Al governo Meloni 8 vice e 31 sottosegretari, Gava all’Ambiente

La squadra c’è. Con la nomina avvenuta oggi in Cdm di 8 vice ministri e 31 sottosegretari, Giorgia Meloni completa il suo governo e ora può dedicarsi ai dossier più urgenti. In primis la Nota di aggiornamento al Def, che sarà nel prossimo Consiglio dei ministri, venerdì prossimo. Dove la premier spera di “discutere anche di energia“, oltre al fatto che in quell’occasione saranno assegnate le deleghe ai vari ministeri.

Tutti passaggi propedeutici all’appuntamento più importante per ogni esecutivo: la legge di Bilancio. Cosa non facile per la presidente di FdI, che avrà a disposizione una finestra davvero risicata per far combaciare tutte le tessere del puzzle. Infatti, non a caso, nella prima conferenza stampa dall’ingresso a Palazzo Chigi usa proprio un’espressione plastica: “Stiamo facendo una corsa contro il tempo“.

Entrando nel dettaglio, sono 18 le nuove figure di governo provenienti dalle file di Fratelli d’Italia, mentre la Lega ottiene 11 nomine, Forza Italia 8 e Noi moderati 1. Entra anche Vittorio Sgarbi, che sarà al ministero della Cultura. All’Ambiente e la sicurezza energetica fa il suo ritorno Vannia Gava, che riceve i galloni di vice del ministro Gilberto Pichetto Fratin: l’esponente della Lega era già stata sottosegretaria sia con Sergio Costa ai tempi del governo giallo-verde con premier Giuseppe Conte, sia con Roberto Cingolani con Mario Draghi alla guida di Palazzo Chigi. Nella squadra dell’ex Mite entra anche Claudio Barbaro, come sottosegretario, in quota FdI: romano, 67 anni, una lunga carriera come dirigente sportivo ma anche una buona esperienza politica. Entrato nel Consiglio comunale di Roma nel 1993 con il Msi, fu rieletto con An nel 1997; mentre dal 2008 al 2013 è deputato con il Pdl e dal 2018 al 2022 senatore prima con la Lega e poi con Fratelli d’Italia, dopo una breve parentesi al gruppo Misto. Al ministero dell’Agricoltura e sovranità alimentare saranno due sottosegretari ad affiancare Francesco Lollobrigida. Si tratta di Patrizio La Pietra, 61 anni, coordinatore di FdI per la provincia di Pistoia dal 2014, deputato nella legislatura 2018-2022, rieletto ma al Senato lo scorso 25 settembre; e Luigi D’Eramo, della Lega, classe 1976, deputato dal 2018 fino alle scorse elezioni politiche. Alle Infrastrutture e mobilità sostenibili Matteo Salvini avrà al suo fianco, come vice, Edoardo Rixi, altro leghista, fortemente voluto dal segretario federale a Porta Pia, e Galeazzo Bignami (FdI). In squadra, come sottosegretario, ci sarà anche Tullio Ferrante (FI), classe 1989, avvocato originario della provincia di Napoli, eletto deputato lo scorso mese di settembre per la sua prima esperienza parlamentare. Al ministero dell’Economia, poi, nessuna sorpresa: in quota Fratelli d’Italia Maurizio Leo è il nuovo vice ministro, che affiancherà Giancarlo Giorgetti assieme ai sottosegretari Lucia Albano (sempre FdI), Federico Freni della Lega, che resta dunque al Mef dopo l’esperienza con il governo Draghi, e Sandra Savino, new entry da Forza Italia. Al ministero delle Imprese e made in Italy, l’ex Mise, un vice ministro, Valentino Valentini (FdI), e due sottosegretari: Fausta Bergamotto (FdI) e il leghista Massimo Bitonci.

Il resto della squadra è composto da Edmondo Cirielli (FdI) vice ministro, Giorgio Silli (Noi moderati) e Maria Tripodi (FI) sottosegretari alla Farnesina; Emanuele Prisco (FdI), Wanda Ferro (FdI) e Nicola Molteni (Lega) al Viminale; Francesco Paolo Sisto (FI) vice ministro, Andrea Delmastro delle Vedove (FdI) e Andrea Ostellari (Lega) alla Giustizia; Isabella Rauti (FdI) e Matteo Perego (FI) alla Difesa; Maria Teresa Bellucci (FdI) vice ministro e Claudio Durigon (Lega) sottosegretario al Lavoro e politiche sociali; Paola Frassinetti (FdI) all’Istruzione e merito; Augusta Montaruli (FdI) a Università e ricerca; Gianmarco Mazzi (FdI), Lucia Borgonzoni (Lega) e Vittorio Sgarbi alla Cultura; Marcello Gemmato (FdI) alla Salute; Giuseppina Castiello (Lega) e Matilde Siracusano (FI) ai rapporti con il Parlamento. Alla Presidenza del Consiglio dei ministri arrivano, poi, 4 sottosegretari: all’Innovazione Alessio Butti (FdI), all’Attuazione del programma di governo Giovanbattista Fazzolari (FdI), all’Editoria Alberto Barachini (FI) e al Cipe Alessandro Morelli (Lega). Ora la palla passa al Parlamento, dove nei prossimi giorni, al massimo una settimana – suggeriscono i rumors – dovranno essere composte le commissioni di Camera e Senato, con relativi presidenti e uffici di Presidenza. Dopodiché il quadro sarà completo e toccherà ai dossier, soprattutto energia e bollette, prendere la luce dei riflettori.

La Russa presidente del Senato, ‘disagio’ FI sul governo. Cattaneo ipotesi Mite

La diciannovesima legislatura inizia con il turbo inserito. La macchina non si è nemmeno messa in moto che già finiscono per ingarbugliarsi le partite delle presidenze di Camera e Senato con quella per la composizione del nuovo governo. Si parte dall’unico dato certo: Ignazio La Russa è il nuovo presidente dell’assemblea di Palazzo Madama. Tutto come da copione? Assolutamente no. Perché l’esponente di FdI, che era sì il candidato praticamente ufficiale della coalizione di maggioranza, alla fine la spunta al primo turno solo grazie all’aiuto che arriva dalle opposizioni. Forza Italia, infatti, sceglie di non partecipare alla prima seduta per lanciare un segnale di “disagio” verso gli alleati e la premier in pectore, Giorgia Meloni, dai quali sono arrivati i veti per l’ingresso di Licia Ronzulli (una delle collaboratrici più strette del leader azzurro) nella squadra del nuovo esecutivo. Solo Silvio Berlusconi e Maria Elisabetta Alberti Casellati (presidente uscente del Senato) sono presenti e votanti. Ovviamente per La Russa, come “segnale di apertura“. Ma i voti a favore sono 116, ergo 17 non appartengono all’area di maggioranza, che poteva disporne solo di 99 effettivi in aula.

Da dove arriva il cadeaux? Gli occhi sono puntati sul Terzo polo, ma sia Matteo Renzi che Carlo Calenda rispondono in modo piccato di guardare altrove. Del resto, numericamente la truppa di Azione-Italia viva conta solo 9 membri, dunque ne resterebbero fuori altri 8 che potrebbero essere attribuibili tanto al Pd quanto al Movimento 5 Stelle. Tant’è che si scatena quasi subito la girandola di accuse reciproche tra esponenti dell’opposizione, con tanto di rivendicazione di aver lasciato in bianco la scheda nel segreto del catafalco. Comunque siano andate le cose, l’unico che sembra non farsi alcun problema delle dinamiche è proprio La Russa, che si presenta in aula con un mazzo di fiori per Liliana Segre, che ha diretto la prima seduta fino all’elezione del nuovo presidente. Che prende la parola subito, ringraziando tutti: chi lo ha votato, chi non lo ha votato, chi si è astenuto e anche chi non ha partecipato allo scrutinio. “Davanti a noi ci sono paure e preoccupazione dei cittadini che chiedono alla politica non solo di raccogliere le loro necessità, ma soprattutto di risolverle – dice la seconda carica dello Stato nel discorso di insediamento -. Penso all’inflazione, al caro energia, che sono un dramma per le famiglie e hanno innescato per molte imprese il conto alla rovescia, con il rischio più che concreto della chiusura. L’Italia non può, l’Italia non deve fermarsi“. C’è spazio anche per l’ambiente nelle sue parole: “Il rispetto per la natura e il pianeta sono imprescindibili per l’eredità che dobbiamo lasciare ai nostri figli“.

Ieri in serata, poi, La Russa sale al Quirinale per il rituale colloquio informale con il capo dello Stato, Sergio Mattarella. In un formato diverso dal solito, perché al suo fianco non c’era il nuovo (o la nuova) presidente della Camera, ruolo per il quale si dovrà aspettare il terzo scrutinio, in programma oggi a partire dalle ore 10.30. Perché mentre al Senato – sempre ieri – si apriva il ‘giallo’, a Montecitorio si riapriva la partita della Presidenza: inizialmente sembrava cosa fatta per il leghista Riccardo Molinari, poi nel corso della giornata l’orientamento si è spostato su Giancarlo Giorgetti e alla fine si è planati su Lorenzo Fontana. Tre nomi della scuderia del Carroccio, ma ognuno con una ‘geopolitica’ interna alla coalizione molto diversa. Giorgetti, infatti, sembra destinato a guidare il Mef, mentre Molinari sarà capogruppo alla Camera.

Da qui in poi l’intreccio raggiunge il prossimo governo Meloni. Perché Berlusconi non ha mandato giù i no a Ronzulli, dicendolo apertamente pur senza fare nomi: “Sinceri auguri a La Russa, Forza Italia ha voluto dare un segnale di apertura e collaborazione, ma in una riunione del gruppo è emerso un forte disagio per i veti espressi in questi giorni – verga il Cav in una nota -. Auspichiamo che vengano superati, dando il via ad una collaborazione leale ed efficace con le altre forze della maggioranza, per ridare rapidamente un governo al Paese“. Il messaggio è chiaro, la risposta invece non arriva. Almeno pubblicamente. Così come davanti alle telecamere questo “disagio” viene espresso proprio dal leader di FI, colto in aula, al Senato, pochi minuti prima dell’inizio delle votazioni, a parlare proprio con quello che ne sarebbe diventato il presidente. Berlusconi nelle immagini appare contrariato, tanto da battere anche la penna che aveva tra le mani sul foglio contenuto nella cartellina aperta sul suo banco. Gli scappa anche un ‘vaffa’: il labiale è chiarissimo quando viene passato al rallenty dalle televisioni.

Segno che qualcosa proprio non gli è andata giù di questi negoziati. Durante i quali l’ex premier ha presentato diverse richieste a Meloni. Alcune delle quali scritte di suo pugno sul foglio dove si è schiantata la malcapitata penna. Il Tg di La7 ha provato a ingrandire l’immagine, al punto che il direttore, Enrico Mentana, ha potuto scorgere, tra le varie caselle dei ministeri, che FI ha proposto Ronzulli per le Politiche Ue, il Turismo o i rapporti con il Parlamento. Gli azzurri vorrebbero anche il ministero della Transizione ecologica per affidarlo ad Alessandro Cattaneo, in grande spolvero in questa fase politica. Quale sarà il ‘raccolto’ di questa semina lo si capirà entro pochi giorni, perché le consultazioni al Colle potrebbero iniziare il 22 ottobre, al termine del Consiglio europeo sull’energia, al quale dovrebbe partecipare ancora Mario Draghi, che ieri sera ha avuto un incontro di oltre due ore e mezza, a Parigi, con il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron. Una visita “personale, molto cordiale e calorosa, espressione dell’amicizia tra i due leader” fanno sapere da Palazzo Chigi. Durante la quale “hanno avuto modo di discutere di vari temi, in particolare quelli in agenda al prossimo Consiglio Ue, tra cui l’Ucraina, l’energia e l’andamento del quadro economico“.

Una buona eredità per chi verrà dopo di lui. Transizione che, se tutte le caselle saranno al loro posto entro la prossima settimana, potrebbe essere anche molto rapida. Tutto dipenderà da questi ultimi, febbrili giornate di trattative: i giochi restano aperti, ma non troppo.

Draghi ringrazia i suoi ministri: Avete servito i cittadini al meglio

Voglio ringraziare tutti voi per il lavoro che avete svolto in questo anno e mezzo. Avete fronteggiato una pandemia, una crisi economica, una crisi energetica, il ritorno della guerra in Europa. Avete organizzato la campagna vaccinale, scritto e avviato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, approvato un numero enorme di misure di sostegno economico. Dall’organizzazione dei vertici G20 al sostegno immediato e convinto all’Ucraina, avete reso l’Italia protagonista in Europa e nel mondo. Il merito è del vostro entusiasmo, della vostra professionalità, del vostro spirito di collaborazione – tra voi, con gli altri organi dello Stato, con gli enti territoriali“. Lo dice il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel discorso tenuto oggi in Cdm, rivolto ai suoi ministri. “L’unità nazionale è, per forza di cose, un’esperienza eccezionale, che avviene soltanto nei momenti di crisi profonda. Mantenerla, come avete fatto, per molti mesi, richiede maturità, senso dello Stato, e anche un bel po’ di pazienza. I cittadini si aspettavano molto da voi. E voi li avete serviti al meglio – aggiunge -. Potete essere orgogliosi di quanto fatto, dei risultati che avete raggiunto, dei progetti che avete avviato e che altri sapranno completare“.

Tra qualche settimana, su questi banchi siederà il nuovo esecutivo, espressione del risultato delle elezioni che si sono appena tenute”, continua Draghi. Che conclude: “Vi rinnovo l’invito ad agevolare una transizione ordinata, che permetta a chi verrà di mettersi al lavoro da subito. Lo dobbiamo alle istituzioni di cui abbiamo fatto parte, ma soprattutto lo dobbiamo ai cittadini. I governi passano, l’Italia resta“.

Nel corso della riunione, il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento programmatico di bilancio per il 2023. In linea con l’approvazione della Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, che si limita all’analisi delle tendenze in corso e alle previsioni tendenziali per l’economia e la finanza pubblica italiane, il Dpb include le principali linee di intervento a legislazione vigente e i relativi effetti sugli indicatori macroeconomici e di finanza pubblica per il prossimo anno.

Meloni lavora alla squadra di governo: tra i nodi il Mite

La parola d’ordine è ‘metodo’. Il tempo stringe, i dossier sono tanti e ogni giorno diventano sempre più pesanti: il nuovo governo ha al massimo un orizzonte temporale di circa 30 giorni per nascere, non perdendo un giorno in più di quelli necessari per l’espletamento dei passaggi istituzionali. Ragion per cui il centrodestra, che ha una maggioranza autonoma sia a Montecitorio che Palazzo Madama, dovrà arrivare alle consultazioni davanti al capo dello Stato con le idee chiare. Il vertice tra i leader, Giorgia Meloni (alla quale con molta probabilità andrà la premiership), Matteo Salvini e Silvio Berlusconi è nell’aria anche se una data non è stata ancora fissata. Non è escluso che possano essere invitati anche i rappresentati di Noi Moderati: Maurizio Lupi, Giovanni Toti, Lorenzo Cesa e Luigi Brugnaro. Da più voci viene ventilata l’ipotesi che possa tenersi già in queste ore, al massimo per il fine settimana. Non è escluso che il Cavaliere atterri a Roma, aprendo le porte di Villa Grande agli alleati.

Serve una squadra pronta, parafrasando lo slogan di FdI in campagna elettorale. Meloni, però, chiede ai partner di buttare giù una rosa di nomi con profili specifici per i dicasteri chiave. Una volta che la lista sarà stilata, saranno scelti almeno due profili per ruolo da sottoporre al presidente della Repubblica. Ma qui si apre il cosiddetto toto-ministri. E, di conseguenza, la partita più politica, che la leader di Fratelli d’Italia sta provando ad affrontare con prudenza e pazienza. Consapevole che il tonfo della Lega sta aprendo (inevitabilmente) una crepa attorno alla segreteria di Salvini. Difficile che il Capitano, come lo chiamavano un tempo i suoi, torni al Viminale come invece spera. Appare più realizzabile uno scenario nel quale all’Interno ci vada l’attuale prefetto di Roma, Matteo Piantedosi. All’Economia è plausibile che possa essere scelto un ministro più tecnico ma comunque di area: Fabio Panetta sarebbe la persona giusta al posto giusto, ma nei mesi scorsi il suo nome è stato ‘bruciato’ da alcune indiscrezioni sui media. I rumors rimettono in campo anche Domenico Siniscalco, già responsabile del Mef per un anno ai tempi del terzo governo Berlusconi, ma le chances non sono alte. Nelle ultime ore circola anche un nome nuovo, quello di Carlo Di Primio, attuale presidente dell’Aiee, associazione italiana economisti dell’energia, che ha alle spalle ormai oltre 40 anni di esperienza nel settore energia e rinnovabili in posizioni di vertice di grandi aziende e associazioni internazionali.

Quello dell’Economia è un nodo che si intreccia con il futuro di Mise e Mite. Con il governo di Mario Draghi l’ex ministero dell’Ambiente ha cambiato la denominazione in Transizione ecologica, acquisendo la delega di peso all’Energia. Spetta a Meloni decidere se proseguire su questa linea o riportare le competenze in capo allo Sviluppo economico. Nella prima ipotesi, una conferma di Roberto Cingolani è esclusa dal diretto interessato, ma non da chi potrebbe riproporlo al capo dello Stato. Gli altri nomi che potrebbero finire nella rosa sono quello di Fabio Rampelli, anche se le dinamiche interne a FdI rendono la sua candidatura più ‘debole’ rispetto a quella, ad esempio, del responsabile Ambiente del partito, Nicola Procaccini. La futura premier vorrebbe tenere per i suoi un ministero pesante, su cui ha giocato buona parte della campagna elettorale, promettendo il disaccoppiamento dei prezzi di gas e rinnovabili o lo sviluppo di un hub europeo con base italiana dell’energia, sfruttando le potenzialità dei gasdotti che arrivano sulla sponda sud del Paese. Se, invece, volesse riportare le deleghe al Mise allora la partita si sposterebbe su via Veneto, dove la figura di Francesco Lollobrigida (in corsa anche per le Infrastrutture) o Guido Crosetto (papabile per sia per la Difesa, come Ignazio La Russa, sia come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) sarebbero molto più rassicuranti rispetto a quella del leghista Giancarlo Giorgetti. Che ha ottime chance di restare nella squadra, ma non dove FdI ha puntato le fiches più pesanti.

In questo secondo scenario, dunque col ritorno al ministero dell’Ambiente, potrebbe scalare posizioni il nome di Vannia Gava, responsabile Transizione ecologica della Lega, ma soprattutto sottosegretaria al Mite con Sergio Costa, ai tempi dell’asse giallo-verde, e con lo stesso Cingolani. A lei spetterebbero, in quel caso, i compiti di traghettare l’Italia verso l’obiettivo di emissioni zero al 2030 previsto dai trattati internazionali.

Altro punto cruciale sarà quello delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Per quel ruolo la Lega ha ottime possibilità di essere accontentata, con Gianmarco Centinaio in pole position, ma tenendo sempre aperto un canale per Massimo Garavaglia, che ha accumulato un bel po’ di esperienza (e punti) gestendo la delega al Turismo per Draghi. Non c’è solo il Carroccio da accontentare, perché Forza Italia si aspetta almeno 3, se non 4, ministeri. Almeno uno o due di quali con portafogli. Antonio Tajani è in lizza per la Presidenza della Camera (Roberto Calderoli al Senato), ma potrebbe tornare molto utile anche agli Esteri o ai rapporti con l’Unione europea. Soprattutto se Meloni deciderà di portare avanti il suo piano per fare il ‘tagliando’ al Pnrr, per la parte di progetti non ancora partiti.

Per ora si tratta di rumors, spifferi che passano nei corridoi dei palazzi romani della politica. Per verificare quante di queste voci si riveleranno attendibili, comunque, non passerà molto tempo. Perché è quello che manca all’Italia: l’orologio corre veloce e i problemi sono tutti lì, che aspettano di essere risolti.

Via libera al dl Aiuti ter: 14 miliardi per famiglie e imprese contro il caro energia

Altri 14 miliardi per combattere il caro energia. Con il decreto Aiuti ter approvato venerdì 16 settembre in Consiglio dei ministri sale a 60 miliardi il conto complessivo delle risorse messe in campo dal governo Draghi per far fronte alla nuova, stringente emergenza che sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese italiane. Confermato il bonus una tantum ai lavoratori, che riceveranno 150 euro a fronte di uno stipendio di 1.538 euro nella busta paga di novembre, anche autonomi oltre ai nuclei beneficiari del reddito di cittadinanza: nel complesso una platea di 22 milioni di cittadini. Rinnovata fino al quarto trimestre dell’anno anche la misura del credito di imposta: fino al 30 settembre al 25% per le imprese energivore, al 15% per le altre con consumo maggiore di 16,5 megawatt, mentre per ottobre e novembre la soglia sale al 25% per le aziende energivore e gasivore e al 40% per tutte quelle che consumano gas. “L’insieme degli interventi supera ampiamente un eventuale scostamento di bilancio di 30 miliardi“, dice Mario Draghi al termine del Cdm. Togliendosi anche qualche sassolino dalle scarpe: “A meno che non si pensi di farne uno ogni mese, le risposte all’emergenza sono state date“.

Il nuovo dl Aiuti, inoltre, stanzia circa 190 milioni di euro per il sostegno alle aziende agricole, con interventi per la riduzione dei costi del gasolio agricolo, dei trasporti e dell’alimentazione delle serre; rimpingua con altri 100 milioni il fondo per il Trasporto pubblico locale; elargisce contributi alle scuole paritarie per fronteggiare il costo dei rincari di energia; mette a disposizione 50 milioni in favore dello sport e 40 milioni per cinema, teatri e luoghi della cultura. Accolta anche la norma che prevede fondi da destinare al Terzo settore per le bollette. Nel testo ci sono, poi, 400 milioni per il Servizio sanitario nazionale, suddiviso tra Regioni e Province autonome per far fronte ai rincari nel settore ospedaliero, comprese le Rsa e le strutture private. Non restano fuori nemmeno gli enti locali, ai quali vanno 200 milioni di euro: 160 ai Comuni e 40 a Città metropolitane e Province. Il taglio delle accise sui carburanti viene, invece, prorogato fino alla fine del mese di ottobre, così come nel provvedimento è inserita la garanzia statale sui prestiti alle imprese in crisi di liquidità per il caro bollette, con accordi da sviluppare con le banche per offrire i prestiti al tasso più basso, in linea con il Btp.

Un altro passaggio importante è quello che riguarda il rigassificatore di Piombino. Tema su cui lo stesso Draghi si sofferma con toni decisi: “Il provvedimento prevede tempi rapidi e certi di installazione“, perché l’impianto galleggiante “è essenziale, è una questione di sicurezza nazionale“. Concetto ribadito anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, accanto al premier in conferenza stampa, assieme al ministro dell’Economia, Daniele Franco, e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli. “Sono proprio i territori a rendersi conto di quanto è cruciale la loro scelta, e a conti fatti non credo che si prendano la responsabilità di mettere a rischio la sicurezza energetica nazionale – sottolinea il responsabile del Mite -. Troveremo sicuramente un punto di arrivo, perché la posta in gioco è molto seria“. Ma non fa drammi se i tempi di installazione e avviamento dovessero dilatarsi di qualche settimana: “L’ipotesi è che fosse operativo a inizio del 2023, si sono persi un paio di mesi per i fatti che tutti conoscono, che poi si sono ripercossi sul piano che aveva fatto Snam per mettere la macchina. Non credo, però, che sia un problema preoccupante se avverrà a gennaio o ad aprile“.

Cingolani, chiamato in causa anche sul livello degli stoccaggi di gas, fornisce un particolare in più. Anzi, una novità: “Sulle quantità il lavoro governo ha messo in sicurezza l’Italia: siamo all’86,6%, l’obiettivo è arrivare al 90 entro fine ottobre“. Ma “ho firmato una lettera che dà incarico a Snam di andare un po’ oltre: se arrivassimo al 92-93% sarebbe meglio“. Restando in tema, in Cdm arriva il via libera a proseguire nella realizzazione di sei impianti eolici: 4 in Puglia, 1 in Sardegna e 1 in Basilicata. In questo modo viene superata la soglia dei 2.185 megawatt autorizzati dal governo, mentre nel complesso sono 45 gli impianti a cui è stato concesso il disco verde e altri 14 lo avranno successivamente. “Contiamo di autorizzarli nelle settimane che restano“, spiega Draghi. Per il capo del governo la “diversificazione energetica dal gas russo e verso le rinnovabili è essenziale per sopravvivere, purtroppo – aggiunge, facendo riferimento alle alluvioni nelle Marchelo vediamo concretamente con quanto è accaduto negli ultimi due giorni”. Dunque, “la lotta ai cambiamenti climatici è fondamentale“.

Con il decreto Aiuti ter dovrebbe esaurirsi anche la spinta propulsiva del governo uscente. Il 25 settembre si riapriranno le urne e a ottobre dovrebbe esserci il nuovo esecutivo. Che non sarà guidato da Draghi, o almeno così assicura il diretto interessato, al pari dei suoi ministri, Franco e Cingolani. Ma un consiglio a chi verrà dopo di lui lo lascia, implicitamente: “E’ importante che ci siano crescita ed equilibrio, occorre che il Pnrr, e gli investimenti associati al Piano, continuino; che le riforme, sia quelle che fanno parte del Pnrr sia quelle che non ne fanno parte, continuino. Quello è l’ambiente favorevole alla crescita. I governi possono al massimo creare e mantenere un ambiente favorevole alla crescita“. Un promemoria prezioso, per chiunque verrà.

Per il nuovo dl Aiuti 6,2 miliardi. Ma il voto in Parlamento slitta

Il nuovo decreto Aiuti potrebbe essere l’ultimo atto ‘di peso’ del governo di Mario Draghi. Il Consiglio dei ministri mette a punto la ‘prima fase’ dell’iter con l’approvazione, su proposta del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia, Daniele Franco, della Relazione al Parlamento che aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica sulla base di maggiori entrate, calcolate dal Mef in 6,2 miliardi di euro. Su queste risorse poggia l’impalcatura del provvedimento che servirà a contrastare gli effetti del caro bollette su famiglie e imprese, ma che l’esecutivo non potrà approvare prima della settimana prossima, dopo il via libera del Parlamento, che nel frattempo è fermo per una impasse tutta politica.

Lo stallo che si è generato a Palazzo Madama sul dl Aiuti di inizio agosto, infatti, fa slittare tutto il calendario. Il Movimento 5 Stelle chiede modifiche al testo per sbloccare la situazione della cedibilità dei crediti del Superbonus, di fatto alzando un muro sull’approvazione del testo, che le conferenze dei capigruppo di Senato e Camera sono costrette a rinviare l’approdo in aula, rispettivamente, a martedì 13 e giovedì 15 settembre. Il cambio di programma provoca nuove polemiche tra le forze politiche e la protesta di tre ministre, Elena Bonetti (Pari opportunità e famiglia), Mariastella Gelmini (Affari regionali) e Mara Carfagna (Sud), che vergano una nota congiunta infuocata. “Si tratta di un ritardo inaccettabile, del quale riteniamo debbano assumersi piena responsabilità le forze politiche che continuano a ostacolare in Parlamento l’azione del governo a favore dei cittadini“, scrivono. Rincarando anche la dose: “Questo atteggiamento irresponsabile tiene in ostaggio le imprese esponendole al rischio di chiusura e danneggia pesantemente la vita delle famiglie e dell’intero Paese“.

Nel nuovo decreto dovrebbero trovare spazio l’aumento al 25 della percentuale di prelievo sugli extraprofitti delle aziende energivore (con un allargamento anche a imprese di alcuni settori che hanno conseguito guadagni imprevisti dalla crisi), oltre alla rateizzazione delle bollette per le attività produttive, la Cig, la retromarcia sullo smartworking per i fragili e le misure di contrasto alle delocalizzazioni. Ma ci saranno nuovi interventi “anche in favore del settore agroalimentare, come sottolinea lo stesso Draghi in un messaggio inviato in occasione dell’evento organizzato a Roma da Coldiretti-Filiera Italia. Secondo quanto detto poche ore prima della riunione dal ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, ai microfoni di ‘24 Mattino‘, su Radio 24, “l’ordine di grandezza dovrebbe essere intorno ai 10 miliardi“, ma l’obiettivo di Palazzo Chigi sarebbe quello di mettere sul piatto fino a 13 miliardi, anche se già ad agosto le cifre sono state maggiori di quelle attese, nella stesura finale.

A proposito del Cdm, nel corso della riunione il premier ha rivolto l’invito ai ministri a preparare un ordinato passaggio di consegnevolto a fornire al nuovo governo un quadro organico delle attività in corso“. A coordinare le operazioni con i vari responsabili dei dicasteri sarà il sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli. Altro segnale che il tempo dei ‘saluti’ per del governo di unità nazionale è sempre più vicino.

orologio

Ora legale tutto l’anno? Benefici su salute e risparmi per 1 mld

E se l’ora legale venisse istituita per 365 giorni l’anno? Secondo la Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima) le conseguenze porterebbero a un miglioramento della qualità della vita delle persone. I benefici, infatti, ricadrebbero sulla salute umana oltre che sui risparmi economici dovuti alla riduzione della combustione di fonti fossili per illuminazione e riscaldamento. Questo perché, spiega la Società: “Il passaggio permanente all’ora legale consentirebbe di guadagnare un’ora di luce e calore solare ogni giorno e, considerati gli attuali prezzi del gas, determinerebbe nel nostro paese risparmi sui consumi di energia stimabili in circa 1 miliardo di euro solo nel primo biennio”.

L’adozione permanente dell’ora legale darebbe un notevole sostegno anche all’ambiente. Infatti, Sima calcola che “il risparmio energetico consentirebbe di tagliare le emissioni climalteranti per un totale di 200.000 tonnellate di CO2 all’anno”.

La richiesta da parte dell’Ente al Governo è chiara: istituire l’ora legale tutto l’anno, abbandonando l’obsoleto passaggio ora legale/ora solare. “La politica discute di razionamenti del gas alle imprese, ma dimentica che già dal 2018 il Parlamento Europeo ha approvato con l‘84% dei voti favorevoli l’abolizione dell’obbligo del cambio di orario due volte l’anno, lasciando di fatto liberi i vari Stati di scegliere se optare per l’ora solare o legale”, sottolinea il presidente Sima, Alessandro Miani.

Mario draghi

Autorevolezza e credibilità, il banco di prova del prossimo governo

Con l’autorevolezza viene il rispetto da parte degli altri”. Mario Draghi ha rivolto alla politica italiana un appello accorato nel suo discorso tenuto al Meeting di Rimini il 24 agosto. Ed è un appello che giunge da tante parti, al quale ci uniamo anche noi, naturalmente.

Stava introducendo un passaggio del suo discorso dedicato a Pnrr, definito “prova essenziale della nostra credibilità”. Su queste pagine ne abbiamo scritto più volte, ricordando anche, come ha fatto Draghi, che i governi europei con una scelta storica hanno deciso di tassare i propri concittadini per sostenere, in primo luogo, il risanamento e il rilancio dell’Italia, che riceve quasi la metà dei fondi del Piano nato con la pandemia.

Il governo Draghi ha fatto la sua parte, ha disegnato i progetti, ha rispettato i tempi conseguendo tutti gli obiettivi che si era prefissato. Ad alcune forze politiche questo non è bastato, anche tra quelle che lo hanno sostenuto ce ne sono che hanno fatto cadere il suo esecutivo. Ma lui, Draghi, sa quanto questo impegno sia importante per l’Italia, non solo sul piano della ripresa, ma proprio su quello della credibilità internazionale. E dunque ha assicurato che il suo governo sta lavorando per realizzare “il più alto numero possibile” di obiettivi prima del cambio di governo.

Perché Draghi sa che, qualunque sia il governo, una fase di rallentamento nei primi mesi potrà esserci. Ma soprattutto perché vede bene come la campagna elettorale potrà portare qualche forza politica a prendere impegni che potrebbero mettere in seria difficoltà la realizzazione del Piano.

L’Italia ha un disperato bisogno di riacquistare credibilità per ripartire, per ammodernarsi e camminare sulla strada della transizione ecologica, perché nessuno può farcela da solo, e in particolare il nostro Paese, ha ricordato il presidente del Consiglio, “non è mai stato forte quando ha deciso di fare da solo”. Il nostro posto, ha ribadito “è al centro dell’Unione europea e nel Patto Atlantico”. E lo è perché ne ha bisogno l’Unione, ma, ancor di più, perché ne ha bisogno l’Italia.

Rumors e smentite ma impazza il toto-ministri. Cingolani tra i più ‘contesi’

Il quadro delle alleanze non è ancora definito, i programmi non sono stati depositati, ma come ogni campagna elettorale che si rispetti torna il toto-ministri. Questa volta, a dire il vero, un po’ di ‘colpe’ se le deve prendere il leader della Lega, Matteo Salvini. Perché è stato proprio lui ad accendere la miccia, invitando i suoi alleati del centrodestra a definire prima delle urne almeno un’ossatura di squadra governativa nel caso di vittoria alle urne il prossimo 25 settembre. Finora né Fratelli d’Italia, né tantomeno Forza Italia hanno risposto all’appello guardandosi bene dal fare un passo che molti analisti politici definiscono quantomeno ‘azzardato‘. Soprattutto per una formazione, quella di centrodestra, che tutti i sondaggi danno in largo vantaggio rispetto agli avversari del centrosinistra e anche del centro. Anche perché queste due ultime aree sono ancora in fase di costruzioni, con percorsi visibilmente accidentati.

Se la prudenza non è mai troppa per chi fa politica, l’arte di osare e andare oltre le dichiarazioni di facciata è invece il compito degli osservatori. Soprattutto i media. I primi rumors, così, non tardano ad arrivare e riguardano Giorgia Meloni. Secondo ‘Repubblica‘, la leader di FdI, in un colloquio avuto con Mario Draghi subito dopo le dimissioni, si sarebbe informata con il premier uscente sulle caratteristiche di alcuni ministri. Addirittura chiedendo all’ex Bce consiglio su chi potrebbe essere un asset importante da mettere in campo in un nuovo esecutivo, magari a sua guida. La risposta sarebbe stata Roberto Cingolani e l’ex dg di Bankitalia, Fabio Panetta. Sarebbe, appunto. Perché fonti di Palazzo Chigi non si attardano a smentire il retroscena: “Sono fantasiose e prive di fondamento le ricostruzioni riportate da ‘La Repubblica’ in merito a presunti contatti telefonici del presidente Draghi con Giorgia Meloni, con particolare riferimento a consigli o suggerimenti su nominativi per la composizione della futura compagine di governo“.

La notizia, però, gira a ritmo frenetico. Qualcuno fa il ‘matching‘ con alcune dichiarazioni proprio di Meloni dei giorni scorsi, in cui esprimeva un giudizio tutto sommato positivo sull’azione del ministro della Transizione ecologica. Il diretto interessato non entra nella partita, né per confermare né per smentire. A suo tempo chiarì che non sarebbe stato candidato, tanto che giovedì 4 agosto, in Cdm, lo stesso Draghi ha indirizzato gli auguri di buone vacanze ai ministri non impegnati nella campagna elettorale. Cingolani compreso, che infatti ha ascoltato con un sorriso evidente il premier mentre raccontava questo aneddoto in conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio.

Il ‘problema‘, se così vogliamo chiamarlo, è che il rumors è arrivato fino a Lampedusa, dove Salvini è stato giovedì 4 venerdì 5 agosto. In un punto stampa qualcuno la domanda gliela fa. Prima risponde che non commenta i retroscena giornalistici, poi però qualcosa la dice. “Se Cingolani fosse a disposizione ne sarei ben felice: non penso abbia tessere di partito in tasca, però fra i ministri del governo uscente, anche se non ha nulla a che fare con la Lega, mi trovo bene“. Il tema che gli fa apprezzare di più il fisico prestato (temporaneamente) alla politica è il nucleare, su cui il responsabile del Mite è tornato più volte in questi mesi, soprattutto da quando è scoppiata la crisi energetica. Cingolani ne fa una questione teorica: studiamo, recuperando un gap più che ventennale, poi si vedrà. Il segretario del Carroccio, però, vorrebbe farne un punto programmatico: “Così come non si può più rinviare la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, non si può più rimanere tra i pochi grandi Paesi al mondo che non producono energia col nucleare di ultima generazione“.

Un pensiero diametralmente opposto a quello di Nicola Fratoianni, alle prese con la decisione se accettare o meno l’accordo con il Pd. Mentre i Verdi sembrano ormai pronti a firmare, Sinistra italiana sta ancora riflettendo, lasciando il cuore del M5S e di Giuseppe Conte aperto a una speranza, seppur flebile, di accordo. Condividere ‘casa‘ con Carlo Calenda è un problema per Si: a dividerli sono, tra le altre cose, le idee sul rigassificatore di Piombino, sul nuovo termovalorizzatore a Roma e, appunto, il nucleare. La sostanza della fase politica, però, è molto meno articolata rispetto alla discussione su fissione o fusione: al massimo, in vista del 25 settembre, c’è ‘solo‘ il rischio che qualche leader possa restare col cerino in mano.

Rinnovabili o nucleare? Ambiente al centro della campagna elettorale

Sul palco dell’assemblea di Coldiretti, giovedì 28 luglio, va in scena la prima, vera anteprima della campagna elettorale. A Palazzo Rospigliosi sfilano quasi tutti i leader: da Enrico Letta a Matteo Salvini, da Luigi Di Maio a Carlo Calenda, Giuseppe Conte e Antonio Tajani. Mancano solo Matteo Renzi e Giorgia Meloni, ma Francesco Lollobrigida fa comunque le veci del leader FdI. C’è anche Stefano Patuanelli, l’attuale ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, al quale la sala tributa un lungo applauso di ringraziamento che non lo lascia ‘indifferente’: “Si scaldano i cuori dei banchieri centrali, figuriamoci quelli degli ingegneri“, se la cava con una battuta che riprende quella di Mario Draghi alla Camera a poche ore dalle dimissioni. Il responsabile del Mipaaf elenca i risultati ottenuti in questi anni di collaborazione con i coltivatori diretti e si toglie pure qualche sassolino dalle scarpe. Con Calenda soprattutto, al quale lancia un messaggio: “L’agricoltura 4.0 è già una realtà e posso dire di averla fatto io, grazie alla legge di Bilancio 2019 quando ero al Mise. Se qualcuno ha il suo numero lo avvisi“.

Il suo collega di governo, ma ex di partito, Luigi Di Maio, sottolinea che l’esecutivo, seppur dimissionario, lavora a misure importanti “per abbassare ulteriormente il costo dei carburanti e delle bollette elettriche” e “sulla riduzione o azzeramento dell’Iva sui beni di prima necessità“. Perché oltre la politica c’è la vita di tutti i giorni: “Il prezzo del gas si determina ad Amsterdam, per ridurlo abbiamo bisogno del price cap, è un negoziato che cercheremo di portare ancora avanti ai tavoli internazionali. Le speculazioni hanno raggiunto livelli inimmaginabili“. Il ministro degli Esteri parla anche della strategia di approvvigionamento energetico, sottolineando che “il nemico delle rinnovabili non sono le big oil, ma la burocrazia“. Peraltro, a suo avviso, in una fase di emergenza come quella che viviamo, con il rischio che la Russia chiuda i rubinetti da un giorno all’altro, “dobbiamo utilizzare tutto ciò che possiamo per permettere agli italiani di non restare al buio e alle fabbriche di continuare a funzionare“, anche le cosiddette trivelle. Che poi è un ritorno alla produzione nazionale di gas.

Picchia duro, invece, Antonio Tajani. Il coordinatore di Forza Italia assicura che in Europa “combatteremo una battaglia fermissima a difesa del Made in Italy sul Nutriscore, notando che c’è “una bella differenza con il Nutrinform“. E’ “una questione di tutela della salute del cittadino italiano ed europeo“. Tajani, però, ne ha anche per il mondo ambientalista: “La proposta di Silvio Berlusconi di un milione di alberi in più è concreta, non pseudo-ambientalismo, fondamentalismo alla Greta Thunberg, abbiamo già la nostra religione, non abbiamo bisogno che ce la venga a imporre la nuova ‘papessa’ dell’ambientalismo“.

Per Enrico Letta, invece, “stiamo conoscendo cosa vuol dire una campagna elettorale che si apre in una condizione ambientale che ci obbliga di cambiare toni e contenuti“. Roghi, siccità e caldo soffocante, a detta del segretario Pd, “ci indicano la grande priorità e il grande tema: la salvaguardia dell’ambiente, del nostro territorio deve essere il cuore di tutto“. Infatti il leader dem mette tutti sull’avviso: “Se non siamo in grado, subito, di fare un piano invasi serio sarà un disastro. Il nostro Paese butta il 40% di acqua“.

Il leader della Lega, Matteo Salvini, poi, annuncia che in caso di vittoria del centrodestra alle prossime elezioni sarà istituito un ministero dell’Agroalimentare ad hoc. Ma allo stesso tempo rilancia un tema che, da anni, spacca in due il dibattito pubblico e politico: “Abbiamo bisogno di dighe, viadotti, energia nucleare pulita e sicura“. Ribadendo che alle urne ci sarà il confronto (o forse scontro) tra due concezioni diametralmente opposte: “Baderemo ai contenuti più che alle polemiche. La Lega è per il nucleare, la sinistra no. La Lega è per il terzo valico e la Gronda di Genova, la sinistra no“.

Sul palco della Coldiretti sale anche Conte. L’ex premier lancia messaggi al miele ai coltivatori diretti: “La nostra agenda economica è stata sempre attenta alle vostre esigenze” e “voi siete dei patrioti“. Il presidente del M5S affronta anche il tema della siccità, notando che “paghiamo la mancanza pluridecennale di una seria programmazione nella gestione delle risorse idriche” e dunque “dobbiamo lavorare sugli invasi, ammodernare quelli esistenti e rendere più efficiente la rete idrica promuovendo un uso responsabile dell’acqua“. Tocca anche il tema dei rincari dell’energia, ma lancia una stoccata all’Europa, perché a suo modo di vedere il rinvio a ottobre della discussione sul tetto massimo al prezzo del gas “non è un bicchiere mezzo pieno, è tutto vuoto. Non possiamo accontentarci, servono risultati“. Il clima di campagna elettorale è già rovente, e non solo per le temperature record.