Si rafforza asse Italia-Germania. Urso: “Dazi Usa? Serve una politica industriale europea”

(Foto: Mimit)

Un anno fa la firma del Piano d’azione italo-tedesco, oggi il primo forum interministeriale inquadra il campo di azione e i target da raggiungere. La missione a Berlino del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, rafforza la cooperazione con Roma, come testimonia la dichiarazione congiunta al termine dei lavori con il vicecancelliere e ministro dell’Economia e dell’Azione Climatica della Germania, Robert Habeck. La parola d’ordine è competitività, che l’Europa deve assolutamente ritrovare, colmando anche un forte ritardo. E’ necessario, soprattutto adesso che la situazione geopolitica continua a essere instabile, con le guerre in Ucraina e Medio Oriente, e gli Usa che si apprestano cambiare non solo Amministrazione, col passaggio da Joe Biden a Donald Trump, ma soprattutto approccio alla politica industriale. I dazi verso l’Europa annunciati dal tycoon in campagna elettorale sono un tema più che mai stringente.

Non sarà certo la prima volta, ricorda proprio Urso, citando la prima presidenza Trump, poi la successiva Biden: “E’ chiaro a tutti che dobbiamo fare una politica positiva nei confronti degli Stati Uniti, che è il nostro principale alleato anche dal punto di vista economico, per fare in Europa una saggia, significativa, responsabile comune politica industriale che si fondi sull’autonomia strategica, a cominciare dall’energia, per poi giungere anche, come necessario, alla tutela nelle regole del Wto da chi fa concorrenza sleale”. La parola d’ordine è agire insieme.

In questo senso l’Ue ha una carta da giocarsi: l’avvio della nuova Commissione a guida di Ursula von der Leyen. “Bisogna puntare con ambizione sullo sviluppo tecnologico, come l’Intelligenza artificiale, a partire dall’energia, anche con un mercato comune energetico, con tutto quello che può garantire l’autonomia del Continente e del sistema industriale”, dice Urso. Habeck ascolta e condivide, in particolare quando il responsabile del Mimit parla del report di Mario Draghi, “che noi tutti condividiamo appieno”, augurandosi, “anche a fronte del dinamismo di altri attori globali come Cina e Usa”, una “azione comune tra le due grandi politiche industriali d’Europa per indirizzare la nuova Commissione sulla strada della competitività”. Sul fronte degli investimenti, che l’ex premier calcola in circa 800 miliardi in più all’anno per i prossimi 10 anni solo per recuperare il gap, alla necessità di favorire l’ingresso di capitali privati nei progetti. In questo senso diventa, dunque, fondamentale un’opera di “semplificazione e sburocratizzazione” in Europa.

“Serve mettere in campo una politica industriale, capace di riportare il nostro sistema al centro delle grandi catene produttive globali, così come indicato nei report Draghi e Letta, investire sulle nuove tecnologie, restituire competitività alle imprese, tutelare il lavoro europeo”, ripete Urso anche nella nota congiunta con il collega tedesco. Per questo la cooperazione in campo industriale tra Italia e Germania è “assolutamente strategica”. Ad esempio con il non-paper sull’automotive che sarà presentato al Consiglio Competitività dell’Ue giovedì prossimo, 28 novembre, cui ha aderito anche la Polonia. “È necessario rivedere con realismo le regole del Cbam e realizzare un piano automotive europeo che metta in campo anche risorse comuni per sostenere gli investimenti delle imprese con una visione di piena neutralità tecnologica al fine di raggiungere davvero la autonomia strategica del Continente nella twin transition”, aggiunge il ministro italiano.

Allo stesso tempo occorre una nuova visione sul comparto siderurgico e chimico, come sostenuto anche al Trilateral Business Forum di giovedì e venerdì scorsi, a Parigi, tra le confindustrie di Italia, Germania e Francia.

In questo senso, il Piano d’azione tra Roma e Berlino è ad ampio raggio e prevede una cooperazione rafforzata in diversi settori della politica industriale, dello spazio, delle tecnologie digitali e green. I gruppi di lavoro già composti sono un’ottima base di partenza per le proposte. Ad esempio, su politica industriale ed energia “è stata definita un’agenda comune per la prossima Commissione Ue, affrontando temi come il sostegno alle pmi e la semplificazione normativa, attraverso “reality checks”, e la rimozione delle barriere ai servizi transfrontalieri”, mettono in chiaro i due ministri. Ancora, il fulcro della collaborazione su ‘digitalizzazione e Industria 4.0’ è “lo sviluppo di ecosistemi decentralizzati per la produzione intelligente e il rafforzamento della posizione italiana nell’iniziativa Manufacturing-X” con la partecipazione italiana alla Fiera di Hannover 2025 “tra le priorità”. Infine, sullo spazio i due Paesi hanno lavorato “per garantire che la legislazione europea rifletta gli interessi degli Stati membri, promuovendo la competitività del settore e la sovranità strategica” e “la cooperazione sul programma Iris2 è stata parte integrante delle attività”. La partita è, dunque, aperta. Ma perché abbia successo serve l’Europa. Unita anche negli obiettivi, possibilmente.

Manovra, Giorgetti riconosce le difficoltà ma spera ancora nel rialzo del Pil

Lo scenario internazionale resta quello che è, ma Giancarlo Giorgetti vuole vederci comunque uno spiraglio di luce nel prossimo futuro dell’Italia. Il ministro dell’Economia chiude il ciclo di audizioni sulla legge di Bilancio 2025 mettendo al centro di tutto i meriti della “prudenza” avuta in questi due anni, che ha portato “alla revisione al rialzo degli outlook da parte di due agenzie di rating” e al “dimezzamento dello spread rispetto a due anni fa”.

Sforzi che lo stesso responsabile del Mef riconosce, però, non sufficienti a garantire che le prospettive evolvano nelle direzioni auspicate, a causa di “dinamiche globali sempre più forti”. La crescita del resto è oggettivamente lenta, sebbene Giorgetti indichi che i segnali di ripresa della domanda interna ci sono in questa fase finale dell’anno: “E’ una delle chiavi cruciali per realizzare la crescita prevista nel 2025”, assieme al Pnrr. Il freno semmai è la domanda estera netta. Il Paese ha un domani nero, allora? Nient’affatto: il ministro, infatti, non sarebbe stupito “da eventuali revisioni al rialzo anche relativamente alle stime preliminari del Pil 2024”, anche “alla luce del notevole incremento dell’occupazione sin qui registrato”. Dunque, “le prospettive di crescita a breve termine risultano, nel complesso, ancora incoraggianti”. Magari, poi, la Bce taglierà ancora i tassi: lo spazio lo vede il ministro leghista.

In questo scenario si inserisce la Manovra. Ai critici risponde che l’aver reso strutturali alcune misure “può contribuire ad attenuare i timori degli operatori di mercato”, ma soprattutto apre a piccole modifiche del testo. Ad esempio sull’incremento della Crypto-tax dal 26 al 42% valutando “forme di tassazione diverse”, mentre sull’edilizia “la distinzione tra prima e seconda casa è un principio irrinunciabile e inderogabile, sul resto possiamo discutere”.

Indirettamente, Giorgetti replica ai sindacati, in particolare al leader Cgil, Maurizio Landini, che ha evocato la “rivolta sociale”: “Abbiamo messo risorse alle famiglie di reddito medio-basso, qualcuno può discutere se sia giusto e sbagliato, ma sorprende che questo sia contestato proprio dai sindacati, perché li abbiamo messi sui lavoratori dipendenti”.

Altro capitolo caldissimo è quello del taglio al fondo per l’automotive, che ha ricevuto critiche trasversali. Il ministro dell’Economia prova a togliersi qualche sassolino: “Noi non tagliamo i fondi alle imprese ma gli incentivi per rottamare e acquistare auto fatte in Cina”, dice in audizione. Aggiungendo che “per chi vuole produrre ci sono e ci saranno sempre”. Anzi, ricorda che “800 milioni di residui sono pronti da domattina, chi vuole investire in automotive per produrre è benvenuto”.

L’occasione è ghiotta anche per parlare di transizione ecologica del sistema produttivo: “La politica industriale la fanno gli imprenditori, lo Stato può aiutare. C’è bisogno di imprenditori che accettino la sfida della riconversione, perché se non lo fanno possiamo pure criticare, ma chi la deve portare avanti?”.

Giorgetti affronta anche il nodo dei revisori: “Chi riceve un contributo dallo Stato deve rispondere di come lo utilizza”, assicurando però che “il Mef non vuole curiosare” nelle aziende. C’è spazio anche per i sogni: quelli del ministro dell’Economia sono di avere il debito al 60% “così risparmierei 45 miliardi da destinare a scuola, sanità, pensioni”. E non manca nemmeno la risposta a chi accusa il governo di togliere ossigeno agli enti locali: “Devono capire che negli anni scorsi hanno ricevuto finanziamenti a fondo perduto, a carico dello Stato, non replicabili. Su questo, credo che un ritorno alla normalità sia dovuto”. Lunedì prossimo, alle ore 16, scadranno i termini per la presentazione degli emendamenti alla legge di Bilancio: dopodiché partirà la corsa verso l’approvazione. Ma il sentiero si preannuncia tutt’altro che in discesa.

Pil, allarme di Confindustria: +0,8% nel 2024, 0,9% nel 2025. Pesa crollo automotive

Photo credit: profilo Twitter Confindustria

Anche Confindustria rivede al ribasso le stime sul Prodotto interno lordo italiano. Il Rapporto di previsione ‘I nodi della competitività. La crescita dell’Italia fra tensioni globali, tassi e Pnrr’ elaborato dal Centro studi degli industriali evidenzia, infatti, che “la crescita del Pil, a seguito della revisione Istat, si attesta a +0,8% quest’anno e 0,9% il prossimo“. Numeri meno positivi per il governo, che intanto festeggia i primi due anni di attività con “l’inflazione più bassa d’Europa“: 0,7% annuo a settembre, mentre nell’Eurozona è ancora all’1,7, sebbene “nel 2025 è attesa risalire in parte nel nostro Paese, tendendo ad avvicinarsi ai valori della misura core, cioè poco sotto il +2%“. Anche per questo il documento sottolinea l’aumento del reddito disponibile che cozza con “i consumi frenati dall’elevato tasso di risparmio“.

I fattori che determinano questo risultato sono diversi, ma Confindustria ne individua due in particolare, il calo della Germania (che rende “debole” l’economia del Vecchio continente proprio mentre quella mondiale, invece, riprende quota) e il “crollo del settore dell’auto, che quest’anno è tornato al livello di produzione di inizio 2013” come “conseguenza dei costi elevati delle auto elettriche“. Altro peso sulla crescita è il costo di gas ed elettricità: “Sono ancora più alti in Italia, sia rispetto agli altri grandi Paesi europei come Francia e Germania, sia rispetto agli Stati Uniti, penalizzando la competitività delle imprese rispetto ai principali partner occidentali“, avvisa il Csc.

Per fortuna che c’è l’export a fare da “principale traino di crescita quest’anno“. Perché “nonostante la debole domanda europea (che rappresenta il 52% dell’export italiano) e in particolare tedesca (principale partner commerciale), continua ad andare meglio della domanda potenziale (media ponderata dell’import totale dei Paesi di destinazione)“.

Per capire a che punto è l’Italia, comunque, allargato il campo all’intera Europa, che sconta l’aumento delle tensioni geopolitiche, elemento che “accresce la possibilità di ripercussioni negative su commercio mondiale e prezzi delle materie prime“. Inoltre, “rimane alto il costo dei noli” e “aumentano le barriere protezionistiche” mentre “le elezioni presidenziali in Usa acuiscono l’incertezza“.

Riportando lo zoom sul nostro Paese, ci sono altri punti da elencare nel report. Perché “gli investimenti si fermano nel 2024, tornando ai livelli del 2008” e “solo parzialmente sono compensati da quelli previsti dal Pnrr“, che resta “cruciale per la crescita” sebbene le performance risultino in chiaroscuro. “L’Italia è più avanti degli altri nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma dobbiamo correre“, infatti “quest’anno abbiamo speso poco: 9,5 miliardi su 44“. In questo senso si legge l’invito al governo a “semplificare” la misura Transizione 5.0perché sia efficace“.

Andando ancora avanti nella lettura, emerge che “la produzione industriale nel 2023 è diminuita del 2,4% e nei primi otto mesi del 2024 di un’ulteriore 3,2%, rispetto ai mesi corrispondenti dell’anno precedente“. Inoltre, nel terzo trimestre la percentuale rimane negativa, con una riduzione dello 0,5% acquisita ad agosto. Entrando nel dettaglio, a livello settoriale le performance sono molto differenti: “Crescono altri mezzi di trasporto, riparazioni e installazioni (+8,0% e +5,3% nei primi otto mesi dell’anno rispetto ai primi otto mesi del 2023), alimentari e carta (+2,7% e +1,9%), mentre pesa la contrazione dell’automotive (-17,9%), degli articoli in pelle (-15%) e dell’abbigliamento“. II valore aggiunto dell’industria, però, è previsto in recupero il prossimo anno (-0,8% nel 2024, in linea con l’acquisito, +1% nel 2025), grazie alla ripresa della domanda, interna ed estera, comunque modesta, tra fine anno e inizio 2025.

Infine, altra criticità è rappresentata dal “sistema Ets sempre più stringente e il Cbam operativo“, perché “le imprese europee continuano a perdere competitività“. Anzi, “crescono i rischi – avvisa Confindustria – che alcune di queste (sono il 9% del valore aggiunto manifatturiero in Italia come in Ue) chiudano o vengano trasferite fuori dall’Europa“.

Auto, sindacati in piazza: “Stellantis subito a Palazzo Chigi”. Urso: “Domani convocazione”

In 20mila a Roma per chiedere al governo di rilanciare la politica industriale dell’automotive e a Stellantis di ‘cambiare marcia’. Sono i dati dell’adesione allo sciopero nazionale del settore indetto da Fim, Fiom, Uilm, che dal palco di Piazza del Popolo hanno fatto risuonare un messaggio forte e chiaro: Palazzo Chigi deve convocare azienda e sindacati al più presto possibile.

Alla fine della giornata lavorativa, Stellantis comunica che nei propri siti la percentuale media di adesione allo sciopero è stata “complessivamente dell’8,8% e che “la produzione non ha registrato alcuna interruzione negli impianti attualmente operativi”.

“I metalmeccanici si sono uniti e stanno unendo il Paese e le forze politiche, perché c’è un interesse comune: salvaguardare gli stabilimenti di Stellantis in Italia, la ricerca, lo sviluppo, la componentistica“, dice il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, prima che il corteo muova la testa da Piazza Barberini. “Scioperiamo per il futuro del nostro Paese. I lavoratori non possono essere usati come ostaggio in una guerra tra politici o tra i politici e l’amministratore delegato, perché poi a pagarne le conseguenze siamo noi. E noi siamo stanchi di pagare le conseguenze di scelte fatte da altri“, lamenta.

Dura anche la posizione della Uilm: “Manifestiamo nei confronti di governo, Europa e Stellantis: le loro azioni sembrano contrastanti, invece sono speculari, cioè l’obiettivo è lo stesso, far venire altri produttori, cinesi, non per raggiungere le produzioni che già facciamo ma in sostituzione“, tuona il segretario generale, Rocco Palombella. Cita cifre e percentuali, invece, il leader della Fim Cisl, Ferdinando Uliano: “Abbiamo elaborato i dati del primo trimestre, poi dopo sei mesi e ancora dopo nove mesi aggiungiamo negatività. È un profondo rosso in tutti gli stabilimenti“, avverte. “Abbiamo -70% di produzione a Mirafiori rispetto all’anno scorso, -76 a Modena, -68 a Melfi. È tutto meno, un disastro continuo, questa cosa deve essere invertita, deve essere presa in mano dalla Presidenza del Consiglio, perché stiamo parlando dell’11% della ricchezza prodotta e all’incirca di 1,2 milioni di lavoratori che girano“.

Ci sono anche i segretari di Cgil, Cisl e Uil accanto ai metalmeccanici. “Chiediamo al governo e al presidente del Consiglio che convochino un tavolo dove ci siano Stellantis, tutta la componentistica e tutte le organizzazioni sindacali: non possiamo più aspettare, c’è bisogno di un piano industriale che rilanci la produzioni nel nostro Paese“, dice Maurizio Landini. “Contemporaneamente, c’è bisogno che questa azione abbia una dimensione europea, perché è tutto il sistema industriale europeo a rischio“. Duro il commento di Pierpaolo Bombardieri: “Una richiesta al governo, alla politica, al ministro Urso: basta chiacchiere, servono fatti concreti. Non ci possiamo permettere di leggere tutti i giorni di chiusure dei siti produttivi per il costo dell’energia e per la mancanza politiche industriali. Il governo deve chiarire cosa farà“. Luigi Sbarra, poi, chiede che l’azienda “mantenga gli impegni che ha assunto col sindacato e con il governo di rilanciare la filiera dell’automotive nel nostro Paese concentrando risorse, investimenti e nuovi modelli, aumentando la capacità produttiva e salvaguardando tutti i posti di lavoro“.

La risposta dell’esecutivo arriva da Torino, dove Urso, a margine della presentazione di Argotec, seguire con “rispetto” l’iniziativa dei sindacati assicurando che “domani convocherò l’azienda“. Il responsabile del Mimit lascia il campo alle sigle, ma da domani “ci muoveremo per convincere Stellantis che qui è il luogo migliore dove investire: dove è nata l’auto, dove con l’auto sono nati l’industria italiana e l’orgoglio del Made in Italy“.

“La fase di transizione del settore automobilistico verso modelli di produzione sostenibile e verso l’elettrificazione della mobilità, in linea con gli obiettivi del Green Deal posti dall’UE, rappresenta la matrice del disagio alla base dello sciopero. Di questo Stellantis è pienamente consapevole“, spiega l’azienda in una nota, sostenendo che la manifestazione di oggi, “alimentata essenzialmente dalla preoccupazione per il conseguente attuale calo della produzione negli stabilimenti italiani del Gruppo, ma anche dalle ricadute su tutta la filiera, richiama inevitabilmente l’attenzione, oltre che della stessa Stellantis, anche delle istituzioni, nazionali e europee, chiamate ad accompagnare questa trasformazione e a cercare soluzioni condivise”. A questo proposito, il Gruppo ribadisce la “ferma determinazione a garantire la continuità produttiva e delle attività, supportando tutti i lavoratori in questa fase”. Il percorso è “impegnativo“, viene sottolineato, e “comporta scelte complesse, non offre soluzioni immediate, e al contempo richiede unità d’intenti e visione. Obiettivo di tutti è che Stellantis, insieme ai suoi dipendenti, continui ad essere azienda leader nel futuro del settore automobilistico globale“.

Per le strade di Roma sfilano anche diversi sindaci dei comuni dove si trovano gli stabilimenti Stellantis. Il Coordinamento permanente presso Anci chiede all’esecutivo e al Mimit di essere incluso nei tavoli istituzionali sulla crisi del comparto, seguendo “con preoccupazione crescente” l’evoluzione della crisi del settore.

In piazza arrivano anche i rappresentanti delle forze politiche, ma solo delle opposizioni. “Abbiamo già richiesto, con tutte le altre opposizioni, che anche Elkann venga audito in Parlamento“, afferma la segretaria del Pd, Elly Schlein. Ricordando di aver chiesto “io stessa all’amministratore delegato Tavares, in audizione, che si confronti, certamente con il governo, ma soprattutto con sindacati e lavoratori, cosa che finora è mancata“. All’esecutivo lancia una sfida alla premier, Giorgia Meloni: “Ottenere che il Next Generation Eu continui. Convinca i suoi alleati delle destre nazionaliste europee a proseguire nella strada necessaria degli investimenti comuni“. Per Giuseppe Conte è “assolutamente necessario che il governo prenda in mano questa situazione e chiami Stellantis a chiarire strategie imprenditoriali per l’Italia“. Il presidente dei Cinquestelle garantisce che il suo partito starà “al fianco degli operai, perché il disastro sociale che si preannuncia con questo progressivo disimpegno di Stellantis dall’Italia è veramente serio“. Lo stesso termine lo usa anche il segretario di Azione, Carlo Calenda: “Occorre mettere un pacchetto, non solo per Stellantis, ma per tutte le imprese dell’indotto, che valgono 220mila posti di lavoro, 2.200 aziende, e convocare Tavares ed Elkann a Palazzo Chigi. Ma bisogna farlo subito, perché il prossimo anno avremo un disastro industriale annunciato“.

Chiama in causa l’esecutivo pure Angelo Bonelli: “Manca una strategia industriale, che investa nell’innovazione tecnologica, altrimenti rischiamo di lasciare spazi ai grandi competitor globali come la Cina“. Ecco perché il portavoce nazionale di Europa Verde dalla piazza vuole dire “basta al cinismo di una azienda, Stellantis, che ha applicato una strategia inaccettabile che è quella del ‘mordi e fuggi’, usufruendo di oltre 7 miliardi di fondi pubblici negli anni passati per poi delocalizzare in Paesi terzi“. Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza anche il leader di Si e parlamentare Avs, Nicola Fratoianni, che rilancia: “L’azienda deve cambiare passo, ma anche il governo deve mettere in campo investimenti adeguati sulla transizione, invece di schierarsi con i campioni del rinvio e i climafreghisti di tutta Europa“.

Oltre alle single che sfilano a Roma anche l’Ugl Metalmeccanici scende in piazza in 7 siti industriali, insieme a Fismic e Aqcf. “È una giornata storica per l’Automotive, lavoratori e anche cittadini, nonché le sigle sindacali – dichiara il segretario nazionale, Antonio Sperahanno dato prova di sapersi mobilitare insieme per un obiettivo comune e cioè pretendere per l’Italia, Paese dall’indiscutibile tradizione industriale, un progetto strategico per tutto il settore che, ovviamente, dipende dalle scelte e dal destino del Gruppo Stellantis“.

Mimit istituisce Tavolo sviluppo automotive: si insedierà il 6/12

Il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha istituito, d’intesa con Stellantis, al termine di un confronto nel merito su obiettivi e modalità, il ‘Tavolo Sviluppo Automotive’, a cui parteciperanno azienda, Regioni, sindacati e Anfia. Il tavolo, che si insedierà il 6 dicembre, avrà come principali obiettivi aumentare i livelli produttivi negli stabilimenti italiani, consolidare i centri di ingegneria e ricerca, investire su modelli innovativi, riqualificare le competenze dei lavoratori e sostenere la riconversione della componentistica. Il ‘Tavolo Sviluppo Automotive’ consentirà un confronto continuativo, trasparente e inclusivo tra tutti gli attori, con la partecipazione di Stellantis, dei presidenti delle Regioni sede di stabilimenti dell’azienda – Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Molise, Piemonte ed Emilia-Romagna – delle organizzazioni sindacali e di Anfia, che rappresenta le imprese della componentistica.

L’istituzione del Tavolo risponde agli obiettivi indicati nel protocollo d’intesa Mimit-Anfia, sottoscritto il 18 ottobre, e alle sollecitazioni più volte emerse nelle riunioni con le istituzioni regionali, con i sindacati e con le associazioni di impresa.

Con la partecipazione al Tavolo, l’Azienda ribadisce il proprio forte impegno nei confronti del Paese e la volontà di creare le condizioni per mantenere il ruolo di leader dell’Italia al centro della strategia di Stellantis. Siamo pronti a continuare questo viaggio con le parti interessate per trovare insieme una visione condivisa che si concentri sulla competitività nazionale in tutti i suoi aspetti”, commenta un portavoce di Stellantis. Che però sottolinea quali sono le criticità e le necessità per il futuro: “Per raggiungere le diverse ambizioni e sostenere il mercato automobilistico sono però necessari specifici fattori abilitanti, come il rinvio o la rimozione della normativa (Euro 7) che impedisce la continuazione della produzione di modelli a prezzi accessibili in Italia, gli incentivi alla vendita di veicoli elettrici e la rete di ricarica per sostenere i clienti e il miglioramento del costo dell’energia per sostenere la competitività industriale di Stellantis e dei fornitori italiani. Il fattore chiave di successo del Tavolo che si insedierà è che ogni stakeholder abbracci il cambiamento necessario a 360°, in modo proattivo e sincero, a beneficio dell’industria automobilistica italiana e dei clienti italiani nella transizione verso l’elettrificazione del nostro settore”.

A Mirafiori il primo Battery Technology Center di Stellantis: investimento da 40 milioni

Sviluppare le batterie del futuro, testando quelle che vengono montate sulle macchine elettriche di oggi. E’ stato inaugurato a Torino il Battery Technology Center, primo centro mondiale di Stellantis, nel complesso di Mirafiori, per gestire internamente e direttamente il design e lo sviluppo delle batterie per la futura generazione di veicoli elettrici del gruppo. Un investimento da 40 milioni di euro, in uno stabilimento da 8mila metri quadri dedicato a ricerca e sviluppo. A regime, vi lavoreranno oltre 100 tecnici, la maggior parte dei quali sono lavoratori specializzati di Stellantis che hanno ricevuto almeno 200 ore di formazione perché trasferiti da altre divisioni del gruppo in una grande opera di ‘reskilling’: loro condurranno e supervisioneranno stress test climatici, prove di durata del ciclo vita, lo sviluppo e la taratura dei software per i sistemi di gestione delle batterie (BMS) e lo smontaggio di pacchi e celle per l’analisi e il benchmarking.
“L’apertura del Battery Technology Center rafforza la presenza di Stellantis in Italia e l’impegno nei confronti dei  dipendenti italiani“, sottolinea Ned Curic, Chief Engineering & Technology Officer di Stellantis. “Con questo impianto – ha sottolineato – ribadiamo il forte impegno nell’elettrificazione e anche nel supportare lo storico stabilimento torinese di Mirafiori”. Stellantis sta lavorando alla realizzazione di un altro centro analogo per il Nord America a Windsor (Ontario, Canada), destinato a fare parte di una rete globale per lo sviluppo e la produzione delle batterie che si articolerà in sei gigafactory, tra cui quella di Termoli.

Nel dettaglio, il centro di Torino copre non solo l’Italia, ma tutta l’Europa: gli stress test verranno attuati sulle batterie per l’intero gruppo Stellantis. “A Mirafiori – ha spiegato la responsabile Paola Baratta – si effettuano test fino a 47 batterie contemporaneamente, numero che può salire fino a 96”. Il cuore del centro è costituito da 32 camere climatiche – 24 camere walk-in per i test dei pacchi batteria e 8 camere per l’effettuazione di prove sulle celle. All’interno delle 24 camere walk-in è possibile controllare le condizioni ambientali regolando umidità e temperatura in un intervallo compreso tra -40 e 60 gradi Celsius con una variazione massima di 20 gradi al minuto. “Normalmente durano quindici giorni, ma possono andare avanti fino a un anno”, ha continuato Baratta.  “Ci troviamo davanti a un’opportunità unica di ridefinire la mobilità attraverso l’offerta di soluzioni intelligenti e sostenibili”, ha spiegato Curic. E soprattutto, accessibili a tutti. Nel Battery Center di Mirafiori, infatti, si studierà il modo di rendere le batterie più leggere, “del 50% al 2030” e si cercherà di immaginare l’utilizzo di nuovi materiali o su come massimizzare l’uso di quelli provenienti dal riciclo. “Vogliamo ridurre i costi delle auto elettriche, lanceremo quest’anno un veicolo elettrico molto accessibile”, ha detto Curic perché “crediamo che il futuro della mobilità è quella dei veicolo accessibile”.

All’inaugurazione del Centro anche il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, e il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, che hanno firmato un anno fa un accordo con l’azienda che prevede, tra l’altro, il lancio del nuovo hub dedicato al riciclo delle vetture, che sarà aperto entro la fine dell’anno. Il Battery Center è un altro tassello di “una strategia messa in campo dalle istituzioni locali con Stellantis”, come detto dal primo cittadino. Si tratta di “un significato di prospettiva perché dimostra che la testa di Stellantis rimane a Torino“, ha incalzato Cirio. “Se mantieni la testa mantieni anche i livelli produttivi”.

Infine, nell’ambito del piano strategico Dare Forward 2030, Stellantis ha annunciato l’obiettivo di raggiungere entro il 2030 il 100% del mix di vendite con veicoli elettrici in Europa e il 50% con autovetture e veicoli commerciali leggeri BEV negli Stati Uniti. Per raggiungere tali obiettivi commerciali, l’azienda si sta assicurando circa 400 GWh di capacità di batterie, da supportare con sei stabilimenti di produzione di batterie in Nord America e in Europa. “Siamo sulla buona strada” per raggiungere questi obiettivi. “Le nostre vendite di elettrico sono aumentate del 24% e del 28% per i veicoli a basse emissioni. Abbiamo 25 bev su strada, ne arriveranno altri 23 il prossimo anno, per un totale di 75 alla fine del decennio”, ha ribadito Curic.

Stellantis guarda agli e-fuel: -70% C02. E prepara stop motori a combustione dal 2030

Gli e-fuel, i cosiddetti carburanti sintetici, possono giocare un ruolo significativo nella decarbonizzazione dell’automotive, sostenendo una transizione energetica fluida. Ne è convinta Stellantis che nei mesi scorsi ha effettuato test nei propri centri di ricerca in tutta Europa utilizzando e-fuel sostitutivi forniti da Aramco. Un lavoro iniziato due anni fa, con un investimento “di alcune decine di milioni” di euro, sulla compatibilità tra i veicoli del gruppo in circolazione dal 2014 (Euro 6) e i carburanti sintetici. Risultato? 24 famiglie di motori di veicoli europei Stellantis venduti a partire dal 2014, pari a 28 milioni in circolazione, sono pronte per l’utilizzo di e-fuel ‘drop-in’ avanzati. Cioè, senza necessità di alcuna modifica al gruppo propulsore, con una potenziale riduzione di emissioni che toccherebbe punte di 400 milioni di tonnellate di CO2 in Europa tra il 2025 e il 2050. “L’utilizzo di e-fuel a basse emissioni di carbonio è potenzialmente in grado di ridurre le emissioni di anidride carbonica dei veicoli a combustione interna esistenti di almeno il 70% nell’intero loro ciclo di vita, rispetto ai carburanti convenzionali”, hanno spiegato Christian Mueller, senior vice president Propulsion Systems e Andreas Jauss, head of the alternative fuels center-of-competence di Stellantis insieme ad Amer Amer, transport chief technologist di Aramco durante un incontro con la stampa.

Di certo, la casa automobilistica non ha alcuna intenzione di abbandonare l’elettrico, confermando che dal 2030 in Europa venderà solo più Bev. Ma, anche terminando le produzioni di termiche (Ice) a fine 2029, “le auto resteranno in circolazione, stimiamo, fino al 2050, considerando che in media il 25% della nostra flotta ha più di 20 anni”, ha spiegato Mueller che vede gli e-fuel come un’alimentazione “complementare, non alternativa”. “Per Stellantis – ha ribadito – devono completarsi a vicenda, non esiste o questo o quello. Ci sono entrambe le possibilità che devono lavorare di pari passo. Questa è la nostra convinzione”.

Gli e-fuel sono tipi di combustibili prodotti combinando idrogeno a basso contenuto di carbonio e C02 da energia rinnovabile: la particolarità è che “sono compatibili sia con futuri veicoli sia con flotte già esistenti. E quindi permettono di utilizzare le stesse infrastrutture di trasporto e distribuzione dei carburanti tradizionali e non richiedono modifiche ai motori, diesel e benzina, anche più vecchi dell’Euro 6”, ha precisato Amer. Per Aramco, infatti, “il risultato di questa campagna di test ha davvero rafforzato la nostra visione secondo cui i carburanti sintetici possono ridurre significativamente le emissioni di CO2 nel settore trasporti”, rappresentando una delle soluzioni per una transizione ‘soft’. Per questo, ha continuato il Transport Chief Technologist, “tutte le tecnologie dovrebbero essere prese in considerazione, i combustibili sintetici possono essere complementari ai biocarburanti. Non sono in competizione”.

Inoltre, i costi di produzione scenderanno gradualmente avvicinandosi, nel medio periodo, al prezzo dei carburanti tradizionaligrazie a tecnologie come la Dac, Direct Air Capture, che permette di catturare la CO2 dall’aria, e all’impiego in altri settori come il trasporto aereo”. “Siamo convinti che il prezzo alla pompa possa diventare pari a quello di un carburante a base di petrolio greggio”, hanno previsto da Stellantis. A ridurre il prezzo contribuirà anche una tassazione favorevole, come indicato nella bozza della direttiva europea Energy Tax che incentiva l’utilizzo di alimentazioni da fonti rinnovabili, come idrogeno ed e-fuel, e penalizza i carburanti tradizionali. Questo, hanno sottolineato, “potrebbe rappresentare un fattore abilitante per introdurre sul mercato il carburante sintetico”.

Furgone elettrico

Al Salone di Monaco case automobilistiche cinesi sfidano l’Europa sull’elettrico

I costruttori cinesi e i loro modelli elettrici sono attesi in forze al Salone dell’Auto di Monaco di Baviera che per la sua seconda edizione cerca di aprirsi ancora di più a tutte le forme di ‘mobilità’ di fronte alle proteste ambientaliste. Il tradizionale luogo di incontro del settore automobilistico tedesco – che sarà inaugurato martedì dal cancelliere tedesco Olaf Scholz – si svolge in un contesto economico cupo. Guerra in Ucraina, rallentamento della crescita cinese, inflazione spettacolare nell’eurozona: le nubi si addensano sull’industria automobilistica, un settore chiave dell’industria europea e soprattutto tedesca.

Sebbene le vendite di auto nell’Unione Europea siano aumentate negli ultimi dodici mesi, sono ancora inferiori di oltre il 20% rispetto al livello del 2019, prima della pandemia Covid-19. I produttori storici stanno affrontando una concorrenza sempre più reale da parte della Cina, che minaccia la loro posizione dominante nel futuro mercato delle auto elettriche. “Con l’IAA 2024, i produttori cinesi stanno lanciando il loro assalto all’Europa”, riassume Ferdinand Dudenhöffer, esperto del Center Automotive Research in Germania. “La concorrenza si fa sempre più dura“, afferma.

Il 41% degli espositori ha sede in Cina. E diversi produttori cinesi, tra cui BYD e Leapmotor, potrebbero rubare la scena a Volkswagen, Bmw e Mercedes. Stellantis sarà rappresentata solo dal suo marchio tedesco Opel, mentre per il gruppo Renault, solo l’omonimo marchio si recherà al Salone per presentare la nuova Scenic. D’altra parte, Tesla, notoriamente assente dai grandi eventi automobilistici, tornerà al salone dopo dieci anni di assenza, per rubare la scena ai più grandi marchi europei. Il gruppo di Elon Musk si sta “gradualmente allineando al settore automobilistico, e l’azienda che non ha mai fatto marketing sta iniziando a farlo”, ha dichiarato Matthias Schmidt, un analista indipendente del settore in Germania.

I produttori tedeschi, a lungo orgoglio nazionale ma ora in uno stato di fragilità, saranno presenti. Cercheranno di convincere i visitatori presentando i loro modelli elettrici di fronte alla concorrenza asiatica. Di fronte alla perdita del potere d’acquisto dei consumatori a causa dell’inflazione, aumentano le richieste di modelli elettrici entry-level. Mercedes presenterà il modello di una concept car elettrica di questo segmento.

Sabato, infine, Bmw fornirà maggiori dettagli sulla sua nuova gamma di veicoli basati sulla futura architettura elettrica “Neue Klasse”, annunciata due anni fa per la produzione nel 2025. L’imperativo ecologico è un’altra priorità del salone, un luogo di incontro biennale per il settore, ma anche per i suoi detrattori, soprattutto perché i gruppi stanno registrando profitti insolenti, spinti dall’inflazione. I produttori, soprattutto nella fascia alta del mercato, hanno approfittato dell’aumento dei prezzi per aumentare i loro margini.

Diversi gruppi ambientalisti hanno annunciato “azioni di disobbedienza civile” per “disturbare” gli Iaa. Circa 1.500 persone dovrebbero partecipare a un “accampamento per la rivoluzione della mobilità”, allestito in un parco alla periferia di Monaco. Secondo gli ambientalisti, le case automobilistiche stanno “distruggendo la vita di innumerevoli persone in tutto il mondo con la loro crescita forzata”. In totale sono attesi circa 700.000 visitatori, contro i 410.000 del 2021, che visiteranno gli stand distribuiti tra il centro congressi, dove l’ingresso è a pagamento, e il centro città, dove saranno organizzati eventi gratuiti dedicati alle auto… ma anche alle biciclette.

Ribattezzato IAA Mobility nel 2021, quando il tradizionale salone dell’auto tedesco si trasferirà da Francoforte a Monaco, gli organizzatori si concentrano più su “mobilità, sostenibilità e tecnologia” che sulle automobili. Si tratta anche di un tentativo di rispondere al calo di popolarità dei principali saloni automobilistici del mondo, che vengono evitati da un numero crescente di produttori che non ne vedono più il valore, soprattutto in termini di pubblicità.

Stellantis pronta a confronto con sindacati. Accordo con Mimit a settembre

Un tavolo Stellantis e un piano prima dell’accordo di programma per aumentare la produzione in Italia condivisi con le parti sociali. Tutti saranno coinvolti, assicura il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, nella riunione sul comparto automotive con le organizzazioni sindacali. L’accordo però slitta rispetto alle previsioni del ministro, che più volte aveva parlato di un’intesa da chiudere entro la prima metà di agosto.

Il Tavolo Stellantis, composto da Mimit, azienda, sindacati, Regioni e Anfia, sarà finalizzato alla sottoscrizione, entro la fine dell’anno, di un accordo di programma che abbia un orizzonte al 2030.
Le richieste di confronto trilaterale che i sindacati avevano avanzato alla fine dell’incontro di oggi, sono state accolte. Anche l’azienda conferma il “forte impegno nei confronti del Paese” e di avere instaurato con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy un “dialogo dinamico e costruttivo“.

Siamo pronti a proseguire, dopo la pausa estiva, un cammino, anche con le parti sociali e le organizzazioni di categoria, che si basa su un processo chiaro e su una visione condivisa sul percorso da seguire“, fa sapere Stellantis, che si dice convinta della necessità di “costruire un progetto globale per l’Italia che tenga conto di diversi fattori come le previsioni di mercato, l’accessibilità economica delle auto per i clienti italiani, l’impatto di normative come l’Euro 7 e gli incentivi per mantenere la competitività nazionale come il costo dell’approvvigionamento energetico e le agevolazioni per l’acquisto delle vetture“.

Il piano di lavoro, in via di definizione, potrà essere sottoscritto entro il mese di settembre e sarà articolato seguendo l’incremento dei volumi di produzione dei veicoli così come il consolidamento dei centri di ingegneria e ricerca e sviluppo, rafforzando la presenza in ambiti a elevate potenzialità di sviluppo sia nel breve che nel medio-lungo periodo. L’attenzione sarà anche all’ efficientamento degli impianti, per migliorarne la competitività in termini di costo del lavoro, energia e logistica; all’ accelerazione degli investimenti in transizione energetica e ambientale per migliorare l’impronta di carbonio dei siti produttivi e ridurre il consumo energetico; all’assessment della filiera della componentistica da completare in tempi certi. Sarà necessaria anche una mappatura aggiornata delle competenze presenti nel Gruppo e una proiezione a 5 e 10 anni delle competenze ritenute critiche e dei lavoratori degli stabilimenti Stellantis.

I sindacati chiederanno conto all’azienda di una serie di punti: “Non ha chiarito le scelte di fondo e le loro ricadute produttive e occupazionali sul nostro Paese e in alcuni siti non c’è tranquillità sul futuro“, mette in luce il Segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri. I tempi inizialmente previsti, ricorda, “sono slittati e non è chiaro se l’obiettivo di produrre 1 milione di auto consideri anche i 300mila veicoli commerciali, ad oggi, già prodotti”.

L’obiettivo su cui ci siamo mobilitati , manifestando a Poissy e poi con gli scioperi unitari dei metalmeccanici era un accordo quadro sul piano industriale, che garantisca l’occupazione attuale in tutti gli stabilimenti di produzione di componenti e assemblaggio, e nei centri di ricerca e sviluppo“, sottolineano Maurizio Landini, segretario generale Cgil e Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil.
L’obiettivo, ribadiscono, “deve essere quello di tornare a produrre un milione di auto e 300mila veicoli commerciali leggeri attraverso la realizzazione di un piano che determini il rilancio di tutti gli impianti e gli enti centrali esistenti nel nostro Paese“.

Pichetto: “Price cap ‘bazooka’ contro la speculazione. Sul nucleare la partita non è chiusa”

Il clima mite dell’inverno 2022-2023 unito al risparmio dei consumi di gas, potrebbero lasciare in eredità un ‘tesoretto’ di gas negli impianti di stoccaggio italiani. Al di là dei risvolti ambientali e climatici che hanno portato a temperature nettamente superiori alla media, sarebbe davvero una bella notizia per il governo, ma soprattutto per le casse dello Stato. E musica per le orecchie del ministro Gilberto Pichetto Fratin, al lavoro proprio per “mettere in sicurezza”, come afferma: Abbiamo un po’ di stoccaggi, probabilmente li manterremo e quindi partiamo da un livello un po’ più alto” rispetto all’anno scorso. Il responsabile del Mase, pur ricordando che “nessuno di noi ha la sfera di cristallo”, potrebbe anche riuscire nell’impresa di risparmiare miliardi utili da reinvestire in altri progetti, grazie al combinato disposto del “bazooka” price cap Ue sul prezzo del gas con la riduzione degli sprechi che gli italiani stanno mettendo seriamente in pratica. I numeri li fornisce direttamente Pichetto: “Circa 5 miliardi di metri cubi in meno consumati”.
Inoltre, un altro elemento che lascia ben sperare il governo, è chesono state già differenziate le fonti di approvvigionamento, grazie agli accordi con l’Algeria, ma anche al Tap, “che ci porta 10 miliardi di metri cubi di gas”. Per il ministro, dunque, “sui quantitativi, in qualche modo, dovremmo farcela”. Mentre sul prezzo ora c’è “un ‘tappo’ all’eventuale esplosione”, soprattutto nel caso “gli speculatori facciano oscillare eccessivamente i mercati internazionali”. La somma di questi fattori fa dire al responsabile del dicastero di via Cristoforo Colombo che “nel breve periodo l’Italia sta diventando centrale rispetto all’Europa”. Un bel passo in avanti rispetto all’anno scorso, quando a dare le carte era sempre la Germania, mentre ora “avendo collegamenti con l’Azerbaijan, l’Algeria e anche la Libia, e ovviamente con i rigassificatori, noi ci poniamo nella condizione di essere i soggetti che ricevono il gas e lo distribuiscono” sul Vecchio continente.
Analizzato il presente, resta comunque da programmare il futuro. Che prevede la riduzione delle emissioni di Co2, così come l’incremento delle fonti rinnovabili, ma serve tecnologia in grado di lasciare anche alle generazioni future un’eredità che le possa far stare più tranquille. Per il governo potrebbe essere il ritorno al nucleare. Infatti, Pichetto dice che la partita non è chiusa: “Sono convinto che vada affrontata in modo serio”, perché “la valutazione va fatta con un’ampia discussione, poi vanno fatte le scelta. E credo che la scelta debba essere il nucleare”, ma “sapendo che ce l’avremmo tra 15-20 anni e la fusione tra 40-50 anni”.