La ripartizione delle forniture di gas all’Italia: cala flusso da Nord e da Sud

Nel primo trimestre 2023 è stata decisa la riduzione dei consumi italiani di gas, calati del 18,9% a 20,7 miliardi di metri cubi dai 25,6 miliardi di metri cubi dello stesso periodo del 2022. Nel periodo sono diminuiti i consumi residenziali (-17,1% a 11,6 miliardi di metri cubi), quelli termoelettrici (-26,9% a 5,3 miliardi di metri cubi), gli industriali (-13,2% a 3 miliardi di metri cubi). Alla base dei ribassi le temperature superiori alle medie stagionali e gli effetti del piano nazionale di contenimento dei consumi di gas. La tendenza ha evitato problemi di approvvigionamento di metano, nonostante il forte calo di flussi dalla Russia e nonostante nel primo trimestre siano stati estratti 778 milioni di metri cubi nel nostro Paese, cioè il 5,5% in meno di produzione nazionale nei confronti dei primi tre mesi del 2022. Complessivamente tra gennaio e marzo il flusso di gas da Nord è sceso di 3,5 miliardi di metri cubi rispetto allo scorso anno e quello da Sud è calato di 0,3 miliardi di metri cubi, mentre invece è salito di un miliardo il volume di Gnl. Ecco la ripartizione delle forniture all’Italia.

GASDOTTI NORD. Due sono i gasdotti attivi che portano gas nella Penisola. A Tarvisio arriva il tubo che parte dalla Russia, attraversa l’Ucraina e la Mitteleuropea fino a entrare nell’estremo nordest italiano. Nel primo trimestre sono entrati da questa infrastruttura 1,4 miliardi di metri cubi, in calo del 73,6% dall’anno precedente. In controtendenza invece il flusso da Passo Gries, al confine svizzero, che porta il metano proveniente dall’Europa del Nord: +35,7% a 2,3 miliardi di metri cubi.

GASDOTTI SUD. Tre sono gli impianti che garantiscono forniture all’Italia. In Sicilia arrivano due tubi: uno proveniente dall’Algeria che, attraverso la Tunisia, arriva poi a Mazara del Vallo, uno che invece dalla Libia sbarca il metano a Gela. Il primo, nonostante un rafforzamento dei patti di collaborazione tra governo italiano e quello algerino, ha visto una diminuzione degli approvvigionamenti dell’1,3% attestandosi a 5 miliardi di metri cubi: si tratta comunque della principale forniture di metano all’Italia. Il secondo invece ha segnalato un balzo dei rifornimenti del 34,5% a 672 milioni di metri cubi. Il terzo gasdotto che garantisce metano all’Italia è il Tap, che dall’Azerbaigian attraversa il Sud Europa e giunge a Melendugno in Puglia. Nel primo trimestre di quest’anno ha garantito 2,5 miliardi di metri cubi, in crescita del 6,3%.

GNL IN CRESCITA. Prima della recente entrata in funzione del rigassificatore di Piombino, l’Italia aveva tre impianti capaci di trasformare allo stato gassoso il gas liquefatto e immetterlo in rete. Il principale, in funzione da oltre un decennio, è l’Adriatic Lng al largo delle coste rodigine in Veneto, controllato principalmente da ExxonMobile e Qatar Terminal: le sue forniture da inizio anno fino al 31 marzo hanno segnato un rialzo del 13,3% garantendo 2,2 miliardi di metri cubi. Gli altri due rigassificatori si trovano nell’area tirrenica settentrionale. In Liguria l’impianto di Panigaglia ha visto una crescita del 555,4% di operazione, che gli hanno permesso di sfornare 0,9 miliardi di metri cubi. L’Olt (Offshore LNG terminal) di Livorno ha visto una più contenuta attività (+7,2%) che ha permesso al nostro Paese di utilizzare 1 miliardo di metri cubi.

MENO EXPORT. Il calo della domanda di gas ovviamente non è solo italiana, ma europea. Tant’è che le esportazioni di metano, nei primi tre mesi del 2023, sono calate del 31% a 626 milioni di metri cubi.

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L’indipendenza dal gas russo entro il 2025 è a portata di mano

Secondo un nuovo rapporto dell’Oxford Sustainable Finance Group, parte della Smith School of Enterprise and the Environment dell’Università di Oxford, l’Ue può sostituire il gas naturale russo con tecnologie verdi entro il 2028. Si stima che fino al 90% dell’investimento aggiuntivo richiesto, in aggiunta alla spesa attualmente prevista per il Green Deal europeo, potrebbe essere recuperato nei prossimi trent’anni eliminando la necessità di acquistare gas. Dato che il gas russo rappresentava circa la metà dell’approvvigionamento di gas naturale dell’Unione europea nel 2021, ciò avrebbe un impatto positivo significativo sulla sicurezza energetica e sulla decarbonizzazione, affermano gli autori. “La transizione dal gas russo all’energia pulita non solo è realizzabile, ma offre molteplici vantaggi. La sostituzione del gas naturale con l’energia eolica e solare elimina la necessità di pagare per il gas in futuro“, spiega Gireesh Shrimali, coautore del rapporto e responsabile della ricerca sulla finanza di transizione presso l’Oxford Sustainable Finance Group. “Eliminando la dipendenza dall’importazione di un combustibile fossile con prezzi e offerta volatili, l’Ue può alleviare i problemi di sicurezza energetica, affrontare la crisi del costo della vita attraverso i costi energetici e portare avanti i propri obiettivi per raggiungere zero emissioni nette e affrontare la crisi climatica“.

La spesa totale in conto capitale della “corsa per sostituire” il gas russo con energie rinnovabili e pompe di calore entro il 2028 è di 811 miliardi di euro. Questo totale include una spesa pianificata di 299 miliardi di euro per l’energia pulita nell’ambito del Green Deal europeo e un investimento aggiuntivo in energie rinnovabili e pompe di calore di 512 miliardi di euro. Una frazione significativa dell’investimento richiesto può essere ripagata dalla conseguente riduzione della spesa per il gas. A seconda delle ipotesi sui prezzi del gas naturale, il rapporto rileva che i risparmi potrebbero variare dal 40% fino al 90%.

Per l’Italia la situazione è leggermente diversa. Il gas è ancora il combustibile dominante nel mix energetico, con una quota del 48%, seguito dalle energie rinnovabili (34%), dal carbone (10%) e dall’idroelettrico (8%). La transizione per tanto sarebbe più lunga e probabilmente più costosa in termini di costi per investimenti in rinnovabili e maggiore rinuncia al metano per produrre elettricità, ora che tra l’altro i prezzi sono in netta discesa rispetto ai picchi di un anno fa. L’Italia rappresenta il Paese più sicuro per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas, soprattutto perché riceve la materia prima da 5 gasdotti tutt’ora funzionanti, mentre ad esempio la Germania si è vista chiudere il rifornimento dalla Russia da Nord e da Est.

Dalla Russia tuttavia, complice la guerra e le risposte di Putin alle sanzioni, nel primo trimestre di quest’anno sono entrati da questa infrastruttura 1,4 miliardi di metri cubi, in calo del 73,6% dall’anno precedente. Potenzialmente sarebbero poco più di 5,5 miliardi di metri cubi per fine 2023, un crollo verticale nei confronti degli ultimi due anni. Se nel 2021 il maggiore partner per l’importazione era stata appunto Mosca con 29,1 miliardi di metri cubi transitati da Tarvisio, nel 2022 la quota di gas russo è scesa del 61% a 11,2 miliardi di metri cubi. Ora siamo a metà dello scorso anno. Per cui la sostituzione del gas russo, prevista per l’inverno 2024-2025 da Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, è a portata di mano.

Il calo dei consumi di gas, circa un 20% nei primi mesi di quest’anno, agevola il raggiungimento dell’obiettivo. Target che sarà centrato grazie a due nuovi rigassificatori, uno già in funzione da pochi giorni a Piombino e l’altro che dovrà iniziare ad operare l’anno prossimo a Ravenna. Entrambi, a regime, dovrebbero garantire circa 10 miliardi di metri cubi.

Complessivamente, sosteneva sempre Descalzi pochi mesi fa “per il 2023-2024 porteremo 17,6 mld di forniture addizionali, che saliranno nel 2024-2025 a 22 miliardi. Bisogna pensare che solo 2 anni fa l’Algeria dava all’Italia circa 21 miliardi, adesso ha dato 25, arriveremo a 28 miliardi l’anno prossimo e poi nel 24-25 supereremo ancora l’import”. Giorgia Meloni, insieme proprio al numero uno del Cane a sei zampe, negli ultimi mesi ha siglato accordi pluriennali con Algeria e Libia per assicurarsi flussi di gas. A tal fine Snam è al lavoro per incrementare la capacità di trasporto di metano dal Sud Italia verso il Nord. A gennaio, durante la presentazione del piano strategico 2022-2026, Stefano Venier, Ceo del gruppo energetico, aveva spiegato che la capacità giornaliera della tratta adriatica “è di 135 milioni metri cubi al giorno e attualmente è usata per 100 milioni. Con il completamento del gasdotto Adriatico potremmo arrivare a una capacità di 155 milioni, potendo così trasportare un maggiore flusso dal Tap e dall’Algeria”.

Pnrr: è tempo di concentrarsi sul fare, non sui ritardi

A Bruxelles chi deve verificare tutto sommato è soddisfatto. Certo, non tutto ciò che riguarda lo sviluppo e l’attuazione del Pnrr (parliamo, ricordiamo, di quasi 200 miliardi di finanziamenti) è perfettamente in linea, ma non lo è non solo per l’Italia. Le condizioni dell’economia europea e mondiale sono cambiate negli ultimi tre anni, l’inflazione galoppante mette i bastoni tra le ruote, la guerra della Russia in Ucraina ha creato nuove urgenze, e dunque è chiaro per tutti, anche per la Commissione europea, che aggiustamenti saranno probabilmente necessari.

E’ però necessario mostrare buona volontà e capacità di spesa e realizzazione. I ‘no’ preventivi preoccupano chi osserva, anche perché l’Italia non ha un ruolino di marcia storico di quelli immacolati, di soldi europei ne abbiamo sprecati tanti, di cantieri avviati e mai chiusi è piena la Penisola. Il timore che si ripetano storie già viste è legittimo.

Questa volta i soldi sono davvero tanti, non bastano ovviamente a “rivoltare il paese come un calzino”, ma son un bell’aiuto, in particolare per l’Italia, di gran lunga il maggior beneficiario del Piano di ripresa europeo, per scrollarsi di dosso le debolezze del passato ed affrontare da protagonista la transizione. Perché il tema non è, qui, affermare la “sovranità decisionale” del nostro Paese, ma è quello di dargli le gambe per partecipare alla corsa verso la transizione irrobustendo la propria economia, e di conseguenza anche la situazione sociale, l’occupazione, la formazione, il problema demografico e così via.

Ci si deve dunque concentrare, questo è il messaggio che viene dai partner dell’Unione europea, sull’ammodernare il Paese, sul creare le condizioni perché sia competitivo, perché non perda la corsa con gli altri grandi Paesi industriali restando arretrata tecnologicamente e dunque debole economicamente.

La ‘transizione‘ non è solo una meritevole lotta per la difesa del clima, è oramai una condizione fondamentale della crescita economia. Chi resta indietro ora lo sarà sempre più nei prossimi anni, perché altri produrranno a costi più bassi, produrranno merci che avranno più mercato, occuperanno gli spazi che saranno lasciati liberi da chi non avrà le gambe per partecipare alla corsa,

Dunque iniziamo a realizzare i progetti, dimostriamo la capacità di farlo, e poi, se sarà obiettivamente necessario cambiare qualcosa, come prevedono le stesse regole del programma Next Generation Eu, lo si cambierà. Ma la base non può essere lo scontro politico (o polemico), non può essere dare l’immagine di voler mettere le mani avanti scaricando colpe e ritardi su altri (che sia vero o meno, non è questo il punto). La base deve essere dimostrare che le cose le si vogliono fare, che ci si attrezza per farle e che le si fanno. Nell’interesse dell’Italia, non di altri, per permettere all’Italia di sedersi ai tavoli internazionali ed essere vista con rispetto, quel rispetto che poi permette di far ascoltare la propria voce.

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Vertice Mattarella-Wang Yi: rilancio dell’export Italia-Cina e appello per porre fine alla guerra

Un incontro per riavvicinare la Cina al mondo occidentale. A Roma, il consigliere di Stato e direttore dell’Ufficio della Commissione centrale per gli Affari esteri del Comitato centrale del Partito comunista cinese, Wang Yi, è stato ricevuto dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Quirinale, assieme al vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, con il quale aveva già avuto un lungo colloquio il giorno prima alla Farnesina.

Al capo dello Stato Wang Yi spiega che questo giro nelle capitali arriva dopo che la Cina è uscita dalla ragnatela del Covid, con l’intento di rilanciare lo sviluppo del proprio Paese. E l’Italia ha un’antica consuetudine culturale con la Cina. I rapporti sono anche commerciali, infatti nel corso del colloquio viene fatto accenno alla Via della Seta, ovvero quel pacchetto di accordi sottoscritti dall’allora governo gialloverde con Pechino che scadranno nel mese di marzo del prossimo anno, ma che si rinnoveranno (automaticamente) alla fine del 2023. Il capo della diplomazia cinese, comunque, ha garantito che la sua nazione intende raddoppiare la collaborazione con il nostro Paese. Non solo con le importazioni dalla Cina, ma anche per implementare le esportazioni dei prodotti italiani.

Tra i temi toccati nel faccia a faccia tra Mattarella e Wang Yi non è ovviamente mancata l’Ucraina. Il presidente della Repubblica, secondo quanto si apprende, ha invitato la Cina a far valere la propria influenza su Mosca per arrivare a alla pace. Dall’inizio del conflitto scatenato dalla Russia, ormai, sono già passati dodici mesi e i negoziati sono ancora fermi.
Una richiesta arrivata anche dal vicepremier, Antonio Tajani. Come lo stesso ministro degli Esteri ammette ai microfoni di ‘Radio Anch’io’, su Radio Rai1, spiegando come è andato l’incontro con Wang Yi in Farnesina del giorno prima. “Ho chiesto di esercitare tutta la forza che un grande Paese quale la Cina ha nei confronti della Russia, affinché venga a più miti consigli, si sieda al tavolo di pace per garantire l’indipendenza dell’Ucraina ma soprattutto per porre fine alla guerra che ormai dura da un anno“. Non solo, perché al capo della diplomazia cinese “ho anche detto quali sono le nostre idee, da dove si dovrebbe cominciare” a costruire la pace. Innanzitutto “creare una zona neutra attorno a Zaporizhzhia, dove si trova la centrale nucleare – spiega Tajani -. Poi, occorre rafforzare i corridoi per il trasporto dei cereali, che sono indispensabili alla popolazione africana“.

Il vice presidente del Consiglio racconta che Wang Yi “ha usato molte parole di pace”, oltre ad avergli preannunciato che il presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, “farà un discorso per la pace in occasione del primo anniversario della guerra”. Sottolineando che il diplomatico “ha insistito sul fatto che la Cina vuole la pace” e “Pechino ha una grande influenza su Mosca”.

L’Italia, dunque, conferma l’impegno per Kiev anche a livello diplomatico. Sul piano pratico, infatti, il nostro Paese è molto attivo: “Abbiamo inviato 100 tonnellate di materiale elettrico perché la popolazione civile non passasse l’inverno al gelo”, chiarisce ancora Tajani. Rivendicando di aver “sempre incoraggiato la Turchia perché facesse la mediazione” per lo sblocco dei corridoi del grano. Con la Cina, però, c’è da risolvere anche la questione legata al rinnovo degli accordi per la Via della seta. Ma per quello c’è ancora tempo fino alla fine dell’anno: “Stiamo valutando la situazione – conclude Tajani -, il governo deciderà il da farsi al momento opportuno”.

L’Italia leader del riciclo rifiuti in Europa: è il Paese più virtuoso

E’ un primato tutto italiano quello sul riciclo di rifiuti. Dal 1997 – anno in cui è cominciata la riforma del settore – a oggi il nostro Paese ha fatto un enorme balzo in avanti, tanto da diventare il primo in Europa per la percentuale di rifiuti riciclati che, nel 2020, ha raggiunto il 72%. Un dato decisamente superiore alla media europea, che è appena del 52%, e che fa segnare un grande distacco anche dalla Germania (55%), dalla Spagna (49%), dalla Francia (48%) e dalla Polonia (27%). E’ quanto emerge dal Rapporto ‘Il Riciclo in Italia 2022’, realizzato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile e presentato in occasione della Conferenza Nazionale dell’Industria del Riciclo.
Nel 1997 la raccolta differenziata dei rifiuti urbani era solo del 9,4% e l’80% della spazzatura finiva in discarica. I dati oggi sono decisamente positivi anche sul fronte dei rifiuti industriali: 25 anni fa se ne riciclava il 21% e il 33% era destinato alla discarica, mentre nel 2020 il recupero è salito al 70% e lo smaltimento in discarica è sceso al 6%. Anche per la gestione dei rifiuti d’imballaggio l’Italia è un’eccellenza europea, con più di 10,5 milioni di tonnellate avviate a riciclo, con un tasso pari al 73,3% nel 2021, superiore non solo al target europeo del 65% al 2025 ma, con 9 anni di anticipo, anche al target europeo del 70% al 2030.
Questo cambiamento nella gestione di rifiuti, spiega il rapporto, “ha alimentato la crescita dell’industria italiana del riciclo, diventata un comparto rilevante e strategico del sistema produttivo nazionale” che conta 4.800 imprese, 236.365 occupati, genera un valore aggiunto di 10,5 miliardi (aumentato del 31% dal 2010 al 2020) e che produce ingenti quantità di materiali riciclati. Si tratta di 12milioni e 287 mila tonnellate di metalli, in gran parte acciaio, di 5 milioni e 213 mila tonnellate di carta e cartone, di 2 milioni 287 mila tonnellate di pannelli di legno truciolare. E, ancora, di 2 milioni e 229 mila tonnellate di vetro riciclato, di un milione e 734 mila tonnellate di compost e 972 mila tonnellata di plastica riciclata. Nel complesso la produzione di materiale riciclato è aumentata del 13,3% tra il 2014 e il 2020.
Il settore del riciclo, pilastro fondamentale di un’economia circolare – spiega Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – è strategico per non sprecare risorse preziose, per non riempire il Paese di discariche, per recuperare materiali utili all’economia e ridurre le emissioni di gas serra”. Per questo, è il suo ragionamento, in un momento di congiuntura economica negativa “servono misure incisive per rafforzare la domanda di MPS, le materie prime seconde prodotte col riciclo e interventi strutturali per affrontare il forte aumento dei costi dell’energia che per l’industria del riciclo costituiscono la quota maggiore dei costi di produzione”.

Gas, risparmiato il 10% stoccaggi: due settimane in più assicurate

Secondo gli ultimi dati forniti da Gie (Gas Infrastructure Europe) Agsi (Aggregated Gas Storage Inventory) il tasso di riempimento degli stoccaggi al 19 novembre nell’Unione Europea è al 95,17%. Lo stesso giorno di un anno fa la percentuale era al 75,57%. Il tasso di riempimento dell‘Italia è leggermente sotto la media Ue al 94,42%. Un anno fa la percentuale era però all’82,92%.

In pratica, fermandoci al caso italiano, abbiamo risparmiato finora circa il 10% delle scorte di gas stipate nei siti dove un tempo si estraeva metano, gran parte dei quali si trovano in Lombardia o comunque nella pianura padana. In parte merito del clima, più mite di altri anni, in parte per una riduzione forzata dei consumi, soprattutto da parte del mondo industriale, che inevitabilmente genereranno un calo dell’attività produttiva.

A ottobre, primo mese del nuovo anno termico, i consumi di gas naturale in Italia si attestano a 4.339 milioni di mc (-23,2%)”, sintetizzava pochi giorni fa il Gme. La frenata della domanda è proseguita anche a novembre, basta considerare che l’accessione dei riscaldamenti in alcune città è scattata solo pochi giorni fa, un mese dopo il tradizionale avvio degli scorsi anni.

Ora, visto che gennaio generalmente mangia 10 miliardi di metri cubi, febbraio 7,7, marzo 7,3 e aprile 5,3, il risparmio di gas non appare granché. Più o meno parliamo di un mancato utilizzo di oltre 2 miliardi di metri cubi di gas. Tuttavia, visti anche i prezzi – il Ttf con consegna a dicembre è scambiato a 113,7 euro/Mwh in calo dell’1,5% – si può ipotizzare che proprio grazie a questo tesoretto di metano, che allunga le scorte di un paio di settimane, non andremo incontro all’incubo razionamento. Anche in Italia, nonostante il balzo a quota 108,4 euro, il valore medio del gas di novembre (78,4 euro) resta ancora sotto la media di 80,7 di ottobre. Siamo in linea con le quotazioni di un anno fa e il boom di luglio/agosto sembra un lontano brutto ricordo.

Il mercato dunque è convinto che questo inverno è al sicuro e che le scorte non arriveranno a zero a inizio primavera. “Con gli stoccaggi che abbiamo, con tutti i meccanismi messi a punto, con distinzioni tra gasivori e altri, con una graduatoria di interrompibilità temporanea a fronte di indennizzo, vedo questo inverno con fiducia. Si può superare. La preoccupazione maggiore è per il 2023. Dovremmo ricostituire tutte le riserve e gli stoccaggi e non avremo più il gas russo“, avvertiva stamattina il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, intervenendo all’evento ‘Direzione Nord’ al Palazzo delle Stelline di Milano. Questi oltre due miliardi di metri cubi di gas risparmiati comunque sono fondamentali. Proprio grazie a questa base di stoccaggio più elevata del previsto, “la domanda di gas europea nordoccidentale può essere mediamente di circa 22 milioni di metri cubi al giorno superiore alle nostre precedenti aspettative per l’estate senza compromettere l’obiettivo di riempire al 90% gli stoccaggi a fine ottobre 2023“, scriveva pochi giorni fa Goldman Sachs. Una analisi in base alla quale, “ipotizzando una sensibilità alla domanda che vale 2,4 euro per milione di metro cubo“, la banca d’affari americana ha rivisto al ribasso la previsione del prezzo Ttf per l’estate 2023 a 180 euro/MWh, 55 euro in meno rispetto alle precedenti stime. E questo significa che il gas, sulla carta, costerà sempre caro ma non mancherà.

Cop27/Imago

Cop27, nessun Paese rispetta i target per la soglia di 1,5°C

Nessuno Stato ha raggiunto le prestazioni necessarie a fronteggiare la crisi climatica e a contenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia critica di 1,5°C. E’ quanto emerge dal Climate Change Performance Index 2023, il rapporto sulla performance climatica dei principali Paesi del Pianeta, redatto da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente per l’Italia presentato alla Cop27, che prende in considerazione 59 nazioni più l’Unione Europea nel suo complesso, rappresentanti ben il 90% delle emissioni climalteranti del globo. L’Italia è sostanzialmente in stallo nel contrasto alla crisi climatica: il Belpaese guadagna, infatti, appena una posizione rispetto allo scorso anno – è 29esimo anziché 30esimo – rimanendo ancorato al centro della classifica. A pesare sul risultato italiano, si evidenzia nel report, sono principalmente il rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e una politica climatica ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza. Le performance analizzate nel rapporto annuale, presentato oggi alla Cop27 di Sharm el Sheikh, hanno come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030 e vengono misurate attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), basato per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.

Restano vuote, anche quest’anno, le prime tre posizioni della classifica. In cima alla classifica i Paesi scandinavi che continuano a guidare la corsa verso emissioni zero, nonostante la crisi energetica. Danimarca e Svezia, nello specifico, si posizionano rispettivamente al quarto e quinto posto, soprattutto grazie al loro impegno per l’abbandono delle fonti fossili e nello sviluppo delle rinnovabili. Le seguono Cile, Marocco e India che rafforzano l’azione climatica, nonostante le loro difficili situazioni economiche. In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Iran, Arabia Saudita e Kazakistan. La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola al 51° posto perdendo ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno: nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le emissioni cinesi continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del sistema produttivo. Un gradino più in basso, al 52° posto, si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale che però guadagna tre posizioni rispetto allo scorso anno: un risultato attribuibile alla nuova politica climatica ed energetica dell’Amministrazione Biden che inizia a dare i suoi primi frutti, grazie al considerevole sostegno finanziario all’azione climatica previsto dall’Inflation Reduction Act.

Tra i Paesi del G20, solo India (8), Regno Unito (11) e Germania (16) si posizionano nella parte alta della classifica, mentre l’Unione Europea sale di tre gradini rispetto allo scorso anno, raggiungendo il 19esimo posto grazie a nove Paesi posizionati nella parte alta della classifica, frenata però dalle pessime performance di Ungheria e Polonia che continuano a essere fanalino di coda.

C’è speranza per le bollette: prezzo del gas torna ai livelli di fine giugno

L’intensificarsi del conflitto in Ucraina rovina la discesa del prezzo del gas al mercato di Amsterdam. Lunedì mattina il Ttf, il principale indicatore della quotazione del metano in Europa, aveva iniziato le contrattazioni confermando il calo delle ultime settimane scendendo sotto i 150 euro/MWh, un valore che non si vedeva da fine giugno. A influire sul calo del valore del gas, come sottolinea Ole Hansen su Twitter (commoditiy strategist di Saxo Bank), ci sono i “forti arrivi di Gnl, il clima autunnale mite e la distruzione della domanda. La capacità di shock della Russia si è notevolmente ridotta con flussi in calo del 78% su base annua”. In effetti le importazioni di carichi di Gnl in Europa nord-occidentale hanno raggiunto il livello più alto in questo periodo dell’anno dal 2016, secondo Bloomberg. Inoltre le temperature non dovrebbero essere fresche, nella maggior parte dell’Europa, nelle prossime due settimane, suggeriscono i modelli citati da Oilprice.com, il che allevierebbe la pressione rialzista sulla domanda di gas per riscaldamento ed elettricità. A proposito di elettricità, la leggera ripresa della produzione nucleare in Francia sta aiutando la fornitura ai Paesi vicini, frenando così una parte della domanda di gas per la corrente.

I livelli di ieri mattina sono stati quelli, appunto, di tre mesi fa, quando l’Arera – l’authority per l’energia – stabilì lultimo rialzo delle bollette del gas. La stessa Arera, a fine settembre, ipotizzava un +70% per il metano a novembre. Però se il prezzo rimanesse a questi livelli o inferiori potrebbero esserci speranze di aumenti inferiori. La struttura della bolletta del gas è cambiata: sarà mensile e le tariffe verranno stabilite ex post, nel senso che il prezzo del consumo di ottobre sarà deciso a novembre calcolato sulla base della media aritmetica delle quotazioni di ogni singolo giorno sul mercato di riferimento, che sia il Ttf o il Psv. Già, ultima questione benché non secondaria. Le nostre bollette non si baseranno più sul Ttf, ma sull’italiano Psv, che generalmente quota un 20 euro in meno rispetto al titolo olandese.

La speranza di una frenata del caro-bollette sbatte però con la guerra in Ucraina. I lavoratori russi si bloccano e Kiev comunica che dovrà rallentare se non bloccare l’export di energia elettrica. Questo annuncio ha fatto così sobbalzare il prezzo del Ttf, che poi però è tornato a scendere chiudendo a 159 euro/MWh, in rialzo di “soli” due punti percentuali nei confronti di venerdì. Dall’Ucraina passa anche il gasdotto che porta metano fino all’Italia, a quantità ridotte ma fondamentali per garantire l’equilibrio raggiunto – a colpi di acquisti a prezzi elevatissimi sul mercato spot olandese – riempendo gli stoccaggi in vista dell’inverno.

L’apertura della Germania a un fondo europeo, sul modello pandemico del Sure, apre tuttavia la strada a bollette meno pesanti in futuro. Da capire il valore dell’eurobond che sarebbe emesso per finanziare prestiti agli Stati. La trattativa fra governi pare appena cominciata.

Bicicletta

Italia ‘green’ nell’Ue dove cresce la voglia di bicicletta

Agli europei la bicicletta piace sempre di più. Che si tratti di quella tradizionale o di quella elettrica, non fa differenza. La domanda interna cresce, trainando l’industria del settore e le importazioni, soprattutto da Cambogia, Taiwan e Cina. I dati Eurostat mostrano un’Europa sempre più votata alla mobilità sostenibile, che conferma l’attenzione dei cittadini alle questioni climatico-ambientali. Nel 2021 l’Ue ha comprato dai Paesi terzi più modelli della due ruote ecologica di quanti ne abbia venduti. Ne sono state esportate 1.487.700 di quelle tradizionali, a fronte di 5.743.700 importate. Un flusso commerciale che si traduce in 433 milioni di euro di export , e poco più di un miliardo di euro di import (1,046 miliardi) . Un ‘deficit’ di oltre 500 milioni. Rispetto al 2020, un aumento delle importazioni pari al 17%, a fronte di esportazioni cresciute del 16%.

Analoghe le dinamiche per le biciclette con pedalata assistita, i modelli elettrici di nuova generazione. Lo scorso anno la domanda estera per i prodotti ‘made in Eu’ (315.800 unità) è risultata praticamente un terzo della domanda europea per i vari ‘made in’ extra-europei (1.148.600 modelli). Anche qui saldo commerciale penalizzante per l’Unione europea: 488 milioni di euro di ricavi a fronte di 849 milioni di euro di acquisti. In nome della sostenibilità, dunque, l’Ue è fin qui disposta a peggiorare la propria bilancia. Uno sforzo economico-commerciale ripagato dalle ricadute positive in termini di sostenibilità. “La bicicletta promuove la salute e il benessere personale”, sottolinea l’istituto di statistica europeo nel presentare i numeri. L’utilizzo della bici, che sia quella classica o quella moderna, “è economico e, nella misura in cui può sostituire l’uso dell’auto privata, aiuta a ridurre l’inquinamento atmosferico”.

Gli europei, dati alla mano, sembrano prenderne coscienza sempre di più. Questa voglia di nuovi stili di vita permette all’Italia di svolgere un ruolo da protagonista nel comparto. Nel 2021 la produzione dell’Unione europea ha registrato un incremento del’11% rispetto ai modelli usciti da fabbriche e stabilimenti nel 2020. Sono state immesse sul mercato 13,5 milioni di nuovi veicoli ecologici. Un mini ‘boom’ trainato anche dalle imprese tricolore. L’Italia risulta il terzo produttore europeo delle due ruote ecologiche , con 1,9 milioni di esemplari tutti nuovi. Meglio solo Portogallo (2,9 milioni) e Romania (2,5 milioni) . Dallo Stivale un contributo significativo alla trasformazione green dell’Ue.

foca monaca

Torna la foca monaca al largo dell’isola di Capraia, non si vedeva da decenni

Toh, chi si rivede: la foca monaca. Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha certificato il ritorno del mammifero, a rischio estinzione, nelle acque del Tirreno intorno all’isola di Capraia (Livorno). Non lo si vedeva da decenni in questo specchio di mare.

Da oltre un anno, da quando è stato avvistato l’esemplare – hanno spiegato gli scienziati del’Ispra -, è in atto il monitoraggio della grotta dell’isola di Capraia (arcipelago toscano) scelto come dimora da una foca monaca. L’attività di verifica e monitoraggio ha coinvolto il Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, l’Ispra, il Comune di Capraia e la Capitaneria di Porto. La foca monaca mancava dalle acque del Tirreno centrale dagli anni Sessanta e il suo ritorno ha un enorme valore per quanto riguarda la tutela della biodiversità marina. Sino ad oggi della foca monaca esistevano immagini solo di pochi secondi effettuate con riprese occasionali a filo d’acqua. Per la prima volta si riesce a vedere l’animale all’interno della sua ‘tana’ in fase di riposo nonché nei movimenti di entrata e uscita dall’acqua. Secondo una prima stima dovrebbe trattarsi di un esemplare adulto“.

La foca monaca è una specie classificata dalla Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura) come specie minacciata di estinzione, ha nuclei riproduttivi accertati nel Mar Mediterraneo orientale principalmente in Grecia e Turchia e recentemente anche lungo le coste dell’isola di Cipro. La specie è rigorosamente protetta ai sensi della Direttiva europea Habitat ed è inclusa anche nelle principali convenzioni internazionali per la tutela della fauna e dell’ambiente (firmate e ratificate in Italia e nella maggior parte dei paesi del bacino Mediterraneo) e rappresenta il più raro mammifero marino in Europa. La foca è considerata una delle specie più minacciate del pianeta, con un contingente complessivo attuale stimato in circa settecento esemplari ripartiti tra il bacino Mediterraneo e le vicine coste dell’oceano Atlantico.

L’ultimo avvistamento di foca monaca validato da Ispra nell’Arcipelago Toscano, prima di quello di Capraia del 2020, era stato nel 2009 a Giglio Campese. Il 24 maggio 2020 un pescatore locale ha segnalato l’avvistamento di un esemplare osservato e filmato durante la sua attività di pesca. Il 9 giugno 2020 un turista, racconta di aver avvistato la foca facendo un video con il cellulare, in cui si osserva il profilo parziale di emersione dell’esemplare. A questi sono seguite altre segnalazioni di avvistamenti, privi di documentazione fotografica ma riportati dettagliatamente, avvenuti nel corso dell’estate 2020 intorno all’isola di Capraia ed un video di un esemplare osservato dai Carabinieri Forestali nell’autunno 2020 nelle acque costiere dell’isola di Pianosa.

Da subito sono stati attivati sopralluoghi e monitoraggi nell’ambito dei quali Ispra ha osservato un esemplare e raccolto evidenza di materiale biologico all’interno di una grotta dell’isola di Capraia. A partire dal 24 giugno 2020 un’ordinanza del Parco nazionale ha vietato l’accesso, in ogni forma e con ogni mezzo, nella zona, già classificata come zona B, compresa tra Punta delle Cote a nord e la Baia a sud di Punta delle Cote, nella costa occidentale dell’Isola di Capraia. Subito dopo sono state posizionate apposite telecamere di sorveglianza ed è stata allertata la Capitaneria di Porto (Direzione Marittima di Livorno) per le necessarie operazioni di presidio.

Queste immagini sono una conferma straordinaria – ha detto Giampiero Sammuri, presidente di Federparchie ripagano dell’impegno profuso negli ultimi anni. Ritengo che questo sia il risultato anche della sensibilità dei Capraiesi (con in testa l’Amministrazione comunale retta dalla sindaca Marida Bessi), della tempestività dei provvedimenti di salvaguardia adottati e dell’attivazione della vigilanza con le telecamere e con il controllo garantito dalla Capitaneria di Porto. Le immagini realizzate sono emozionanti e ringrazio le ricercatrici di Ispra per la professionalità e la passione che stanno mettendo in questo progetto che risulta essere uno dei più importanti tra i tanti condotti dal Parco Nazionale nel campo della conservazione della biodiversità. Sono certo che – anche grazie al prezioso supporto da parte di Blue Marine Foundation – avremo modo di implementare le conoscenze relative agli habitat di interesse per questa vulnerabile specie di mammifero marino e realizzare una sempre più efficace opera di sensibilizzazione sulla necessaria tutela del nostro mare“.

Le immagini ottenute in questi giorni – commentano le ricercatrici Ispra Giulia Mo e Sabrina Agnesiconfermano la valenza dell’areale del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano quale area di frequentazione della specie nonché dell’importanza delle misure spaziali di protezione e gestione offerte dal sistema dei parchi e delle aree marine protette italiane. L’allestimento di una estesa rete di monitoraggio in grado di fornire documentazione video-fotografica, come quella raccolta in questi giorni, permette di descrivere la presenza ed il grado di frequentazione di esemplari di foca monaca e di valutare l’andamento dello stato di conservazione della specie nei mari italiani nello spazio e nel tempo. Inoltre, questo sistema di raccolta dati viene condotta con protocolli e metodologie non invasive, sia in fase di installazione che di operatività, che non recano disturbo agli esemplari durante la loro permanenza in grotta. Questi primi risultati non sarebbero stati possibili senza l’efficace intervento dell’Ente Parco e delle istituzioni territoriali coinvolte per il suo tramite, che oggi partecipano a questa conferenza stampa e che ringraziamo“.