca un “cambio di rotta radicale” sul Continente, adottando una visione politica “in grado di colmare il divario e che permetta all’Africa di diventare un partner paritario“: “Dobbiamo riconquistare credibilità – insiste – ed esprimere un vero interesse per le esigenze locali e condividere i rischi“. Ad esempio, l’80% del gas prodotto da Eni in Africa è rimasto nel Continente e questo “ha prodotto un clima di fiducia reciproca“. Anche Enel continua a investire. In Marocco, Sudafrica e Zambia, 2,5 miliardi sono andati al settore delle energie rinnovabili. “Per noi l’Africa rappresenta un’opportunità perché ha un potenziale più alto per la generazione di rinnovabili rispetto all’Europa, inoltre lo sviluppo di nuove tecnologie può aumentare la produttività degli impianti e ridurre il costo dell’energia“, afferma l’ad Flavio Cattaneo. Tra l’altro, aggiunge: “Per l’Africa questo apre la possibilità di esportare energia pulita in Europa tramite l’Elmed, aiutando l’Africa stessa a ridurre la sua dipendenza dall’Europa, e l’Europa potrebbe beneficiare di un calo dei prezzi e della diversificazione delle forniture“.

Della necessità di un approccio sistemico parla il ceo di Cdp, Dario Scannapieco, proponendo tre strategie: risorse pubbliche per ridurre i rischi, contributi finanziari a livello multilaterale e un coinvolgimento maggiore del settore privato. Sace supporta progetti in infrastrutture, tecnologie ed energia in Africa per 5 miliardi di euro: “Questo è il risultato delle grandi potenzialità che abbiamo colto nel Continente dall’avvio del Piano Mattei. A conferma del nostro ruolo di catalizzatore di crescita, rafforzeremo la nostra presenza con l’apertura di un nuovo ufficio a Rabat in Marocco”, annuncia l’ad Alessandra Ricci.

Pgii, global gateway e Piano Mattei sono i tre pilastri della strategia per l’Africa. L’obiettivo, per Meloni, è “creare una sinergia tra i progetti, per ottenere maggiori benefici per tutti“.

A Parigi un vertice senza precedenti per porre fine ai metodi di cottura inquinanti

Circa 2,3 miliardi di persone cucinano ancora bruciando legna, carbone o altri combustibili in sistemi rudimentali e inquinanti: un problema sanitario, sociale e climatico di primaria importanza che sarà al centro di un incontro senza precedenti organizzato a Parigi martedì. Secondo un rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), della Banca Africana di Sviluppo (Adb) e delle Nazioni Unite, che ha lanciato l’allarme l’anno scorso, oggi un terzo della popolazione mondiale utilizza fornelli aperti o stufe rudimentali alimentate a legna, carbone, carbone, paraffina, rifiuti agricoli o sterco. La combustione di questi materiali inquina l’aria interna ed esterna con particelle sottili che penetrano nei polmoni e causano molteplici problemi respiratori e cardiovascolari, tra cui cancro e ictus. I fumi causano 3,7 milioni di morti all’anno, la terza causa di morte prematura nel mondo e la seconda in Africa. Nei bambini piccoli è una delle principali cause di polmonite. Le vittime principali sono le donne e i bambini, che ogni giorno trascorrono ore alla ricerca di combustibile, tempo che non viene dedicato alla scuola.

Governi, istituzioni, Onu, imprese… circa 800 partecipanti e rappresentanti di 50 Paesi sono attesi martedì presso la sede dell’Unesco su invito dell’Aie, dell’Adb e dei leader di Tanzania e Norvegia. L’obiettivo principale di questo incontro, che si concentrerà principalmente sull’Africa, la prima zona interessata, è quello di riunire gli impegni, sia finanziari che in termini di progetti, i cui dettagli e importi saranno resi noti a mezzogiorno. “Sarà un incontro senza precedenti, ma soprattutto vuole essere un evento che ci permetta di cambiare direzione“, ha dichiarato ai giornalisti Laura Cozzi, Direttore Sostenibilità e Tecnologia dell’Aie, che segue il tema da 25 anni. Il tema dei metodi di cottura “è trasversale, tocca tante questioni, è ora di metterlo al centro dell’attenzione“. Promette “un vero e proprio sforzo di mobilitazione” e si aspetta che vengano annunciate cifre “molto, molto incoraggianti“.

Un altro problema è rappresentato dalle emissioni di metano (spesso legate a una cattiva combustione), oltre che dalla deforestazione, che è una delle principali cause del riscaldamento globale. Secondo l’Aie, un’emanazione dell’Ocse, il passaggio a strumenti di cottura “puliti” entro il 2030 farebbe risparmiare al pianeta 1,5 miliardi di tonnellate di gas serra all’anno (CO2 equivalente), pari alle emissioni del trasporto aereo e marittimo (su circa 50 miliardi di tonnellate all’anno). I progressi sono stati compiuti nei principali Paesi asiatici, con un miliardo di persone che dal 2010 si sono dotate di apparecchi di cottura meno dannosi (alimentati con energia solare, biogas o addirittura gas di petrolio liquefatto). Ma quattro famiglie su cinque nell’Africa subsahariana ne sono ancora sprovviste e la situazione sta peggiorando. “Ci sono stati dei progressi in Kenya, Ghana, Tanzania… ma quello che stiamo vedendo è che la crescita della popolazione sta superando i progressi” in questo continente, avverte Daniel Wetzel, esperto dell’Aie.

Tuttavia, le somme stimate necessarie restano modeste, osserva l’agenzia: per risolvere gran parte del problema in Africa entro il 2030 sarebbero necessari 4 miliardi di dollari all’anno, mentre attualmente si investono solo 2 miliardi di dollari, soprattutto nel resto del mondo. L’Aie sottolinea che si tratta di “una minuscola frazione” degli investimenti globali nel settore energetico (2.800 miliardi di dollari entro il 2023). “Eppure è difficile immaginare una misura più efficace per dollaro investito”, sottolinea Wetzel. “È ovvio che dobbiamo darci da fare“. L’introduzione di piani d’azione proattivi a livello nazionale, l’abolizione delle tasse e delle restrizioni all’importazione di questo tipo di apparecchiature… sono tutte misure necessarie. Anche il sostegno finanziario è essenziale, aggiungono gli esperti: la maggior parte delle famiglie africane prive di attrezzature adeguate non può permettersi un fornello o un combustibile appropriato senza aiuti o incentivi.

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Piano Mattei, Mattarella: “Collaborazione paritaria con l’Africa. Futuro comune con Ue”

La stabilità dell’Africa resta uno dei temi prioritari dell’agenda internazionale. Un concetto ribadito dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, anche nella seconda tappa del suo viaggio nel continente africano, al termine dell’incontro al Palazzo Presidenziale di Accra con Nana Addo Dankwa Akufo-Add, presidente della Repubblica del Ghana, Paese che l’Italia considera “un esempio virtuoso di democrazia, un modello che può trasmettere anche ad altri l’importanza della democrazia”, soprattutto in questa fase storica in cui alcune nazioni dell’Africa occidentale “il sistema democratico sembra davvero vacillare”.

Mattarella ricorda come “anche grazie alle riforme intraprese, il Ghana sta superando con successo la crisi economica e finanziaria che l’ha messa a dura prova nel periodo passato”. Del resto si tratta di un “partner fondamentale” per l’Italia “nell’ambito del partenariato tra Africa ed Europa, che intendiamo fondato sul reciproco rispetto, sul rapporto paritario e di collaborazione che giova a entrambe le parti”, spiega il presidente della Repubblica. Perché, a suo modo di vedere, “il futuro di Africa ed Europa è necessariamente comune”, dice confermando la visione già espressa più volte.

Sono tanti i temi su cui è possibile unire le forze, ma è necessario coltivare gli stessi valori. Come accade a Ghana e Italia, “che si ispirano a multilateralismo, dialogo fra tutti i Paesi, pace e alla convinzione che la strada intrapresa in alcune parti del mondo, in Europa, in Africa, in Medio Oriente, per la sopraffazione della guerra, è quella sbagliata”, sottolinea Mattarella. Per questo serve “il rafforzamento delle Nazioni Unite” con la “necessaria” riforma del Consiglio di sicurezza. Per affrontare le “sfide che abbiamo di fronte come umanità, anzitutto quella del clima, che richiedono una grande collaborazione internazionale, impossibile in uno scenario di contrapposizione”.

Roma e Accra, però, hanno “anche una tradizionale, grande collaborazione sul versante energetico, che è un aspetto importante del nostro partenariato”, mette in luce Mattarella. Ricordando che l’Eni è presente in Ghana “da tanto tempo e continuerà ad esserlo certamente, una volta superate le difficoltà” per una cooperazione “che si manterrà e si svilupperà”.

In questo quadro si inserisce “il Piano Mattei che il governo italiano ha lanciato, evocando un protagonista dell’amicizia tra Africa ed Europa e dell’amicizia per l’indipendenza allora conseguita dai Paesi africani”, spiega. Un progetto alla cui base c’è “la volontà di collaborare sul piano paritario, secondo le esigenze e le indicazioni dei Paesi africani, cercando di coinvolgere in questo l’intera Europa”.

Nel discorso del presidente della Repubblica c’è spazio per ricordare il comune impegno contro la pirateria e i traffici illeciti nel Golfo di Guinea: “Un impegno che è importante mantenere fermo”. Anche grazie alla presenza del pattugliatore d’altura ‘Bettica‘ della Marina Militare italiana, che collabora a “questo scopo comune, per la sicurezza della libertà di navigazione”.

Mattarella torna in Africa: visita in Costa d’Avorio e Ghana, energia e istruzione tra i temi

Costa d’Avorio e Ghana: sono le due tappe del nuovo viaggio istituzionale del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in Africa. Da oggi, 2 aprile, a sabato 6, accompagnato dal vice ministro degli Esteri, Edmondo Cirielli, il capo dello Stato tornerà nel continente africano, stavolta visitando due Paesi molto importanti dal punto di vista geostrategico e per il programma di cooperazione italiano, che si collega anche al Piano Mattei varato dal governo. Dopo essere stato in Etiopia e nell’area australe (Mozambico e Zambia), ora Mattarella visiterà la parte occidentale: per dare un ulteriore segnale a un continente che da sempre ha ricevuto l’attenzione italiana, ma che ora assume un ruolo sempre più centrale. Ovviamente, con questa doppia visita completa ma non esaurisce la geografia politica del Quirinale.

Sono principalmente tre i temi che saranno affrontati. Innanzitutto, Costa d’Avorio e Ghana, trovandosi a sud di un’area turbolenta come quella del Sahel, messa a durissima prova negli ultimi anni tra colpi di Stato e terrorismo, fungono anche da ‘cerniera’ grazie al fatto di aver sviluppato modelli e strutture democratiche nella regione. Soprattutto il Ghana, che ha una storia ‘esemplare’ anche sui processi elettorali. Ma entrambi i Paesi possono vantare economie dinamiche e aperte, dunque nonostante risentano delle turbolenze cercano comunque di portare avanti un’azione moderatrice e stabilizzatrice. Il 3 aprile Mattarella sarà ricevuto al Palazzo Presidenziale di Abidjan, dove incontrerà il presidente della Repubblica della Costa d’Avorio, Alassane Ouattara. Nel pomeriggio, poi, sarà alla cerimonia di consegna delle Chiavi del Distretto di Abidjan, molto sentita dalla comunità locale: un’onorificenza riconosciuta a personalità ritenute di alto valore. Nella mattinata del 5 aprile, invece, ad Accra, Mattarella sarà alla Jubilee House, dove avrà un incontro con il presidente della Repubblica del Ghana, Nana Addo Dankwa Akufo-Addo. A seguire, si recherà al Memoriale di Kwame Nkrumah e successivamente al Castello di Christiansborg.

La visita in Africa sarà anche l’occasione per portare il saluto al comandante e ai membri dell’equipaggio del Pattugliatore d’altura ‘Bettica‘ della Marina Militare italiana, impegnata in operazioni di monitoraggio nel Golfo di Guinea, nell’ambito di un programma di lotta alla pirateria e ad altre forme di criminalità in mare, come contributo al quadro di sicurezza di Paesi come Costa d’Avorio e Ghana, appunto, che essendo rivieraschi dipendono molto dai commerci e, quindi, dal transito delle imbarcazioni. Mattarella sarà a bordo della nave, attraccata al porto di Tema, ad Accra, il 6 aprile, prima di rientrare in Italia.

Altro argomento sarà la formazione e l’istruzione, molto centrale nel programma di cooperazione con l’Africa e ora anche con il Piano Mattei. Il 4 aprile, in Costa d’Avorio, Mattarella (primo presidente della Repubblica italiana in visita nel Paese) farà tappa al complesso scolastico di Canal Vridi, ristrutturata grazie all’impegno della Ong Avsi e dell’Eni, mentre sabato 6 aprile, sarà al Centro di formazione professionale don Bosco di Ashaiman, in Ghana, gestito dai padri salesiani e creato grazie al contributo di Confindustria Alto Adriatico: un progetto legato allo sviluppo dei flussi regolari dell’immigrazione, necessari alla nostra economia, che prevede la preparazione dei giovani africani, che poi saranno chiamati a fare pratica in Italia.

Si parlerà anche di energia nel viaggio del capo dello Stato. Sempre il 4 aprile, infatti, Mattarella visiterà la stazione a terra del giacimento di olio e gas associato di Baleine, scoperto nel 2021 dall’Eni a 70 chilometri dalla costa di Abidjan e a 1.200 metri di profondità, che ha potenzialità di 2,5 miliardi di barili di olio in posto e dall’entrata in produzione ha prodotto 100 miliardi di metri cubi di gas associato. Nell’area il Cane a sei zampe è molto attivo e ha in cantiere diversi progetti, non solo per le estrazioni ma anche per lo sviluppo delle comunità locali, che saranno illustrate del managing director Eni Costa d’Avorio e dall’intervento del ministro delle Miniere, del Petrolio e dell’Energia ivoriano.

 

 

Photo credit: sito internet ufficiale del Quirinale

I cinque pilastri del Piano Mattei: dalla formazione all’energia

Il piano Mattei potrà contare su una dotazione iniziale di 5,5 miliardi tra crediti, operazioni a dono e garanzie, dei quali circa 3 miliardi verranno destinati dal fondo italiano per il clima e 2,5 miliardi da fondo per la cooperazione allo sviluppo. Si articola su cinque pilastri, interconnessi con gli interventi sulle infrastrutture, generali e specifiche su ogni settore di intervento.

ISTRUZIONE E FORMAZIONE. Il Piano si occuperà degli interventi che si prefiggono di promuovere la formazione e l’aggiornamento dei docenti, l’adeguamento dei curricula, l’avvio di nuovi corsi professionali e di formazione in linea con i fabbisogni del mercato del lavoro e la collaborazione con le imprese, coinvolgendo in particolare gli operatori italiani e sfruttando il ‘modello’ italiano di Piccola e Media Impresa.

AGRICOLTURA. Gli interventi saranno finalizzati a diminuire i tassi di malnutrizione; favorire lo sviluppo delle filiere agroalimentari; sostenere lo sviluppo dei biocarburanti non fossili. In questo quadro noi riteniamo fondamentali lo sviluppo dell’agricoltura familiare, la salvaguardia del patrimonio forestale e il contrasto e l’adattamento ai cambiamenti climatici tramite un’agricoltura integrata.

SALUTE. Si punta a rafforzare i sistemi sanitari, migliorando l’accessibilità e la qualità dei servizi primari materno-infantili; a potenziare le capacità locali in termini di gestione, formazione e impiego del personale sanitario, della ricerca e della digitalizzazione; sviluppare strategie e sistemi di prevenzione e contenimento delle minacce alla salute, in particolare pandemie e disastri naturali.

ENERGIA. L’energia è uno dei settori centrali del Piano. L’obiettivo è quello di rendere l’Italia un hub energetico, un “vero e proprio ponte tra l’Europa e l’Africa“, spiega la premier, Giorgia Meloni. Sarà centrale il nesso clima-energia, come tutti gli interventi che verranno portati avanti per rafforzare l’efficienza energetica e l’impiego di energie rinnovabili con azioni volte ad accelerare la transizione dei sistemi elettrici, in particolare per la generazione elettrica da fonti rinnovabili e le infrastrutture di trasmissione e distribuzione. È un impegno che ricomprenderà anche lo sviluppo in loco di tecnologie applicate all’energia anche attraverso l’istituzione di centri di innovazi I cinque pilasti del Piano Mattei: dalla formazione all’energiaone, dove le aziende italiane potranno selezionare start-up locali e sostenere così l’occupazione e la valorizzazione del capitale umano.

ACQUA. La scarsità della risorsa idrica in Africa rappresenta uno dei principali fattori di insicurezza alimentare, conflittualità e spinta alla migrazione. In questo quadro gli interventi riguarderanno: la perforazione di pozzi, alimentati da sistemi fotovoltaici; la manutenzione dei punti d’acqua preesistenti; gli investimenti sulle reti di distribuzione; e le attività di sensibilizzazione circa l’utilizzo dell’acqua pulita e potabile.

Giorgia Meloni pronta a presentare il Piano Mattei al Vertice Italia-Africa

Non è più il tempo delle parole. Nel fine settimana la premier, Giorgia Meloni, accoglierà a Roma diversi leader per il Vertice Italia-Africa, nel quale presenterà il Piano Mattei, il progetto di cooperazione che nelle intenzioni del governo dovrà far diventare il nostro Paese hub energetico dell’Europa e allo stesso tempo avviare un programma di sviluppo infrastrutturale, economico e occupazionale negli Stati a sud del Mediterraneo che decideranno di aderire all’iniziativa, anche per bloccare i flussi migratori in uscita.

A Palazzo Madama sono attesi anche la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, i rappresentanti delle agenzie delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale, anche se difficilmente – secondo quanto scrive France Presse – arriverà sostegno economico al Piano da Bruxelles, che ha già presentato un pacchetto di aiuti per l’Africa da 150 miliardi di euro entro il 2022. L’Italia, che in questi mesi ha comunque continuato a interloquire con l’Ue lontana dai riflettori, si è già cautelata stanziando per il continente africano il 70% dei 4 miliardi di Fondo nazionale sul clima.

Adesso manca solo il paper. Ad oggi, infatti, è nota esclusivamente la ‘cornice’ di governance, con il decreto approvato nel 2023 che istituisce cabina di regia e struttura di missione, oltre a definire gli ambiti di azione. Non solo energia, come aveva detto a inizio gennaio la presidente del Consiglio. Infatti si va dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione delle esportazioni e degli investimenti, l’istruzione e formazione professionale, la ricerca e innovazione, la salute, l’agricoltura e sicurezza alimentare, l’approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche, ma anche la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici. Inoltre, l’ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture, anche digitali, nonché la valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico anche nell’ambito delle fonti rinnovabili, il sostegno all’imprenditoria, in particolare a quella giovanile e femminile.

Nell’immediata vigilia della presentazione, però, le organizzazioni della società civile africana chiedono che il Vertice di domenica e lunedì prossimi tracci un nuovo corso per la cooperazione euro-africana, proteggendo le popolazioni africane, gli ecosistemi e la biodiversità del continente e affrontando l’emergenza climatica. Le Cso, inoltre, temono tuttavia che il piano non abbia seguito un approccio consultivo e che sia insufficiente nell’identificare e incorporare gli obiettivi centrali per l’Africa.

Meloni, intanto, continua a tessere la tela di relazioni internazionali. Nel pomeriggio di venerdì, in vista proprio dell’appuntamento del fine settimana, ha avuto colloqui telefonici sia con il presidente dell’Algeria, Abdelmadjid Tebboune, sia con il presidente egiziano, Abdelfattah al-Sisi. Secondo quanto riferisce Palazzo Chigi, in entrambe le conversazioni c’è stato uno scambio di idee sul rilancio delle relazioni dell’Italia con il continente africano e sullo sviluppo congiunto del Piano Mattei, ma anche sulle ultime evoluzioni delle crisi mediorientalale. Sia Tebboune che al-Sisi, poi, esprimono l’auspicio di poter presto avere una occasione di incontro con la premier italiana.

Il rapporto con l’Africa, così come “il nesso clima-energia e la sicurezza alimentare“, saranno tra le priorità nell’agenda della Presidenza italiana del G7, iniziata lo scorso 1 gennaio. “Centrale sarà il rapporto con le nazioni in via di sviluppo, con le economie emergenze con un’attenzione particolare rivolta all’Africa – spiega proprio Meloni in un video di presentazione -. Perché l’obiettivo che ci siamo dati è quello di costruire un modello di cooperazione da pari a pari, che rifiuta l’approccio predatorio e che sia capace di offrire benefici per tutti”. Anche l’Intelligenza artificiale avrà ampio spazio nelle iniziative in programma. Con un approccio ben definito: “Tra le sfide al centro della Presidenza italiana ci sarà anche quella che molti ritengono la più decisiva di questo tempo: l’Ia, tecnologia che può generare grandi opportunità ma anche enormi rischi, oltre a incidere sugli equilibri globali”, dice la premier. Che rilancia: “Il nostro impegno è sviluppare meccanismi di governance e fare in modo che l’intelligenza artificiale sia incentrata sull’uomo e controllata dall’uomo”.

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Gozzi: “L’Occidente non può lasciare il continente africano alla Cina e alla Russia”

Nell’editoriale della scorsa settimana ragionando sulle prospettive economiche del 2024 e cercando di collocarle all’interno di un quadro più strutturale di medio-lungo periodo ho evidenziato i ritardi e le debolezze dell’Europa rispetto alle altre grandi aree economiche del mondo (USA, Cina e in prospettiva India).

Ho scritto che, a mio giudizio, questa debolezza relativa parte da una degenerazione culturale (la presunzione di pensare che “siamo i più bravi di tutti” e quindi regole, regole, regole) e da un declino industriale e demografico: tra le prime 10 aziende del mondo non ce n’è neppure una europea, e la popolazione del nostro continente invecchia a ritmi impressionanti con tutto ciò che ne consegue in termini economici e sociali.

La situazione che si è creata rischia di spiazzare definitivamente l’Unione Europea e i suoi sogni di gloria, relegandola al ruolo di attore minore nelle dinamiche mondiali.

Dinanzi a un quadro del genere, che mi pare difficilmente contestabile, può essere utile cercare di definire una prospettiva strategica ed economica non velleitaria per l’Europa all’interno della quale collocare l’Italia.

Mi sono divertito ad usare per questo esercizio uno dei modelli classici della teoria d’impresa: forze/debolezze, minacce/opportunità. Pur consapevole dei limiti di un’applicazione del genere non a singole imprese ma a sistemi economici globali, sono convinto che la provocazione possa servire.

Ho due convinzioni radicate che hanno sostenuto la mia riflessione e che voglio sviluppare. La prima vede inscindibilmente legate le prospettive economiche e industriali del nostro continente alle dimensioni geo-strategica e della sicurezza. La seconda è che, poiché il tema del Mediterraneo si imporrà sempre di più nei prossimi anni, vi è un ruolo importantissimo che l’Italia può giocare partendo non solo dalla sua collocazione geografica ma anche da un dato culturale e di vicinanza alle popolazioni del Sud e dell’Est.
Ma procediamo con ordine.

Come detto la situazione di oggi è che l’Europa, per differenziale negativo di crescita e per minore tasso di innovazione tecnologica della sua economia industriale, è indietro rispetto ad USA e Cina; ciò in particolare in quelle aree che sono coperte da protezione brevettuale come intelligenza artificiale, biotecnologie, aero-spazio, e in parte farmaceutica e vaccini. Oggi si trova in terza posizione ma in pochi anni rischia, con la travolgente crescita indiana, di diventare quarta. Se le cose continuano così il declino e la marginalizzazione mi appaiono francamente inevitabili.

Dall’altro lato, in termini geo-strategici e di sicurezza la posizione europea è super delicata. Pressata com’è a est dal neo-imperialismo russo e a sud, nel Mediterraneo e nel Golfo, dall’affacciarsi di nuove potenze e nuovi protagonisti come Turchia e Iran, nonostante una spesa militare sì ingente (oltre 200 miliardi di euro l’anno ) ma del tutto scoordinata e quindi inutile alla creazione di campioni industriali europei, non può fare a meno dell’ombrello protettivo USA come è successo negli ultimi 70 anni.

Le due guerre in corso in Ucraina e in Israele testimoniano ciò in maniera solare. In base a questi due assunti le debolezze europee sono dunque evidenti: spiazzamento competitivo economico, industriale e demografico; fragilità geo-strategica e della sicurezza.

Abbiamo per contro punti di forza? Certamente almeno due: un grande mercato, anzi il più grande e ricco mercato del mondo (almeno per ora) non a caso concupito da economie non europee, ed un sistema di valori e istituzioni democratici saldo (sempre almeno per or ) e garante di diritti economici, sociali e civili che non ha eguali al mondo e che, non a caso, attira grandi flussi migratori.

Se si condivide questa analisi, e se per un attimo si lascia da parte la retorica europeista che crede di risolvere i problemi dell’oggi e di domani mattina con la stanca riproposizione di un modello ideale di Stati Uniti d’Europa difficile da attuare nel breve periodo, con un’unica politica estera, un sistema di difesa comune fuori dalla Nato, ed una transizione energetica tutta ideologica e destinata, se portata avanti così, a desertificare industrialmente il continente senza incidere per nulla sul climate change a livello mondiale, nella situazione data non restano molte strade da percorrere.

L’unica, riconoscendo onestamente l’impossibilità di rimanere soli, è perseguire con forza la realizzazione di una grande area di cooperazione euro-atlantica che veda in un’alleanza geostrategica, militare, economica e industriale USA/UE l’unica prospettiva realisticamente possibile in un mondo nel quale si registra una convergenza antioccidentale negli altri protagonisti.

All’interno di quest’area, che deve ovviamente coinvolgere alleati asiatici e ‘pacifici’ (in primis Giappone, Corea del Sud e Australia) vanno individuate complementarietà e sinergie economiche e industriali che possono esprimere una forza esponenziale.

Un’idea per gli amici di Aspen: sarebbe bello che due grandi centri di ricerca economica e industriale, uno statunitense l’altro europeo, iniziassero a studiare quali potrebbero essere i terreni industriali di questa possibile collaborazione. Tu fai questo, io faccio quello, tu investi lì io investo là, in un disegno coordinato e unitario soprattutto in tutte le aree del de-risking e cioè in tutte le aree industriali sensibili a questioni di sicurezza strategica: di nuovo, intelligenza artificiale, microprocessori, biotecnologie, farmaceutica e vaccini e aero-spazio.

Per le esperienze industriali maturate a livello internazionale ho visto molte volte opportunità e grandi potenzialità in questa ipotesi di cooperazione euro-atlantica. Basti ricordare nel settore automotive la straordinaria vicenda FIAT/Chrysler e il genio di Marchionne. Ma ci sono altre importanti aree di dialogo e possibile cooperazione industriale con gli USA.

Come siderurgici italiani abbiamo molto insistito, ad esempio, sulla necessità di accogliere la proposta dell’Amministrazione Biden di un’area di libero scambio Stati Uniti ed Europa estesa a Canada e Messicoper l’acciaio e l’alluminio, con l’eliminazione del dazio del 25% a suo tempo introdotto da Trump sulle importazioni di questi prodotti negli Usa. L’unica condizione richiesta dagli americani è che questo dazio possa essere mantenuto nei confronti di quei Paesi, fuori dall’area di libero scambio, che praticano unfair-trade, a partire dalla Cina.

L’ideologismo mercatista della Commissione Europea e le ambiguità della Germania, che di fatto rifiuta ogni provvedimento daziario nei confronti della Cina, hanno impedito questo accordo. L’Europa, nel non cogliere questa opportunità, ha fatto un grave errore ed ha mostrato la sua insipienza. Un’eventuale vittoria di Trump alle elezioni presidenziali del novembre 2024 renderebbe tutto maledettamente più difficile.

E ancora: sulla definizione di green steel, e cioè sulle caratteristiche di processo e intrinseche che deve avere l’acciaio verde, la posizione italiana è molto più vicina a quella dell’Associazione dei siderurgici statunitensi che a quella di Eurofer (l’organizzazione dei siderurgici europei a cui aderisce anche l’italiana Federacciai).

Questa comunanza deriva dall’oggettivo fatto che la stragrande maggioranza dell’acciaio prodotto sia in Usa che in Italia è da forno elettrico e rottame quindi già largamente decarbonizzato.

I nostri amici americani di Nucor (la prima siderurgia Usa con oltre 24 milioni di tonnellate di acciaio prodotte ogni anno e che per più di 12 anni è stata socia di Duferco negli impianti italiani) produce acciaio da forno con utilizzo di rottame e di DRI (direct reduction iron). Nucor dispone di due grandi impianti di DRI (identici a quelli che dovrebbero essere installati a Taranto) uno in Lousiana e l’altro a Trinidad. Certamente l’esperienza di questo grande gruppo americano, amico dell’Italia, pur senza coinvolgimenti diretti sarebbe preziosissima per il processo di decarbonizzazione dell’Ilva e per il suo rilancio.

Una stretta cooperazione economica e industriale tra Stati Uniti d’America e Europa darebbe tra l’altro un sostrato e una ancor più grande giustificazione al permanere di una stretta alleanza militare della Nato di cui l’Europa non può fare a meno per la sua sicurezza. Cosa ne sarebbe stato dell’Ucraina senza gli aiuti militari degli Usa e del Regno Unito?

Allargando il ragionamento dall’economico e industriale ai temi strategici e della sicurezza il ruolo dell’Italia in uno schema del genere diventa importantissimo. Vediamo perché.

Nei prossimi anni la divisione con il Nord Africa si andrà attenuando e il baricentro europeo, oggi tutto concentrato sull’asse franco-tedesco, si abbasserà spostandosi verso il Mediterraneo.

In questo contesto la posizione geografica dell’Italia, che è sostanzialmente una gigantesca piattaforma logistica proiettata verso il Sud e l’Est; l’internazionalizzazione della sua economia e la sua capacità culturale, di empatia e di dialogo con i Paesi della sponda adriatica e del Nord Africa costituiscono un formidabile patrimonio non solo per noi ma per l’Occidente tutto.

L’Italia può e deve diventare il ‘traduttore’ dei valori civili, democratici, istituzionali dell’Occidente per quei Paesi che sono alla ricerca del benessere e di un riscatto economico ma anche di una via verso il progresso democratico. Grazie al solido ancoraggio atlantico mantenuto anche dal Governo Meloni e alla capacità di dialogo che ci contraddistingue possiamo svolgere questo ruolo molto meglio di altri Paesi europei il cui passato coloniale è molto più ingombrante del nostro.

Ci vuole un approccio al tempo stesso dialogante ma anche molto più sofisticato di quello usato dall’occidente nelle vicende recenti delle cosiddette ‘primavere arabe’ e della crisi libica; un approccio che la politica estera italiana e la sua diplomazia sono capaci di esprimere.

Il piano Mattei, a partire dalle iniziative in campo in Tunisia: la linea di connessione elettrica che Terna sta per realizzare; la disponibilità degli industriali energivori italiani a partecipare con il loro consorzio Interconnector al finanziamento della linea e alla realizzazione di impianti di energia rinnovabile e di produzione di idrogeno verde in quel Paese; l’iniziativa sull’acqua che grandi aziende italiane come Acea e Fisia potrebbero intraprendere; un primo accordo per la messa a disposizione dell’industria italiana di 4000 lavoratori tunisini opportunamente formati può diventare davvero un nuovo modello di intervento in Africa basato su una cooperazione concreta e fattiva.

Una delle grandi direttrici dello sviluppo mondiale nei prossimi 20 anni sarà in Africa.

L’Occidente non può lasciare il continente africano alla Cina e alla Russia, che vi opera con i mercenari della Wagner per proteggere clepto-dittature autoctone. L’Italia, se pensa in grande, può giocare una partita fondamentale. Abbiamo tutto per farlo, dobbiamo concentrarci su quella che gli americani chiamano execution.

Piano Mattei, in Cdm arriva il decreto sulla governance con cabina di regia e struttura di missione

di Dario Borriello

La partita entra nella fase caldissima. Domani, 3 novembre, alle ore 11, in Consiglio dei ministri arriverà il decreto legge che definisce la governance del Piano Mattei, il progetto su cui il governo, e la premier Giorgia Meloni, puntano per ampliare la cooperazione con l’Africa e fare dell’Italia l’hub energetico d’Europa, favorendo lo sviluppo delle popolazioni locali per frenare i flussi migratori dal sud del Mediterraneo. Gli obiettivi del Piano, infatti, sono quelli di costruire un “nuovo partenariato tra Italia e Stati del continente africano, volto a promuovere uno sviluppo comune, sostenibile e duraturo, nella dimensione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza“.

Sono diversi anche gli ambiti di intervento. Dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione delle esportazioni e degli investimenti, l’istruzione e formazione professionale, la ricerca e innovazione, la salute, l’agricoltura e sicurezza alimentare, l’approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche, ma anche la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici, l’ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture, anche digitali, nonché la valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico anche nell’ambito delle fonti rinnovabili, il sostegno all’imprenditoria, in particolare a quella giovanile e femminile. Il governo, però, allo stesso tempo intende promuovere l’occupazione sul territorio africano, anche per prevenire e contrastare l’immigrazione irregolare.

Il Piano Mattei prevede, poi, “strategie territoriali riferite a specifiche aree del continente africano, anche differenziate a seconda dei settori di azione“, e avrà una durata quadriennale, con possibilità di rinnovo e aggiornamento “anche prima della scadenza“.

Per portare avanti il progetto sarà istituita una cabina di regia, guidata dal presidente del Consiglio e composta dal ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con funzioni di vicepresidente, e dagli altri ministri, oltre al presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dal direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, dai presidenti dell’Ice-Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, di Cassa depositi e prestiti e Sace. Inoltre, ne faranno parte i rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e del terzo settore, rappresentanti di enti pubblici o privati, esperti nelle materie trattate, individuati con un Dpcm che sarà varato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

Per assicurare “supporto al presidente del Consiglio dei ministri per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento dell’azione strategica del governo” sul Piano Mattei verrà istituita, sempre presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche una struttura di missione, alla quale è preposto un coordinatore, articolata in due uffici di livello dirigenziale generale, compreso quello del coordinatore, e in due uffici di livello dirigenziale non generale, il cui coordinatore sarà individuato tra gli appartenenti alla carriera diplomatica. Alla sdm è assegnato pure un contingente di esperti e avrà a disposizione risorse annue per 500mila euro.

Altro punto importante del decreto è la relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano Mattei, che il governo dovrà trasmettere alle Camere (con l’ok della cabina di regia) entro il 30 giugno di ogni anno.

Ue, Meloni: Per Green Deal ridurre dipendenze strategiche o sarà insostenibile

Imporre a “tappe forzate” alcuni provvedimenti del Green Deal senza aver prima ridotto le dipendenze strategiche è un “errore” che rischia di “impattare pesantemente” sui cittadini, che potrebbero trovarsi a pagare un “prezzo insostenibile” alla doppia transizione.
Alla vigilia di un consiglio europeo che “non sarà semplice“, la premier Giorgia Meloni torna a insistere sull’importanza di non trascurare la sostenibilità economica e sociale della doppia transizione. E’ un punto su cui promette di insistere: “Il governo continuerà a sostenere la necessità di un approccio pragmatico e non ideologico alla transizione“, garantisce. Parla di valutazioni di impatto affidabili, criteri di gradualità e strumenti di incentivazione e di accompagnamento per le imprese e per i cittadini.

Il 26 e 27 ottobre in Europa terrà banco il conflitto in Medioriente e la difficile gestione delle tensioni tra Hamas e Israele. “Prima e più che una serie di provvedimenti concreti, mi aspetto una discussione franca sulla visione e sulla missione che vogliamo svolgere come europei in un mondo che ci sollecita a sfide sempre più stringenti e sempre più drammatiche“, tuona la presidente del Consiglio in aula al Sentato.

E non trascura il peso della transizione che significa, davanti a uno scacchiere geopolitico impazzito, sicurezza e indipendenza.  “Se ben impostata“, precisa, può essere uno “straordinario strumento per rafforzare la competitività europea“. Ma se portata avanti con un “approccio miope“, può portare a una “irreparabile desertificazione industriale del continente“.

L’Italia, in Europa, sosterrà tutto ciò che “parla di autonomia strategica, sostanzialmente di sovranità“, spiega Meloni nelle comunicazioni al Senato. Si riferisce al Chips Act sui semiconduttori, al critical raw materials Act, sulle materie prime critiche, e a Step, l’iniziativa per le tecnologie critiche. “In buona sostanza mi riferisco a tutto ciò che serve a sostenere la doppia transizione limitando e auspicabilmente diminuendo la nostra dipendenza dai Paesi terzi, in particolare modo dalla Cina e dai Paesi asiatici“, spiega.

Sulla via dell’indipendenza, Roma punta tutto sulla proposta del Piano Mattei per l’Africa, sostenendo la necessità di integrare il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, definendo un “errore” rivedere il bilancio solo per aumentare gli aiuti all’Ucraina, perché “se non fossimo in grado di rispondere alla conseguenze che il conflitto in Ucraina genera per i nostri cittadini finiremmo inevitabilmente per indebolire anche il sostegno a quella causa“, mette in guardia. Non sarà una “cosa astratta“, tranquillizza l’Aula, assicurando che ci sarà un passaggio parlamentare per un “confronto a 360 gradi“. Il Piano, rivendica, “fa guardare l’Italia con molto interesse. Puntiamo a essere pionieri di un nuovo approccio con l’Africa. E’ un’iniziativa strategica italiana di politica estera, come non ne ho viste tante in passato“. La strategia si intreccia inevitabilmente con l’emergenza migranti. Per questo, in Consiglio, l’Italia si prepara a sostenere l’implementazione dell’accordo con la Tunisia, l’attuazione piena del Piano di azione in dieci punti della Commissione, il varo di una missione navale con le autorità del Nord Africa. Sull’ultimo punto però la premier italiana vuole essere chiara: “Per ottenere questa disponibilità è necessario un radicale cambio di rapporto con quelle autorità, basato sul rispetto e non su un approccio paternalistico e predatorio, come purtroppo spesso è accaduto in passato“.