L.Bilancio, Giorgetti resta su sentiero ‘prudenza’: Così calo realistico del debito

L’iter parlamentare della Manovra sta per entrare nella fase calda. Da lunedì a giovedì prossimi ci sarà un intenso ciclo di audizioni che termineranno con il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. L’uomo più ‘desiderato’ e ‘temuto’ in questa fase dell’anno. Il responsabile del Mef, però, rivendica ancora una volta il sentiero della “prudenza” intrapreso dal governo. “In questi due anni, la nostra azione è stata guidata, e continuerà a essere guidata, dall’obiettivo di ridurre le incertezze e trarre il massimo da ogni opportunità”, dice alla 100esima Giornata del risparmio.

Giorgetti spiega che “con questo spirito abbiamo recentemente approvato il Piano strutturale di bilancio, che in una logica di prudenza guiderà la politica fiscale dei prossimi anni” e “la legge di Bilancio realizza in pieno, per il prossimo triennio, gli obiettivi del Psb”. Un messaggio per le orecchie più fini, sia dell’opposizione che della maggioranza. Rinforzato dallo scenario che propone alla platea degli ospiti di Acri, tra i quali il capo dello Stato, Sergio Mattarella, il presidente dell’Abi, Antonio Pautelli, e il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta. “Un contesto politico stabile e una politica fiscale prudente stanno dando i loro frutti”, sottolinea il ministro dell’Economia. “Le ultime aste evidenziano che in nostri titoli di Stato godono di salute robusta, lo spread si è ridotto in modo significativo e i mercati e le agenzie di rating promuovono l’operato del governo”.

L’occasione è la Giornata mondiale del risparmio, quindi Giorgetti non si lascia sfuggire l’occasione per ribadire quanto sia necessario “completare l’unione bancaria”, perché “un’unione dei mercati dei capitali non potrà mai essere davvero compiuta se i principali operatori di mercato, le banche appunto, non potranno operare liberamente nel mercato Ue con dimensioni adeguate”.

L’Europa può attendere, però. Prima c’è da portare a casa la Manovra per il 2025. In questi giorni una delle polemiche più roventi ha riguardato il taglio di quasi l’80% al Fondo per l’automotive, che ha fatto balzare l’intero settore dalla sedia, come dimostra la presa di posizione dell’Anfia. All’associazione, però, risponde indirettamente il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, assicurando che “tutte le risorse possibili saranno destinate al sostegno della componentistica, affinché superino questa fase di transizione particolarmente difficile”. Per questo “valuteremo insieme al ministro dell’Economia, in questo percorso della legge di Bilancio, se sia possibile incrementare il fondo”. ‘Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio’ è, però, il motto delle opposizioni. Così Alleanza verdi e sinistra gioca d’anticipo e annuncia che presenterà un emendamento alla Manovra per il ripristino dei 4,6 miliardi al Fondo Automotive.

Restando in tema transizione green, Giorgetti apre anche il dossier Pniec, stimando in “oltre 174 miliardi di investimenti aggiuntivi accumulati tra il 2024 e il 2030” le azioni contenute nel Pniec. Un impegno che “richiederà un ruolo di primo piano per il risparmio privato”, spiega. Sebbene anche l’Ue dovrà fare la sua parte: “Per favorire la transizione siamo impegnati in Europa per un sistema normativo coerente e non gravoso, che accompagni durante il percorso di transizione, portando così a investimenti”, mette in chiaro il ministro.

Un passo alla volta, però. Da lunedì 4 novembre le commissioni Bilancio di Camera e Senato ascolteranno critiche e proposte dei vari player italiani. Nel primo giorno spazio, tra gli altri, a sindacati, Confindustria, ai costruttori di Ance e Confedilizia, artigiani, commercianti, associazioni del comparto agricolo, Asvis. Martedì 5 Inps, Anci, Upi, Regioni, Cnel, Istat, Corte dei conti, Bankitalia e Upb. Il 6 novembre Mediocredito e il 7 si tireranno le somme proprio con Giorgetti. Per una tranquilla settimana di… passione.

Meloni: “Legge di bilancio è seria”. Passa la linea dei ‘sacrifici’ per banche e assicurazioni

La terza Manovra del governo Meloni è in porto. Almeno quello del Consiglio dei ministri, dove passa la linea voluta dalla premier, Giorgia Meloni, e dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, quella del “sacrificio”, per usare le parole del responsabile del Mef, ma con un’intensità accettabile da Forza Italia. Nel 2025 toccherà a banche e assicurazioni, dalle quali il governo prevede di ricavare risorse per 3,6 miliardi andando a rivedere “alcuni meccanismi contabili, che sono particolarmente favorevoli”, spiega da Bruxelles la presidente del Consiglio. Sottolineando che al risultato si è arrivati “ascoltando e collaborando con le associazioni che rappresentano questi mondi”. D’altronde il doppio obiettivo del governo era “riuscire ad avere risorse da redistribuire su famiglie e redditi bassi e dare il segnale che le banche non sono avversari”.

Meloni mette in luce il fatto che in Cdm la legge di Bilancio ha ottenuto velocemente il disco verde, con la compattezza della maggioranza. Non a caso, infatti, ringrazia i suoi vice, Antonio Tajani e Mattei Salvini, e tutta la squadra dei suoi ministri. Anche perché dalla spending review dei dicasteri il Mef ricaverà altri 3,5 miliardi, che corrispondono in media al 5% delle spese correnti. “Sono molto orgogliosa e soddisfatta del lavoro che abbiamo fatto”, rimarca la premier, che farà una nuova conferenza stampa la prossima settimana, quando il testo sarà consegnato alle Camere: “E’ una manovra seria, di buonsenso, che concentra le non molte risorse a disposizione in quelle che noi riteniamo le priorità per la nazione. Ci concentriamo su lavoro, redditi, imprese, salute, famiglia, senza aumentare le tasse, pur in una situazione complessa, tenendo i conti in ordine”.

Tra i provvedimenti che lo stesso capo del governo definisce “salienti” c’è un altro “sacrificio”, da parte di “enti, soggetti e fondazioni a vario titolo che non sono esattamente figlie di ministeri, ma ricevono contributi a carico dello Stato – spiega Giorgetti -: saranno chiamate a rispettare alcune regole di buona finanza”, come l’adeguamento “degli organi di vertice, in termini omnicomprensivi di redditi percepiti all’interno di enti o società partecipate, a un tetto che abbiamo ritenuto equo, l’indennità percepita dalla presidente del Consiglio”.

Altro capitolo ‘caldo’ è quello delle accise, anche se la strada scelta è quella di un decreto a parte dalla manovra: “Nessuna stangata – replica alle accuse il ministro dell’Economia -, è un impegno europeo ma sarà gestito in base alle indicazioni del Parlamento nell’ambito del decreto legislativo fiscale che abbiamo approvato”. Per essere precisi: scenderà per la benzina, mentre salirà di 1 centesimo per il gasolio e la possibilità che produca gettito zero, in virtù di questo meccanismo, esiste.

Sul Catasto, poi, Giorgetti si toglie qualche sassolino dalle scarpe: “E’ uno degli impegni assunti nel Psb – spiega -. Non si tratta dell’aumento delle rendite catastali, ma di quello che, banalmente, è già previsto dall’ordinamento: chi ha usufruito del Superbonus deve fare l’aggiornamento delle banche catastali” oltre a un lavoro sulle cosiddette “case fantasma” per capire se esistono davvero oppure no. Tra le misure approvate ieri, poi, c’è “un decreto legge, molto snello, che mira ad anticipare 1 miliardo di finanziamento al contratto di programma della Rete ferroviaria italiana dal 2025 al 2024”, aggiunge il ministro.

Le reazioni delle opposizioni, però, sono tutte negative. Elly Schlein sceglie la linea dura: “Altro che tassa sugli extraprofitti e risorse per la sanità pubblica, è il solito gioco delle tre carte, come se gli italiani fossero stupidi”, tuona sui social la segretaria del Pd. Che prosegue: “Hanno annunciato di aver chiesto un grande sacrificio a banche e assicurazioni, ma a quanto pare si tratta solo della sospensione di detrazioni. Traduco: si tratta di anticipo di tasse già dovute da banche e assicurazioni, che saranno loro restituite puntualmente tra il 2027 e il 2029. Non ci faremo prendere in giro”. Parla di “presa in giro inaccettabile sugli extraprofitti” anche il capogruppo del M5S alla Camera, Francesco Silvestri. Per il portavoce nazionale di Europa Verde, Angelo Bonelli, “la tassa sulle banche nasconde un grande trucco, una vera grande presa in giro nei confronti degli italiani: si tratta semplicemente di un’anticipazione sulle imposte”. E Nicola Fratoianni (Avs) definisce quello Meloni un “governo di illusionisti”.

La legge di Bilancio non convince neanche la Cgil, che parla di “austerità selettiva” del governo: “Avendo deciso di non andare a prendere i soldi dove sono, per rispettare i parametri del nuovo Patto di Stabilità risulterà inevitabile tagliare risorse sia al welfare universalistico”. Dura la Uil: “I sacrifici richiesti colpiscono solo una parte della popolazione, mentre banche e assicurazioni, invece dell’extratassa sugli extraprofitti, più volte richiesta da noi, dovranno solo anticipare allo Stato contributi che, alla fine, verranno restituiti”, commenta la segretaria confederale, Vera Buonomo. Positivo, invece, il primo bilancio della Cisl: “Guardando a quanto anticipato dal Consiglio dei ministri, molti contenuti recepirebbero proposte avanzate dalla Cisl già da luglio. Se questi interventi fossero confermati, sarebbero passi in avanti innegabili”.

Un altro disco verde il governo lo guadagna da Confagricoltura, che “giudica positivamente alcune misure inserite nel disegno di legge di bilancio, in particolare la conferma delle misure di riduzione del carico fiscale a favore dei lavoratori dipendenti”. Dalla prossima settimana la partita si sposta tra Parlamento italiano e Bruxelles: si entra nella fase ‘hot’, con l’obiettivo di chiudere presto e senza troppe turbolenze, possibilmente.

Imprese in difficoltà: Urso convoca tavolo moda 6 agosto

La crisi sfila anche in passerella e investe il comparto moda, uno degli asset portanti del Made in Italy, chiamato come gli altri a rispondere alle nuove esigenze delle transizioni green e digitale.

Che esista una difficoltà di mercato per molte imprese lo conferma il ministro Adolfo Urso: “Ci hanno chiesto alcune misure, come la moratoria di un anno dei mutui, la sospensione di alcuni pagamenti, l’allungamento del rimborso dei finanziamenti garantiti da Sace e da Simest e poi altri interventi sul credito di imposta per l’innovazione“, fa sapere dal Fashion & Luxury Talk di Rcs Academy.

Il confronto con il Mef è in corso e allo studio c’è un pacchetto di aiuti per le imprese in “questa fase temporanea, nella certezza che la moda italiana ha un grande futuro davanti a sé“, scandisce. Le misure che, con il collega Giancarlo Giorgetti, Urso sarà in condizione di realizzare e le altre in programma per la seconda parte della legislatura saranno discusse nel tavolo della moda convocato per il 6 agosto.

Come il ministro ricorda sui social, l’industria della moda italiana si è fatta largo nel mondo, diventando “sinonimo di perfezione” nei dettagli, nella ricerca, nella raffinatezza, nell’eleganza e nello stile. Molti marchi stranieri vengono realizzati in Italia perché “tutti ci riconoscono questa capacità di creazione“, rivendica l’inquilino di palazzo Piacentini.

La contrazione del mercato è iniziata con la pandemia, ma le guerre alle porte dell’Europa l’hanno esacerbata. Nonostante questo, l’industria fashion italiana è la prima in Europa e rappresenta il 50% del fatturato europeo, spesso realizzato da piccole e micro imprese, impiegando circa 600mila lavoratori.

La doppia transizione richiede comunque investimenti importanti in innovazione e ammodernamento. Una delle sfide del settore è l’integrazione dell’Ia, per ridurre sprechi e ottimizzare i processi di produzione, oltre che un evidente adeguamento delle competenze. Per il comparto, il governo ha già predisposto un ‘Fondo speciale‘ previsto dal Ddl Made in Italy, con uno stanziamento di 5 milioni di euro per il 2023 e 10 milioni per il 2024. Il Piano Transizione 5.0 stanzia 13 miliardi a favore dei processi di digitalizzazione finalizzati alla sostenibilità green e di efficientamento energetico. Per formare nuove generazioni di lavoratori, è stato istituito il Liceo del Made in Italy e istituita la Fondazione imprese e competenze per ridurre il mismatch tra domanda e offerta.

Dl Superbonus diventa legge, ma su retroattività Confindustria chiede tavolo

Il decreto con l’ultima stretta sul Superbonus incassa il via libera definitivo alla Camera (150 sì, 109 no) e diventa legge. Una misura fortemente voluta dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti.

Tra le modifiche che erano state apportate in Senato, l’emendamento dell’esecutivo che aveva provocato lo scontro in maggioranza, con Forza Italia contraria, che introduce lo ‘spalma-crediti’ da quattro a dieci anni per le spese legate ai bonus edilizi con effetto retroattivo, a partire cioè da gennaio 2024.

Sul tema, interviene il neoeletto presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, che chiede un tavolo al governo: “Ci aspettiamo che le norme non siano retroattive”, avverte, spiegando che gli industriali sono d’accordo sulla chiusura della misura ma, rileva il nuovo numero uno degli industriali, “non possiamo pensare che accada dall’oggi al domani, facciamo almeno finire i lavori alle imprese”. “Sediamoci a capire insieme il percorso di uscita, in maniera costruttiva – l’invito -. Le imprese si devono poter fidare”.

Per il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, però spalmare in 10 anni le detrazioni sostenute da gennaio 2024 consentirà di “dare più respiro alla finanza pubblica, arginando i danni economici, frodi, illegalità e speculazioni che si sono avvicendati in questi anni, provocati dalla demagogia grillina“.

Il dl prevede anche lo slittamento dell’entrata in vigore della plastic tax dal primo luglio 2024 al primo luglio 2026 e lo slittamento per la sugar tax dal primo luglio 2024 al primo luglio 2025. Stop inoltre, a partire dal primo gennaio 2025, alla compensazione per banche e assicurazioni dei crediti da bonus edilizi con i contributi Inps e Inail.
È prevista anche una norma anti-usura per cui banche, assicurazioni e intermediari che abbiano acquistato i crediti a un corrispettivo inferiore al 75%, a partire dal 2025 dovranno applicare a queste rate la ripartizione in sei quote annuali.

A partire dal 2028 e fino al 2033, i bonus ristrutturazioni scendono dal 36% al 30%. Troppo poco, per il Partito Democratico: “Non comprendiamo quali strumenti la destra metterà in campo dopo aver demonizzato ogni detrazione edilizia e ridotto gli incentivi fiscali ai livelli degli anni ’90“, tuona in aula il capogruppo Pd in commissione Ambiente Marco Simiani, che chiede con urgenza un un piano “innovativo ed efficace” per i bonus edilizi futuri, regolati in base alle fasce di reddito e alla classe energetica. “Con la riduzione delle detrazioni al 30%, il Governo rischia di compromettere gli sforzi per una transizione verso edifici più sostenibili”, insiste, sottolineando la necessità di un approccio “più strategico e inclusivo“.

Con una dotazione da 35 milioni di euro per il 2025, viene istituito un fondo a favore di chi sostiene spese per interventi da Superbonus energetici e antisismici su immobili danneggiati dai terremoti che sono avvenuti a partire dal primo aprile 2009, diversi da quelli in Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria (che hanno già ricevuto altre sovvenzioni).
Con una dotazione da 100 milioni di euro per il 2025, poi, si istituisce un fondo per riconoscere un contributo a favore delle Onlus, delle Organizzazioni di Volontariato e delle Associazioni di Promozione Sociale per interventi di riqualificazione energetica e strutturale su immobili iscritti nello stato patrimoniale e utilizzati direttamente per lo svolgimento delle loro attività. “Siamo alla trentaduesima modifica in quattro anni, solo 13 ne sono state fatte in questa legislatura: un numero che genera il panico nel rapporto con i cittadini, con le imprese, perché chi vorrebbe fidarsi dello Stato capisce di non poterlo fare”, rileva la deputata di Azione-Per Valentina Grippo.

Tranchant la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Luana Zanella: “Ancora una volta governo e maggioranza segnano una distanza abissale rispetto al nostro ecologismo sociale e ambientale“, scandisce, denunciando la mancanza di idee della destra per “affrontare l’emergenza climatica, pensa di potersi sottrarre alla necessità di contrastare i cambiamenti climatici, magari proverà con erogazione una tantum o bonus a pioggia per incentivare opere che non risolveranno e non garantiranno il risparmio energetico”.

Tridico: “In Europa serve politica industriale, tassa unica e reddito di cittadinanza”

Dice Pasquale Tridico, capolista per il Movimento 5 Stelle alle elezioni europee nella circoscrizione Sud, ex presidente dell’Inps ed economista, che qualora dovesse venire eletto al Parlamento si “trasferirà a Bruxelles”. E, aggiunge, “la famiglia sarà con me. L’impegno deve essere nelle istituzioni europee, come fanno altri parlamentari francesi o tedeschi. Invece, molti nostri parlamentari considerano il Parlamento europeo un taxi con cui tornare più forti, per creare un partito o per affari che poco c’entrano con la posizione con cui si è eletti. Questo ha allontano i cittadini italiani dal voto europeo”.

Nel pieno della campagna elettorale, Tridico espone durante un #GeaTalk quali sono gli obiettivi che si dà come uomo di punta del Movimento nella corsa al seggio europeo. Racconta, ad esempio, che “dovremmo migliorare il mercato unico europeo, perché non si regge con questo dumping. Per cui l’Unione dovrebbe iniziare a pensare a una tassa unica sul capitale”. Ma non basta: “Poi iniziamo a fare un welfare dell’Unione europea”, spiega. E, tra le altre cose, cita un reddito di cittadinanza europeo che farà drizzare le antenne all’attuale esecutivo che quello italiano, di reddito di cittadinanza, lo ha appena cancellato: “E’ quello che vogliamo portare in Europa, un reddito minimo universale che sia un dividendo sociale per tutti i cittadini europei che stanno al di sotto della soglia di povertà relativa in tutti i Paesi membri. E questo verrebbe finanziato con una nuova fiscalità, che non è nuova, ma avremmo un bilancio comune più vicino al 5 per cento in modo che gli shock dei Paesi possano essere gestiti in modo comune. Quello che manca è la gestione comune della crisi, che abbiamo visto col Covid e non con le crisi finanziarie”.

Ad ascoltare ancora Tridico, “negli ultimi decenni nel nostro Paese vedo una follia, una tendenza a fare investimenti a scarso contenuto tecnologico. Si aprono bar e ristoranti a ogni angolo di città, che non portano produttività ma sfruttano il lavoro. Potrei fare esempi di altri tipi di investimento che non hanno una responsabilità sociale, ma che al contrario sfruttano il costo del lavoro e la flessibilità per galleggiare, per fare competizione”. Non basta, l’ex presidente dell’Inps va oltre: “Noi abbiamo bisogno di investire in automotive, nella frontiera delle tecnologie, per quello c’è l’esigenza di un grande piano industriale. Stiamo facendo morire le industrie, Melfi chiude, Mirafiori chiude, Stellantis delocalizza. Negli anni ’90 producevamo 1,8 milioni di veicoli all’anno, oggi ne produciamo 900mila, e questo rappresenta il declino industriale del Paese. Se questo è sostituito da bar e ristoranti non cresceremo mai”.

Garbato ma severo, Tridico. Sul Superbonus ‘sgrida’ il ministro Giorgetti: “Il Superbonus nasce nel luglio del 2020, nel febbraio 2021 il governo Conte cade, arriva il governo Draghi col ministro Giorgetti che fa i decreti attuativi al ministero dello Sviluppo economico. Abbiamo il governo Draghi dunque e dopo il governo Meloni, con ancora il ministro Giorgetti. Cioè, il Superbonus è gestito da tre anni e mezzo dai governi Draghi e Meloni con Giorgetti ministro. Possiamo dirne bene o male, ma con certezza possiamo dire che è stato gestito da Giorgetti, che si lamenta senza mai modificarlo”. Meno garbato, ma ugualmente severo in merito al Ponte sullo Stretto considerato “non sostenibile, non economicamente efficiente , non prioritario, inutile”. Perché spiega “dal Nord della Calabria al Sud della Calabria ci vogliono cinque ore e mezzo. Non c’è Alta Velocità, non ci sono strade adeguate. Se arrivo e passo il ponte in venti minuti, cinque minuti, un minuto, cosa me ne faccio? Qual è la priorità per noi calabresi? Passare il ponte in un minuto o avere strade che ad esempio collegano Reggio Calabria con Bari?”.

Rimandata Ursula von der Leyen (“Sulla pandemia ha fatto bene, dopo mi ha deluso”), non promosso Mario Draghi (“Ha contribuito a quella governance del passato, dalla Bce e poi da premier. Sono certo che alcune cose che ha scritto si possano e si debbano fare ma non si possono fare con le stesse persone che hanno contribuito a creare quella governance”), l’euro-ricetta sta nel libro che Tridico ha scritto con un titolo emblematico ‘Governare l’economia per non essere governati dai mercati’. Sostiene l’ex numero uno dell’Inps: “Noi non siamo un Paese in via di sviluppo, non possiamo fare competizione sul lavoro, ma sull’innovazione e la tecnologia. Il lavoro deve essere ben retribuito, ben qualificato, dignitoso. Questo vuol dire governare i mercati”. Il lavoro, sottolinea, “non va considerato un mercato come il carciofo, come il pesce, ma governare i mercati vuol dire governare l’economia, attraverso regole che partono dal mercato del lavoro: il salario minimo, il reddito minimo, i tempi di lavoro, la tecnologia, lo smart working e la produttività che deriva anche dalle competenze acquisite”.

L’ultimo passaggio è sul Green Deal. Che non ha funzionato, perché “ha bisogno di essere sostenuto dagli Stati. Se pensiamo che il costo debba essere supportato da agricoltori, cittadini e aziende, vuol dire che questa transizione non solo non avverrà mai, ma creerà dei ‘perdenti’. Fondi pubblici, perché siamo a un bivio”. In fondo, il ragionamento finisce sempre lì: “In Europa abbiamo avuto una legislazione che ha vincolato, con il divieto agli aiuti di stato le politiche pubbliche. Per questo abbiamo accumulato ritardi nella transizione. Dobbiamo capire che questa transizione deve essere guidata da grandi investimenti pubblici”.

Patto di stabilità, via libera dal Parlamento europeo. M5s: “Sfiduciato Giorgetti”

Spazio agli investimenti per la transizione verde e digitale, con la possibilità di non conteggiare ai fini del calcolo del deficit lo sforzo pubblico di spesa. Una flessibilità a cui fa da contraltare un percorso di risanamento dei conti serrato, preciso e non semplice per Paesi come l’Italia dall’elevato debito pubblico. L’Aula del Parlamento europeo vara la riforma del Patto di stabilità, confermando l’accordo inter-istituzionale raggiunto a febbraio. Un esito atteso, che non registra sorprese.

Le soglie di riferimento classiche non cambiano. Restano i tetti del 3% nel rapporto deficit/Prodotto interno lordo e del 60% nel rapporto debito/Pil perché incardinate nei trattati sul funzionamento dell’Ue. Cambia però il modo di considerarle. Al fine di garantire consolidamento di bilancio i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% dovranno ridurre ogni anno questo rapporto dell’1%, mentre per i Paesi con un deficit/Pil tra il 60% e il 90% dovranno tagliarlo di uno 0,5% l’anno. L’Italia dovrà dunque ridurre di un punto percentuale l’anno il proprio debito, al pari di Belgio, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna. Non solo. Come tutti l’Italia dovrà ridurre anche il deficit, perché passa l’altra cosiddetta salvaguardia, che prevede di creare margini di spesa preventivi. L’accordo prevede che anche chi non sfora il tetto del 3% deficit/Pil debba comunque ridurlo, per creare uno spazio dell’1,5% così da essere pronti in caso di shock, senza dover mettere sotto pressione i conti.

Il periodo di consolidamento viene fissato in quattro anni, con piani che ogni Stato membro dovrà presentare entro il 20 settembre 2024 . Questa traiettoria di rientro potrà essere però estesa fino a un massimo di sette anni, previa richiesta da parte gli Stati membri. La concessione di più tempo per ridurre il debito è condizionata a un piano di riforme e investimenti atti a migliorare potenziale di crescita e capacità di resistenza agli shock. Riforme e investimenti, nello specifico devono affrontano le priorità comuni dell’Ue, vale a dire transizione verde e digitale, sicurezza energetica, rafforzamento della competitivitàe, ove necessario, lo sviluppo di capacità di difesa”. I governi, nel presentare i loro piani, dovranno spiegare come saranno effettuati gli investimenti nei settori prioritari dell’Ue delle transizioni climatiche e digitali, della sicurezza energetica e della difesa.

Aver raggiunto questo compromesso è molto positivo”, sottolinea Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia. “C’è uno spazio di investimenti molto maggiore per le priorità dell’Unione europea”, vale a dire la doppia transizione. Insomma, “le nuove regole migliorano quelle attuali”.

Non sono di questo avviso però gli europarlamentari italiani. Nessuna delegazione vota a favore del nuovo Patto. Il Pd si astiene, “immagino più per ragioni di politica interna”, commenta Gentiloni. Gli esponenti dei partiti di maggioranza si astengono, salvo respingere la mozione che chiedeva di respingere l’accordo inter-istituzionale e affossare di fatto il nuovo patto. Democratici e 5 Stelle chiedono la testa del ministro dell’Economia. Con la loro astensione di FdI, Lega e FIsfiduciano di fatto il ministro Giorgetti che lo aveva negoziato in Europa”, incalza Mario Furore (M5S), mentre il capo delegazione dei dem, Brando Benifei, invita lo stesso Giorgetti a “trarre le conclusioni del caso”.

Ex Ilva, salta tavolo governo-Mittal: No aumento capitale e Stato al 66%

Il tavolo tra governo e Arcelor Mittal sul futuro ex Ilva di Taranto salta. La delegazione dell’esecutivo (i ministri dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, degli Affari Ue e Pnrr, Raffaele Fitto, delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, del Lavoro, Elvira Calderone, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano) propone ai vertici dell’azienda un aumento di capitale sociale pari a 320 milioni di euro e un aumento della partecipazione pubblica al 66%. ArcelorMittal, però, alza il muro e si dichiara indisponibile a qualunque impegno finanziario e di investimento, anche come socio di minoranza. Palazzo Chigi incarica Invitalia di “assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale” e convoca i sindacati il pomeriggio di giovedì 11 gennaio.

Un esito che “conferma quello che Fim, Fiom e Uilm hanno denunciato e per cui hanno mobilitato le lavoratrici e i lavoratori“, rivendicano le parti sociali, che ribadiscono la “necessità” di un controllo pubblico, data la “mancanza di volontà” del socio privato di voler investire risorse. I sindacati giudicano l’indisponibilità di Mittal “gravissima“, soprattutto di fronte alla situazione in cui versano i lavoratori e gli stabilimenti. Un atteggiamento che, denunciano, “conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese“. L’attesa, dall’incontro di giovedì, avvertono i segretari Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella, è che si arrivi a una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e si garantisca il “controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale“.

Se per il senatore di FdI, Matteo Gelmetti, il governo fa “finalmente politica industriale” e per il presidente dei senatori Dem Francesco Boccia mette in atto oggi “quello che il Pd chiedeva da tempo“, il risultato, per Angelo Bonelli di AVS, è lo “schiaffo di una multinazionale in faccia allo Stato italiano“. Nulla di imprevisto, ricorda: “Il suo modo di agire era noto nel mondo ancor prima che fosse scelta per rilevare lo stabilimento ex Ilva“. Lo Stato, è il timore, va incontro a una “esposizione economica di centinaia e centinaia di milioni di euro” che rischierà di dover versare ad Arcerol-Mittal, ed é a suo avviso “quello che la multinazionale ha sempre avuto in testa in questo contenzioso legale, che si sta delineando in tutta la sua drammaticità“.

Giorgetti: “La Manovra sarà complicata, non si può fare tutto. La parola chiave è sostenibilità”

La parola chiave è sostenibilità. A ripeterlo – più volte – è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, partecipando al Meeting di Rimini. Il responsabile del Mef, come suo solito, resta abbottonato, ma qualche indicazione la fornisce comunque. Linee di massima che, per un “decisore”, un “politico”, per usare le sue stesse parole, sono comunque messaggi. In primis alla sua maggioranza, ma anche all’opposizione, perché alle porte c’è il lavoro sulla prossima legge di Bilancio. Giorgetti non usa giri di parole: “Sarà complicata come tutte le manovre, siamo chiamati a decidere delle priorità, non si può fare tutto”. A buon intenditor, poche parole insomma. Perché “dovremo certamente intervenire a favore dei redditi medio bassi” con la decontribuzione per frenare gli effetti dell’inflazione, ma allo stesso tempo “dovremo anche utilizzare le risorse a disposizione per promuovere la crescita” e “promuovere e premiare chi lavora, siano essi lavoratori o imprenditori”.

Ed ecco il punto cruciale del suo ragionamento: la sostenibilità. Perché “nulla è gratis, quando si fa debito o deficit dobbiamo sempre pensare anche a questo concetto”. Il ministro passa in rassegna alcuni grandi cambiamenti, che ovviamente toccano anche l’economia, annotando che ad oggi gli strumenti di misurazione non sono adeguati. “Tutti gli indicatori a livello internazionale ed europeo fanno sempre riferimento a questo benedetto Pil, che noi sappiamo benissimo essere nato come una misurazione nazionale, ma si può gonfiare anche facendo spese totalmente assurde o spese pubbliche che non promuovano lo sviluppo economico”, dice con rimpianto.

Ma “è quello che abbiamo e che dobbiamo utilizzare”, aggiunge con un pizzico di rassegnazione. Non troppa, però, visto che il Prodotto interno lordo “non ci permette di cogliere fenomeni importanti”, come “il degrado dell’ambiente, che oggi è diventato veramente un tema centrale”.

Giorgetti consiglia di “non leggere” le soluzioni che si trovano sui giornali o nel dibattito quotidiano, dai quali “da qualche giorno le proposte più o meno corrette o strampalate fioccano”. Serve realismo, per questo motivo sostiene che “non c’è nessuna riforma o misura” legata alle pensioni “che tenga nel medio e lungo periodo” con la “denatalità che abbiamo oggi in Italia”.

Il responsabile del Mef parla anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche in questo caso chiarendo con molta precisione quale sia la sua visione. “Non c’è semplicemente il puntuale rispetto, il fare in fretta, ma anche fare bene”, sottolinea, e per questo garantisce che “la responsabilità del governo è massima, così come l’impegno”. Ma “se fare in fretta significa fare male, è meglio valutare attentamente le situazioni, perché è un’occasione unica per promuovere la crescita, lo sviluppo e anche la conversione di tante imprese nel nostro Paese”. Inoltre, “queste risorse che solo parzialmente sono gratis, mentre altre pagano i loro interessi, quindi non possono essere sprecate anche per questo motivo”. Ergo “devono essere usate nel modo migliore possibile”. L’antipasto d’autunno è servito alla tavola della politica.

Enel, l’assemblea approva la lista del Mef: Scaroni presidente

L’assemblea degli azionisti di Enel, che si preannunciava come una delle più turbolente, si risolve con molta più semplicità del previsto.

Gli azionisti tornano in presenza dopo tre anni, nell’Auditorium Parco della Musica di Roma. Il numero dei partecipanti è tutto sommato in linea con quello di sempre, il 65,003% del capitale sociale, in rappresentanza di 34 azionisti. Ma, per la prima volta, un fondo di minoranza, Covalis (1%), presenta una lista alternativa che trova l’appoggio del fondo petrolifero norvegese Norges e propone come presidente Marco Mazzucchelli. Anche Assogestioni (1,8%) però decide di presentarne una sua. Entrambe sono alternative a quella presentata dal ministero dell’Economia, che propone Paolo Scaroni come presidente e Flavio Cattaneo come amministratore delegato.

La lista del Mef incassa il 49,1% dei voti. Tutti e sei i suoi candidati entrano in consiglio: Fiammetta Salmoni, Scaroni, Cattaneo, Alessandro Zehenter, Johanna Arbib, Olga Cuccurullo. La lista 2, quella di Assogestioni, raccoglie il 43,49% delle preferenze e prende tre candidati: Dario Frigerio, Alessandra Stabilini e Mario Corsi. Nessuno spetta a Covalis, che prende soltanto il 6,9% dei voti presenti.

Votata la lista, l’elezione di Scaroni a presidente è un plebiscito: riceve il favore del 97,2% del capitale votante.

Non è la stagione dei gufi“, commenta a caldo il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. “Raggiunto un ottimo risultato – rileva -, migliore rispetto a tre anni fa, non semplice e scontato, che premia la correttezza e non la scorrettezza”.

Quando parla dei ‘gufi’, pensa anche ai Radicali, che fuori dall’Auditorium protestano sin dal mattino. Scaroni presidente dell’Enel, tuonano, è un pericolo. Distribuiscono volantini: “Dopo essere stato il migliore alleato di Gazprom; dopo aver sostenuto il gasdotto russo ‘South Stream’, che avrebbe tagliato fuori l’Ucraina, contro il gasdotto europeo ‘Nabucco’; dopo aver portato il nostro Paese a quantitativi record di gas importato e quindi a un massimo di dipendenza politica da Mosca; oggi uno dei principali responsabili del suicidio energetico italiano è stato designato dal governo Meloni alla Presidenza dell’Enel“, scrivono. “Scaroni ha portato avanti una serie di iniziative che hanno avvicinato l’Italia alla Russia“, ribadisce ai giornalisti il segretario, Massimiliano Iervolino, prima dell’assemblea. “Scaroni porta l’Italia nelle mani della Russia – denuncia -. Abbiamo obiettivi europei e italiani, raggiungere 70 GW di energia da fonti rinnovabili al 2030. Devono essere raggiunti anche grazie all’Enel e con Scaroni l’obiettivo si allontana, con questo tipo di nomina si va in direzione opposta“.

In assemblea, Covalis spiega la scelta di presentare una lista indipendente. Una scelta “non ‘contro’, ma ‘per’“, scandisce Fabrizio Arossa. “Per incoraggiare un dibattito aperto e trasparente a tutti gli azionisti Enel, per quella che Covalis conviene siano le condizioni ideali per far fiorire ulteriormente il dna internazionale dell’azienda“. La loro è una proposta di un consiglio indipendente che “guarda al futuro con un focus sull’accelerazione energetica ispirata agli standard internazionali. Per questo motivo, oltre a tre candidati di nazionalità italiana indicati, ne sono stati indicati uno di nazionalità statunitense e due di nazionalità spagnola“. Nulla contro il governo Meloni, tiene a precisare: “Covalis ribadisce comunque la fiducia nel sistema e nelle istituzioni italiane”.

Commosso il saluto di Francesco Starace, che esce da amministratore delegato dopo tre mandati alla guida dell’azienda. “Nove anni bellissimi“, giura. “Tutte le crisi che abbiamo affrontato si sono tramutate in opportunità“. In Enel da 23 anni: “Le ho dato tanto e mi ha dato molto, non nascondo l’emozione“. Sulla strategia adottata, rivendica tutto e non rinnega nulla. Nonostante le “turbolenze” degli ultimi anni, dalla pandemia di Covid alla guerra russo-ucraina, passando per l’intensificarsi degli eventi climatici estremi, la capacità di risposta dell’azienda ha dimostrato “resilienza“, afferma, tanto che dalla presentazione del Piano Strategico 2023-2025, lo scorso novembre, il titolo ha guadagnato il 21,3%.

Tutto, nel mondo, urla all’importanza di un sistema energetico affidabile ed Enel, ribadisce Starace, ha “sempre operato con l’obiettivo di tutelare i clienti, non registrando extraprofitti, al contrario in alcune parti del mondo internalizzando effetti negativi”.

Durante la crisi energetica, gli fa eco il presidente uscente Michele Crisostomo, l’Enel era “dal lato che ha subito, non cavalcato, la crisi, ma non ha mai mancato di proteggere famiglie e imprese con prezzi accessibili nonostante il contesto avverso. Un lavoro eccezionale“. Il gruppo si è sempre mosso per “l’indipendenza energetica” su due assi: “La decarbonizzazione e l’intensificazione dell’elettrificazione”, ricorda Starace. E’ così che la società, fa sapere, ha “garantito prezzi accessibili ai clienti nonostante l’estrema volatilità dei prezzi dell’anno scorso”. Sull’attenzione alle rinnovabili, Enel è stata “lungimirante e anche vorrei dire visionaria“, racconta l’ad uscente. “Ci abbiamo creduto molto, sappiamo che non è né la prima né l’ultima trasformazione industriale che abbiamo davanti, vediamo già i segni di quella che verrà dopo. Lo spirito critico che abbiamo ci ha permesso di affrontare con lucidità tutti i cambiamenti”.

Bollette, si va verso decreto legge urgente. Giorgetti: “Iva sul gas al 5% e bonus sociale”

Il prezzo del gas è sceso dopo il varo del price cap europeo, ma gli incentivi servono ancora perché l’emergenza rincari non è rientrata. Sulle bollette, infatti, si sta limando “un provvedimento di urgenza” sulle bollette, che dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri non più tardi della prossima settimana, forse già martedì, prima comunque del 31 marzo, data in cui scadranno le misure previste con l’ultima legge di Bilancio. Ne ha parlato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, durante il question time in Senato. Rispetto alle indiscrezioni circolate nelle ultime settimane non ci sono sostanziali novità. Il responsabile del Mef specifica che “le misure allo studio devono tenere conto delle risorse attualmente disponibili e avranno una durata temporale differenziata, anche in attesa del nuovo quadro economico che emergerà dal Def”, in arrivo ad aprile, e “del perfezionamento del dibattito relativo al RePowerEu e al Pnrr”, oggetto dei negoziati con la Commissione Ue.

In concreto, la direttrice su cui si sta muovendo l’esecutivo è quello di fornire ossigeno ai meno abbienti. “Considerato che i rincari energetici colpiscono in maggior modo le famiglie a basso reddito”, dice Giorgetti, sarà riproposto “il bonus sociale elettricità e gas per i nuclei familiari in condizioni di disagio economico o fisico con Isee fino a 15mila euro”, che ha una platea “di oltre 4,5 milioni di famiglie”. Inoltre, “è allo studio una misura che decorrerà dal 1 ottobre, con l’inizio dell’anno termico, e che consisterà in un contributo a compensazione delle spese di riscaldamento: sarà erogato tramite la bolletta elettrica” e non avrà limiti legati al reddito. Il ministro dell’Economia ribadisce che ci sarà la conferma “anche per il secondo trimestre 2023 della riduzione al 5% dell’aliquota Iva sul gas metano ad uso civile e industriale” rispetto al 10 o al 22%, in base alla tipologia del cliente. Ma anche un intervento “per la somministrazione di energia termica in esecuzione di contratti di servizio energia nonché per le forniture di servizi di teleriscaldamento”.

Per le aziende, poi, si pensa a “misure strutturali di sostegno per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale”. E “nelle more di questa riforma – prosegue Giorgetti -, nel prossimo trimestre è al vaglio un’ipotesi di rimodulazione delle misure già riconosciute nel primo trimestre, sotto forma di credito di imposta, che tenga conto dei livelli di prezzo dell’energia elettrica e di gas che si sono verificati negli ultimi periodi”. Sugli oneri di sistema, invece, si va verso la reintroduzione per quello che riguarda l’energia elettrica, che in compenso avrà altri benefici. Secondo le previsioni dell’esecutivo, comunque, la situazione comunque rimane sotto controllo.

Restando sul tema, non entra ancora nel dibattito il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’energia elettrica. Una misura di cui proprio la premier, Giorgia Meloni, aveva parlato in campagna elettorale come possibile intervento urgente da poter mettere in campo per ridurre il peso delle bollette, ma che in questi mesi non ha trovato spazio nell’agenda di esecutivo e Parlamento. Anche per attendere le mosse dell’Europa, che aveva individuato proprio questo provvedimento come una delle possibili opzioni per la riforma del mercato dell’energia elettrica, salvo poi depennarlo.