Pnrr, revisione non interesserà la difesa. Foti: “Entro novembre ottava rata sarà liquidata”

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza procede spedito. L’Italia ha presentato la richiesta di liquidazione dell’ottava rata, che dovrebbe saldata entro i prossimi due mesi. Il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le politiche di coesione, Tommaso Foti, lo annuncia durante il question time di questo pomeriggio alla Camera: “Ho ragione di ritenere, dalle interlocuzioni che ci sono state con la Commissione europea e segnatamente in primo luogo con la task force che segue il Pnrr per la commissione, che entro il mese di novembre l’ottava rata sarà liquidata”.

Le risorse erogate attualmente ammontano a circa 140 miliardi di euro, pari al 72% della dotazione del piano. A novembre dovrebbe essere del 79%. In Ue, i Paesi che hanno concorso al Pnrr hanno per il momento liquidazioni pari al 57%. Su traguardi e obiettivi, ad oggi, l’Italia è al 54%. La media dei Paesi europei è al 38%. La revisione, ha chiarito il ministro, non intaccherà alcun piano che riguardi salute, cultura, istruzione e sport, né anticipa una rimodulazione per quanto riguarda le spese della Difesa.

Ad oggi il Pnrr ha in attivo interventi finanziati pari a 447.065, sono stati conclusi 294.597 interventi conclusi, 28.128 sono in fase di conclusione e 106.214 i progetti in esecuzione. In tutto c’è il 96% di progetti pienamente attivi con un impegno di spesa di 148 miliardi. Al 31 agosto sono stati 86 i miliardi certificati, a cui vanno aggiunti 20 miliardi di quelli che sono gli strumenti finanziari e le facility. Per il ‘Piano un Giga’ invece, il cui bando “ha previsto due soli soggetti attuatori”, il ministro sottolinea come sia stato realizzato uno strumento finanziario “di entità modesta, che consentirà entro i prossimi due anni di raggiungere l’obiettivo”.

Su questo punto protesta l’opposizione. “Senza Pnrr non ci sarebbe nemmeno la misera crescita del Pil dello zero virgola – dice Antonino Iaria deputato M5S e componente della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni – il governo fa solo revisioni, come quella del ‘Piano un Giga’, dimostratosi fallimentare, con gestione opaca del lavoro svolto dal principale operatore Open Fiber”. Pronta la replica del deputato di Fratelli d’Italia, Grazia Di Maggio: “Iaria può stare tranquillo, il ministro Foti è stato chiaro: tutti i dati relativi al ‘Piano un Giga’ sono stati verificati ed entro due anni gli obiettivi del progetto saranno raggiunti. Lo strumento finanziario è stato creato proprio per raggiungere l’obiettivo previsto, di certo non per ridimensionarlo”.

Sulle polemiche per la revisione del Piano, Foti risponde invece snocciolando i dati dei vari Stati che rientrano nel Pnrr: Belgio con Pnrr da 5,9 miliardi e sette proposte di revisione, Germania con 30 miliardi e quattro proposte di revisione, Portogallo con 22 miliardi e quattro proposte, Finlandia con 2 miliardi e quattro revisioni, Irlanda con un miliardo e cinque revisioni, Repubblica Ceca con 6,4 miliardi e quattro proposte, Grecia con 40 miliardi e quattro proposte. Spagna con 163 miliardi e cinque proposte. “Noi, con 194 miliardi, abbiamo proposto cinque revisioni. Il rapporto tra entità dei Piani e numero delle revisioni – conclude Foti – parla da sè”. 

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Russia, Meloni: “Calpesta statuto Onu”. Crosetto: “A provocazioni risposta ferma e razionale”

(Photo credit: Palazzo Chigi)

La pazienza nei confronti di Mosca si sta esaurendo anche per l’Italia, che continua a sostenere la linea del dialogo, ma lancia un messaggio chiaro: la risposta alle “provocazioni” sarà compatta e logica.

A tre anni e mezzo dall’inizio del conflitto, dal palco dell’assemblea generale dell’Onu, Giorgia Meloni chiede alle nazioni unite di “riflettere” sulle conseguenze dell’aggressione. La Federazione Russa, membro permanente del Consiglio di Sicurezza, ha “deliberatamente calpestato l’articolo 2 dello Statuto dell’Onu violando l’integrità e l’indipendenza politica di un altro stato sovrano con la volontà di annetterne il territorio e ancora oggi non si mostra disponibile ad accogliere seriamente alcun invito a sedersi al tavolo della pace“, denuncia. La premier italiana parla di una “ferita profonda inferta” dalla Russia al diritto internazionale che “ha scatenato effetti destabilizzanti molto oltre i confini nei quali si consuma quella guerra“. Il conflitto in Ucraina, insomma, osserva la presidente del Consiglio, “ha riacceso e fatto detonare diversi altri focolai di crisi, mentre le Nazioni Unite si sono ulteriormente disunite“.

Le ultime violazioni dello spazio aereo della Nato da parte di aerei e droni russi sono per Guido Crosetto un campanello d’allarme che “non si può ignorare. Il ministro della Difesa comunica al Parlamento sugli attacchi a danno della Global Sumud Flotilla, ma non può non toccare il tema Russia. Gli eventi in Polonia e in Estonia sono una “specie di test, una sorta di provocazione” che richiede, scandisce, una “risposta ferma, razionale e coordinata“.

L’Italia, ricorda il ministro della Difesa, sin dalle prime avvisaglie, ha messo schierato quattro F-35, la batteria di difesa aerea Samp-T (che sarà mantenuta più a lungo del previsto) e un aereo radar fondamentale per la sorveglianza e la difesa aerea. E’ presente nel Baltico dal 2017 con la missione in Lettonia per “rispondere con determinazione al mutamento della postura russa”, precisa Crosetto. Oggi Roma è tra i principali contributori sul fianco Est con oltre 2000 militari, mezzi terrestri impegnati nell’attività di Forward Land Forces, caccia, Eurofighter, veicoli di comando e controllo, sistemi radar e difesa una presenza che, rivendica il ministro, “testimonia la serietà del nostro impegno nell’alleanza atlantica”.

La postura è “ferma, ma non provocatoria“, spiega, proprio perché l’obiettivo è di far sì che la situazione “non degeneri”, evitando di “cadere nella provocazione”, perché un’escalation avrebbe “conseguenze negative per tutti“. La strada da seguire per il governo quindi non è quella della paura, ma della responsabilità: “Difendere la pace significa essere pronti a proteggerla e oggi più che mai dobbiamo dimostrare che l’Europa e la Nato sono uniti, vigili e determinati“.

Intanto, sul fronte interno, l’esecutivo lavora a un piano nazionale per la protezione delle infrastrutture strategiche con sistemi anti-droni, già attivi nell’aeroporto di Roma: “È una risposta necessaria a una minaccia che oggi può non più essere solo convenzionale, ma anche ibrida e tecnologica“, riferisce Crosetto. Che ribadisce: “L’Italia e l’Europa non sono pronte ad affrontare un conflitto su larga scala, ma sono pronte a fare qualunque cosa per evitare un conflitto”.

Ponte Stretto, Mit risponde all’ambasciatore Usa: “E’ finanziato, non servono fondi Nato”

Il Ponte sullo Stretto di Messina è “già interamente finanziato con risorse statali e non sono previsti fondi destinati alla Difesa”. Al momento, l’eventuale utilizzo di risorse Nato “non è all’ordine del giorno e, soprattutto, non è una necessità irrinunciabile”. Il Ministero dei Trasporti e delle infrastrutture, guidato da Matteo Salvini, risponde all’ambasciatore Usa alla Nato, Matthew Whitaker, e assicura che “l’opera non è in discussione”.

Ieri, il diplomatico statunitense ha criticato il tentativo del governo italiano di far confluire l’investimento dell’infrastruttura nell’accordo firmato a giugno tra i Paesi Nato per alzare al 5%, entro dieci anni, la propria spesa militare. “E’ contabilità creativa”, ha spiegato Whitaker, per cui è fondamentale che l’obiettivo del 5% si riferisca “specificamente alla difesa e alle spese correlate”.

L’ambasciatore ha avuto conversazioni con vari Paesi “che stanno adottando una visione molto ampia della spesa per la difesa” e continua a monitorare la situazione italiana, anche grazie ai meccanismi di supervisione adottati dalla Nato. Non una buona notizia per il governo, che aveva pensato a questa soluzione per ammorbidire il proprio impegno nell’investimento.

Il Ponte – di 3.300 metri e destinato ad essere quello a campata unica più lungo del mondo – prevede un investimento di circa 13,5 miliardi di euro, secondo quanto approvato dal Cipess lo scorso 6 agosto. L’impegno preso dai paesi Nato sulla Difesa è invece composto da due voci: 3,5% di spese per armamenti e personale militare, 1,5% di spese per la sicurezza. Quindi anche infrastrutture generalmente utilizzate per scopi civili, che in caso di necessità possono essere utilizzate anche per fini militari.

La dichiarazione di Whitaker però incendia le opposizioni, su tutte i Verdi del leader Angelo Bonelli:Crolla la favola della strategicità militare”. Secondo il deputato ambientalista, “é un’operazione di ‘accounting creativo’, come l’ha definita l’ambasciatore Usa alla Nato”, “il Ponte è una grande operazione elettorale, non un’infrastruttura necessaria”. Sul piede di guerra il M5s, da sempre contrario ideologicamente all’opera. Per Agostino Santillo, vicepresidente della commissione ambiente alla Camera, “pure gli americani hanno capito l’ennesima fesseria di Salvini”, “il Ponte non ha alcun valore strategico militare”. Governo “sbugiardato dagli amici americani”, aggiunge la senatrice M5S Ketty Damante, segretaria in commissione Bilancio. “Non solo si buttano 13,5 miliardi sull’opera – sottolinea Pietro Lorefice, capogruppo M5S in Commissione politiche Ue al Senato – ma li si vogliono usare con una logica da furbetti del quartierino, ricorrendo cioè a trucchetti di bilancio. Che pena senza fine”. Per Anthony Barbagallo, capogruppo Pd in Commissione Trasporti alla Camera, “il centrodestra continua la narrazione del Ponte sullo Stretto usato come specchio per le allodole”. La vicenda investe totalmente il campo politico, anche perché tra poco si andrà al voto su una delle due sponde del Ponte. Il candidato presidente della Regione Calabria per il fronte progressista, Pasquale Tridico, rincara la dose: “La destra prende in giro gli italiani, gli Stati Uniti e la Nato non si sono fatti fregare da Salvini e soci. Il Ponte sullo Stretto non è una priorità dell’Italia, tanto meno dei calabresi e dei siciliani”. La replica è affidata a Claudio Durigon, vice segretario nazionale della Lega: “In Calabria l’unico che sta prendendo in giro i cittadini è il candidato del cosiddetto campolargo, Tridico. Il Ponte si farà e porterà investimenti, innovazione e posti di lavoro. I calabresi non si faranno fregare da chi, dal comodo pulpito di Bruxelles, cerca di fare l’unica cosa di cui è capace: gettare polvere negli occhi degli elettori”.

Difesa, nel 2024 spesa a 343 miliardi di euro in Ue: è record. E nel 2025 crescerà ancora

Nel 2024, la spesa totale per la Difesa dei 27 Stati membri dell’Ue ha raggiunto i 343 miliardi di euro, con un aumento del 19% rispetto al 2023, portandola all’1,9% del Pil. E’ quanto emerge dal report ‘Defence data 2024-2025’ della European Defence Agency (Eda). I dati stimati suggeriscono che nel 2025 gli Stati membri potrebbero superare la soglia del 2% fissata dalla Nato, raggiungendo i 392 miliardi di euro (a prezzi correnti, 381 miliardi di euro a prezzi costanti del 2024) o il 2,1% del Pil. Gli investimenti, spiega l’agenzia, hanno raggiunto un livello “record” nel 2024, superando per la prima volta la soglia dei 100 miliardi di euro e raggiungendo i 106 miliardi di euro. Hanno rappresentato il 31% della spesa totale per la difesa, la quota più elevata registrata dall’Eda dall’inizio della raccolta dei dati. Si prevede che la tendenza continuerà nel 2025, portando la spesa per gli investimenti nella Difesa a circa 130 miliardi di euro. “L’Europa sta spendendo somme record per la sua difesa, per garantire la sicurezza dei nostri cittadini, e non ci fermeremo qui”, spiega la responsabile della diplomazia dell’Unione europea Kaja Kallas, che presiede l’Eda.

I paesi europei hanno aumentato notevolmente le loro spese militari dall’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e, ancora di più, dopo l’invasione dell’Ucraina lanciata dal Cremlino nel febbraio 2022. I paesi della Nato, di cui fanno parte anche 23 Stati dell’Ue, hanno inoltre deciso di intensificare ulteriormente i loro sforzi, destinando almeno il 5% del loro prodotto interno lordo alla sicurezza nei prossimi dieci anni, di cui il 3,5% a spese strettamente militari. Per raggiungere quest’ultimo obiettivo “sarà necessario raddoppiare gli sforzi e spendere in totale più di 630 miliardi di euro all’anno” nell’Ue, dice André Denk, direttore dell’Eda.

Come negli anni precedenti, anche nel 2024 la spesa per l’acquisto di attrezzature di difesa è stata il principale motore dell’aumento degli investimenti complessivi nel settore, con 88 miliardi di euro, registrando una crescita record del 39% rispetto al 2023.  La spesa per la ricerca e lo sviluppo (R&S) è aumentata del 20% e ha raggiunto i 13 miliardi di euro nel 2024, segnando un forte aumento della crescita. Nel 2025 si prevede un ulteriore aumento della spesa, che raggiungerà i 17 miliardi di euro.

Le spese per la ricerca e la tecnologia sono salite a 5 miliardi di euro nel 2024. Si tratta di un forte aumento del 27% rispetto al 2023 e rappresenta il terzo più consistente registrato dall’Agenzia, dopo una crescita del 46% nel 2020 e del 41% nel 2021. Si prevede che questa tendenza porterà la spesa per la R&T a 6 miliardi di euro nel 2025. L’Eda osserva che l’aumento della spesa per la Difesa, insieme alla quota relativamente modesta degli sforzi di collaborazione nella spesa degli Stati membri, “evidenzia l’opportunità unica di sfruttare appieno le possibilità di collaborazione, avvalendosi delle possibilità di finanziamento dell’UE e migliorando così l’efficienza della spesa e l’interoperabilità dei sistemi d’arma nei paesi europei”.

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Difesa, Meloni studia potenzialità di Safe con le partecipate: “Strategia su investimenti”

Dario Borriello Archiviato (per modo di dire) il discorso dei dazi Usa, è tempo di riprendere il filo del piano industriale sulla difesa. I segnali che arrivano dall’Europa non si sono mai veramente interrotti e l’Italia deve prepararsi adeguatamente al nuovo corso continentale. Ragion per cui Giorgia Meloni riunisce a Palazzo Chigi i vertici delle società partecipate che saranno tra i player di questa partita.

L’Italia è tra i Paesi che hanno chiesto a Bruxelles di attivare il Safe, acronimo di Security action for Europe, lo strumento finanziario del piano Rearm/Readiness 2030 Ue, che prevede di raccogliere sui mercati finanziari fino a 150 miliardi di euro da destinare a chi sosterrà investimenti nella difesa, nelle infrastrutture a duplice uso, nelle capacità informatiche e nelle catene di approvvigionamento strategiche. Stando a quanto filtra dal governo, Meloni ha chiesto ai manager di “avviare un confronto nell’ambito delle recenti novità tese a dare priorità alla Sicurezza e alla difesa a livello europeo, al fine di tradurre in termini di occupazione e crescita gli strumenti messi a disposizione dalla Commissione europea, quali Safe ed Escape clause (clausola di fuga), che consente ai governi nazionali di assumere impegni di spesa nel settore senza incidere sul Patto di stabilità e crescita”. Ad ascoltare le richieste della premier, che al suo fianco aveva anche il vicepremier, Antonio Tajani, e i ministri della Difesa, Guido Crosetto, e naturalmente dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, c’erano i ceo delle più importanti aziende su cui lo Stato può contare in questa nuova transizione. Dall’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani, all’ad e direttore generale di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, poi i ceo di Cassa depositi e prestiti, Dario Scannapieco, e Invitalia, Bernardo Mattarella, e l’amministratore delegato e direttore generale del Gruppo Fs, Stefano Donnarumma.

Ciò che emerge dalla riunione è la necessità di “delineare una strategia che identifichi i principali punti sui quali investire, attivare più possibile investimenti dual use”, cioè che consentano di avere un ritorno anche sul piano civile, e “definire una compatibilità dei nostri investimenti con quelli attivati dai partner europei”. Il focus deve essere condotto con profondità, ma in tempi non troppo dilatati.

Le iniziative adottate in Europa non dispiacciono a Roma, soprattutto il Safe i cui debiti, soltanto pochi giorni fa, Giorgetti valutava “interessanti, perché sono più convenienti dei Btp, è una fonte di finanziamento alternativa per finanziare delle spese per la spesa di investimento della Difesa che in larga parte sono già previste e che sono già in itinere”. Sullo strumento ci punta molto la Commissione, che prevede di attivare almeno 127 miliardi di euro di potenziali appalti per la difesa. Una cifra invitante, su cui si sono accesi i riflettori dell’Italia che vuole valorizzare l’opportunità del Safe, così come altri 18 Stati membri, ad esclusione della Germania, che al momento non ha presentato manifestazioni di interesse. Non è detto che la situazione non possa cambiare nei prossimi mesi, motivo in più, per il governo, di accelerare e non rischiare di arrivare impreparato al momento clou. Che non dovrebbe essere poi troppo lontano.

Trump: “Armi a Kiev ma pagherà l’Europa. Mosca? Dazi al 100% senza accordo”

Armi, “le migliori del mondo”, a Kiev, ma “gli Usa non pagheranno nulla”, perché il conto andrà tutto all’Europa. Nel mezzo, tra le due sponde dell’Atlantico, c’è la Nato di Mark Rutte, il ‘ponte’ tra i due continenti. Il presidente degli Usa, Donald Trump, ha annunciato il suo piano per supportare l’Ucraina, flagellata da oltre tre anni di guerra (conflitto che era “di Biden, non il mio” e “se io fossi stato presidente non ci sarebbe stato”), ma ha assicurato che gli Stati Uniti non vogliono più “spendere tutti i soldi”. L’intesa è frutto di un accordo con l’Alleanza atlantica: “noi costruiremo delle armi all’avanguardia, le invieremo alla Nato” che, a sua volta le farà avere “ad altri Paesi” europei e “ci sarà una sorta di sostituzione”. Si tratta, ha spiegato Rutte, di un “numero molto elevato di equipaggiamenti militari”, in particolare attrezzature per la difesa aerea, missili e munizioni.

Un accordo che per il numero uno della Nato “è davvero una cosa importante” e “parte dal summit dell’Alleanza che ha avuto un grande successo”, definendo investimenti pari al 5% del Pil nelle spese per la difesa. L’Europa, ha detto Rutte “sta facendo il primo passo, sta entrando in gioco. Io ho contattato una serie di paesi come la Germania, la Finlandia, la Danimarca, la Svezia, la Norvegia, il Regno Unito, il Canada, tutti vogliono essere parte di questa iniziativa e questo è soltanto il primo contatto, quindi noi lavoreremo attraverso la Nato per far sì che gli ucraini abbiano quello di ciò di cui hanno bisogno”. I primi missili Patriot, ha assicurato Trump, “arriveranno a giorni” e serviranno perché “la Russia davvero li sta bombardando con molta forza”.

Almeno “quattro volte” ha spiegato il repubblicano, “ho pensato che l’accordo fosse vicino” e per questo “sono deluso dal presidente Putin”. Da qui la decisione di introdurre “dazi doganali secondari”, ovvero sui paesi alleati di Mosca. “Se non avremo un accordo entro 50 giorni, i dazi doganali saranno al 100%” ma “spero che non si arrivi a quel punto”, ha aggiunto. In sostanza, se non verrà definita “una pace duratura”, l’accetta delle imposte doganali Usa si abbatterà su tutto il sistema economico che ruota intorno a Mosca, nel tentativo di aumentare la pressione per spingere verso un accordo. “Se fossi in Putin – ha aggiunto Rutte – prenderei i negoziati più seriamente” di quanto fatto finora.

Nato, Leone XIV denuncia corsa al riarmo: “Come potete pensare che guerra porti pace?”

La denuncia di Leone XIV contro la corsa del mondo al riarmo è sempre più esplicita, le parole sempre più dirette.

All’indomani della decisione dei Paesi Nato di aumentare fino al 5% del Pil le spese per la difesa, il Papa risponde ai leader. A Donald Trump che definisce le bombe “magnifiche”, a Friedrich Merz che parla di “lavoro sporco” fatto da Israele per tutto l’Occidente, a Giorgia Meloni che in aula al Senato rispolvera il detto degli antichi romani ‘Si vis pacem, para bellum’ (se vuoi la pace, prepara la guerra) per spiegare la necessità di un approccio improntato alla deterrenza.

“Come si può credere, dopo secoli di storia, che le azioni belliche portino la pace e non si ritorcano contro chi le ha condotte?”, tuona il Pontefice ricevendo in Vaticano la plenaria della Roaco (Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali). Robert Prevost parla dei desideri di pace dei popoli “traditi” con “le false propagande del riarmo, nella vana illusione che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta”.

La gente però, avverte il Papa, è “sempre meno ignara” della quantità di soldi che vanno nelle tasche dei mercanti di morte e con le quali, ricorda, “si potrebbero costruire ospedali e scuole e invece si distruggono quelli già costruiti”. “È veramente triste assistere oggi in tanti contesti all’imporsi della legge del più forte, in base alla quale si legittimano i propri interessi”, sottolinea e rincara la dose: “È desolante vedere che la forza del diritto internazionale e del diritto umanitario non sembra più obbligare, sostituita dal presunto diritto di obbligare gli altri con la forza. Questo è indegno dell’uomo, è vergognoso per l’umanità e per i responsabili delle nazioni”.

Il cuore del Papa “sanguina” pensando all’Ucraina, alla situazione “tragica e disumana” di Gaza, e al Medio Oriente, devastato dal dilagare della guerra. Chiama l’umanità a valutare le cause di questi conflitti, a “verificare quelle vere e a cercare di superarle, e a rigettare quelle spurie, frutto di simulazioni emotive e di retorica, smascherandole con decisione”. Perché, insiste: “La gente non può morire a causa di fake news”.

Nato, Meloni: “Spese necessarie e sostenibili. Per 2026 non useremo escape clause”

L’aumento della spesa per la difesa è “necessario e sostenibile”. Giorgia Meloni lascia il vertice Nato all’Aja ribadendo l’adesione convinta alle richieste di Donald Trump e garantendo, ancora una volta, che “nemmeno un euro” sarà sottratto alle “priorità del governo e dei cittadini italiani”. La clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità, la cosiddetta ‘Escape clause’, nel 2026 non sarà necessaria (“poi chiaramente per gli anni a venire si valuterà”). L’alleanza è “compatta” e il sostegno all’Ucraina è “pieno da parte di tutti”. Quanto alla Spagna, che ha chiesto una deroga all’aumento delle spese fino al 5% del Pil: “Ha firmato lo stesso documento che abbiamo firmato noi”, taglia corto la premier.

Il contesto, spiega più nel dettaglio la presidente del Consiglio, necessita un aumento delle spese, ma in una dimensione che “ci consente di assumere questi impegni”. Meloni osserva che l’incremento dell’1,5% in 10 anni non è così distante dall’impegno che l’Italia ha già assunto del 2014 quando era dell’1%. Impegno poi ribadito da tutti i governi prima del suo. A questo si aggiunge un 1,5% di spese sulla sicurezza, risorse che, insiste, comunque l’Italia avrebbe speso, perché riguardano materie molto più ampie della questione di difesa: i confini, la migrazione irregolare, le infrastrutture critiche, la mobilità militare, ma anche l’intelligenza artificiale, la ricerca, l’innovazione tecnologica. “Sono risorse che servono a mantenere questa nazione forte come è sempre stata”.

D’altra parte, sul target del 5% la flessibilità è “totale”, assicura: “Abbiamo chiesto che su molte di queste spese fosse a totale discrezione degli stati nazionali di decidere cose ritengono una minaccia, perché le minacce che affronta una nazione che si affaccia sul Mediterraneo sono distanti anni luce da quelle sul mar Baltico. E lo abbiamo ottenuto“. Insomma, tutto sta nel capire su cosa si investe, perché “il mondo sta cambiando e cambia anche la difesa”, ricorda, Meloni: “Si va verso un mondo nel quale un satellite può essere più strategico di un carro armato”.

L’obiettivo resta comunque irrealistico per la leader dem Elly Schlein, che lo giudica anche “dannoso, sbagliato e grave”: “Con leggerezza Meloni ha deciso di impegnarsi, mentre il premier spagnolo ha dimostrato che si può dire di no”, denuncia la segretaria del Pd che poi affonda: “La premier non è in grado di dire no all’amico Trump”.

Sul sostegno all’Ucraina, inserito anche nel documento finale, dopo il vertice Meloni partecipa a un incontro con Volodomyr Zelensky e i leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito, con il Segretario Generale Rutte. “Sono stati approfonditi gli sforzi in corso e il sostegno all’azione degli Stati Uniti a favore del cessate il fuoco per un percorso negoziale che conduca ad una pace giusta e duratura in Ucraina“, sottolinea Palazzo Chigi, aggiungendo che ènecessario” che la Russia dimostri di volersi impegnare seriamente nei colloqui, “contrariamente a quanto fatto finora”. I leader ribadiscono il “continuo sostegno” a Kiev, alla sua autodifesa e alla sua industria della difesa, anche “a fronte dei brutali attacchi russi contro i civili, e il mantenimento della pressione sulla Russia attraverso nuove sanzioni”.

Archiviato, si spera, il capitolo Iran, ora l’attenzione del mondo torna su Gaza. Ma in questo scenario, assicura la premier, tutto è più semplice: “Penso che tutti capiscano che questo è il momento in cui bisogna riuscire ad ottenere il cessate il fuoco, quindi l’Italia è impegnatissima per ottenere questo risultato”.

Difesa, Nato in pressing per 5% Pil. Tajani cauto: 3% a spese militari e 2% a sicurezza

La Nato punta a un aumento delle spese militari e per la sicurezza ambizioso. Un impegno chiesto con insistenza dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sostenuto da Parigi e Berlino, al quale alla fine si apre anche l’Italia.

Adesso inizia una nuova fase, per arrivare al 5%” del Pil, conferma ai cronisti il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Non si tratta di essere guerrafondai, la sicurezza è qualche cosa di molto più ampio e si deve spiegare ai cittadini”, dice a margine della riunione informale dei ministri esteri Nato ad Antalya, in Turchia. “Vedremo quali saranno le richieste, si parla del 5% da raggiungere nel giro di alcuni anni. Vedremo quanti, vedremo quali saranno i criteri, come saranno divisi, parteciperemo alla discussione e vedremo“, ripete. Il vicepremier preferisce parlare di sicurezza piuttosto che di difesa, perché è un “concetto più ampio” e “più rispondente alla verità”, chiosa. In generale, propone, “l’Italia giudica “più equilibrato dedicare il 3% in spesa militare classica e il 2% alla sicurezza“.

Venerdì a Roma il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ospiterà il vertice E5 al quale parteciperanno anche i suoi omologhi di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito per discutere delle principali questioni strategiche, delle sfide in materia di sicurezza, del rafforzamento della difesa europea e del sostegno coordinato all’Ucraina.

C’è una sostanziale unità all’interno della Nato”, assicura Tajani, parlando anche di una “forte unità” all’interno del Quint, il gruppo decisionale informale composto dagli Stati Uniti e dal G4 (Francia, Germania, Italia e Regno Unito). In questo incontro ristretto, si è parlato soprattutto di Ucraina: “Tutti sosteniamo gli sforzi degli Usa per il cessate il fuoco, siamo orientati ad imporre sanzioni per costringere Putin ad affrontare il tema economico”, fa sapere, sostenendo che se il presidente russo “non avrà strumenti per pagare stipendi ricchi ai militari, dovrà per forza ridurne il numero e non potrà continuare ad avere una posizione così dura, cercheremo di accelerare i tempi per un cessate il fuoco”. “Sono convinto che all’Aia ci impegneremo a raggiungere un obiettivo ambizioso in materia di spesa”, riferisce il segretario generale della Nato Mark Rutte, al termine di un incontro dei ministri degli Esteri dell’Alleanza.

I 32 paesi della Nato si riuniranno alla fine di giugno all’Aia per decidere l’aumento, sotto la pressione degli Stati Uniti di Donald Trump. La Germania, prima potenza europea, si è dichiarata pronta a “seguire” il presidente americano. Lo sforzo è significativo. “L’1% del Pil rappresenta attualmente circa 45 miliardi di euro per la Repubblica federale di Germania”, ha ricordato venerdì scorso a Bruxelles il cancelliere Friedrich Merz. Secondo alcuni diplomatici, il capo della Nato vorrebbe che i paesi membri destinassero almeno il 3,5% del loro Pil alle spese militari in senso stretto entro il 2032, ma anche l’1,5% a spese di sicurezza più ampie, come le infrastrutture. Quest’ultimo obiettivo è più facilmente raggiungibile, in particolare per i paesi più in ritardo. “Potrebbe trattarsi di un obiettivo relativo alla spesa di base per la difesa, ma anche di un chiaro impegno sugli investimenti legati alla difesa”, come le infrastrutture, la mobilità militare, la sicurezza informatica, afferma Rutte.

Il ministro francese Jean-Noël Barrot lascia intendere che anche Parigi potrebbe allinearsi al 5%, a causa della minaccia russa ma anche delle richieste americane di una migliore ripartizione degli oneri di spesa. “L’obiettivo del 3,5% è l’importo giusto per le spese di base in materia di difesa”, sostiene. “Ma questo va accompagnato da spese che contribuiranno ad aumentare la nostra capacità di difesa, che non sono spese dirette per la difesa, ma che devono essere realizzate”, come la sicurezza informatica o la mobilità militare, osserva. Per altri paesi, invece, la strada da percorrere è ancora lunga. Alla fine del 2024, solo 22 paesi della Nato su 32 avevano raggiunto l’obiettivo del 2% di spesa militare fissato nel 2014 in occasione di un precedente vertice dell’Alleanza. Diversi Paesi, tra cui Spagna, Slovenia e Belgio, sono ancora molto al di sotto, ma hanno comunque promesso di raggiungerlo quest’anno. La Francia e la Germania hanno raggiunto l’obiettivo del 2% lo scorso anno. Solo la Polonia si avvicina al 5%, con una spesa militare del 4,7%.

Difesa, crescono le esportazioni di armamenti di Leonardo e Fincantieri

L’export italiano nel settore degli armamenti cresce del 35% nel 2024 trainato dalle vendite di Leonardo (il 27% del totale del fatturato all’estero in questo mercato) e Fincantieri (22%). Mentre si discute delle modalità per finanziare l’aumento della spesa dello Stato per la difesa, le vendite all’estero delle aziende italiane erano già in crescita nel 2024. E dovrebbero aumentare ulteriormente nel 2025 considerando il piano della Commissione europea sulla spesa militare.

Scorrendo i nomi delle aziende che hanno esportato di più, dopo Leonardo e Fincantieri, troviamo Rheinmetall Italia (6%) e Mbda Italia (6%). Si tratta di aziende molto grandi che spesso rappresentano solo l’interlocutore finale di una catena di medi e piccoli produttori specializzati in singole parti.

Questi dati emergono dalla Relazione annuale del governo al Parlamento “sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento”, presentata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. Il documento è richiesto dalla legge 9 luglio 1990, n. 185, che disciplina la normativa sull’export di armamenti dell’industria della difesa nazionale. Proprio per la natura del settore, per esportare o importare armamenti è necessaria un’autorizzazione da parte dell’Uama (Unità Autorizzazione Materiali d’Armamento) del ministero degli Affari Esteri. Ogni anno viene trasmesso dal governo al parlamento un report che analizza le statistiche relative proprio a queste autorizzazioni.

E’ possibile vedere anche quali sono le destinazioni degli armamenti italiani: al primo posto c’è l’Indonesia con 1,2 miliardi di valore nel 2024. Nel 2023 il Paese era al 35° posto, ma questo dato ha una spiegazione: l’acquisto di due pattugliatori di altura del Paese del Sud-Est asiatico siglato proprio nel 2024. Balzo in avanti in classifica anche per la Nigeria: è passata dal 16° posto del 2023 al 3° posto del 2024. Si mantengono, invece, stabili tra i primi 5 Paesi per le esportazioni italiane Francia, Regno Unito e Germania, in linea con la tendenza degli anni precedenti.

Nel report si parla anche di importazioni. Il valore complessivo nel 2024 è stato di 743 milioni di euro: il 24,76 % proviene dagli Stati Uniti d’America, mentre il 20% arriva da Israele, il 14% dalla Svizzera, l’11 % dal Regno Unito e l’11,57% dall’India. Il dato non comprende le importazioni da Paesi Ue perché in questo caso non servono le autorizzazioni previste per tutti gli altri Paesi.