Borse si rialzano con apertura Usa su dazi. Mercati respirano: Milano chiude a +2,4%

Le Borse europee si rialzano dopo i colpi da ko delle ultime tre sedute. Ancora frastornate dai tonfi culminati nel proverbiale ‘lunedì nero’, le piazze del Vecchio Continente hanno sperimentato l’ennesimo rimbalzo, alimentate dalle possibili trattative sui dazi tra l’amministrazione statunitense e alcuni Paesi colpiti, in particolare Giappone e Corea del Sud. Anche il governo di Pechino, pur sottolineando che “lotterà fino alla fine”, non ha escluso il dialogo con Washington. Ma il tempo stringe. Dopo il 34% annunciato la scorsa settimana, i dazi sui prodotti cinesi dovrebbero raggiungere il 104% a partire da domani.

Lo stesso Donald Trump ha annunciato che “anche la Cina vuole fare un accordo, ma non sa come avviarlo” e che “aspetta una chiamata”. Nel frattempo sono arrivate quelle da Tokyo, con il premier giapponese Shigeru Ishiba che ha annunciato di aver “concordato” di “proseguire” le trattative sui dazi, e da Seul, con il presidente ad interim Han Duck-Soo. A frenare la caduta dei listini e a riportarli in territorio positivo erano state le dichiarazioni di alcuni membri dell’amministrazione Trump, indotti a mediare dopo il tracollo di Wall Street. Primo tra tutti il segretario al Tesoro, Scott Bessent. Gli effetti di tali aperture al dialogo si sono subito fatti sentire. Il Nikkei ha chiuso a +6% in seguito al crollo di lunedì (fino a -8%), l’Hang Seng di Hong Kong ha guadagnato l’1,5% dopo il calo più pesante dal 1987 così come Shanghai.

Dalla parte opposta del pianeta cresce l’ottimismo. Lo Stoxx 600, che raggruppa le 600 maggiori capitalizzazioni di Borsa europee, è salito del 2,7%. Il Ftse Mib di Milano ha guadagnato il 2,44%, il Cac40 è salito del 2,50%, il Dax di Francoforte del 2,48%, l’Ftse 100 londinese del 2,71%. Un rimbalzo dopo il più grande calo degli ultimi cinque anni e l’inizio della pandemia. Alexandre Baradez, responsabile dell’analisi di mercato di IG France, ha addirittura parlato di “una giornata di forte ripresa, la più grande dal 2022”. Riprende fiato anche Wall Street. I principali indici hanno registrato un rialzo nelle prime contrattazioni: il Dow Jones è salito del 2,31%, il Nasdaq del 2,39% e l’S&P 500 del 2,18% dopo l’altalena di lunedì. “I mercati stanno mostrando alcuni primi segnali di stabilizzazione dopo l’incredibile crollo degli ultimi giorni”, ha affermato Jim Reid, economista della Deutsche Bank. In attesa di conoscere la “risposta” Ue ai dazi, che dovrebbe essere presentata la prossima settimana, i titoli si muovono in ordine sparso. Petrolio e gas restano in attesa mentre quelli legati a settori attualmente esenti dai dazi statunitensi, come i prodotti farmaceutici, continuano a fare affari. Oggi i titoli del settore sanitario hanno passeggiato in territorio positivo. A Londra, AstraZeneca ha guadagnato fino al 3,54% e GSK lo 0,7%. Alla borsa svizzera, Novartis ha guadagnato +1,74% e a Parigi quasi +2% per Sanofi e +7% Valneva.

A Wall Street, nelle prime ore di contrattazioni Moderna è salita fino a +4,29% e Novavax a +3,44%. A Milano si è distinto il +2,24% di Recordati. Nel frattempo i prezzi del petrolio si sono mantenuti in equilibrio, dopo essere crollati bruscamente a seguito dell’offensiva commerciale trumpiana. Alle 18 il Brent del Mare del Nord mostrava un timido +0,4% a 64,4 dollari al barile, mentre il suo equivalente statunitense, il WTI, era in rialzo dello 0,82% a 61,1 dollari al barile. Meno brillante la risposta sul gas. Alla Borsa TTF di Amsterdam i contratti con consegna a maggio hanno lasciato quasi il 4% a 35,5 euro/MWh, restando sotto quota 40 euro per la quarta seduta consecutiva. Dopo aver toccato le quotazioni più basse dal 2021, i movimenti al ribasso sul greggio sono limitati anche dai colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran . Trump ha sorpreso ancora una volta gli analisti annunciando che Washington stava tenendo colloqui “diretti” con l’Iran sul suo programma nucleare. Ma “se l’Iran dovesse attenersi a posizioni considerate inaccettabili dagli Stati Uniti – il che è probabile – questi ultimi probabilmente intensificherebbero la pressione” delle sanzioni, il che sarebbe un fattore nell’aumento dei prezzi del petrolio, spiegano gli analisti di DNB Markets. Con l’escalation della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, “il rischio di recessione continua ad aumentare, il che offusca le prospettive della domanda globale di petrolio”, ha affermato Ole R. Hvalbye, analista di SEB. Non per nulla i due Paesi sono tra i principali consumatori di ‘oro nero’ e la Cina ne è il maggiore importatore. A incertezza si somma altra incertezza. L’OPEC+ potrebbe sospendere il piano di aumento della produzione ma sul prezzo incideranno anche le possibili nuove sanzioni statunitensi contro il Venezuela, senza contare che “molti nuovi pozzi petroliferi negli Stati Uniti non sono redditizi agli attuali prezzi del greggio”, ha spiegato Arne Lohmann Rasmussen di Global Risk Management.

Dazi, Trump minaccia Cina: 50% tariffe in più. Casa Bianca: Fino a 104%

Photo credit: AFP

Si alza lo scontro commerciale a suon di dazi tra Stati Uniti e Cina. Da Washington Donald Trump ha minacciato di aumentare ulteriormente i dazi statunitensi sui prodotti cinesi se Pechino manterrà la sua risposta all’offensiva tariffaria. “Se la Cina non ritirerà il suo aumento del 34% [dei dazi doganali sui prodotti americani] (…) entro domani, 8 aprile, gli Stati Uniti imporranno dazi doganali aggiuntivi del 50% alla Cina, a partire dal 9 aprile”, ha affermato il presidente americano sulla sua piattaforma Truth Social. In precedenza, sempre Trump aveva criticato la Cina per “non aver tenuto conto dell’avvertimento (…) di non reagire” alla sua offensiva commerciale. “Il più grande approfittatore di tutti, la Cina, i cui mercati stanno crollando, ha appena aumentato le sue tariffe del 34%, in aggiunta alle sue tariffe ridicolmente alte a lungo termine (in più!), senza riconoscere il mio avvertimento ai paesi abusanti di non reagire”, aveva scritto sui social.

Da quando è tornato alla Casa Bianca a gennaio, Trump ha già imposto un ulteriore dazio del 20% sui prodotti cinesi, che dovrebbe salire al 54% il 9 aprile, dopo l’aumento del 34% annunciato la scorsa settimana. Interrogata dall’agenzia di stampa AFP, la Casa Bianca ha confermato che se Donald Trump mettesse in atto la sua nuova minaccia, la maggiorazione salirebbe al 104%.

Dal canto suo, Pechino in giornata aveva confermato la volontà di proteggerà le aziende americane restando “una terra sicura” per gli investimenti stranieri. La scorsa settimana Pechino aveva anche annunciato controlli sulle esportazioni di sette elementi di terre rare, tra cui il gadolinio, utilizzato in particolare nella risonanza magnetica per immagini, e l’ittrio, utilizzato nell’elettronica di consumo. “Le contromisure cinesi mirano non solo a proteggere fermamente i diritti e gli interessi legittimi delle imprese, comprese quelle statunitensi (in Cina)”, spiega Ling Ji, vice ministro cinese del Commercio. Ma queste tasse mirano anche a “riportare gli Stati Uniti sulla buona strada del sistema commerciale multilaterale”, ha detto a un gruppo di rappresentanti di aziende americane, secondo un comunicato pubblicato lunedì dal suo ministero.

I dazi doganali cinesi del 34% entreranno in vigore il 10 aprile. “La Cina è stata, è e rimarrà una terra ideale, sicura e piena di promesse per gli investitori stranieri”, sottolinea Ling Ji, rivolgendosi ai rappresentanti di diverse aziende americane, come la multinazionale del settore medico GE Healthcare o la casa automobilistica Tesla. “La radice del problema dei dazi doganali si trova negli Stati Uniti”, precisa il vice ministro. Poi invita le aziende americane in Cina “ad adottare misure concrete e a mantenere congiuntamente la stabilità delle catene di approvvigionamento globali, nonché a promuovere la cooperazione reciproca e risultati vantaggiosi per tutti“.

La Cina è la terza destinazione delle esportazioni statunitensi, con 144,6 miliardi di dollari di beni venduti nel 2024. Allo stesso tempo, il gigante asiatico ha venduto prodotti per 439,7 miliardi di dollari negli Stati Uniti. Le borse asiatiche sono crollate lunedì a causa dell’inflessibilità dell’inquilino della Casa Bianca e della replica di Pechino, alimentando il rischio di un’escalation distruttiva per l’economia mondiale. A Hong Kong, il gigante dell’e-commerce Alibaba è crollato del 12%, dopo la fine dell’esenzione doganale per i piccoli pacchi inviati negli Stati Uniti. Il suo rivale JD.com ha perso l’11%. Anche i fornitori e i subappaltatori di Apple, che produce i suoi smartphone in Asia, sono stati attaccati, come la taiwanese Foxconn (-10%). Parlando con i giornalisti sull’Air Force One, però, Trump spiega: “Abbiamo un deficit commerciale di 1.000 miliardi di dollari con la Cina. Perdiamo centinaia di miliardi di dollari all’anno a causa della Cina e, a meno che non risolviamo questo problema, non concluderò alcun accordo”. “Sono disposto a concludere un accordo con la Cina, ma devono risolvere questo surplus – insiste -. Abbiamo un enorme problema di deficit con la Cina… Voglio che venga risolto”

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Dazi, panico sui mercati: borse in profondo rosso in tutto il mondo

E’ panico sui mercati: le borse asiatiche e le borse europee precipitano per l’inflessibilità del presidente americano Donald Trump sui dazi che ha imposto al resto del mondo.

Da Tokyo a Shanghai, passando per Seoul e Taipei, i principali indici asiatici, chiusi venerdì, hanno seguito l’esempio di Wall Street, che ha chiuso la scorsa settimana con la peggiore giornata dal 2020. A Hong Kong, il principale indice Hang Seng è crollato lunedì di oltre il 12%, la peggiore sessione dalla crisi finanziaria del 2008.
In Europa come negli Stati Uniti, i mercati registrano un profondo rosso. – Dopo le borse asiatiche, crollano in apertura anche tutte le borse europee. Parigi cede il 6,46%, Francoforte inizialmente l’8,5, poi scende ancora a -9,15%, Londra -2,99%, a Milano nei primi minuti di contrattazione Piazza Affari perde l’8,29% dopo il -6,5% di venerdì. Il petrolio ha toccato il minimo degli ultimi quattro anni nella notte.

Interrogato sulla violenta reazione delle borse alla sua offensiva commerciale, Donald Trump ha sostenuto domenica che “a volte (bisogna) prendere una cura per guarire”.
Ha assicurato che il suo paese è “molto più forte” dopo l’annuncio di queste misure e ha ritenuto che il crollo dei mercati non fosse un suo deliberato intento.

Il presidente repubblicano rimprovera ai partner economici degli Stati Uniti di averli “saccheggiati”. Di conseguenza, ha deciso di imporre un’aliquota doganale universale del 10% su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti, entrata in vigore sabato. A partire da mercoledì, la tariffa sarà aumentata per diverse decine di importanti partner commerciali, in particolare l’Unione Europea (20%) e la Cina (34%).

In risposta, venerdì la Cina ha annunciato i propri dazi doganali, alimentando il rischio di una distruttiva escalation per l’economia mondiale. Queste contromisure – tasse del 34% sulle importazioni statunitensi – mirano a riportare gli Stati Uniti sulla “strada giusta”, ha affermato Ling Ji, vice ministro del Commercio.

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Meloni boccia i dazi, ma teme di più calo dei consumi: “Presto per quantificare gli effetti”

Non vuole allarmismi, Giorgia Meloni, e chiede ai suoi ministri, ma alle istituzioni in generale, di “riportare l’intera discussione alla reale dimensione del problema”. Teme più i danni che può provocare il panico nei consumatori che il crollo delle Borse, la premier, confermando in Cdm il giudizio “negativo” sui dazi imposti da Donald Trump, ma allo stesso tempo invitando a tenere i nervi saldi, perché “è ancora presto per quantificarne l’effetto”, sebbene riconosca che “qualsiasi ostacolo agli scambi internazionali è penalizzante per una nazione come l’Italia”, che ha nell’export una delle armi più importanti per la crescita e il Pil. Un effetto domino con impatti anche indiretti, se si pensa ad esempio al mercato dell’auto tedesco, in buona parte prodotto grazie all’indotto tricolore.

Per questo motivo ha chiesto ai suoi vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, ai ministri dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, delle Imprese, Adolfo Urso, dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, e delle Politiche Ue, Tommaso Foti, di rivedersi nel pomeriggio di lunedì 7 aprile a Palazzo Chigi, portando ognuno per la propria parte degli studi “sull’impatto che questa situazione può avere per la nostra economia”. Vuole avere dati certi in mano, Meloni, che al momento si allinea allo speech tenuto qualche giorno fa da Christine Lagarde in audizione all’Europarlamento, dove il grande capo della Bce sosteneva che “un dazio statunitense del 25% sulle importazioni dall’Europa ridurrebbe la crescita dell’area dell’euro di circa 0,3 punti percentuali nel primo anno”. Un impatto “certamente significativo, ma di un ordine di grandezza affrontabile”, argomenta la premier davanti alla sua squadra di governo. Ben conscia che questa situazione potrebbe portare a una riduzione delle esportazioni italiane negli Usa. Perciò chiede ai suoi di attivarsi per studiare strategie da presentare ai rappresentanti delle categorie produttive, convocati a Palazzo Chigi per martedì prossimo, 8 aprile.

Nel frattempo Meloni ripete (all’Ue) che con gli Usa si tratta e non bisogna rispondere ‘a brigante con brigante e mezzo‘. Nel senso che reagire con controdazi non farebbe altro che attivare una guerra commerciale sanguinosa per il continente, per l’Occidente e, in particolare, per l’Italia. Meglio incidere dove si può, in casa propria: “Sappiamo che il settore auto è colpito dai dazi in maniera importante, dovremmo ragionare sul sospendere le norme del Green Deal”. Non solo, insiste sulla necessità di rivedere il Patto di stabilità e sull’accelerare la riforma del mercato elettrico: sull’energia chiede a Bruxelles di essere “un po’ più decisi e coraggiosi”. Del resto, anche Bankitalia avverte che “l’inflazione si collocherebbe all’1,6%” nel 2025, 1,5 nel 2026 e al 2 nel 2027” con l’entrata in vigore del nuovo sistema di scambio di quote di emissione di inquinanti e di gas a effetto serra nell’Unione europea, gli Ets, che provocherebbero un transitorio aumento dei prezzi dell’energia.

La cronaca quotidiana, intanto, dice che i mercati vanno in picchiata, al punto che la Borsa italiana raggiunge i livelli shock del post 11 Settembre. Anche se Tajani si veste da pompiere: “Le borse crollano perché c’è un allarmismo eccessivo di stampa, politici, ma non sta crollando il mondo”. Il responsabile della Farnesina è convinto che qualora dovesse esserci una reazione da parte dell’Ue “sarà piuttosto un segnale politico agli Usa per dire ‘basta’, quindi assolutamente inferiore alla loro azione”. Semmai, l’obiettivo è quello di avere, alla fine della trattativa, “un grande mercato transatlantico, Europa e Stati Uniti, cioè il mercato dell’Occidente, senza dazi“. ‘Sogno’ condiviso anche dal collega Urso. In questo il governo italiano con “Meloni in primis, io in secundis” può “convincere l’Ue ad avere un’azione positiva, attraverso un’azione facilitatrice di un accordo tra Unione europea e America”, spiega Tajani a ‘Cinque minuti’ (Rai1).

Se la traiettoria dovesse deviare, però, l’Italia – assicura il vicepremier – ha già un piano d’azione pronto per esplorare altri mercati. Con un ‘partner’ d’eccezione, Poste Italiane, che “può distribuire sui mercati i prodotti anche delle piccole imprese, ne abbiamo già parlato con l’ad, Matteo Del Fante”.

Tutta la carne messa a cuocere a Roma, comunque, continua a non convincere le opposizioni. Il Pd ritiene che l’esecutivo sia arrivato impreparato alla sfida dei dazi, mentre Matteo Renzi (Iv) rintuzza gli appelli contro l’allarmismo di Meloni: “Abbiamo un governo di influencer incapaci, serve una reazione subito”. Da Avs, poi, Angelo Bonelli chiede alla premier di “farsi da parte”, infine i Cinquestelle, impegnati nella manifestazione del 5 aprile a Roma contro il Rearm Eu, picchiano duro: “Tutti gli altri Paesi si muovono e noi restiamo fermi, il governo è in uno stato comatoso”.

Dazi, le stime di Trump lasciano gli economisti sbalorditi: “Non hanno alcun senso”

Un calcolo che rientra nell’ambito dell’astrologia? Gli economisti di tutto il mondo sembrano sbalorditi dalla formula scelta dall’amministrazione Trump per valutare i dazi doganali imposti dagli Stati Uniti al resto del mondo. “Questo è per l’economia ciò che il creazionismo è per la biologia e l’astrologia per l’astronomia”, ha scherzato l’ex Segretario al Tesoro Larry Summers su X. Il presidente Donald Trump ha annunciato mercoledì una serie di dazi doganali senza precedenti sulle importazioni statunitensi, che vanno da un minimo del 10% per tutti, al 50% per un paese povero come il Lesotho.

A sostegno della sua decisione, il capo della Casa Bianca ha presentato un grafico a due colonne, che elenca a sinistra i dazi applicati secondo lui alle esportazioni statunitensi dai partner commerciali di Washington, e a destra i nuovi dazi che saranno imposti dagli Stati Uniti a partire da sabato a ciascun paese. Per “gentilezza”, come ha spiegato Trump, i nuovi dazi doganali saranno circa la metà di quelli praticati da Washington nei confronti dei paesi stranieri. Ad esempio, la Casa Bianca ha calcolato che l’Unione europea tassa le importazioni statunitensi al 39%. In risposta, gli Stati Uniti intendono quindi tassare le esportazioni dell’UE al 20%. Il problema è che il calcolo non corrisponde alle statistiche dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Secondo quest’ultima, l’UE applica in media un dazio doganale dell’1,7%, molto lontano dal 39% avanzato da Donald Trump.

Per quanto riguarda la Cina, secondo la Casa Bianca, applicherebbe una tassa del 67% sui prodotti americani. Ma nel 2024, secondo la WTO, essa applicava una tariffa doganale media del 4,9%. Per il suo calcolo, la Casa Bianca afferma di aver preso in considerazione altre barriere commerciali oltre ai semplici dazi doganali, citando in particolare le norme ambientali o la manipolazione dei tassi di cambio. Ma è difficile capire come queste barriere non tariffarie possano essere tradotte in cifre.

Il rappresentante americano per il commercio ha pubblicato una formula con molteplici variabili espresse in caratteri greci. L’amministrazione Trump ha diviso la bilancia commerciale (la differenza tra importazioni ed esportazioni) per il valore delle importazioni, indipendentemente dal paese. Una formula che non tiene conto delle specificità dei legami commerciali. “La formula si basa sul valore relativo del surplus commerciale con gli Stati Uniti”, confermano gli economisti della Deutsche Bank. “Questo approccio è talmente pieno di errori che è difficile capire da dove iniziare”, ha scritto sul suo blog il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, sottolineando che i calcoli tengono conto solo dei beni scambiati, tralasciando i servizi. Alla fine, questo metodo è “stupido”, ha concluso. Applicando la formula pubblicata dall’amministrazione alle statistiche americane del 2024, l’AFP ha ottenuto le cifre presentate dal presidente americano. I nuovi dazi doganali annunciati per ogni paese corrispondono a questo risultato, diviso per due. Se la formula dà meno del 10%, o in caso di surplus commerciale, gli Stati Uniti applicano uniformemente un tasso minimo del 10%. È il caso di oltre un centinaio di paesi o territori, tra cui il Regno Unito e l’Australia. Per un motivo sconosciuto, solo l’Afghanistan, tassato solo al 10%, non corrisponde a questo calcolo, dato che Kabul ha un ampio surplus commerciale con gli americani. “È ormai evidente che l’amministrazione Trump non ha utilizzato i dati doganali per calcolare i dazi reciproci”, afferma Larry Summers. “Questa politica tariffaria non ha alcun senso, anche se si crede nel protezionismo”.

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Dazi, Meloni convoca vertice a Chigi. Poi spiega: “Non è catastrofe che tutti raccontano”

Nei palazzi di Roma, il ‘Liberation day’ after è frenetico. Dopo l’annuncio dei dazi di Donald Trump ai Paesi europei, Giorgia Meloni deve correre ai ripari. La premier annulla tutti gli impegni in agenda e convoca d’urgenza i ministri competenti a studiare una strategia per proteggere il Made in Italy da effetti potenzialmente devastanti. “Penso che la scelta degli Stati Uniti sia sbagliata, non favorisce né l’economia europea né quella americana, ma non dobbiamo alimentare l’allarmismo che sto sentendo in queste ore“, spiega in serata, in un’intervista al Tg1. “Non smetteremo di esportare negli Stati Uniti“, garantisce, pur ammettendo che “ovviamente abbiamo un altro problema da risolvere, ma non è la catastrofe che alcuni stanno raccontando“. Il ruolo dell’Italia è “portare gli interessi italiani, particolarmente in Europa“, ribadisce. Perché mentre si tratta con gli americani, osserva, “ci sono molte cose che possiamo fare per rimuovere i dazi che l’Unione europea si è autoimposta“. E sostiene che “forse una revisione del Patto di stabilità a questo punto sarebbe necessaria“.

A Palazzo Chigi arrivano il vice Matteo Salvini, con i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese), Tommaso Foti (Rapporti europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura). In videocollegamento da Bruxelles c’è l’altro vicepremier, Antonio Tajani, reduce da un nuovo confronto con il commissario al Commercio Maros Sefcovic.

Nell’incontro europeo, fa sapere la Farnesina, “i due hanno convenuto sulla necessità di mantenere un approccio fermo ma basato sul dialogo, volto ad evitare un’ulteriore escalation sul fronte commerciale”. Il piano prevede la diversificazione dei mercati dell’export. Solo per l’Italia, gli Stati Uniti valgono il 10%. Si guarda dunque a nuovi accordi commerciali con Paesi terzi, come i Paesi del Mercosur, l’India (dove Tajani andrà tra qualche giorno) e altre economie emergenti chiave nell’Indo-Pacifico, in Africa e nel Golfo. Ieri, il ministro degli Esteri ha annunciato anche la nomina del nuovo inviato speciale dell’Italia nell’Imec (il corridoio India-Medio Oriente-Europa) Francesco Maria Talò. Al Commissario, il ministro consegna la strategia per l’export italiano lanciata a Villa Madama qualche giorno fa per rafforzare la presenza delle imprese italiane in tutti i mercati in crescita. “Il mio disegno sarebbe quello di avere un mercato unico transatlantico, zero tariffe di qua e zero tariffe di là, quello sarebbe il modo migliore per sviluppare il commercio e rinforzare la posizione dell’Occidente“, confessa il titolare della Farnesina, che affida a Sefcovic la lista dei prodotti italiani su cui bisognerebbe intervenire per essere tutelati (“compreso il whisky e tutta la produzione vinicola”), nella trattativa che ci sarà all’interno dell’Ue in vista della decisione del Consiglio di lunedì in Lussemburgo. “Ci sono cibi – riferisce -, settori che riguardano il settore della gioielleria, le pietre preziose”. Insomma, “una lunga lista di una trentina di punti“.

Mentre il ministro degli Esteri è in riunione col commissario europeo, da Roma il leader del Carroccio però fa trasmettere una nota in cui continua a difendere la strategia di Trump e ad attaccare l’Europa: “Nelle ultime ore Matteo Salvini si è confrontato con il gruppo economico della Lega, ribadendo che se gli Stati Uniti hanno deciso di tutelare le proprie imprese, è necessario che l’Italia continui a difendere con determinazione il proprio interesse nazionale anche alla luce dei troppi limiti dell’Europa“, scrive il partito. Che nel tardo pomeriggio firma un’altra nota, più diretta ancora verso l’Ue: “Prima di pensare a guerre commerciali o contro-dazi che sarebbero un suicidio, l’Unione europea tagli burocrazia, vincoli e regole europee che soffocano le imprese italiane, azzerando il Green deal e il tutto elettrico“.

A riportare le intenzioni del governo dopo il vertice, però, è Urso rispondendo a un’interrogazione durante il question time al Senato. “Noi guidiamo il fronte delle riforme in Europa“, rivendica, elencando una serie di richieste del governo a Bruxelles. L’immediata sospensione delle regole del Green Deal che “hanno portato al collasso il settore delle auto“; un immediato “shock di deregulation” che liberi da lacci e lacciuoli le imprese; l’introduzione del principio del “Buy European“, speculare al Buy American; la preferenza in ogni appalto pubblico del Made in Europe; la finalizzazione di accordi di libero scambio con altre aree del mondo per mercati alternativi; una politica industriale come delineata nei documenti sulla revisione del Cbam. Questo è un pacchetto d’azione che proteggerebbe il tessuto imprenditoriale europeo senza entrare in scontro aperto con gli Stati Uniti. Perché, spiega l’inquilino di Palazzo Piacentini, “rispondere ai dazi su beni con altri dazi su beni aggrava l’impatto sull’economia europea“. Secondo la Bce i dazi americani avrebbero un impatto dello 0,3% sulla nostra crescita e le eventuali contromisure aggraverebbero l’impatto allo 0,5. Ma, avverte Urso: “Secondo altri istituti, l’effetto moltiplicatore negativo sarebbe ancora peggiore”. La prima regola, quindi, è “non farci altro male da soli innescando un’escalation di ritorsioni che scatenerebbe una devastante guerra commerciale“, spiega il ministro a Palazzo Madama. Occorre reagire “in modo intelligente, mantenendo la calma per valutare le conseguenze dirette e indirette e quindi la migliore risposta, tenendo anche conto che le misure americane differiscono in modo sostanziali: sarebbero pari al 20% per i beni europei ma ben maggiori per altri Paesi, in alcuni casi oltre il 50%”, scandisce. Nei prossimi giorni, il ministro incontrerà le associazioni di impresa per valutare con loro le possibili contromisure da prendere.

Domanda cautela anche Foti: “Dobbiamo capire se dietro questa iniziativa vi è una volontà di andare fino in fondo o di cercare, nazione per nazione, di riequilibrare una bilancia commerciale che nel caso degli Stati Uniti è pesantemente deficitaria rispetto a quanto viene esportato“, afferma. La prima risposta, ribadisce, la deve dare l’Unione europea e “certo non bisogna dare delle risposte di pancia”. In generale, per Foti, “più che scendere in una polemica serve fermezza e idee chiare su come si vuole agire, cioè la reazione deve esserci ma non deve essere una reazione di pancia, deve essere una reazione che suggerisce anche al nostro interlocutore americano che è meglio sedersi a un tavolo”.

Dazi, Meloni: “Dialogo, ma non escludere risposta adeguata”. Mattarella: “Ue sia compatta”

Col passare delle ore la tensione è sempre più palpabile. I dazi spaventano i mercati e rendono anche la risposta politica molto complicata. Il governo italiano ha scelto la via della prudenza, ripetendo con quasi tutti i suoi ministri l’invito a mantenere aperto il dialogo, ma ora la premier comprende che è arrivato il momento di prendere posizione. “Resto convinta che si debba lavorare per scongiurare una guerra commerciale” dice Giorgia Meloni, sottolineando che questo “non esclude di immaginare risposte adeguate a proteggere le nostre produzioni”.

La presidente del Consiglio lancia anche un messaggio (indiretto) agli storici alleati Usa: “Bisogna ricordare che sono il secondo mercato di destinazione, con un export salito del 17%: l’introduzione di nuovi dazi avrebbe risvolti pesanti e penso che sarebbe un’ingiustizia per gli americani”. Il tema è al centro delle agende delle varie cancellerie europee.

Lo dimostra il fatto che sia stato discusso anche nell’incontro al Quirinale tra il capo dello Stato, Sergio Mattarella, e il presidente della Repubblica di Estonia, Alar Karis, in visita ufficiale in Italia. Mattarella definisce l’inasprimento delle tariffe sulle importazioni un “errore profondo”, ma allo stesso tempo auspica “una risposta compatta, serena, determinata” da parte dell’Europa. Che lo scenario stia cambiando rapidamente lo si capisce anche dai toni usati dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Il quadro è particolarmente complesso, la sfida dei dazi mette alla prova i rapporti commerciali”, dice in aula alla Camera durante il question time. Il vicepremier domani sarà a Bruxelles, dove in programma c’è anche un incontro con il commissario Commissario Ue al commercio, Maros Sefcovic: “Dobbiamo avere un approccio pragmatico e dialogante mantenendo la schiena dritta. Se sarà necessario – spiega – dovremo avere una decisione che comporti reazioni a livello europeo” e con tempi decisamente diversi rispetto a quelli cui l’Ue ci ha abituato in questi anni: “Non si deve andare alle calende greche”, avverte Tajani. Che, assicura, discuterà di dazi con il vicepresidente Usa, JD Vance, durante la visita che farà in Italia dal 18 al 20 aprile prossimi.

Un suggerimento sulla contromossa più utile per rispondere alle scelte dell’Amministrazione Trump arriva dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “Alla Commissione Ue chiediamo di cogliere le nuove opportunità sui mercati globali, piuttosto che pensare solo a reagire ai dazi con altri dazi: cosa che aggraverebbe il peso per l’Europa”. L’idea è puntare su “accordi bilaterali di libero scambio” sulla scorta di quelli sottoscritti in passato con Cile, Canada, Corea del Sud e Mercosur, verso aree “di maggiore crescita che abbiamo definito e indicato: Messico, Indo-Pacifico, India, Malesia, Indonesia, Vietnam e Giappone”. Resta sulla strada della prudenza, invece, Tommaso Foti: “Meno alziamo i toni sotto il profilo delle parole e meglio è, la reazione non deve essere di pancia ma di ragione”, ammonisce il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione.

Nel governo c’è anche chi, come Francesco Lollobrigida, scommette che l’Italia non ne uscirà ridimensionata sui mercati. Di sicuro non quello agroalimentare: “L’apprensione di questi giorni non ci deve far dimenticare i record raggiunti in questi anni. L’Italia è una superpotenza in questo settore e saprà vincere qualunque sfida”, rasserena il ministro dell’Agricoltura. Anche se Coldiretti chiede di “fare prevalere il buonsenso ed evitare a tutti i costi un’escalation della guerra commerciale che avrebbe effetti disastrosi sulle economie europee e statunitense – avverte il presidente, Ettore Prandini – , dove i primi ad essere penalizzati sarebbero i cittadini e gli agricoltori di entrambe le sponde dell’Atlantico”. Mentre Confagricoltura chiede all’Europa una risposta “unita e allineata con la medesima strategia” per proteggere un export da circa 70 miliardi di euro. E la Cia-Agricoltori italiani teme che dazi al 25% “ridurrebbe fortemente la competitività delle eccellenze del Made in Italy”. Un danno che Uninimpresa stima complessivamente in 2 miliardi circa. In questo quadro si inserisce pure lo scontro politico. Perché le opposizioni accusano il governo di troppo immobilismo. Il Pd si schiera sulle posizioni di Mattarella: “I dazi americani sono un errore profondo – sostiene la vicepresidente dem, Chiara Gribaudo -. Trovo inquietanti gli effetti che ricadranno sulla nostra economia, ma è altrettanto inquietante il sovranismo di chi appoggia l’amministrazione Trump, lasciando l’Italia e l’Europa in questa situazione”. Per la Cinquestelle Chiara Appendino “Meloni minimizza”, quindi “è complice del disastro che sta facendo non tutelando le nostre imprese”. Dura anche Avs, che lancia la campagna ‘Trump tax’. Per Iv, invece, le differenti posizioni nella maggioranza di governo lasciano l’Italia “appesa”, mentre Azione non boccia la scelta della premier di dialogare con Washington, purché in accordo con l’Ue.

Con la minaccia dei dazi Usa, Confindustria abbassa stime Pil 2025 a +0,6%

L’Italia rallenta nel 2025 ma riprende slancio nel 2026 (+1%). A dirlo è il Centro Studi di Confindustria nel suo tradizionale Rapporto di previsione che fornisce una stima dell’impatto che la nuova politica tariffaria potrebbe avere sull’Europa. Nel documento vengono riviste al ribasso le stime della crescita del Pil 2025 a +0,6% da +0,9% previsto a ottobre 2024 a causa della spada di Damocle rappresentata dai dazi minacciati dall’amministrazione Trump.

Non possiamo pensare che non siano un problema per un Paese come il nostro – ha detto il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini – se stasera verranno applicati i dazi all’Europa sarà un ennesimo stop alle nostre imprese e alle nostre industrie“. Per questo, il numero uno di Confindustria invita l’Europa “a cambiare rotta” e ad aprire un tavolo di trattativa: “Serve negoziare tutti insieme, l’Europa deve essere unita per poter costruire un punto di negoziato, credo ci possa essere la possibilità di farlo”.

Perdere il mercato a stelle e strisce sarebbe esiziale, secondo Orsini: “Come Italia spediamo verso gli Stati Uniti 65 miliardi di prodotti italiani, con un saldo positivo di 42 miliardi. Quindi per noi è un grande problema perdere un mercato così importante”. Per questo motivo, Orsini ripete due espressioni “che ho utilizzato spesso negli ultimi mesi: una è ‘sveglia’, l’altra è ‘il tempo è finito’”. Il presidente si rivolge pertanto al governo italiano: “Abbia coraggio, serve fiducia. Abbiamo bisogno che ci siano politiche serie dell’Europa e un piano strutturale per l’Italia e per l’Europa”.

Da qui la proposta di un’apertura verso mercati alternativi, “come Mercosur e India che possono apprezzare i nostri prodotti”. Per l’Italia nel 2024 l’export di beni negli Stati Uniti è stato di 65 miliardi di euro, oltre il 10% del totale. Secondo il Rapporto, i settori più esposti ai dazi sono bevande, farmaceutica, autoveicoli e altri mezzi di trasporto. Le nuove tariffe su acciaio e alluminio al 25%, inoltre, porteranno a un calo medio di circa -5% dell’export di queste materie verso gli Usa, con un impatto macroeconomico minimo (circa -0,02% dell’export italiano di beni). Lo scenario peggiore “di un’eventuale escalation protezionistica, che comporti un persistente, invece che temporaneo, innalzamento dell’incertezza (+80% sul 2024), l’imposizione di dazi del 25% su tutte le importazioni Usa, comprese quelle dall’Europa, e del 60% dalla Cina e l’applicazione di ritorsioni tariffarie sui beni di consumo esportati avrebbe dunque un impatto cumulato negativo sul Pil“.

Ci sono poi alcuni fattori che agiranno in positivo, come il taglio dei tassi, la risalita del reddito disponibile reale totale delle famiglie grazie al progressivo recupero delle retribuzioni pro-capite, il buon contributo dei redditi non da lavoro, l’aumento dell’occupazione totale e il calo dell’inflazione, “sebbene gli ultimi due fenomeni si attenueranno nel 2025 e 2026”. Sul fronte dell’occupazione “nel 2025 e 2026 il ritmo di crescita dell’input di lavoro, misurato in termini di unità equivalenti a tempo pieno, è atteso riallinearsi con quello dell’attività economica (+0,5% e +0,7%, ritmo appena inferiore a quello dell’occupazione in termini di teste), contrariamente a quanto accaduto negli ultimi due anni. Ciò permetterà un miglioramento della produttività del lavoro, dopo i forti cali negli anni precedenti”. Sui conti pubblici, invece, il deficit pubblico “si attesterà al -3,2% del Pil nel 2025 e al -2,8% nel 2026, creando così le condizioni per l’uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo nel 2027”. 

Oggi è il giorno dei dazi di Trump, l’annuncio alle 22. L’Ue si prepara a “risposta forte”

E’ il giorno dei dazi commerciali del 25%, che saranno formalmente annunciati dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, questa sera alle 22. Le imposte riguarderanno alcuni beni Made in Europe importati nell’altra sponda dell’Atlantico. Per ora, acciaio, alluminio, automobili e componenti per auto, ma Bruxelles si aspetta che anche i semiconduttori, i prodotti farmaceutici e il legname finiscano sotto la scure del tycoon. Che, quasi ad aggiungere la beffa al danno, ha affermato: “Saremo molto gentili“, promettendo una “rinascita” dell’America e definendo, ancora una volta, il 2 aprile come “il giorno della liberazione” per gli Usa.

Intanto, però, nel Vecchio Continente, l’Unione europea non sembra vedere segnali di gentilezza dall’alleato storico e prova, piuttosto, a prepararsi a rispondere ai colpi. “Pensiamo che questo confronto non sia nell’interesse di nessuno“, ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nell’aula plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo. “Staremmo tutti meglio se potessimo trovare una soluzione costruttiva”, ma “allo stesso tempo, devo essere chiara: l’Europa non ha iniziato questo confronto. Non vogliamo necessariamente reagire, ma abbiamo un piano forte per farlo se necessario“, ha scandito. La risposta Ue si affila su tre pilastri: il negoziato con Washington, l’apertura ad accordi commerciali con altri Paesi, il potenziamento del Mercato unico. “Affronteremo questi negoziati da una posizione di forza – dal commercio alla tecnologia alle dimensioni del nostro mercato -, ma questa forza si basa anche sulla nostra prontezza ad adottare contromisure ferme, se necessarie. Tutti gli strumenti sono sul tavolo“, ha precisato la presidente.

E a tal proposito, nel dibattito, ha alzato il tiro il tedesco Manfred Weber, capo del Partito popolare europeo (Ppe) – famiglia politica di cui von der Leyen fa parte – sottolineando che se l’Ue ha “un surplus sui prodotti”, “gli Usa ne hanno uno sui servizi digitali” e “quindi se Trump si concentra sui beni europei, noi dobbiamo concentrarci sui servizi americani” dato che “i giganti digitali pagano poco alla nostra infrastruttura digitale, da cui traggono così tanto vantaggio“.

Bruxelles sa anche, come le ha insegnato la crisi energetica scatenata dalla guerra di aggressione della Russia all’Ucraina, che è preferibile guardarsi attorno e non fermarsi a una sola relazione economica. “Continueremo a diversificare il nostro commercio con altri partner“, ha specificato von der Leyen. “L’Europa ha già accordi commerciali in essere con 76 Paesi. E ora stiamo ampliando questa rete”, ha affermato citando quelli con Mercosur, Messico e Svizzera, la prima Clean Trade and Investment Partnership con il Sudafrica, l’obiettivo di chiudere con l’India entro l’anno e l’impegno in trattative con Indonesia e Thailandia. E, infine, “raddoppieremo gli sforzi sul nostro Mercato unico” perché “ci sono troppi ostacoli che bloccano le nostre imprese” e l’ex premier italiano “Mario Draghi ha ragione quando dice: ‘Le alte barriere interne sono molto più dannose per la crescita di qualsiasi tariffa’”. L’Unione cerca ancora un dialogo con gli Usa per una “soluzione negoziata” e si prepara a rispondere. Così come altri Paesi hanno già annunciato di fare. “Non ha iniziato l’Europa questo confronto”, ha ripetuto due volte von der Leyen. E forse anche un altro elemento inizia a essere più sentito: il pianeta è grande. “La crescita arriva dal Mercato Unico, ma anche dagli accordi commerciali. Dunque finalizziamoli”, ha ricordato Weber. “Quello con il Mercosur sta diventando un simbolo della nostra preparazione ad impegnarci con il resto del mondo”, “sta diventando un accordo anti-Trump”, ha sottolineato.

Dazi, Italia predica cautela e spera in retromarcia Trump. Tajani: “Usa non autolesionisti”

Il rischio è fare il passo sbagliato, ma le pressioni aumentano giorno dopo giorno. Dal 2 aprile i dazi imposti da Donald Trump dovrebbero essere effettivi e l’Italia potrebbe pagare un prezzo molto alto alle politiche del presidente degli Stati Uniti. Ma la parola d’ordine nel governo è prudenza, ben sapendo che l’onere della trattativa con Washington spetta all’Ue. Anche se l’uscita di Ursula von der Leyen sull’Europa pronta alla “vendetta”, poi corretta in “risposta”, non lascia tanto tranquilla Roma.

Per il vicepremier, Antonio Tajani, “una guerra commerciale non credo possa produrre effetti positivi anche per l’economia americana, sia per quel che riguarda il mercato delle auto, sia per quanto riguarda l’inflazione, perché se arriva, poi, la Fed come reagisce? Aumentando il costo del denaro”. Il ministro degli Esteri crede ancora nella forza del dialogo e del confronto, perché “non penso che gli americani vogliano essere autolesionisti”.

Non prende bene le parole della presidente della Commissione Ue nemmeno l’altro vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, anche se le concede il beneficio d’inventario stavolta. “Vendicarsi dei dazi di Trump? Se von der leyen ha detto così è stata una scelta infelice: vendicarsi e aprire guerre commerciali non fa l’interesse di nessuno, spero sia stata fraintesa e mal tradotta – dice il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti -. Fare la guerra agli Stati Uniti non è una cosa intelligente, le guerre su campo vanno risolte sul tavolo non con le vendette o controdazi”.

L’obiettivo dichiarato del leader leghista, semmai, è stringere ancora di più i bulloni dell’alleanza con gli States. Personalmente ci ha provato nei giorni scorsi, in un colloquio telefonico con il vice di Trump, JD Vance, col quale ha parlato di una missione con le aziende italiane Oltreoceano. Opportunità di cui potrebbero parlare di persone dal 18 al 20 aprile prossimi, perché proprio Vance ha in programma una visita a Roma – come segnala Bloomberg -, sebbene trapeli solo di una richiesta, quella di incontrare la premier, Giorgia Meloni. Ma se questa volta non sarà possibile il faccia a faccia, Salvini non ne farà un dramma: “Non posso inseguire le agende mediatiche. Io l’ho invitato a vedere le Olimpiadi, se venisse anche prima sarebbe un’opportunità incontrarlo”. Chi vivrà vedrà.

Nel frattempo c’è da risolvere la grana dei dazi. Che la strada da seguire sia il dialogo ne è convinto anche Adolfo Urso: “Dobbiamo scongiurare l’escalation che accrescerebbe il danno. Bene fa la Commissione europea a riflettere prima di reagire”. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy predica “cautela”, perché è meglio “aspettare le decisioni del presidente Trump, che spesso ha annunciato delle cose e poi ne ha fatte altre o comunque le ha commisurate”.

Posizioni, quelle degli esponenti di governo, che agli occhi delle opposizioni sembrano andare in senso opposto l’una dall’altra. Infatti, il fuoco di fila va dal Pd ai Cinquestelle, ad Avs e Italia viva. La partita sembra comunque ancora aperta e tutta da giocare, a patto che l’Europa assuma un ruolo da protagonista in un negoziato con gli Usa che si presenta tutt’altro che facile.