L.Bilancio, Meloni influenzata: l’incontro con i sindacati slitta all’11 novembre

L’incontro sulla manovra tra Giorgia Meloni e i sindacati slitta due volte nello stesso giorno. Inizialmente previsto per questo pomeriggio alle 17 (con un ritardo a detta di Cgil e Uil non giustificabile perché “a giochi fatti”), il confronto viene posticipato. Prima si parla del 12 novembre alle 8.30, a causa di uno stato influenzale della premier, comunicato tre quarti d’ora prima della convocazione, poi di nuovo anticipato all’11 novembre alle 9, a causa dell'”indisponibilità di uno dei sindacati seduti al tavolo“, fanno sapere fonti di Palazzo Chigi.

L’11 novembre però è anche il termine per la presentazione degli emendamenti dei partiti in Parlamento, dove nelle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato proseguono senza sosta le audizioni. Un incontro il giorno dopo sarebbe stato probabilmente tardivo.

Prima dell’incontro previsto con i sindacati, Meloni riceve il segretario della Nato Mark Rutte, tenendo un punto stampa dopo il bilaterale. Domattina in agenda è prevista la partecipazione della premier all’evento inaugurale del Gruppo Mondiale per l’Energia da Fusione, alla Farnesina, non ancora annullata ma “a rischio“.

Dal confronto della prossima settimana con i sindacati, però, non ci si aspetta grandi novità. Cgil e Uil hanno proclamato uno sciopero generale di 8 ore per il 29 novembre, giudicando la manovra “del tutto inadeguata” ma dicendosi pronti a rivederlo, a eventuali istanze accolte. Dallo studio di Bruno Vespa, però, Meloni non sembra voler tornare sui suoi passi, ribadendo di aver già accolto tutte le richieste possibili: “C’è un piccolissimo pregiudizio da parte di Cgil e Uil, tra l’altro con uno sciopero generale convocato qualche giorno prima di incontrare il governo – aveva detto -. Volevano la diminuzione del precariato e il precariato è diminuito, l’aumento dell’occupazione e l’occupazione è aumentata, più soldi sulla sanità e abbiamo messo più soldi sulla sanità. Se nonostante questo confermano lo sciopero non siamo più nel merito“. Cgil e Uil restano fermi. Questa legge, confermano in audizione, “rischia di peggiorare ulteriormente le cose”. Qualche apertura c’è invece da parte di Cisl, che non aderisce allo sciopero del 29 novembre e che vede nella misura “risposte alle esigenze dei lavoratori” anche se “ci sono aspetti migliorabili”.

Anche Confindustria però è pronta a esprimere perplessità alla premier, che incontrerà, con le altre associazioni d’impresa, il 13 novembre alle 16. In audizione gli industriali lamentano uno “stallo” dell’economia: “Il nostro auspicio era, e rimane, di una manovra incisiva, con una visione di politica industriale e un impulso deciso sugli investimenti”, confessa il direttore generale, Maurizio Tarquini, rimarcando che “al momento il testo non offre risposte adeguate ai problemi e ai rischi”.

Pil, allarme di Confindustria: +0,8% nel 2024, 0,9% nel 2025. Pesa crollo automotive

Photo credit: profilo Twitter Confindustria

Anche Confindustria rivede al ribasso le stime sul Prodotto interno lordo italiano. Il Rapporto di previsione ‘I nodi della competitività. La crescita dell’Italia fra tensioni globali, tassi e Pnrr’ elaborato dal Centro studi degli industriali evidenzia, infatti, che “la crescita del Pil, a seguito della revisione Istat, si attesta a +0,8% quest’anno e 0,9% il prossimo“. Numeri meno positivi per il governo, che intanto festeggia i primi due anni di attività con “l’inflazione più bassa d’Europa“: 0,7% annuo a settembre, mentre nell’Eurozona è ancora all’1,7, sebbene “nel 2025 è attesa risalire in parte nel nostro Paese, tendendo ad avvicinarsi ai valori della misura core, cioè poco sotto il +2%“. Anche per questo il documento sottolinea l’aumento del reddito disponibile che cozza con “i consumi frenati dall’elevato tasso di risparmio“.

I fattori che determinano questo risultato sono diversi, ma Confindustria ne individua due in particolare, il calo della Germania (che rende “debole” l’economia del Vecchio continente proprio mentre quella mondiale, invece, riprende quota) e il “crollo del settore dell’auto, che quest’anno è tornato al livello di produzione di inizio 2013” come “conseguenza dei costi elevati delle auto elettriche“. Altro peso sulla crescita è il costo di gas ed elettricità: “Sono ancora più alti in Italia, sia rispetto agli altri grandi Paesi europei come Francia e Germania, sia rispetto agli Stati Uniti, penalizzando la competitività delle imprese rispetto ai principali partner occidentali“, avvisa il Csc.

Per fortuna che c’è l’export a fare da “principale traino di crescita quest’anno“. Perché “nonostante la debole domanda europea (che rappresenta il 52% dell’export italiano) e in particolare tedesca (principale partner commerciale), continua ad andare meglio della domanda potenziale (media ponderata dell’import totale dei Paesi di destinazione)“.

Per capire a che punto è l’Italia, comunque, allargato il campo all’intera Europa, che sconta l’aumento delle tensioni geopolitiche, elemento che “accresce la possibilità di ripercussioni negative su commercio mondiale e prezzi delle materie prime“. Inoltre, “rimane alto il costo dei noli” e “aumentano le barriere protezionistiche” mentre “le elezioni presidenziali in Usa acuiscono l’incertezza“.

Riportando lo zoom sul nostro Paese, ci sono altri punti da elencare nel report. Perché “gli investimenti si fermano nel 2024, tornando ai livelli del 2008” e “solo parzialmente sono compensati da quelli previsti dal Pnrr“, che resta “cruciale per la crescita” sebbene le performance risultino in chiaroscuro. “L’Italia è più avanti degli altri nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma dobbiamo correre“, infatti “quest’anno abbiamo speso poco: 9,5 miliardi su 44“. In questo senso si legge l’invito al governo a “semplificare” la misura Transizione 5.0perché sia efficace“.

Andando ancora avanti nella lettura, emerge che “la produzione industriale nel 2023 è diminuita del 2,4% e nei primi otto mesi del 2024 di un’ulteriore 3,2%, rispetto ai mesi corrispondenti dell’anno precedente“. Inoltre, nel terzo trimestre la percentuale rimane negativa, con una riduzione dello 0,5% acquisita ad agosto. Entrando nel dettaglio, a livello settoriale le performance sono molto differenti: “Crescono altri mezzi di trasporto, riparazioni e installazioni (+8,0% e +5,3% nei primi otto mesi dell’anno rispetto ai primi otto mesi del 2023), alimentari e carta (+2,7% e +1,9%), mentre pesa la contrazione dell’automotive (-17,9%), degli articoli in pelle (-15%) e dell’abbigliamento“. II valore aggiunto dell’industria, però, è previsto in recupero il prossimo anno (-0,8% nel 2024, in linea con l’acquisito, +1% nel 2025), grazie alla ripresa della domanda, interna ed estera, comunque modesta, tra fine anno e inizio 2025.

Infine, altra criticità è rappresentata dal “sistema Ets sempre più stringente e il Cbam operativo“, perché “le imprese europee continuano a perdere competitività“. Anzi, “crescono i rischi – avvisa Confindustria – che alcune di queste (sono il 9% del valore aggiunto manifatturiero in Italia come in Ue) chiudano o vengano trasferite fuori dall’Europa“.

Attese prudenti per le imprese piemontesi nel terzo trimestre. Marsiaj: “Forti turbolenze, ma insieme possiamo farcela”

Stabile, seppure con riserva, il clima di fiducia delle imprese piemontesi per il terzo trimestre del 2024, così come emerge dalla consueta indagine trimestrale, realizzata a giugno da Unione Industriali Torino e Confindustria Piemonte, raccogliendo le valutazioni di oltre 1.300 realtà manifatturiere e dei servizi. La parola d’ordine è ‘prudenza’. Dopo un secondo trimestre in recupero, i saldi ottimisti – pessimisti per produzione (-0,1%), ordini (-1,1%) e redditività (-1,1%) si attestano su valori negativi. Il dato peggiore è quello relativo all’export (-7,2%), segno che il nostro sistema economico risente dell’incertezza globale. Per la prima volta si inverte la forbice dimensionale, con le imprese di maggiori dimensioni che esprimono attese meno positive, rispetto a quelle più piccole.

Tuttavia, il dato complessivo piemontese è sintesi di un andamento settoriale divergente. Da un lato il comparto manifatturiero, in sofferenza, con indicatori in calo e cassa integrazione in aumento, soprattutto in alcuni settori. Dall’altro, un terziario che prosegue la crescita iniziata dopo la pandemia e sembra non risentire delle tensioni sui mercati internazionali.

I dati, ricorda Andrea Amalberto, neopresidente di Confindustria Piemonte, evidenziano che sulle previsioni pesano “da un lato le incertezze legate alle varie tornate elettorali appena concluse, ma soprattutto il rallentamento della produzione industriale sia in Francia che in Germania”. E, trattandosi dei nostri due principali partner commerciali, “l’effetto sulle nostre esportazioni e soprattutto sulle filiere dentro cui operano, è immediato”. Da qui, la necessità di “accelerare” anche su Industria 5.0 che, insieme a “ulteriori incentivi sul settore auto sono strumenti a disposizione del Governo, su cui le nostre imprese devono poter contare al più presto”.

“Bisogna spingere sugli investimenti”, rilancia anche Giorgio Marsiaj, presidente uscente di Unione Industriali Torino, perché “noi imprenditori non possiamo fermarci”, anche se l’economia globale “dovrà affrontare forti turbolenze”. Di fronte a questo scenario, dice, “la via d’uscita dalle situazioni di crisi si può e si deve trovare grazie alla stretta cooperazione e al continuo dialogo tra mondo economico-industriale ed istituzioni pubbliche forti ed autorevoli, a ogni livello”. Per Marsiaj si tratta dell’ultima congiunturale: il 15 luglio, infatti, l’assemblea generale voterà per Marco Gay – ex presidente di Confindustria Piemonte – alla guida dell’associazione. “Qui non è come in azienda o a casa tua, qui le decisioni vanno condivise, serve un progetto nazionale. Per me è stata una grande esperienza”, ricorda a margine della presentazione, sottolineando che “non si vince più come Paese, soprattutto in un settore importante come la manifattura, ma dobbiamo condividere con Bruxelles una politica industriale comune”.

A livello complessivo si mantengono positivi investimenti, tasso di utilizzo degli impianti e tempi di pagamento, varia poco il carnet ordini. Come già accennato, aumenta il ricorso agli ammortizzatori sociali, soprattutto nell’industria, che resta comunque su livelli storicamente bassi. A livello settoriale, nell’industria si registrano andamenti differenziati. I saldi ottimisti – pessimisti sono sotto la media regionale per tessile, metalmeccanica, gomma plastica, chimica e manifatture varie (gioielli, giocattoli, ecc.). Restano positivi alimentare, cartario-grafico, legno, edilizia. Nel terziario, come già nelle scorse rilevazioni, tutti i comparti esprimono attese favorevoli; in particolare ICT, servizi alle imprese e trasporti.

Per il terzo trimestre del 2024, le previsioni sulla produzione delle oltre 1.300 imprese piemontesi risentono dell’incertezza economica e politica globale: il 18,6% prevede un aumento dei livelli di attività, contro il 18,8% che si attende una diminuzione. Il saldo ottimisti-pessimisti è pari a -0,1% (era 7,7% a marzo). Stesso trend per le attese sugli ordini, con un saldo del -1,1% in calo di oltre 6 punti percentuali rispetto alla scorsa rilevazione. Positive le attese sull’occupazione, con il 16,3% delle rispondenti che ne prevede un aumento, il 9,0% che ne prevede la riduzione e un bilancio ottimisti-pessimisti pari a +7,3% (era 11,6% la scorsa rilevazione). Come negli ultimi 5 trimestri, restano negative le aspettative sull’export, con un saldo ottimisti-pessimisti pari a -7,2%. Buono il livello degli investimenti, che interessano oggi il 25,9% delle rispondenti (era il 24,1% a marzo). Aumenta leggermente il ricorso alla cassa integrazione, utilizzata dal 10,4% delle imprese. Stabile il tasso di utilizzo di impianti e risorse, tornato sui valori medi di lungo periodo (78%). Il calo delle esportazioni incide negativamente sulle attese delle imprese di grandi dimensioni, invertendo la tradizionale forbice rispetto alle aziende sotto i 50 addetti, generalmente più prudenti. Nella rilevazione di giugno, infatti, le grandi imprese registrano un saldo negativo (-3,0%), mentre le piccole esprimono attese più favorevoli (+1,2%).

 

Inflazione stabile a giugno (0,8%). Ma preoccupano prospettive per l’industria

A giugno l’inflazione resta sostanzialmente stabile, con l’indice nazionale dei prezzi al consumo che, al lordo dei tabacchi, fa un piccolo scatto in avanti dello 0,1%, mentre su base mensile resta allo 0,8%, in tendenza con maggio. A certificarlo sono i dati dell’Istat, ponendo sul piatto alcuni dettagli su andamenti contrapposti. Rallentano, infatti, i prezzi dei beni alimentari non lavorati, che passano da +2,2% a +0,4%. Si attenua ancora la flessione dei prezzi degli energetici non regolamentati, che fanno uno switch da -13,5% a -10,3 percento. Di contro, accelerano i beni alimentari lavorati, passando da +1,8 a +2,2 percento.

Anche l’inflazione di fondo resta stabile al +2% a giugno, al netto di energetici e alimentari freschi, passando da +2% a +1,9% al netto dei soli energetici. Entrando ancora nel dettaglio dell’analisi Istat, l’istituto rileva che i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano su base tendenziale (da +1,8% a +1,4%), come anche quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +2,5% a +2,1%). “Il processo di rientro dei prezzi si stabilizza ma restano alcune tensioni sugli energetici“, avvisa Confesercenti, che invita a “mantenere un adeguato livello di guardia per evitare di essere colti alla sprovvista“.

Dall’Istituto nazionale di statistica arrivano anche altri report di cui tenere conto, quelli sull’industria. Ad aprile, infatti, la stima sul fatturato, al netto dei fattori stagionali, aumenta dello 0,8% sia in valore che in volume, anche se fa registrare una lieve flessione su quello estero (-0,6%). Mentre su base annua, c’è un calo del 2%, di cui l’1,7 sul mercato interno e il 2,5 su quello estero. Crescono, però, i volumi (+0,5%).

Non va meglio con l’indagine rapida sull’attività delle grandi imprese industriali del centro studi Confindustria. Perché a giugno di quest’anno registra una produzione stabile sui livelli del mese precedente per oltre la metà delle aziende (per 53,9% degli associati la produzione rimarrà invariata dal 48,8% della rilevazione di maggio), ma aumenta il rischio percepito di un peggioramento, con un 12,7 percento di imprese che prospettano una contrazione. In calo anche la percentuale di aziende che invece si aspettano un miglioramento: 33,4% (in precedenza era del 45).

Previsioni poco rassicuranti anche quelle della Banca d’Italia. I dati dell’Indagine sulle imprese industriali e dei servizi di Palazzo Koch rivelano che per il 2024 “le imprese prefigurano un lieve incremento del volume delle vendite (0,2% nel complesso; 1,0 nella manifattura e -0,6 nei servizi)“, con un aumento dei prezzi rallentato, tendenzialmente del 2,3 percento. Quello che preoccupa è invece l’espansione degli investimenti, che “proseguirebbe a un ritmo inferiore al 2023 (0,8%)”. Numeri che fanno il paio con quelli delle vendite 2023 che, nel complesso delle imprese dell’Industria in senso stretto (almeno 20 addetti), sono diminuite dell’1,4% a prezzi costanti, secondo il documento di Bankitalia. Campanelli d’allarme da non sottovalutare.

Confindustria: “Premi sostenibili per polizza anti-calamità”. Ania: “Diversificare rischi”

Entro fine anno entrerà in vigore per le imprese la polizza obbligatoria contro gli eventi catastrofali. Il nuovo adempimento è stato introdotto nell’ultima legge di Bilancio e sarà applicato sui danni a terreni e fabbricati, impianti e macchinari, nonché attrezzature industriali e commerciali. Ora si attendono i decreti attuativi, che dovranno avviare l’operatività del provvedimento e soprattutto si dovrà capire il prezzo del premio che dovranno pagare le società. Le aziende, specie le pmi, e le assicurazioni sono pronte? E’ stato questo il tema al centro di un dibattito all’interno dell’evento ‘#GEF24-Green Economy Finance’, organizzato da Withub, insieme a Eunews, GEA-Green Economy Agency e Fondazione Art.49 a Roma, nella sede di Europa Experience intitolata a David Sassoli.

Attualmente l’Italia sconta fra i più alti divari di protezione e la più alta esposizione ai rischi, rispetto alla scarsa propensione assicurativa: il nostro Paese è 25esimo nell’area Ocse nel ramo danni con l’1,9% del Pil assicurato, contro una media Ocse che è oltre due volte tanto. Eppure nel nostro Paese, facendo il conto degli ultimi dieci anni, il valore delle perdite causate dai disastri naturali è pari a 35 miliardi di dollari. Come mai questo gap? “C’è un problema di analfabetismo assicurativo. Le carenze sono pronunciate. Questo elemento fa sì che non si sappia valutare il rischio che si sta affrontando”, ha sottolineato Riccardo Cesari, componente del Consiglio Ivass. “Si pensa che gli eventi catastrofici ci siano ma non ci riguardino”, ha rimarcato. In effetti “c’è un grande lavoro di educazione da fare, perché assicurarsi è un tema di buona gestione, essere assicurati significa evitare il rischio che in caso di evento avverso ci sia un problema di solvibilità”, ha aggiunto Francesca Brunori, direttrice Credito e Finanza di Confindustria, spiegando come la decisione delle imprese di non assicurarsi contro gli eventi climatici nel 60% dei casi è dovuta alla percezione di “un costo eccessivo”, nel 40% per la “mancanza di informazioni adeguate”. Detto ciò “l’approccio della nuova polizza è stato affrettato”. Dunque “è molto importante che si arrivi a una definizione di uno schema di assicurazione obbligatoria – al quale si sta lavorando in queste settimane, lo stanno facendo le istituzioni, il Mef, il Mimit, l’Ivass, Ania e Sace – che consenta di far funzionare un vero effetto di mutualità tale da permettere di contenere i premi su questa assicurazione obbligatoria. Solo con premi sostenibili – ha rimarcato Brunori – il sistema potrà facilmente avvicinarsi all’assicurazione obbligatoria e comprendere che si tratta anche un tema di convenienze economica per loro: sei protetto dal rischio e eviti di dover sostenere un esborso importante in caso di evento avverso che non hai preventivato“.

Maria Siclari, direttrice generale di Ispra, ha sciorinato tutti i numeri del dissesto idrogeologico. Ad esempio, ci sono 225.874 unità locali di impresa in aree a rischio elevato di alluvione.

La polizza obbligatoria che scatterà entro fine anno, ha spiegato Dario Focarelli, direttore generale di Ania, riguarderà solo “terremoti, alluvioni o esondazioni, e frane”. Tuttavia “ci sono alcune zone tecnicamente inassicurabili, come i Campi Flegrei. Nessun assicuratore al mondo assicura il bradisismo. Ci sono rischi che gli assicuratori già valutano come non assicurabili. Questo socialmente è un punto rilevante“, ha specificato. Tutte le altre aziende invece dovranno pagare un premio assicurativo. A quanto ammonterà? “Stiamo facendo una marea di calcoli. Dipenderà da chi si assicurerà sia l’esposizione al rischio delle compagnie sia il prezzo della copertura assicurativa. Sono solo ipotesi, finché non vedremo chi sono gli assicurati”, ha evidenziato ancora Focarelli. “Avremo un prezzo differente a seconda se il rischio sarà diversificato o se ogni compagnia terrà il rischio in capo a se stessa. Il nostro obiettivo è avere il rischio più diversificato possibile, il prezzo più basso possibile, dare la maggior protezione alle imprese italiane”. Quando ci saranno novità? “A settembre-ottobre le compagnie stabiliranno con i riassicuratori” i costi che potranno essere coperti. Solo allora si avrà un range di prezzo della nuova polizza contro i danni catastrofali.

Confindustria, Orsini presidente col 93% voti: Anche nucleare in mix energetico

Sono tre la parole chiave scelte da Emanuele Orsini per il suo mandato alla guida di Confindustria: “Dialogo, identità, unità“. Il neo presidente si presenta con le idee chiare dopo l’assemblea riunita in forma privata e molto partecipata (848 presenti su 865, il 98%), che lo ha eletto ufficialmente trentaduesimo presidente degli industriali italiani, con il 93% dei consensi (789 favorevoli e solo 4 contrari, con quorum fissato a 410,5). “C’è bisogno di una Confindustria a Roma più vicina alle sezioni territoriali e alle federazioni”, dice nella prima conferenza stampa. “L’identità è una sfida enorme, per una organizzazione come la nostra: riuscire a far sentire parte del progetto fino all’ultimo associato della territoriale più piccola“. E poi l’unità, “dopo una campagna elettorale un po’ accesa, ma il voto di oggi dimostra che il sistema è riuscito a ricompattarsi immediatamente“.

Anche sui temi i dubbi sono pochi. A poche settimane dalle elezioni europee, la posizione delle imprese arriva forte e chiara: “Servono idee chiare e una politica industriale europea con una cultura non anti-industriale“. Dice stop agli “atteggiamenti ideologici” e si augura che la prossima Commissione Ue “metta al centro l’industria, perché significa mettere al centro la crescita“. Cita alcuni esempi di quello che intende: “Il packaging ci preoccupa, è un capitolo non finito ma fondamentale”, così come lo stop dal 2035 alla vendita e produzione delle auto con motori endotermici: “Bisogna salvaguardare il know-how” degli Stati membri, concentrandosi sul vero obiettivo, ovvero la “neutralità tecnologica“.

Il nodo è rendere il sistema industriale sostenibile, armonizzando produttività e costi. Per questo Orsini si sofferma molto sul capitolo Energia del suo programma. Lo definisce “fondamentale per la competitività”, ma “abbiamo capito che non possiamo farlo solo con le rinnovabili, è impossibile. Serve un mix” in cui deve trovare assolutamente posto anche il nucleare, ovviamente di ultima generazione. Che va sostenuto sempre, “non solo in campagna elettorale” ammonisce il leader di Confindustria. Sollevando però la necessità di avere “una rete elettrica nazionale, non privata”, perché “se l’energia è una questione di sicurezza nazione allora serve una rete nazionale”.

Argomenti che rilancerà a breve nell’interlocuzione con il governo. Perché la proposta lanciata in campagna elettorale per la presidenza di aprire un tavolo a Palazzo Chigi sull’energia rientra tra le priorità di questo avvio di mandato. “Ho già chiesto ad Aurelio Regina, che è il nostro delegato all’energia, di coinvolgere i più importanti player, perché bisogna costruire la filiera. Occorre chiamare al tavolo chi lo faceva prima, l’Ansaldo di turno per capirci, ed Enel“. Orsini vuole definire soprattutto le dimensioni del progetto: “Se fare delle micro centrali da 100 GW o quelle da 400 GW come in Germania”, perché “sarà il futuro mettere in rete le imprese, purché la riflessione parta dal concetto che serve una rete nazionale elettrica“. Alle porte di piazza Colonna, però, vuole arrivarci con una proposta: “Chiederemo un confronto a breve per consegnarle a Palazzo Chigi“. Ma, al di là degli appelli e degli obiettivi, Orsini lo dice chiaro e tondo che i tempi non possono essere rapidi per questa tecnologia, quindi nel frattempo “bisogna mettere a terra due misure come il gas e l’energy release“.

La prima uscita pubblica ha tempi stretti per i tanti impegni già annotati sulla sua agenda, ma il neo presidente di Confindustria le indicazioni le fornisce chiaramente. “Serve un mercato unico dell’energia, che è la chiave della competitiva dell’Europa” nel confronto degli i competitor internazionali.

Su temi di stretta attualità, come Stellantis, non si sbottona ma fa capire l’orientamento: “Mi auguro che mantenga la promessa fatta del milione di auto prodotto in Italia, riguarda anche la salvaguardia della filiera“. E lancia messaggi al governo: “Devono ripartire gli investimenti, ora che sta finendo Industria 4.0 aspettando ancora Transizione 5.0 dal dicembre 2023, ma servono i decreti attuativi“. E per il futuro, suggerisce, “servono misure con visione almeno a 5 anni“.

Per non parlare del Sud: “Trovo anacronistico pensare di dividere il Paese in questo momento, quando tutti chiediamo di avere gli Stati Uniti d’Europa“. Chiede “infrastrutture adeguate” per far crescere armonicamente Mezzogiorno e Nord, sia sulla produttività sia sull’occupazione. E fa un esempio concreto: “sono d’accordo sull’infrastruttura Ponte, ma l’importante è arrivarci allo Stretto”, con ferrovie e strade, servizi.

Orsini non si sottrae nemmeno sull’Intelligenza artificiale. Ma su questo particolare argomento la sua visione è molto critica: “L’Intelligenza artificiale sarà un grande acceleratore per le imprese, ne siamo consapevoli”, ma “in un momento come questo, è impossibile parlarne solo per le negatività e i rischi, quando Usa e Cina stanno decollando. Noi, invece, non siamo nemmeno il fanalino di coda“. Per questo occorre aprire, a livello europeo e nazionale, “una riflessione enorme: per stare a passo con gli altri serve competitività. E per avere competitività bisogna dare servizi alle imprese“. Avrà tempo fino al 2028 per portare avanti le idee della nuova Confindustria.

Dl Superbonus diventa legge, ma su retroattività Confindustria chiede tavolo

Il decreto con l’ultima stretta sul Superbonus incassa il via libera definitivo alla Camera (150 sì, 109 no) e diventa legge. Una misura fortemente voluta dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.

Tra le modifiche che erano state apportate in Senato, l’emendamento dell’esecutivo che aveva provocato lo scontro in maggioranza, con Forza Italia contraria, che introduce lo ‘spalma-crediti’ da quattro a dieci anni per le spese legate ai bonus edilizi con effetto retroattivo, a partire cioè da gennaio 2024.

Sul tema, interviene il neoeletto presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che chiede un tavolo al governo: “Ci aspettiamo che le norme non siano retroattive”, avverte, spiegando che gli industriali sono d’accordo sulla chiusura della misura ma, rileva il nuovo numero uno degli industriali, “non possiamo pensare che accada dall’oggi al domani, facciamo almeno finire i lavori alle imprese”. “Sediamoci a capire insieme il percorso di uscita, in maniera costruttiva – l’invito -. Le imprese si devono poter fidare”.

Per il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, però spalmare in 10 anni le detrazioni sostenute da gennaio 2024 consentirà di “dare più respiro alla finanza pubblica, arginando i danni economici, frodi, illegalità e speculazioni che si sono avvicendati in questi anni, provocati dalla demagogia grillina“.

Il dl prevede anche lo slittamento dell’entrata in vigore della plastic tax dal primo luglio 2024 al primo luglio 2026 e lo slittamento per la sugar tax dal primo luglio 2024 al primo luglio 2025. Stop inoltre, a partire dal primo gennaio 2025, alla compensazione per banche e assicurazioni dei crediti da bonus edilizi con i contributi Inps e Inail.
È prevista anche una norma anti-usura per cui banche, assicurazioni e intermediari che abbiano acquistato i crediti a un corrispettivo inferiore al 75%, a partire dal 2025 dovranno applicare a queste rate la ripartizione in sei quote annuali.

A partire dal 2028 e fino al 2033, i bonus ristrutturazioni scendono dal 36% al 30%. Troppo poco, per il Partito Democratico: “Non comprendiamo quali strumenti la destra metterà in campo dopo aver demonizzato ogni detrazione edilizia e ridotto gli incentivi fiscali ai livelli degli anni ’90“, tuona in aula il capogruppo Pd in commissione Ambiente Marco Simiani, che chiede con urgenza un un piano “innovativo ed efficace” per i bonus edilizi futuri, regolati in base alle fasce di reddito e alla classe energetica. “Con la riduzione delle detrazioni al 30%, il Governo rischia di compromettere gli sforzi per una transizione verso edifici più sostenibili”, insiste, sottolineando la necessità di un approccio “più strategico e inclusivo“.

Con una dotazione da 35 milioni di euro per il 2025, viene istituito un fondo a favore di chi sostiene spese per interventi da Superbonus energetici e antisismici su immobili danneggiati dai terremoti che sono avvenuti a partire dal primo aprile 2009, diversi da quelli in Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria (che hanno già ricevuto altre sovvenzioni).
Con una dotazione da 100 milioni di euro per il 2025, poi, si istituisce un fondo per riconoscere un contributo a favore delle Onlus, delle Organizzazioni di Volontariato e delle Associazioni di Promozione Sociale per interventi di riqualificazione energetica e strutturale su immobili iscritti nello stato patrimoniale e utilizzati direttamente per lo svolgimento delle loro attività. “Siamo alla trentaduesima modifica in quattro anni, solo 13 ne sono state fatte in questa legislatura: un numero che genera il panico nel rapporto con i cittadini, con le imprese, perché chi vorrebbe fidarsi dello Stato capisce di non poterlo fare”, rileva la deputata di Azione-Per Valentina Grippo.

Tranchant la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Luana Zanella: “Ancora una volta governo e maggioranza segnano una distanza abissale rispetto al nostro ecologismo sociale e ambientale“, scandisce, denunciando la mancanza di idee della destra per “affrontare l’emergenza climatica, pensa di potersi sottrarre alla necessità di contrastare i cambiamenti climatici, magari proverà con erogazione una tantum o bonus a pioggia per incentivare opere che non risolveranno e non garantiranno il risparmio energetico”.

Piano Mattei, a Roma Forum con imprenditori e 5 accordi Cdp con banche africane

Non solo i governi, anche le imprese si confrontano sul Piano Mattei. Antonio Tajani apre le porte della Farnesina agli industriali africani, per un forum con Assafrica, Ice, 47 associazioni imprenditoriali del Continente provenienti da 21 Paesi, tra cui Senegal, Nigeria, Kenya, Niger e Costa d’Avorio.

Sono un grande sostenitore della nascita di società miste, soprattutto per quanto riguarda le materie prime, credo si possano raggiungere accordi win-win”, osserva Tajani, ribadendo le “potenzialità straordinarie” del Continente. “Vogliamo portare – ribadisce – sempre più Africa nelle nostre imprese”. Il ministro degli Esteri si dice convinto che si debba guardare oltre Mediterraneo “con lenti africane e non italiane”: “Siamo pronti a stringere la mano ai popoli africani, aspettando una compartecipazione italiana a iniziative economiche e non solo”, scandisce. Pensa al settore dello spazio, della salute, al comparto agricolo, scientifico e della ricerca. Il ministero e il governo lavorano a un pacchetto da 200 milioni di euro in misure speciali per l’Africa, per favorire partenariati commerciali, con il 20% a fondo perduto.

Il Piano Mattei è un “progetto visionario“, per il presidente dell’Ice, Matteo Zoppas, che ricorda che gli interscambi economici valgono 60 miliardi, 20 miliardi sono solo le esportazioni italiane in Africa. Confindustria condivide l’interesse che il Governo italiano rivolge all’Africa “promuovendo un modello innovativo che vada concretamente incontro ai bisogni di crescita economica di lungo periodo dei Paesi africani e che sia in linea con gli interessi di prosperità e sicurezza nazionali“, sottolinea la vice presidente degli industriali, con delega all’internazionalizzazione, Barbara Beltrame. L’attenzione al Continente africano di Confindustria ha visto la realizzazione di una rappresentanza internazionale, Confindustria Assafrica & Mediterraneo, in cui le imprese si confrontano, “sono sempre più attente e attive in Africa, nei settori traduzionali di interesse – Oil&Gas, minerario, infrastrutture e agroindustria – in settori innovativi, come le energie rinnovabili, l’economia circolare, l’efficienza energetica e il digitale”, aggiunge.

Durante il forum, Cassa Depositi e Prestiti sottoscrive cinque nuovi Memorandum of Understanding con le principali banche multilaterali di sviluppo africane: Africa Finance Corporation, Banque Ouest Africaine de Developpement, Development Bank of South Africa, Eastern and Southern African Trade and Development Bank e African Export-Import Bank. L’obiettivo è quello di contribuire alla creazione di opportunità di connessione e scambio fra le imprese italiane e quelle africane, di individuare possibili occasioni di co-finanziamento e sperimentare strumenti finanziari innovativi per generare impatti più ampi e duraturi nei Paesi africani. Con gli accordi, le parti si impegneranno a favorire l’interscambio tra imprese italiane e africane in settori strategici, come quello energetico, manifatturiero, della mobilità e dell’agroalimentare, anche incoraggiando la partecipazione della filiera produttiva italiana a bandi internazionali e trattative dirette per la fornitura di beni e servizi.

Confindustria, Orsini presidente designato: la sfida della doppia transizione

L’emiliano Emanuele Orsini è il presidente designato di Confindustria per il mandato 2024-2028. Cinquant’anni, l’imprenditore è vicepresidente uscente con delega al credito, amministratore delegato di Sistem Costruzioni e di Tino Prosciutti.

Una corsa iniziata da outsider, poi il passo indietro del presidente di Erg, Edoardo Garrone, a poche ore dalla riunione del consiglio generale in viale dell’Astronomia, a spianargli la strada. Su 187 aventi diritto, i presenti erano 173. Orsini ha incassato 147 preferenze, 17 le schede nulle e nove le bianche. L’unità tra gli industriali, dopo anni difficili per le imprese, sembra dunque ritrovata.
L’elezione effettiva si terrà il 23 maggio con il voto dell’assemblea e, intanto, il 18 aprile il consiglio generale dovrà esprimersi sul programma e sulla squadra dei vicepresidenti scelta da Orsini.

Dialogo, identità e dignità” sono le parole chiave scelte dal presidente designato, che all’uscita registra un clima positivo e alle telecamere assicura che lavorerà per convincere anche chi non l’ha votato. I temi prioritari, anticipa, saranno “competitività, energia e certezza del diritto”.

Garrone confessa sulle colonne della Stampa di non essersi sentito nelle condizioni di rappresentare gli interessi di tutte le imprese e di non aver intravisto la possibilità di costruire una “squadra forte e libera da condizionamenti esterni“. Per un grande imprenditore, sostiene, potrebbe essere demotivante candidarsi ed esporsi: “Quando sono sceso in campo ero convinto – e lo rimango ancora oggi – che fosse più importante garantire la governabilità di Confindustria rispetto al nome del presidente“, racconta. E usa parole dure contro il numero uno di Duferco, Antonio Gozzi: “Numeri alla mano, ha perso. Inoltre, con il suo comportamento ha fatto perdere anche Confindustria, quando ha contestato pubblicamente l’applicazione delle regole che sono alla base del nostro sistema associativo e del nostro codice etico“, denuncia.

Le congratulazioni per Orsini arrivano da tutto il mondo politico e associativo. Tra i primi a complimentarsi, sui social, c’è la premier Giorgia Meloni, che ringrazia il presidente uscente Carlo Bonomi per il “confronto avuto in questi anni” e ricorda come, per il suo Governo, lo Stato debba essere un alleato naturale delle imprese e degli imprenditori: “Come sempre – garantisce la presidente del Consiglio – non faremo mancare disponibilità e dialogo“.

Auguri anche dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto. Entrambi evidenziano l’impegno che ci vorrà nei prossimi anni per riaffermare la centralità delle imprese nella duplice transizione green e digitale. “E’ doveroso – sottolinea Pichetto – valorizzare un’imprenditoria che ha colto prima degli altri la necessità di investire su energie rinnovabili e filiere innovative, economia circolare e sostenibilità dei processi produttivi“. Occhi puntati sulle Europee di giugno anche per gli industriali: la sfida della sostenibilità si giocherà a partire da Bruxelles.

Europee, Confindustria a candidati: “Confrontiamoci, serve un Rinascimento industriale”

In vista delle elezioni europee di giugno, Confindustria chiede un confronto ai candidati. C’è “urgenza di politica industriale, ma sembra che il ceto politico non lo abbia ben chiaro“, avverte Carlo Bonomi ricordando che “la sfida di competitività lanciata da Cina e Usa impone di non perdere tempo“.

L’associazione degli industriali stila un documento e lancia le sue proposte per il futuro del Vecchio Continente, parlando della necessità di un ‘Rinascimento industriale’. Il momento è delicato, avverte il presidente di Confindustria, che ai media chiede: “Non permettiamo che questo importante passaggio democratico, davvero delicato, diventi una grande arma di distrazione di massa della politica”. La domanda è di tenere alto il dibattito sui temi europei e di “spiegare i contenuti di quello che siamo chiamati a fare in questo passaggio democratico, la sensazione è che i temi europei siano poco conosciuti”, osserva.

Il Parlamento europeo, ricorda Bonomi, “si appresta a prendere decisioni vitali per l’Unione”. E’ importante quindi che “si riappropri del proprio ruolo politico che a volte è stato sottratto dall’ingerenza della Commissione“, denuncia l’industriale. L’esempio è quello della Fit for 55: “Se guardiamo agli obiettivi di decarbonizzazione che ci siamo posti, Confindustria ha stimato che solo l’Italia ha bisogno di 1.120 miliardi di investimenti. L’unico strumento di finanza pubblica straordinaria che abbiamo è il Pnrr, che a seconda di come si voglia classificare su questi temi mette 65-70 miliardi, significa che famiglie e imprese dovranno investire oltre mille miliardi e questo, è chiaro, non è possibile“, afferma.

Nei mesi scorsi è stato consultato tutto il Sistema, sia a livello territoriale che settoriale, per contribuire alla definizione di un quadro organico di proposte per rendere l’Europa più competitiva.
Il documento si chiama ‘Fabbrica Europa’ ed è il risultato di questa consultazione capillare. Una serie di raccomandazioni per rimettere l’industria al centro dell’agenda europea, costruendo una politica industriale più forte, basata sulle tre declinazioni della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) e supportata da un “adeguato livello di investimenti”.

Prima delle elezioni europee il sistema di Confindustria organizzerà una serie di incontri, in tutte le circoscrizioni elettorali europee, per un confronto diretto con i candidati sui contenuti del documento. Sull’ambiente, la raccomandazione è di affiancare al Green Deal una politica industriale europea per restare al passo nella corsa globale alle tecnologie del futuro. “È importante adottare un approccio di neutralità tecnologica, e istituire fondi europei che supportino e integrino gli investimenti nelle varie tecnologie e fonti energetiche“, si legge.

Quanto alle politiche energetiche, si chiede di completare l’integrazione dei mercati dell’energia elettrica, creare un mercato unico del gas e sviluppare una strategia europea per l’energia nucleare. Il mercato elettrico, sottolinea Confindustria, dovrà “tendere ad una efficace integrazione delle fonti rinnovabili, disaccoppiandole dai mercati di breve termine e dal gas“. Parallelamente, per regolarizzare gli scambi crossborder di gas e tendere ad un sistema tariffario europeo armonizzato, è importante favorire la creazione di un mercato unico del gas naturale e di quelli rinnovabili. L’Europa dovrebbe inoltre “dotarsi di una strategia condivisa sul nucleare e dare agli Stati membri chiari indirizzi per la realizzazione di impianti innovativi, che possano in concreto contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione“, precisa ‘Fabbrica Europa’. Il nucleare sta riconquistando un ruolo importante e strategico nel mix energetico del futuro, con Paesi Ue ed extra-Ue che continueranno ad affidarsi a questa fonte energetica. Questa tecnologia, analizza Confindustria, può contribuire alla decarbonizzazione dell’economia Ue, affiancando la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che ha bisogno anche di impianti programmabili ad emissioni zero accanto ai sistemi di accumulo. Nuove prospettive, sottolinea il documento, “potranno anche derivare dal nucleare di piccola taglia e, in futuro, dalla tecnologia della fusione“.

Riformare le regole ETS (Emission Trading Scheme) e rafforzare il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) è un altro punto focale, assieme alla raccomandazione di promuovere l’economia circolare e la simbiosi industriale nei modelli di business. “Andrà definito e armonizzato un quadro regolatorio chiaro e completo che possa stimolare innovazioni per l’uso efficiente delle risorse produttive“.

Fondamentale è anche regolamentare l’intelligenza artificiale per rendere l’Ue il continente ideale dove investire in questa tecnologia: “L’applicazione dell’Artificial Intelligence Act e la futura legislazione in materia dovranno trovare una sintesi efficace tra gli interessi dei diversi settori economici per rendere l’Europa un importante attore nello sviluppo tecnologico e delle applicazioni legate all’IA“.