Dazi, Ue: Dialogo con Usa per accelerare negoziati, proposta ‘0 per 0’ su tavolo

Proroga fino al 9 luglio e avanti con i negoziati. I presidenti della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, hanno trovato un punto di convergenza nel voler mettere velocità alle trattative in corso per risolvere la questione dei dazi commerciali e nel rimanere in contatto. La telefonata intercorsa tra i due leader, ieri, “è stata positiva”, ha commentato oggi la portavoce della Commissione europea, Paula Pinho, nel briefing quotidiano con la stampa. E anche se Bruxelles “non entra nei dettagli” della discussione, comunica che von der Leyen e Trump “hanno concordato di far avanzare velocemente i negoziati commerciali e di restare in stretto contatto”. Palazzo Berlaymont prende tempo: “Stiamo parlando della relazione commerciale più ampia e più stretta al mondo – ha precisato Pinho -, quindi questi negoziati sono complessi e richiederanno tempo”. Ma sottolinea pure che “con questa chiamata c’è un nuovo impeto per i negoziati e da lì partiremo” e che “è positivo vedere che c’è impegno anche a livello di presidenti”. Se “questo era il momento di contatti a livello di presidenti”, dall’altro lato non c’è tempo da perdere e “le discussioni andranno avanti già da questo pomeriggio quando il commissario Sefcovic avrà una telefonata con il segretario per il commercio Lutnick”, ha annunciato la portavoce. Intanto, dalla Commissione chiariscono che, nell’ambito del suo colloquio con Trump, ieri von der Leyen, ha avuto anche delle telefonate di aggiornamento con diversi leader Ue, tra cui la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E mettono in chiaro che la proposta ‘zero per zero’ dazi è “ancora ampiamente” sul tavolo. “Riteniamo che sia un punto di partenza molto interessante per un buon negoziato che potrebbe portare benefici su entrambe le sponde dell’Atlantico, e certamente lo sosterremo con forza”, ha aggiunto il portavoce della Commissione Ue per il Commercio, Olof Gill. Intanto, a dirsi “fiducioso” rispetto ai colloqui tra Ue e Usa è stato il presidente francese Emmanuel Macron. “Le discussioni stanno procedendo bene. C’è stato un proficuo scambio tra il presidente Trump e la presidente von der Leyen, e spero che possiamo proseguire su questa strada, che dovrebbe portarci a tornare ai dazi più bassi possibili”, ha aggiunto. Mentre dal Consiglio Agricoltura e Pesca dell’Unione europea, il commissario Ue, Christophe Hansen, esprime il desiderio che si usi “saggiamente la nuova scadenza, fino al 9 luglio, per negoziare con gli Stati Uniti” e si possa “evitare qualsiasi dazio che sarebbe dannoso per gli agricoltori e i produttori alimentari su entrambe le sponde dell’Atlantico”.

E il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, osserva che “l’Europa deve parlare a una voce unica” e che “la prima affermazione che si deve fare è evitare ad ogni costo un qualcosa che possa somigliare a una guerra commerciale”. Infine, da un evento ospitato dalla Hertie School a Berlino, la presidente della Banca centrale europea (BCE), Christine Lagarde, ricorda che “l’economia globale ha prosperato grazie all’apertura e al multilateralismo, sostenuti dalla leadership americana” e che “qualsiasi cambiamento nell’ordine internazionale che porti a un declino del commercio mondiale o alla frammentazione in blocchi economici sarebbe dannoso”. Ma, allo stesso tempo, rileva come questi sviluppi potrebbero “aprire la strada a un ruolo internazionale più importante per l’euro”. E migliorare il ruolo internazionale dell’euro potrebbe “stimolare la domanda europea”, “proteggere l’Europa da flussi di capitali più volatili” e consentire all’Europa di “controllare meglio il proprio destino”.

Ci risiamo: bomba di Trump sui dazi all’Europa. Strategia o fa sul serio?

Ci risiamo. In un tranquillo (si fa per dire) venerdì di metà maggio, Donald Trump sgancia l’ennesima bomba dei dazi: 50% dal mese di giugno nei confronti dei Paesi europei. Che sono brutti, cattivi, bla bla bla… Il refrain è il solito e le conseguenze sui mercati, che sono ipersensibili anche agli starnuti delle formiche, sono parimenti le solite: i listini vanno a picco, lo spread riparte, l’allarme genera panico, l’oro tocca vette inimmaginabili. Solo gas e, soprattutto, petrolio non fanno una piega perché al presidente degli Stati Uniti, adesso, va bene che i prezzi stiano bassi per gli affari che deve portare avanti e per una certa Russia da mettere all’angolo.

Allo stato dell’arte è difficile stabilire se questa volta Trump farà sul serio o se sarà la solita minaccia che genera un po’ di confusione prima della consueta marcia indietro, però su una cosa rischia di avere ragione: trattare con l’Europa non porta a nulla. O, per lo meno, non ha portato a nulla, a differenza dell’interlocuzione con la Cina che ha generato in tempi abbastanza brevi un’intesa su larga scala. Ora, è vero che la Ue non è il gigante di Pechino e che, per raccontarla con un’immagine è una nobile decaduta, ma probabilmente qualcosa di più e di diverso a Bruxelles dovrebbero inventarsi. Per il momento siamo all’apertura (al dialogo) con minacce (di ritorsioni) annesse.

Quella per presidente Usa, che è uno dei più bravi direttori commerciali del Pianeta, è una tattica che fino adesso ha prodotto spaventi (agli altri) e qualche vantaggio (a lui e al suo Paese, alla prese con un debito da vertigini). La bomba di Donald è arrivata paradossalmente il giorno dopo in cui il ministro Giancarlo Giorgetti, chiacchierando al Festival dell’Economia di Trento, aveva pronosticato un accordo al 10% in perfetto stile British. Già, perché Trump ha siglato un’intesa rapida anche con il Regno Unito e con mister Starmer.

Dubitiamo che l’inquilino della Casa Bianca abbia risposto al nostro ministro dell’Economia, però è certo che con lui non bisogna mai dare nulla per scontato. Come è abbastanza singolare che dopo una serie di annunci sempre smentiti dai fatti, i mercati cadano subito in preda al panico, legittimando speculazioni a molti zeri. Come è curioso constatare che i medesimi stati di angoscia non si siano sollevati per i nuovi dazi imposti dalla Ue alla Russia su fertilizzanti e prodotti. Dazi che andranno a impattare pesantemente sull’agricoltura. Tanto per capirsi, la tassazione extra passerà per alcuni fertilizzanti a base di azoto dal 6,5 a quasi il 100% per un periodo di tre anni, con ovvie ricadute economiche. E dire che il valore stimato del traffico commerciale è di circa 1 miliardo e mezzo di euro, insomma qualche mal di pancia doveva pur venire a qualcuno e invece niente. Forse perché ci sono dazi e dazi. O no?

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Cina, banca centrale taglia tassi di interesse: a 1 anno al 3%, a 5 anni al 3,5%

La banca centrale cinese ha abbassato due tassi di interesse chiave a livelli storicamente bassi, nell’ultimo tentativo delle autorità di stimolare la crescita sullo sfondo delle tensioni commerciali con Washington e della crisi del settore immobiliare.

La Cina e gli Stati Uniti hanno concordato la scorsa settimana di ridurre drasticamente per 90 giorni i dazi doganali reciproci, suscitando la speranza degli ambienti economici di un allentamento duraturo delle tensioni. Ma lo Stato-partito cinese deve ancora affrontare una stagnazione dei consumi interni e una lunga crisi immobiliare, che minacciano il suo obiettivo di crescita del 5% circa per il 2025. Il LPR a un anno, che costituisce il riferimento per i tassi più vantaggiosi che le banche possono offrire alle imprese e alle famiglie, è stato abbassato dal 3,1% al 3%, ha annunciato martedì la Banca popolare cinese (PBoC). Il LPR a cinque anni, il riferimento per i mutui ipotecari, è stato abbassato dal 3,6% al 3,5%, secondo la stessa fonte. Entrambi i tassi erano già stati abbassati in ottobre, raggiungendo livelli storici.

Questi nuovi tagli “ridurranno l’importo degli interessi sui prestiti esistenti, alleggerendo in qualche modo la pressione sulle imprese indebitate. Inoltre, faranno diminuire il costo dei nuovi prestiti”, scrive in una nota Zichun Huang, economista di Capital Economics. “Tuttavia, modesti tagli dei tassi probabilmente non saranno sufficienti, da soli, a stimolare in modo significativo la domanda di credito o l’attività economica nel suo complesso”, osserva, precisando che le riduzioni annunciate oggi “probabilmente non saranno le ultime di quest’anno”.

Da mesi le autorità stanno cercando di attivare tutti gli strumenti a loro disposizione per dare nuovo slancio alla seconda economia mondiale. A dicembre, i principali leader cinesi, tra cui il presidente Xi Jinping, avevano individuato diversi “compiti chiave” per il 2025, tra cui una “forte” stimolazione dei consumi, la stabilizzazione del commercio estero e il contenimento del crollo del mercato immobiliare. “Quest’anno abbasseremo il tasso di riserva obbligatoria e i tassi di interesse come necessario in base alla situazione economica e finanziaria” all’interno e all’esterno del Paese, aveva anche avvertito a marzo il governatore della banca centrale cinese.

All’inizio di questo mese, quest’ultima aveva annunciato una riduzione di 0,5 punti percentuali dell’importo delle riserve obbligatorie delle banche, al fine di incoraggiare gli istituti bancari a concedere più prestiti. Segnale positivo per Pechino, la produzione industriale è aumentata del 6,1% ad aprile rispetto allo scorso anno, secondo l’Ufficio nazionale di statistica (NBS) cinese, un tasso superiore alle aspettative degli economisti intervistati dall’agenzia Bloomberg. Tuttavia, sempre secondo l’NBS, i prezzi delle nuove abitazioni sono diminuiti in 67 delle 70 città esaminate nello stesso periodo, indicando un mercato immobiliare ancora fragile. Lo spettro della deflazione grava anche sull’economia cinese: ad aprile l’indice dei prezzi al consumo è sceso dello 0,1% su base annua, dopo i cali registrati in febbraio e marzo.

‘Acuto’ di Mattarella all’Europa: “Nessun dorma. Stare fermi non è più un’opzione”

(Photocredit: Qurinale)

Le note della Turandot risuonano poco prima che Sergio Mattarella, assieme a Felipe VI di Spagna e Marcelo Rebelo de Sousa chiudano i lavori del XVIII Simposio Cotec Europa. Lo spunto è perfetto per il presidente della Repubblica, che prende per primo la parola e usa i versi di Giacomo Puccini per un ‘acuto’ politico all’Europa: “La romanza che abbiamo ascoltato, ‘Nessun dorma’, potrebbe applicarsi alla nostra Unione”.

A Coimbra, città fondata dai romani, che dal 1537 ospita la più antica università del Portogallo, una delle più prestigiose del Vecchio continente, il futuro dell’Ue è il tema principale del dibattito Cotec, che festeggia i vent’anni dalla sua prima edizione. Prima del capo dello Stato è Mario Draghi a prendere la parola, con una lunga analisi dell’attualità, con i dazi che segnano un “punto di rottura” tra Ue e Usa e la necessità di trovare strade alternative, puntando principalmente sulla forza che l’Europa può esprimere. Parole che si sposano perfettamente con la riflessione di Mattarella, che indica la necessità di un’Ue rinnovata, più competitiva, resiliente e presente nello internazionale: “Una sfida epocale per il nostro continente, tanto più urgente se raffrontata a recenti evoluzioni negli equilibri mondiali”. Infatti, l’appello è “urgente, direi prioritario: l’Europa agisca, perché stare fermi non è più un’opzione”.

Il presidente della Repubblica ricorda che “i rischi dell’immobilismo sono ben identificati nei rapporti Draghi e Letta” con “ipotetiche conseguenze per l’Europa, ad esempio in termini di arretramento nelle condizioni materiali di benessere diffuso o di un allontanamento irreversibile dalla frontiera tecnologica” che “ne accrescerebbero anche le vulnerabilità sui piani strategico e geopolitico, riducendone la capacità di contrastare le attuali perturbazioni così allarmanti dell’ordine internazionale”.

Sulla difesa comune europea, ad esempio: “Oggi siamo in ritardo, in rincorsa rispetto agli eventi e dobbiamo, di conseguenza, avvertirne l’urgenza”. Ragion per cui “le iniziative avviate in materia dalla Commissione europea sono un primo, fondamentale passo e testimoniano piena consapevolezza della posta in gioco”, sottolinea Mattarella. Che crede nella capacità di adattamento alle sfide globali: “Sarebbe miope guardare all’Unione come ad una costruzione nata sottovuoto”. Ci sono, però, passi da compiere. Anzi, ‘azioni’, come richiama il titolo dell’edizione Cotec 2025. Come “migliorare i nostri punti di forza, a cominciare dal Mercato unico europeo”, cosa che il rapporto Letta ha fatto con le su valide proposte per estenderne gli effetti “a settori che in passato ne sono stati esclusi: tra questi la finanza, l’energia, le telecomunicazioni – mette in luce Mattarella -. Ma anche (ed è questo un aspetto fondamentale) la ricerca, l’innovazione e l’istruzione, che nel rapporto sono parte di una ‘quinta libertà’, accanto alle quattro già esistenti: circolazione di merci, servizi, persone e capitali”.

Servono anche innovazione e cooperazione per lo sviluppo di nuove tecnologie all’Ue, perché “anche in quest’ambito l’Europa non può rischiare di restare al palo”, avverte il presidente mentre sul palco accanto a lui ci sono Re Felipe VI di Spagna e il presidente uscente della Repubblica portoghese ad ascoltarlo. Mattarella ricorda, inoltre, che “il tema delle risorse rimane centrale quando si vuole definire una strategia industriale per il rilancio della competitività”, ecco perché “quando le sfide sono di dimensione europea, tocca all’Unione fornire gli strumenti adeguati”.

Per riprendere un posto di primo piano nello scacchiere internazionale, il Vecchio continente deve necessariamente avere “una strategia che ponga al centro la sicurezza degli approvvigionamenti”, perché è emblematico – ricorda il capo dello Stato – il caso della scarsità di materie prime critiche, che oggi sono più che mai fondamentali. “Dobbiamo lavorare insieme per un’Europa più competitiva, tecnologicamente avanzata e quindi più sicura, capace di ridurre le sue dipendenze strategiche ma senza pregiudicare la tela di fondo di un ordine internazionale fondato sul libero commercio”, è il monito lanciato da Mattarella. Che usa due termini precisi: “Competitività e sicurezza, concetto quest’ultimo che assume oggi numerose dimensioni, dalla sicurezza economica alla sicurezza energetica, da quella cibernetica a quella più tradizionale, sono intimamente connesse”.

Prima di fare ritorno in Italia fa tappa al Santuario di Fatima, con Rebelo de Sousa ad accompagnarlo. All’Europa serve tutta la spinta che può per affrontare le sfide che la attendono.

Draghi avverte Ue: “Dazi punto di rottura con Usa. Costi energia sono una minaccia”

Questa volta non basterà nemmeno il “whatever it takes”. La scelta dell’amministrazione americana di imporre i dazi segna un “punto di rottura” tra Europa e Stati Uniti: ne è convinto l’ex presidente della Bce, Mario Draghi, che al XVIII Simposio Cotec Europa, fa un’analisi approfondita del momento storico che vive il Vecchio continente. Con tanti ‘ma’ a scandire le sue parole.

Draghi riconosce che i problemi dell’Europa non nascono oggi, anzi negli anni sono addirittura peggiorati e il mix tra “frammentazione politica interna e crescita lenta hanno ostacolato una risposta europea efficace” agli Stati Uniti, ma è consapevole che “l’ampio ricorso ad azioni unilaterali per risolvere le controversie commerciali e la definitiva esclusione del Wto hanno minato l’ordine multilaterale in modo difficilmente reversibile”. Non possiamo fare a meno degli Usa come partner commerciale, ma allo stesso tempo “dovremmo chiederci perché siamo finiti nelle mani dei consumatori statunitensi per trainare la nostra crescita”. La strada da seguire sarebbe quella di “aprire nuove rotte commerciali”, ma “realisticamente, non possiamo diversificare le nostre esportazioni al di fuori degli Stati Uniti nel breve periodo”.

La soluzione, quindi, è raggiungere un accordo con Washington, anche se a lungo termine Draghi ritiene “azzardato credere che i nostri scambi commerciali con gli l’America torneranno alla normalità dopo una rottura unilaterale così grave delle relazioni, o che i nuovi mercati cresceranno abbastanza rapidamente da colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti”. In apparenza sembrerebbe il più classico dei ‘cul de sac’, ma l’ex premier qualche exit strategy, anzi “azioni da intraprendere”, come da titolo del Cotec 2025, le indica all’Ue. La prima è “cambiare il quadro di politica macroeconomica che abbiamo elaborato dopo la grande crisi finanziaria e la crisi del debito sovrano”, perché fu uno degli errori rinunciare “a sviluppare il mercato interno come fonte di crescita”. Ma per riuscirci servono maggiori investimenti che possano “generare un forte impulso alla domanda interna, compensando eventuali venti contrari provenienti dalla domanda più debole degli Stati Uniti”.

Altro capitolo doloroso per l’Europa è l’energia. Draghi ricorda che i piani di Mosca e Washington erano noti da tempo, ma “le nostre importazioni di gas dalla Russia hanno continuato ad aumentare anche dopo l’invasione della Crimea”. Così quando ci è stato tagliato il gas, abbiamo perso più di un anno di crescita economica, mette il dito nella piaga Draghi. Che bacchetta sulla corsa alla transizione per garantire la sicurezza energetica: richiederebbe “una trasformazione fondamentale del nostro sistema energetico che non siamo stati in grado di realizzare, ostacolati dall’intermittenza intrinseca delle rinnovabili, dall’inadeguatezza delle nostre reti e dai lunghi ritardi burocratici per i nuovi impianti”. Problemi reali su cui intervenire, perché – avverte l’ex numero uno della Banca centrale europea – “i prezzi elevati dell’energia e le carenze della rete sono, in primo luogo, una minaccia per la sopravvivenza della nostra industria” e “un onere insostenibile per le nostre famiglie”, oltre a mandare all’aria i processi di decarbonizzazione. Servirebbe, dunque, “un ampio piano di investimenti europeo” per reti e interconnettori, nonché la riforma del mercato dell’energia, ma “è scoraggiante vedere come l’Europa sia diventata ostaggio di interessi acquisiti radicati”.

Sulla difesa è altrettanto ampio il ragionamento di Draghi. A suo parere “abbiamo fatto poco per rafforzare la nostra difesa comune” ed è arrivato il momento di “ridurre la frammentazione della nostra industria” incoraggiando la formazione di partnership per creare ‘campioni’ europei. A livello politico, invece, “l’emissione di debito comune colmerebbe il ‘tassello mancante’ nei mercati dei capitali frammentati dell’Europa”. Poi, occorre puntare sulle nuove tecnologie, ma “l’Europa ha perso terreno nell’Ia e in tutte e quattro le altre tecnologie e dobbiamo lavorare su tutti questi settori se vogliamo recuperare il ritardo”. A patto di “creare un cloud strategico europeo che ci garantisca la sovranità dei dati in settori critici come la difesa e la sicurezza”. Restando in tema, infatti, Draghi suggerisce di “investire di più per potenziare la nostra infrastruttura comune di supercalcolo, la rete Euro-HPC”, ma soprattutto “sviluppare una capacità europea in materia di sicurezza informatica, poiché stiamo perdendo competitività nel 5G e siamo deboli nelle comunicazioni satellitari: esiste il rischio concreto – avverte – che finiremo per dipendere dalla tecnologia statunitense e cinese per la trasmissione sicura dei dati”. C’è anche lo Spazio nelle parole dell’ex premier, che chiede di “riformare radicalmente l’interazione tra le agenzie dell’Ue e quelle nazionali e coinvolgere molto di più il settore privato”. Così come “dobbiamo creare un cyberspazio europeo sicuro attraverso un maggiore coordinamento e investimenti nelle tecnologie digitali comuni”. Chi pensa che tutto questo sia “utopistico e impossibile”, mette in guardia Draghi, condanna l’Europa alla “irrilevanza militare”. Con tanti saluti anche a competitività e crescita.

Dazi, Urso: “A rischio 10% export italiano in Usa”. Opposizioni: “Deludente, si dimetta”

Contro i dazi commerciali degli Stati Uniti non servono reazioni di pancia ma sforzi diplomatici. Ne è certo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che durante l’informativa sul tema alle Camere ricorda: “Se avessimo reagito di pancia ci saremmo fatti male, grave non trovare un compromesso”. Serve il dialogo, quindi. Anche se le tariffe decise dalla Casa Bianca non hanno penalizzato finora l’export italiano Oltreoceano, “che anzi è significativamente aumentato nei primi tre mesi dell’anno”, con le nostre esportazioni “aumentate dell’11,8% rispetto all’anno prima”.

Anche con una riduzione, fa capire Urso, i dazi imposti dall’amministrazione Trump faranno comunque male alle nostre imprese. Per questo motivo, il ministro loda le azioni intraprese dal nostro governo, “tempestivo ed efficace nell’indirizzare la Commissione europea e l’amministrazione Usa sulla giusta strada del negoziato”, da svolgere “con consapevolezza a responsabilità”, avendo chiaro l’obiettivo che “è unire, non dividere, l’Occidente”. Per evitare nuove tariffe, però, l’Italia rifiuta l’idea di reazioni muscolari. “Le misure compensative – sottolinea Urso – sono efficaci solo se decise a livello europeo”.

Al momento, se il quadro delle misure annunciate fosse confermato, ci sarebbe un impatto del 10% sull’esportazione italiana negli Usa in caso di dazi reciproci al 20%; effetto che scenderebbe al 6,5% se si arrivasse ad un dimezzamento, cioè al 10% dei dazi reciproci. Auto e medicinali i settori più a rischio. “I dazi Usa non avranno impatto sulla vendita di auto esportate dall’Italia – sottolinea Urso – ma lo avranno molto significativo sulla filiera dell’automotive”. Analogo impatto potrebbe avvenire nel settore della farmaceutica dopo “le misure draconiane annunciate da Trump”. Evitare nuove tariffe, sottolinea in conclusione Urso, aiuterebbe anche a tenere bassa l’inflazione “sotto controllo nel 2024, pari a 1,1%”. Meno di Francia (2,3%), Germania 2,5% e Spagna (2,9%). “Una delle conseguenze della chiusura dei mercati e di massive misure dei dazi – avverte il titolare del Mimit – sarebbe inevitabilmente l’aumento dell’inflazione per i cittadini europei e americani. Dobbiamo evitarlo”.

L’informativa non è però piaciuta alle opposizioni, che hanno attaccato il ministro in entrambe le Camere criticando anche il ritardo con cui si è presentato in parlamento. Ne chiede le dimissioni la capogruppo IV al Senato Raffaella Paita: “Chieda scusa e si dimetta”. La responsabilità politica “di questo colpevole ritardo è tutta di Urso, che deve dimettersi”, ripete il senatore Marco Lombardo di Azione. Urso “è il peggior ministro dell’Europa”, rincara la dose il senatore M5s Luigi Nave. “Urso è un mistero, dice nulla e lo dice male”, sottolinea il capogruppo M5s al Senato Stefano Patuanelli. Un paio d’ore dopo, la vicepresidente M5S Chiara Appendino affonda il colpo: “Quella di Urso non è tranquillità: è pericolosa mancanza di consapevolezza di quello che accade fuori da questo palazzo”. Netto anche il deputato Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in Commissione Bilancio: “Urso deludente, conferma l’immobilità del governo”.

Tregua Usa-Cina: dazi sospesi per 90 giorni e ridotti del 115%. Trump: “Parlerò con Xi in settimana”

Stop di 90 giorni per la maggior parte parte delle tariffe doganali e riduzione del 115% dei dazi. Stati Uniti e Cina hanno annunciato una prima de-escalation nella loro guerra commerciale che ha scosso l’economia globale. Questa sospensione entrerà in vigore “entro il 14 maggio”, hanno fatto sapere le due principali potenze economiche mondiali in una dichiarazione congiunta pubblicata dopo due giorni di negoziati a Ginevra. Concretamente, le due parti hanno concordato di ridurre significativamente le maggiorazioni che si imponevano a vicenda, al 30% per Washington e al 10% per Pechino, rispetto al 145% e al 125% dopo l’escalation avviata da Donald Trump all’inizio di aprile.

La notizia ha immediatamente rassicurato i mercati, con Wall Street che ha aperto in netto rialzo, con il Dow Jones in rialzo del 2,66%, il Nasdaq del 4,16% e l’S&P 500 del 2,97%, seguendo lo stesso andamento dei mercati asiatici ed europei. “Abbiamo raggiunto un reset completo con la Cina, a seguito di proficue discussioni a Ginevra. Entrambi hanno concordato di ridurre i dazi imposti dal 2 aprile al 10% per 90 giorni, e i negoziati proseguiranno su aspetti strutturali più ampi“, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti che prevede di sentire il leader cinese Xi Jinping entro la fine della settimana. La tariffa totale imposta dagli Stati Uniti è in realtà del 30% perché Washington non ha contestato la sovrattassa del 20% introdotta prima di aprile. Si tratta di un primo segnale concreto di allentamento della guerra commerciale che ha scosso i mercati finanziari e alimentato i timori di inflazione e di rallentamento economico negli Stati Uniti, in Cina e nel resto del mondo.

Nessuna delle due parti vuole una dissociazione” delle economie americana e cinese, ha dichiarato da Ginevra il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent, ribadendo che le barriere doganali introdotte negli ultimi mesi hanno di fatto istituito un “embargo” sul commercio tra i due Paesi. La riduzione di questi dazi doganali è “nell’interesse comune del mondo”, ha commentato il Ministero del Commercio cinese, accogliendo con favore i “sostanziali progressi” con Washington. In un’intervista rilasciata al canale americano CNBC, Bessent ha ipotizzato un nuovo incontro sino-americano “nelle prossime settimane per lavorare a un accordo più sostanziale”. In particolare, ha affermato di voler parlare con Pechino di restrizioni diverse dai dazi doganali, chiamate “barriere non tariffarie”, che a suo dire impediscono alle aziende americane di prosperare in Cina. Si tratta tradizionalmente di licenze o quote di importazione.

“In realtà, la Cina ha tariffe doganali basse. Sono proprio queste barriere non tariffarie più insidiose a danneggiare le aziende americane che vogliono fare affari lì”, ha affermato. Secondo l’altro negoziatore statunitense a Ginevra, il rappresentante commerciale Jamieson Greer, Washington e Pechino “lavoreranno in modo costruttivo” anche sulla questione del fentanyl, un potente oppioide sintetico che sta causando scompiglio negli Stati Uniti e i cui precursori chimici sono in parte prodotti in Cina. Questa questione costituisce la base giuridica per la maggiorazione del 20% entrata in vigore prima di aprile.

Molti altri accordi stanno arrivando”, ha poi annunciato Trump in conferenza stampa dalla Casa Bianca, aggiungendo che “allora” il commercio mondiale “sarà fantastico”. Alcune frizioni si registrano con l’Unione europea, “sul piano commerciale…per molti versi più cattiva della Cina“, ha aggiunto il presidente americano. “Ci hanno trattato in modo molto ingiusto – ha spiegato – Loro ci vendono i loro prodotti agricoli, noi non ne vendiamo praticamente nessuno, non prendono i nostri prodotti. Questo ci dà tutte le carte in regola, ed è molto ingiusto, quindi dovranno pagare di più per l’assistenza sanitaria e noi dovremo pagare di meno”.

Dal canto suo Bruxelles ha accolto “con favore” l’accordo Usa e Cina. Da parte dell’Ue, ha dichiarato il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill, “siamo stati molto chiari e coerenti fin dall’inizio nel credere che l’imposizione dei dazi sia un passo indietro per il commercio e l’economia globali. Quindi, in quest’ottica, accogliamo con favore qualsiasi passo che vada nella direzione opposta, e che contribuisca al buon funzionamento delle catene di approvvigionamento globali, qualsiasi cosa che supporti la stabilità e la prevedibilità per il commercio e gli investimenti globali”. Bruxelles sta inoltre “valutando attentamente l’accordo commerciale tra Gran Bretagna e Usa e le sue conseguenze” .

L’annuncio di una sospensione delle ostilità commerciali tra Washington e Pechino “va oltre le aspettative dei mercati”, ha affermato Zhiwei Zhang, presidente e capo economista di Pinpoint Asset Management, che lo ha visto come “un buon punto di partenza per i negoziati tra i due Paesi”. “Dal punto di vista della Cina, l’esito di questi negoziati è un successo, poiché ha assunto una posizione ferma di fronte alla minaccia statunitense di tariffe elevate ed è riuscita ad abbassarle drasticamente senza fare alcuna concessione”, ha osservato. Ma sebbene questa tregua rappresenti un “progresso significativo”, “c’è ancora del lavoro da fare per raggiungere un accordo formale” e la situazione “potrebbe peggiorare”, ha avvertito Daniela Sabin Hathorn, analista di Capital.com.

A Ginevra i colloqui Pechino-Washington sui dazi: i nodi della guerra commerciale

Pechino e Washington discutono questo fine settimana a Ginevra, una prima volta da quando Donald Trump ha lanciato la sua guerra commerciale, che minaccia gli scambi bilaterali e sconvolge le catene di approvvigionamento mondiali.

Quali misure sono già state prese?

Gli Stati Uniti hanno aumentato i dazi doganali su gran parte delle importazioni cinesi al 145%. La Cina è anche oggetto di sovrattasse settoriali che colpiscono l’acciaio, l’alluminio e i veicoli elettrici. Secondo le dogane cinesi, i prodotti “made in China” esportati negli Stati Uniti lo scorso anno hanno superato i 500 miliardi di dollari. Queste merci rappresentavano il 16,4% delle esportazioni totali del gigante asiatico. La Cina ha promesso di combattere “fino alla fine” i dazi di Donald Trump e ha introdotto dazi doganali fino al 125% sui prodotti americani come ritorsione. Secondo Washington, lo scorso anno le esportazioni di merci dagli Stati Uniti verso la Cina hanno rappresentato 143,5 miliardi di dollari. La Cina ha avviato procedure presso l’OMC, congelato le consegne di aeromobili Boeing alle sue compagnie aeree e annunciato restrizioni all’esportazione di terre rare, alcune delle quali utilizzate nell’imaging magnetico e nell’elettronica di consumo.

Qual è stato l’impatto finora?

Pechino suscita da tempo l’ira dell’amministrazione Trump perché il gigante asiatico, dove hanno sede numerose fabbriche, ha un forte surplus commerciale con gli Stati Uniti. Secondo l’Ufficio di analisi economica del Dipartimento del Commercio americano, lo scorso anno era pari a 295,4 miliardi di dollari. La Cina sembra poco incline a modificare questo equilibrio, soprattutto perché le sue esportazioni, che hanno raggiunto livelli record nel 2024, fungono da motore dell’economia in un contesto di consumi interni stagnanti. Ma un’escalation della guerra commerciale potrebbe proprio avere forti ripercussioni su queste esportazioni e indebolire la ripresa economica post-Covid in Cina, già minata da una crisi immobiliare. L’impatto si fa sentire anche negli Stati Uniti: l’incertezza ha provocato un calo dell’attività manifatturiera il mese scorso. Le autorità americane lo ritengono responsabile dell’inaspettato rallentamento del PIL nel primo trimestre. “I due paesi hanno dovuto arrendersi all’evidenza: un disaccoppiamento totale non è così facile”, spiega all’AFP Teeuwe Mevissen, economista di Rabobank. “Sia gli Stati Uniti che la Cina stanno perdendo economicamente in questa guerra commerciale. Anche se uno dei due dovesse chiaramente prendere il sopravvento, la sua situazione economica rimarrebbe comunque meno favorevole rispetto a prima dell’inizio di questa guerra commerciale”, precisa.

Il direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), Ngozi Okonjo-Iweala, aveva avvertito ad aprile che la guerra commerciale potrebbe ridurre dell’80% gli scambi di merci tra le due potenze. Mercoledì la Cina ha annunciato una serie di tagli dei tassi destinati a rilanciare i consumi, un possibile segnale che il Paese sta iniziando a risentire degli effetti del conflitto. Gli analisti prevedono inoltre che i dazi americani peseranno in modo significativo sul PIL cinese, che il governo spera di vedere crescere “di circa il 5%” nel 2025. I principali prodotti cinesi esportati negli Stati Uniti – elettronica, macchinari, tessili e abbigliamento – dovrebbero essere i più colpiti. Ma poiché i prodotti cinesi svolgono un ruolo cruciale nell’approvvigionamento delle imprese statunitensi, questi dazi potrebbero colpire anche gli industriali e i consumatori americani, avvertono gli analisti.

Quali progressi sono possibili?

Ansiosi di apparire forti, entrambi i paesi affermano che è stata la pressione economica a spingere l’altro a negoziare. Ma un progresso significativo a Ginevra sembra improbabile. La Cina afferma che la sua posizione rimane invariata. Chiede che gli Stati Uniti revocino i dazi doganali e rifiuta di negoziare sotto “minaccia”. Il ministro delle Finanze americano, Scott Bessent, ha dichiarato che i colloqui verteranno su una “riduzione della tensione” e non su un “grande accordo commerciale”. Gli analisti prevedono tuttavia potenziali riduzioni dei dazi doganali. “Un possibile risultato dei colloqui in Svizzera potrebbe essere un accordo per sospendere la maggior parte, se non tutti, i dazi doganali imposti quest’anno, e questo per tutta la durata dei negoziati” bilaterali, ha dichiarato all’AFP Bonnie Glaser, che dirige il programma Indo-Pacifico del German Marshall Fund, un think tank con sede a Washington. Lizzi Lee, esperta di economia cinese presso l’Asia Society Policy Institute, un’organizzazione con sede negli Stati Uniti, si aspetta un potenziale “gesto simbolico e provvisorio”, che potrebbe “placare le tensioni, ma non risolvere i disaccordi fondamentali”.

Dazi, case automobilistiche americane deluse da accordo Londra-Washington

L’Associazione dei costruttori automobilistici americani (AAPC), che rappresenta i tre gruppi storici Ford, General Motors e Stellantis (Chrysler, Jeep, ecc.), ha espresso la propria delusione per l’accordo commerciale annunciato ieri tra Londra e Washington.

L’industria automobilistica americana è strettamente legata al Canada e al Messico, cosa che non avviene tra gli Stati Uniti e il Regno Unito”, osserva Matt Blunt, presidente dell’AAPC, in un comunicato. “Siamo delusi che l’amministrazione abbia dato la priorità al Regno Unito piuttosto che ai partner”, ovvero il Canada e il Messico con cui Washington ha un accordo di libero scambio (ACEUM), ha proseguito.

L’ACEUM, concluso nel 2018 da Donald Trump durante il suo primo mandato presidenziale, è in vigore dal luglio 2020. Ieri Londra e Washington hanno presentato un accordo commerciale definito “storico”. Consente al Regno Unito di sfuggire alla maggior parte dei dazi americani sulle automobili e apre maggiormente il mercato britannico ai prodotti agricoli americani.

Le esportazioni britanniche erano state prese di mira dall’offensiva protezionistica di Donald Trump (+25% su acciaio, alluminio e automobili, +10% sul resto dei prodotti), come gli altri paesi (ad eccezione della Cina, soggetta a tasse più pesanti). I dazi doganali sulle automobili britanniche sono stati “immediatamente” ridotti, passando dal 27,5% – somma del dazio aggiuntivo del 25% e dei dazi doganali precedenti – al 10% per una quota annuale di 100.000 automobili. Secondo Downing Street, ciò corrisponde “quasi” al numero di veicoli esportati nel 2024 dal Regno Unito agli Stati Uniti. “In virtù di questo accordo, sarà ora meno costoso importare un veicolo britannico contenente pochissimi componenti americani rispetto a un veicolo fabbricato in Canada o in Messico nell’ambito del CUSMA con metà dei pezzi di ricambio americani”, afferma Blunt. Questa situazione “danneggerà le case automobilistiche americane, i fornitori e i dipendenti dell’industria automobilistica”, sottolinea, auspicando che questo “accesso preferenziale a scapito dei veicoli nordamericani non costituisca un precedente per i negoziati con i concorrenti asiatici ed europei”.

Dazi, contromisure per 95 mld e ricorso a Wto: Piano Ue in caso di no-deal con Usa

Vini e liquori americani, prodotti agroalimentari e ittici, aeromobili, automobili. Sono alcuni dei beni Usa che la Commissione europea propone di sottoporre a dazi nel caso in cui, alla scadenza dei 90 giorni di pausa, il negoziato con Washington non portasse a un “risultato soddisfacente”.

L’esecutivo Ue svela, così, il suo piano alternativo per rispondere ai dazi Usa già in vigore e a quelli che scatteranno nel caso di non accordo. Per l’Unione la priorità resta la soluzione “reciprocamente vantaggiosa ed equilibrata” con la Casa Bianca, ma nel frattempo lavora per prepararsi al peggio. E, per questo, Palazzo Berlaymont ha stilato un elenco di importazioni dagli Usa da colpire e ha lanciato sulla lista una consultazione pubblica che sarà aperta fino al 10 giugno.

Il valore complessivo dei prodotti, calcolato sul volume dell’import dell’anno scorso, è di 95 miliardi di euro, circa un quarto del valore dell’export Ue negli Usa già soggetto a nuovi dazi. Nella lista, precisano fonti Ue, ci sono vini e liquori americani per un valore di 1,3 miliardi di euro; prodotti agroalimentari per un valore di 6,4 miliardi di euro e ittici per mezzo miliardo; aeromobili per circa 10,5 miliardi; automobili e componenti per 12,3 miliardi; macchinari agricoli e industriali per 12 miliardi; prodotti legati all’industria sanitaria per 10 miliardi; apparecchiature elettriche per 7,2 miliardi. E altri.

Fuori restano, invece i prodotti farmaceutici, i materiali critici, i beni considerati “davvero sensibili e importanti“, come ha precisato un alto funzionario Ue, e quelli dell’elenco – ora sospeso – di contromisure sull’import di acciaio, alluminio e prodotti derivati per un valore di 21 miliardi di euro. La Commissione sta anche consultando le parti interessate su possibili restrizioni su alcune esportazioni di rottami d’acciaio e prodotti chimici dell’Ue verso gli Stati Uniti per un valore di 4,4 miliardi di euro. “La consultazione riguarda sia i dazi universali statunitensi che i dazi sulle automobili e sulle parti di automobili“, ha spiegato Bruxelles. Sul piano delle regole, invece, l’Ue avvierà una controversia in sede di Organizzazione mondiale del Commercio contro gli Stati Uniti in merito alle tariffe universali cosiddette ‘reciproche’ e alle tariffe sulle automobili e sulle parti di automobili. “Il contenzioso può essere sospeso in qualsiasi momento“, ha precisato il funzionario.

Ma, per ora, Bruxelles ritiene necessario “riaffermare che le regole concordate a livello internazionale sono importanti e non possono essere ignorate unilateralmente da nessun membro dell’Omc, compresi gli Stati Uniti“. Infine, la Commissione continuerà a monitorare “attentamente la potenziale deviazione delle esportazioni globali verso il mercato dell’Ue“, causata dai dazi Usa imposti a Paesi terzi che, di conseguenza, cercherebbero di far sfociare nell’Ue le merci strozzate negli Usa, e a portare avanti i negoziati con altri partner commerciali.

Una volta chiusa la consultazione pubblica, l’esecutivo Ue metterà a punto la sua proposta di adozione di contromisure e la sottoporrà ai Paesi membri dove, secondo alcune fonti, “c’è fiducia nel lavoro e nella direzione della Commissione“. Ma dalla Commissione fanno capire che il lavoro non si conclude qui. “Non stiamo discutendo di potenziali misure nel settore dei servizi, ma questa rimane un’opzione“, ha continuato il funzionario. E, tra gli strumenti a disposizione, c’è sempre il bazooka anti-coercizione che permetterebbe a Bruxelles di tassare i profitti deille big tech americane nel vecchio continente.