L’Istat rivede al ribasso le stime dell’inflazione: ad agosto i prezzi crescono del 5,4%

L’Istat ha rivisto al ribasso le stime sull’inflazione di agosto. L’istituto di statistica stima che in questo mese l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività al lordo dei tabacchi, registri un aumento dello 0,3% su base mensile e del 5,4% su base annua, da +5,9% nel mese precedente (la stima preliminare era +5,5%).

La decelerazione del tasso di inflazione si deve prevalentemente ai prezzi degli energetici non regolamentati (da +7,0% a +5,7%), dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,6% a +5,8%), degli alimentari non lavorati (da +10,4% a +9,2%), dei servizi relativi ai trasporti (da +2,4% a +1,2%), dei beni durevoli (da +5,4% a +4,6%) e, in misura minore, degli alimentari lavorati (da +10,5% a +10,0%). Tali effetti, spiega l’Istat, “sono stati solo in parte compensati dalla moderata accelerazione dei prezzi dei servizi relativi all’abitazione (da +3,6% a +3,9%) e dall’attenuarsi della flessione degli energetici regolamentati (da -30,3% a -29,6%)”.
L’inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi rallenta ancora (da +5,2% a +4,8%), così come quella al netto dei soli beni energetici (da +5,5%, registrato a luglio, a +5,0%).

Si attenua la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +7,0% a +6,3%) e quella relativa ai servizi (da +4,1% a +3,6%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni a -2,7 punti percentuali, dai -2,9 di luglio. I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona registrano un ulteriore rallentamento in termini tendenziali (da +10,2% a +9,4%), mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto subiscono un’accelerazione (da +5,5% a +6,9%).

L’aumento congiunturale dell’indice generale si deve principalmente alla crescita dei prezzi degli energetici sia non regolamentati (+1,7%) sia regolamentati (+1,1%), dei servizi relativi ai trasporti (+1,2%), degli alimentari lavorati (+0,6%), dei beni durevoli (+0,4%) e dei servizi relativi all’abitazione (+0,3%); tali effetti sono stati solo in parte compensati dall’attenuazione dei prezzi degli alimentari non lavorati (-0,5%). L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,7% per l’indice generale e a +5,2% per la componente di fondo. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta dello 0,2% su base mensile e del 5,5% su base annua (da +6,3% di luglio), confermando la stima preliminare.

Per il Codacons questa fotografia si traduce in una maggiore spesa annua pari a +1.579 euro per la famiglia “tipo”, che sale a +2.046 euro annui per un nucleo con due figli. “Ciò che preoccupa di più, tuttavia – spiega il Codacons – è la crescita ancora sostenuta del carrello della spesa (che ad agosto si attesta a +9,4%) ma soprattutto degli alimentari, i cui listini salgono in media del +9,9%”. Il calo è stato per l’Unione Nazionale Consumatori “una goccia nel mare”. “Urge che il Governo – dice il presidente Massimiliano Dona – invece di far finta di intervenire con provvedimenti spot farlocchi come il trimestre anti-inflazione, bollato come tardivo anche dalle aziende della grande distribuzione, avendo già predisposto e fissato tutte le offerte promozionali fino alla fine dell’anno, intervenga sulle cause dell’inflazione, come carburanti e bollette della luce e del gas, che, come riporta l’Istat, sono le ragioni principali dell’aumento congiunturale”.

 

Istat: “Frena ancora l’inflazione, a luglio +5,9%. Carrello della spesa a +10,2%”

L’inflazione frena ancora a luglio, portandosi al di sotto della soglia del 6% (+5,9%), in un quadro di stabilità dei prezzi sul piano congiunturale. Secondo le stime dell’Istat, la dinamica, ancora fortemente influenzata dall’evoluzione dei prezzi dei beni energetici, riflette anche il rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei prodotti alimentari lavorati (che tuttavia restano su ritmi di crescita relativamente sostenuti) e dei servizi. Rallenta anche l’inflazione di fondo, che a luglio si attesta al +5,2%. In attenuazione, per il quinto mese consecutivo, risulta la dinamica tendenziale del “carrello della spesa”, scesa a luglio al +10,2%.

Ma per le associazioni non basta. Le famiglie sono ancora costrette a tagliare gli acquisti: “L’aumento di fondi del Pnrr con 2,5 miliardi destinati agli accordi di filiera, alla logistica e alle misure agricole è importante per salvare la spesa degli italiani anche di fronte ai cambiamenti climatici“, osserva Coldiretti. L’inflazione tendenziale a luglio vede comunque un aumento prezzi del +13,8% per la frutta e del +19,8% per la verdura con le produzioni Made in Italy colpite da alluvioni, grandinate e nubifragi intervallati da pesanti ondate di calore.

Un calo insufficiente, con il misurino“, fa eco Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. L’inflazione si abbassa, rileva, ma “le famiglie non se ne accorgono“. I prezzi, infatti, restano allo stello livello “lunare” di giugno, sia per l’indice generale che per i prodotti alimentari. “Anche a livello tendenziale il rallentamento dell’inflazione avviene con il contagocce, specialmente per le spese obbligate. I prodotti alimentari, infatti, passano da +11% di giugno a +10,7%, mentre il carrello della spesa resta a +10,2%, dal +10,5% del mese precedente. Insomma, il Governo farebbe bene a decidere misure serie contro l’inflazione e a prendere atto che l’accordo sul trimestre anti-inflazione è fallito miseramente“, lamenta.

La decelerazione del tasso di inflazione si deve, in prima battuta, al rallentamento della crescita tendenziale dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +4,7% a +2,4%), dei Beni energetici non regolamentati (da +8,4% a +7,0%), degli Alimentari lavorati (da +11,5% a +10,5%) e, in misura minore, di quelli degli Altri beni (da +4,8% a +4,5%) e all’ampliamento della flessione su base annua degli Energetici regolamentati (da -29,0% a -30,3%). Questi effetti sono stati solo in parte compensati dalle tensioni al rialzo dei prezzi degli Alimentari non lavorati (da +9,4% a +10,4%) e di quelli dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,6%).

L’inflazione acquisita per il 2023 rimane stabile a +5,6% per l’indice generale e si attesta a +5,1% per la componente di fondo. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) diminuisce dell’1,6% su base mensile, a causa dei saldi estivi di cui il NIC non tiene conto, e aumenta del 6,3% su base annua (in decelerazione da +6,7% di giugno); la stima preliminare era +6,4%.

Assoutenti denuncia il caro-estate: “Per il comparto dei trasporti e delle vacanze l’inflazione non solo non è in calo, ma risulta a livelli stellari – sostiene il presidente Furio Truzzi –. I voli nazionali rincarano in un solo mese del 9% (+9,1% gli intercontinentali) e crescono del +26,1% su anno, le tariffe degli hotel salgono del +19%, i pacchetti vacanza registrano +17%. Rispetto al mese precedente i traghetti costano il 6,1% in più”.

Una crescita dei prezzi nel settore vacanziero che porterà a quota +1,2 miliardi di euro la spesa degli italiani per le villeggiature tra luglio e agosto rispetto a quanto pagato lo scorso anno, e questo nonostante il taglio al numero di notti fuori casa.

Trimestre anti-inflazione su carrello spesa da ottobre: firmata intesa Mimit-Gdo

L’obiettivo è ridurre l’inflazione, che in questi mesi sta colpendo soprattutto i beni di largo consumo, dunque le fasce più deboli. Dal 1 ottobre prossimo, dunque, scatterà il ‘trimestre anti-inflazione’ sul carrello della spesa, frutto di un protocollo di intesa siglato oggi dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, con i rappresentanti delle associazioni della distribuzione moderna e del commercio tradizionale, che servirà a contenere i prezzi di alcuni prodotti, oltre a specifiche politiche di sostegno al settore. Tra i firmatari ci sono Federdistribuzione, Associazione nazionale cooperative dei consumatori Coop, Associazione nazionale cooperative fra i dettaglianti, Confcommercio-Imprese per l’Italia, Fiesa Confesercenti, Federfarma, Assofarm, Federazione farmacisti e disabilità onlus, Mnlf, Culpi, Federazione nazionale parafarmacie italiane e Unaftisp.

Entrando nel dettaglio, alla data del 10 settembre prossimo, assieme alle associazioni che hanno sottoscritto l’accordo, dovranno essere definite le modalità del trimestre, che durerà fino 31 dicembre. Il protocollo riguarda anche beni primari non alimentari come i prodotti per l’infanzia e prevede prezzi calmierati su una selezione di articoli che rientrano nel cosiddetto ‘carrello della spesa’ attraverso differenti modalità. Ad esempio prezzi fissi, attività promozionali sui prodotti individuati, o iniziative sulla gamma di prodotti a marchio come carrelli a prezzo scontato o unico. “Con il paniere calmierato siamo convinti di poter dare un definitivo colpo all’inflazione riconducendola a livelli naturali“, commenta Urso. Che, cita gli ultimi dati dell’Ocse, secondo i quali “l’inflazione in Italia nell’ultimo mese scende dal 7,6% al 6,4%, con un calo di 1,2 punti percentuali, maggiore a quello registrato nell’area Ocse dove l’indice dei prezzi al consumo si è ridotto in media dello 0,8%. Un trend consolidato – sottolinea – proprio grazie all’effetto del costante monitoraggio dei prezzi effettuato dal ministero, con i nuovi poteri conferiti dal decreto trasparenza di gennaio”.

Ma anche, riconosce Urso, “all’impegno già in atto della filiera della distribuzione e del commercio, che in questi mesi ha svolto un ruolo importante nel contenimento dei prezzi e nella tutela del potere di acquisto delle famiglie“. Per il responsabile del Mimit, però, “un contributo centrale in questo processo lo svolgono anche le associazioni dei consumatori, con cui condividiamo un percorso virtuoso nell’affrontare questa sfida”. Oltre al trimestre, il ministero delle Imprese e del Made in Italy istituirà anche un tavolo permanente che potrà coinvolgere altri dicasteri, con l’obiettivo di approfondire tematiche specifiche del settore della distribuzione moderna e del commercio tradizionale, per superare gli ostacoli che impediscono una maggiore efficienza nelle attività d’impresa. “La prima riunione si svolgerà entro settembre“, annunciato Urso.

Differenti le reazioni all’iniziativa. “Avevamo condiviso con il governo i contenuti di un protocollo anti-inflazione ed eravamo pronti a firmare, ma abbiamo dovuto prendere atto del no da parte dell’industria di trasformazione“, spiega il presidente di Federdistribuzione, Carlo Alberto Buttarelli. “Ciononostante – continua -, con grande senso di responsabilità, abbiamo deciso di proseguire il percorso già iniziato per trovare insieme alle istituzioni soluzioni concrete di contrasto all’inflazione, con l’obiettivo di tutelare le famiglie e la tenuta dei consumi“. Per l’Unione nazionale consumatori si tratta di “una sceneggiata”, tuona il presidente, Massimiliano Dona. “Un’operazione di marketing e di facciata fatta dal ministro Urso solo per poter dire agli italiani, attraverso spot su tutti i canali media, di essere intervenuto contro l’inflazione ma che è priva di qualunque impegno concreto e di effetti reali per le tasche degli italiani“, rincara la dose. Mentre Confapiapprezza il lavoro sinora svolto dal ministro e dal Mimit per cercare soluzioni che mitighino gli effetti dell’inflazione“, afferma il presidente, Cristian Camisa.

Fiesa Confesercenti, che partecipa all’accordo, sottolinea il ruolo fondamentale delle imprese della distribuzione, ma “allo stesso tempo – spiega il presidente Daniele Erasmi – ci aspettiamo un’operazione di monitoraggio su tutta la filiera, perché la distribuzione non sia lasciata sola ad affrontare la spinta dei prezzi. L’auspicio, anzi, è che l’intera filiera aderisca all’iniziativa”. Infine, Assoutenti plaude all’esecutivo, cui chiede di “mettere in campo ogni sforzo possibile, attribuendo più poteri a Mister prezzi e bloccando le speculazioni che si registrano in settori strategici e poco concorrenziali come carburanti, energia, assicurazioni e banche”. Ma, anticipa il presidente, Furio Truzzi, “contro produttori e industrie che si oppongono al paniere anti-inflazione stiamo valutando un esposto all’Antitrust, per la possibile fattispecie di cartello a danno dei consumatori”.

Bankitalia: 2023 a due fasi, prima la crescita poi lo stop. Restano rischi sul prezzo del gas

Il Pil italiano è cresciuto nella prima parte dell’anno, ma ora questo trend si è “sostanzialmente arrestato”. Anche i dati della Banca d’Italia confermano che il nostro Paese è in una fase molto particolare per l’economia, con un 2023 a due fasi. I dati raccolti nel terzo Bollettino economico di via Nazionale mostrano che nei primi tre mesi dell’anno “il Pil italiano è tornato a crescere dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, i consumi delle famiglie sono saliti, sospinti dal parziale recupero del reddito disponibile reale e da condizioni più favorevoli del mercato del lavoro, e gli investimenti totali, che hanno raggiunto livelli di oltre il 20% superiori a quelli del 2019, hanno continuato ad aumentare“. Ma allo stesso modo, da aprile a giugno c’è stata una evidenza frenata.

L’attività è stata sostenuta dai servizi (soprattutto quelli turistico-ricreativi)“, spiega lo studio, ma “la produzione manifatturiera è diminuita, frenata in particolare dall’indebolimento del ciclo industriale globale“. Dunque, “in attesa che lo stimolo derivante dal Pnrr si dispieghi pienamente“, l’attività sembra ridotta “anche nel settore delle costruzioni, risentendo della graduale attenuazione degli effetti degli incentivi fiscali legati al Superbonus 110%“. Almeno in questo quadro un aspetto positivo c’è, perché secondo le valutazioni di Bankitalia, anche se “su un insieme ancora limitato di dati“, l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna lo scorso mese di maggio “pur avendo conseguenze rilevanti sull’economia locale, non ha avuto un impatto significativo sulla crescita del prodotto dell’Italia nel complesso del secondo trimestre“.

Altro capitolo delicato è quello relativo all’energia e riguarda tutta Europa, dunque Italia compresa. Ad oggi lo scenario è quello di un costante trend di calo dei prezzi di gas naturale al Ttf, la borsa di riferimento. Nella prima settimana di luglio è arrivato a toccare una quota poco inferiore ai 35 euro per megawattora, una cifra decisamente migliore dei circa 50 euro/Mwh di fine marzo. Merito del livello di stoccaggi molto ampio, combinato all’andamento moderato dei consumi industriali e l’abbondante offerta di Gnl a livello globale. Ma guai ad abbassare la guardia, avverte la Banca d’Italia, perché “i rischi che gravano sul prezzo del gas per la prossima stagione invernale rimangono non trascurabili”. Restando in tema, sono molto positive le cifre disavanzo energetico, che nei primi tre mesi del 2023 “si è dimezzato“, arrivando al 3,6% del Pil, “grazie alla forte riduzione del valore delle importazioni (da 8,6 a 4,6 miliardi di euro)”.

Nel primo trimestre 2023, poi, la progressiva riduzione dei prezzi dell’energia e dei beni importati ha determinando un “calo dei costi variabili per unità di prodotto dell’1,6%” rispetto al trimestre precedente, mette in luce il Bollettino. Il margine operativo lordo rapportato al valore della produzione è quindi cresciuto di circa 1,8 punti percentuali, “recuperando pienamente i livelli del 2021“. Questo aumento dei margini di profitto ha riguardato tutti i settori della manifattura, inclusi quelli della metallurgia, della chimica e della produzione di carta e legno, nei quali nonostante la contrazione dei prezzi si è osservata una diminuzione dei costi più intensa. Ma “nel complesso del manifatturiero i margini di profitto sono tornati ai livelli pre-pandemici“, sebbene “gli andamenti sono stati tuttavia eterogenei tra comparti“.

La diminuzione dei prezzi dell’energia ha contribuito notevolmente anche al calo dell’inflazione. Stando al Bollettino di Bankitalia, dalla seconda metà del 2022 negli Usa, sulla base dell’indice dei prezzi al consumo, è scesa di circa 6 punti percentuali (dal 9,1% di giugno 2022 al 3 in giugno di quest’anno)”. Ma l’andamento è simile anche nell’area dell’euro, che passa “dal 10,6% di ottobre 2022 al 5,5 del mese scorso, appaiando la dinamica degli degli Stati Uniti, seppure “con alcuni mesi di ritardo”. Nella media del secondo trimestre è proseguita anche la discesa dell’inflazione armonizzata al consumo, che a giugno raggiunge 6,7%. Sui prezzi dei beni alimentari c’è un lieve allentamento, ma in sostanza “continuano a risentire degli effetti ritardati dello shock energetico sui costi di produzione lungo l’intera filiera“. Inoltre, avverte Bankitalia, “pressioni al rialzo potrebbero derivare dagli ingenti danni alla produzione agricola causati dall’alluvione in Emilia-Romagna”.

Guardando al prossimo futuro, però, secondo le proiezioni della Banca d’Italia per l’economia italiana, nello scenario di base il Pil aumenterebbe dell’1,3% quest’anno, dello 0,9 nel 2024 e dell’1 percento nel 2025. Inoltre, l’inflazione sarebbe al 6% nel 2023 per poi scendere al 2,3 nel 2024 e al 2 nel 2025. “Il quadro macroeconomico continua a essere caratterizzato da forte incertezza, con rischi orientati al ribasso per la crescita e bilanciati sull’inflazione”, sottolinea via Nazionale. Specificando che in questo quadro “si ipotizza che le tensioni connesse con il conflitto in Ucraina non comportino ulteriori difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime energetiche“.

Inflazione più alta in Germania, +2% Pil Usa: Bce e Fed decise su aumento tassi

L’inflazione torna sotto il 2%, la percentuale più nominata dalla Bce, in Spagna, ma risale al 6,4% in Germania, oltre le attese. Due dati che non faranno cambiare idea a Christine Lagarde, intenzionata ad aumentare i tassi altre due volte portandoli così almeno al 4,5% per settembre.

La stima iberica, se confermata, rappresenterebbe una diminuzione di più di un punto del suo tasso annuo, dato che a maggio eravamo al 3,2%. Questo andamento è dovuto principalmente al fatto che in questo mese l’aumento dei prezzi dei carburanti, dell’elettricità e dei prodotti alimentari e delle bevande analcoliche è stato inferiore a quello di giugno dell’anno precedente. Anche l’inflazione core, che esclude cibo ed energia, è scesa di due decimi di punto percentuale, attestandosi al 5,9%. Paradosso: l’indice di base è superiore a quello generale di 4 punti percentuali.

In Germania invece, secondo la stima preliminare di Destatis, a giugno il carovita è salito dello 0,3% mensile e del 6,4% annuale. Numeri superiori a quelli di maggio, quando i prezzi erano calati dello 0,1% a livello congiunturale ed erano cresciuti del 6,1% a livello tendenziale, e più alti delle stime: +0,2% mensile e +6,3% annuale. I prezzi dei prodotti alimentari hanno continuato a salire a un tasso maggiore alla media del +13,7% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Al contrario, anche l’aumento dei prezzi dell’energia del +3% è stato inferiore al tasso di variazione dell’indice complessivo dell’anno precedente. Anche le misure del terzo pacchetto di aiuti del governo federale, che si riflettono nell’indice dei prezzi al consumo, hanno contribuito all’indebolimento dell’andamento dei prezzi dell’energia. Per contro, l’andamento dei prezzi nell’area dei servizi ha aumentato il tasso di inflazione (+5,3% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente). In questo ambito c’è però un effetto base a seguito dell’introduzione del biglietto da 9 euro valido da giugno ad agosto 2022. L’inflazione core comunque è cresciuta del +5,8% (rispetto al +5,4% di maggio).

Chi invece vede rosa sull’inflazione è il cittadino medio europeo. L’indice che misura le aspettative di inflazione per i consumatori nell’Eurozona è sceso a 6,1 a giugno, il minimo dal 2016, dal 12,1 rivisto al ribasso del mese precedente.

I tassi comunque non saliranno solo in Europa. La crescita del Pil degli Stati Uniti è stata rivista nettamente al rialzo e ha aggiunto un margine per la Federal Reserve di poter aumentare il costo del denaro ancora. Da gennaio a marzo l’economia americana è cresciuta del 2% rispetto al trimestre precedente. Sulla carta, benché i dati siano riferiti a tre mesi fa, Jerome Powell potrebbe permettersi di continuare a inasprire la politica monetaria senza causare una forte contrazione. Un concetto ribadito dal presidente della Federal Reserve ieri al forum Bce in Portogallo e oggi al Banco de España: possibili altri due ritocchi per portare così i tassi di interesse a sfiorare il 6%.

Gas e inflazione in caduta libera, ma Lagarde vuole limitare la domanda e inasprire il credito

Gas e inflazione in caduta libera in Europa. Il metano ad Amsterdam ha perso oltre il 13,5% durante la seduta, arrivando a toccare 23,2 euro per megawattora, un livello che non si vedeva da due anni. Il crollo continua da mesi: -8,6% settimanale, -38% mensile e -72,3% rispetto a un anno fa. Il record di 349 euro per megawattora sembra un incubo passato e sepolto. Le scorte sono piene al 68,6% nell’intera Ue, il doppio rispetto a un anno fa, e in Italia e Germania – i Paesi più gasivori – la percentuale di riempimento degli stoccaggi supera il 74% al 30 maggio.

Gas in picchiata, prezzi al consumo pure. Il tasso di inflazione nell’eurozona è scesa al 6,1% a maggio, in calo rispetto al 7% del mese precedente e al di sotto delle aspettative del mercato del 6,3%. Il tasso ha raggiunto il livello più basso dal febbraio 2022, ultimo mese considerabile pre-guerra in Ucraina. Il calo è stato guidato appunto dalla frenata (-1,7%) dei prezzi dell’energia, dopo un +2,4% ad aprile. Inoltre, c’è stato un rallentamento delle pressioni sui costi per cibo, alcol e tabacco (12,5% contro 13,5%), beni industriali non energetici (5,8% rispetto a 6,2%) e servizi (5% da 5,2%). Persino il tasso di inflazione core, che esclude energia, cibo, alcol e tabacco, è diminuito più del previsto, raggiungendo il 5,3%. Mese su mese, la variazione dell’inflazione è nulla, mentre in Germania, Francia e Spagna si è assistito a un -0,1% congiunturale. L’Italia ha alzato la media col suo +0,3% mensile.

Vedendo questi numeri c’è da chiedersi però se Christine Lagarde li abbia visti, prima di parlare al ‘Deutscher Sparkassentag 2023’ di Hannover. “Oggi l’inflazione è troppo alta ed è destinata a rimanere tale per troppo tempo. Siamo determinati a riportarlo al nostro obiettivo a medio termine del 2% in modo tempestivo. Questo è il motivo per cui abbiamo aumentato i tassi al nostro ritmo più veloce di sempre e abbiamo chiarito che abbiamo ancora terreno da percorrere per portare i tassi di interesse a livelli sufficientemente restrittivi”, sostiene la presidente della Bce. In realtà, “questo rapido aggiustamento politico ci ha messo oggi in una posizione diversa. Pensa a un aeroplano che sale all’altitudine di crociera. All’inizio, l’aereo deve salire ripidamente e accelerare rapidamente. Ma man mano che si avvicina alla sua quota target, può ridurre l’accelerazione e mantenere la sua velocità attuale. L’aereo deve salire abbastanza in alto per raggiungere la sua destinazione, ma non così in alto da superarla“, ha aggiunto. Quindi è possibile aspettarsi una discesa? Non proprio…

Non vi sono prove evidenti che l’inflazione sottostante abbia raggiunto il picco”, ha sottolineato l’ex numero uno del Fmi. “Per essere sicuri di aver impostato la giusta politica monetaria, vogliamo vedere l’inflazione tornare al 2% nelle nostre proiezioni in modo tempestivo”, che secondo le previsioni degli economisti dell’Eurotower dovrebbe accadere nella “seconda metà del 2025”. Per cui avanti con la stretta. “E’ nostra responsabilità limitare la domanda abbastanza da prevenire una spirale” aumento prezzi-aumento stipendi. “Ciò dovrebbe, a sua volta, portare a una crescita dei margini più lenta e a minori richieste salariali, riducendo al contempo la pressione sul mercato del lavoro“. Inoltre, ha scandito Lagarde, “vogliamo che le condizioni di finanziamento si inaspriscano”, nonostante “nell’ultima indagine sui prestiti bancari della Bce, il ritmo dell’inasprimento netto degli standard creditizi” abbia raggiunto “il livello più alto dalla crisi del debito sovrano nel 2011”. Ma questo “è l’effetto desiderato della nostra politica”. In realtà – ha concluso la presidente della Banca centrale europea – “condizioni di finanziamento più rigide potrebbero già limitare la spesa totale delle famiglie, costringendole a sostituirsi tra i settori. E la spesa per beni durevoli sarà probabilmente più influenzata dai costi di finanziamento più elevati, poiché alcuni di questi vengono generalmente acquistati a credito. Al contrario, almeno per questa estate, i nostri sondaggi sui consumatori mostrano che una politica monetaria più restrittiva non influirà sui programmi di vacanza delle persone“.

Parole sconcertanti”, commenta Stefano Patuanelli, senatore del Movimento 5 Stelle ed ex ministro nei governi Conte e Draghi.

spiagge

Boom prezzi voli e alberghi ma un italiano su 3 non rinuncia al ponte del 2 giugno

Un italiano su 3 si metterà in viaggio per il ponte del 2 giugno. Ma saranno vacanze decisamente più care rispetto a quelle degli scorsi anni. L’Unione Nazionale Consumatori parla infatti di una vera e propria stangata, per effetto dei prezzi lievitati nel mese di maggio. “In un solo mese gli alberghi sono rincarati del 5,8%, andare in piscina, palestra o in uno stabilimento balneare costa già il 9,8% in più rispetto ad aprile, il record per quanto riguarda gli aumenti congiunturali”, ha spiegato il presidente Massimiliano Dona.
Per quanto riguarda la top ten annua delle voci legate alle vacanze, al primo posto i voli nazionali che decollano del 43,2% rispetto a maggio 2022. Medaglia d’argento per i voli internazionali che volano del 36,6%. Sul gradino più basso del podio i gelati che salgono del 22%. In quarta posizione i pacchetti turistici nazionali che si impennano del 19,2%, a differenza di quelli internazionali che sono fuori dalla classifica con un ben più contenuto +2,4%. Al quinto posto alberghi, motel, pensioni e simili per i quali bisogna sborsare il 15,2% in più rispetto allo scorso anno.
Seguono parchi di divertimento e i servizi sportivi con +10,8%, i fast food con +8,4%, i villaggi vacanze e i campeggi con +8,2%, ristoranti, bar e locali da ballo con +5,7%. Chiudono la classifica piscine, palestre, stabilimenti balneari, discoteche con +4,9%. Fuori dalla graduatoria il Trasporto ferroviario passeggeri (+3,8%).

Nonostante l’aumento dei costi, a mettersi in viaggio per questa 3 giorni sarà il 15% in più rispetto allo scorso anno, con oltre 15 milioni di italiani adulti in vacanza. Le mete più gettonate, spiega la Coldiretti, sono quelle lungo la Penisola che consentono di ottimizzare il tempo limitato a disposizione, con la quasi totalità dei vacanzieri che ha scelto una destinazione nazionale. Tra quelle preferite, il mare batte le città d’arte, seguite dalla montagna e della campagna con il boom dei piccoli borghi. A livello territoriale, la saturazione dell’offerta si presenta abbastanza differenziata: le regioni con i tassi di occupazione più elevati sono Liguria e Lazio (89%), e Toscana e Campania (88%), secondo una stima resa nota da Assoturismo Confesercenti. Risultati decisamente positivi sono previsti anche per Lombardia, Veneto e Umbria. Recuperano le prenotazioni in Emilia-Romagna: si scontano però gli effetti dell’alluvione con una percentuale (70%) più bassa rispetto agli anni scorsi ma comunque incoraggiante per la ripresa turistica ed economica della regione. Si segnala, comunque, negli scorsi dieci giorni, la perdita di 250mila pernottamenti, con un danno di almeno 35 milioni di euro di mancato fatturato per le strutture ricettive; a mancare soprattutto gli stranieri che in questo periodo affollavano già le spiagge della riviera romagnola.

In generale, in vista delle vacanze estive,  l’aumento dei prezzi spingerà 3 italiani su 4 a rivedere i propri piani e a orientarsi nella maggior parte dei casi verso soggiorni più brevi. Secondo un’indagine di Udicon sulla fiducia dei consumatori realizzata dall’Istituto Piepoli, alla domanda se l’attuale aumento dei prezzi indurrà gli italiani a fare meno vacanze rispetto a qualche anno fa, il 72% degli intervistati ha risposto di sì. Le vacanze saranno più brevi per il 43%, mentre una percentuale non trascurabile (37%) sarà costretto a rinunciarci. 3 italiani su 5 hanno riscontrato un aumento dei prezzi, anche se per il 18% i rincari restano comunque nella media. Tra i fattori determinanti nella scelta di una vacanza ci sono la qualità dei servizi offerti (49%), il prezzo conveniente (34%) e le recensioni (13%). Proprio riguardo alle recensioni, 2 italiani su 3 affermano di consultarle sistematicamente, anche se il 70% di questi dichiara di essere incappato, in qualche caso, in delusioni rispetto alle aspettative.

I rincari della spesa familiare: +105% shampoo, boom dei tovaglioli. Giù pere e finocchi

Fare la spesa costa sempre più caro. Non è una novità. Tuttavia, spulciando i dati forniti dall’Osservatorio prezzi – città per città – fornito dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, si può andare in profondità. E notare ad esempio che il prezzo dello shampoo ha fatto un salto del 105% in un anno. Un prodotto di prima necessità, così come lo zucchero, rincarato di oltre il 60%. Una percentuale simile a quella dei tovaglioli di carta. Pochi, rari, i prodotti che invece sono calati rispetto a un anno fa. Fra questi i finocchi o le pere, questo per dire che l’ortofrutta – finito sul banco degli imputati per i rincari degli ultimi mesi – non è tutto uguale.

La scorsa settimana l’Istat aveva sottolineato che “ad aprile la fase di rientro dell’inflazione si interrompe, principalmente a causa di una nuova accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni Energetici non regolamentati, il cui andamento riflette un aumento su base mensile del 2,3% (che si confronta con un -3,9% dell’aprile 2022). Nel settore alimentare, i prezzi dei prodotti lavorati, come anche quelli dei beni non lavorati, evidenziano un’attenuazione della loro crescita in ragione d’anno, che contribuisce al rallentamento dell’inflazione di fondo (che si attesta a +6,2%). Si accentua, infine, la decelerazione su base tendenziale dei prezzi del ‘carrello della spesa’, che è scesa a +11,6%”.

Nel carrello della spesa tuttavia c’è di tutto. E come è emerso dal rapporto Eurispes presentato questa mattina nell’ultimo anno sono state ridotte le spese per i regali (69,6%). Sono stati acquistati più prodotti in saldo (64,6%), vestiti in punti vendita più economici (61%), prodotti alimentari nei discount (56,2%). E molti italiani hanno cambiato marca di un prodotto alimentare se più conveniente (64%).

A Roma, nel confronto aprile 2023 su aprile 2022, gli alimentari hanno visto impennare i prezzi della birra (+38,1%), del latte scremato a lunga conservazione (+30,9%), dell’olio extra vergine di oliva (+37,3%), della passata di pomodoro (+35%), dei pomodori pelati (+40%), del riso (+42%), degli spinaci surgelati (+39,1%) e dello zucchero (+66,3%). Costa invece meno (quasi -10%) l’insalata in confezione e l’olio di semi di girasole (circa un quinto inferiore). Al reparto ortofrutta perdono terreno anche i finocchi tondi (-11,8%), i kiwi verdi (-4,7%) e le pere Abate (-15%). Salgono forte i peperoni quadrati (+28%) e i cavolfiori bianchi così come le cipolle dorate di Parma (circa +22%).

E’ nei prodotti per l’igiene e la pulizia della casa che troviamo infine rincari consistenti: shampoo (250 ml) +105,8%, poi sapone toletta +74,5%, tovaglioli di carta +61%. E ancora: carta igienica +26,7%, candeggina +29,5% e detersivo per stoviglie a mano +35%. Unica consolazione, in tempi di crisi demografica, il prezzo dei pannolini per bambino: la confezione da 20 pezzi costa il 13% in meno rispetto a un anno fa.

Usa, l’inflazione cala e Fed si ferma sui tassi. La Bce no…

L’inflazione cala, poco, negli Usa, lasciando presagire una pausa della Federal Reserve nell’aumento dei tassi a giugno. In Europa invece, col costo del denaro al 3,75% contro il 5,25% statunitense, la stretta è destinata a continuare, emerge leggendo l’intervista di Christine Lagarde al giapponese Nikkei. La forbice tra i due continenti sulla politica monetaria potrebbe prendere due strade distinte, se i dati sui prezzi alla produzione industriale Usa, in uscita domani, confermeranno il raffreddamento delle fiammate inflattive.

Ad aprile l’inflazione a stelle e strisce è salita dello 0,4% mensile e del 4,9% annuale. Le stime erano per un +0,4% mensile, confermate, e per un 5% annuale, quindi sotto le attese. I prezzi al consumo sono leggermente scesi, a livello tendenziale, rispetto al dato di marzo (5%), mentre sono saliti a livello congiunturale (+0,1% nel mese precedente). L’indice shelter, legato a tutto quello che ruota attorno alla casa, è stato quello che ha fornito il contributo maggiore all’aumento mensile di tutti gli articoli, seguito dagli incrementi dell’indice di auto e autocarri usati, e a quello della benzina. L’aumento di quest’ultimo ha compensato il calo degli altri indici dei componenti energetici, così l’indice energetico è salito dello 0,6% ad aprile. L’indice di tutti gli articoli è appunto aumentato del 4,9% annuale, l’incremento più piccolo da maggio 2021. L’indice core, che esclude cibo ed energia, è invece cresciuto mensilmente dello 0,4% ad aprile come a marzo. Anno su anno è salito del 5,5%, stabile nei confronti del dato precedente. A livello tendenziale l’indice energetico è diminuito del 5,1% mentre quello alimentare è aumentato del 7,7%. In ogni caso cibo ed energia sono le voci che hanno fatto diminuire l’indice complessivo.

“Le nostre valutazioni sono che i dati sulle pressioni inflazionistiche mostrano un lieve miglioramento ma soprattutto non registrano sorprese negative che avrebbero potuto portare argomentazioni ai membri più falchi all’interno della commissione operativa della Federal Reserve per effettuare ancora un rialzo del costo del denaro nella prossima riunione di giugno”, sottolinea Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia, che aggiunge: “Riteniamo, infatti, che la Fed possa decidere di fare una pausa nel processo di rialzo dei tassi di interesse, esaminando così ancora più attentamente gli effetti delle politiche monetarie portate avanti negli ultimi mesi sull’economia reale in particolare su inflazione, occupazione, crescita delle attività economiche e salari dei lavoratori. Solamente dati fuori dalla norma nel prossimo report sul mondo del lavoro sulla crescita dei salari dei lavoratori potrebbe convincere i banchieri centrali ad applicare un nuovo rialzo”.

Tutt’altra musica nell’eurozona. “Siamo determinati a domare l’inflazione e riportarla al nostro obiettivo a medio termine del 2% in modo tempestivo”, ha detto a Nikkei la presidente della Bce, Christine Lagarde. “Abbiamo già intrapreso un’azione politica considerevole per farlo, ma c’è ancora molto terreno da percorrere”. “Ci sono fattori che possono indurre significativi rischi al rialzo per le prospettive di inflazione. E siamo ancora in una situazione in cui l’incertezza sul percorso dell’inflazione è elevata, quindi dobbiamo essere estremamente attenti a quei potenziali rischi, il cui elenco esatto troverete nella nostra ultima dichiarazione di politica monetaria, in particolare in relazione all’aumento dei salari in vari Paesi europei”, ha continuato la numero uno dell’Eurotower. La Bce poteva alzare i tassi prima? “Possibile. Avrebbe fatto una differenza enorme? Probabilmente no”, ha aggiunto Lagarde. “Quello che so è che siamo determinati a domare l’inflazione, per riportarlo al nostro obiettivo a medio termine del 2 per cento in modo tempestivo e abbiamo già effettuato un aggiustamento considerevole. Ma abbiamo ancora più terreno da percorrere”.

In Usa tassi più alti dell’inflazione, soffre il petrolio. Oggi la stretta Bce

Il costo del denaro sale al massimo dal 2007 negli Usa e vale più dell’inflazione. La Federal Reserve, come da attese, aumenta il costo del denaro di un altro 0,25% portandolo così al 5,25% contro un carovita al 5%. Il mercato si aspettava anche l’annuncio di una pausa nella stretta monetaria, ma il presidente della Fed, Jerome Powell, ha detto che “non è stata decisa una pausa” durante il meeting. La banca centrale americana ha rimosso una frase dal comunicato che recitava che “alcuni aumenti di policy aggiuntivi potrebbero essere appropriati“. Ma come al solito, Powell ha rimarcato che qualsiasi futuro aumento dei tassi sarà “dipendente dai dati” escludendo comunque un taglio dei tassi quest’anno se i prezzi resteranno sostenuti. Entro l’anno, riportando le previsioni degli esperti della Fed, potrebbe invece esserci una “leggera recessione” anche se mister Fed ci crede poco. Queste ultime dichiarazioni hanno deciso l’andamento dei mercati.

L’esclusione di un taglio tassi ha fatto chiudere Wall Street in negativo, dopo una giornata passata in territorio più che positivo. Il mercato, considerando appunto la contrazione dell’economia, punta da tempo in una retromarcia della Fed in autunno. Non è detto comunque che gli investitori non ritenteranno la grande scommessa nelle prossime settimane, anche se la Fed – partita tardi col rialzo tassi – non sembra intenzionata a farsi condizionare per non essere accusata di far ripartire una seconda ondata inflattiva, com’era accaduto negli anni ’70. La recessione annunciata – che tuttavia non è detto che accada vedendo i dati forti del lavoro Usa e dei servizi – continua ad affondare il prezzo del greggio.

I signori del petrolio, ovvero Emirati Arabi e Arabia Saudita, hanno immediatamente copiato la decisione della Fed, portando i tassi rispettivamente al 5,15% e al 5,75%, anche perché il Riyal saudita è ancorato al dollaro. I futures sull’oro nero invece sono ulteriormente scivolati di oltre 4 punti percentuali: il Wti texano dopo le 22 era scambiato addirittura a 68 dollari al barile, mentre il Brent valeva poco più di 71 dollari. Condizioni finanziarie più restrittive spingeranno le principali economie a contrarsi. Inoltre, una frenata e a sorpresa della manifatturiera cinese ha lanciato l’allarme su una contrazione globale. A chiudere la giornata negativa del petrolio l’ultimo rapporto settimanale dell’Eia americana, che ha mostrato come le scorte di benzina negli Stati Uniti siano aumentate inaspettatamente la scorsa settimana.

Oggi toccherà alla Bce comunicare la sua politica restrittiva. Scontato un aumento dei tassi, che secondo le attese del mercato sarà dello 0,25%. Se però la Fed è arrivata al capolinea anche se ufficialmente non è stata annunciata la pausa, la Bce domani alzerà il costo del denaro al 3,75%, ovvero un punto e mezzo inferiore a quello statunitense. La stretta probabilmente continuerà dunque, nonostante l’inflazione sia dovuta per due terzi all’aumento dei margini aziendali. I prezzi energetici sono in discesa e non preoccupano più i banchieri centrali, però se il gas dovesse salire in autunno, considerando la necessità di riempire gli stoccaggi, la Bce avrebbe le armi spuntate per fermare i rincari.