Europa, il tema della leadership deciderà il nostro destino

Nel maggio del 1953 uno studente americano in visita in Inghilterra chiese a Churchill quale fosse il modo migliore per arrivare ad essere buoni leader. “Studi la storia, studi la storia” gli raccomandò lo statista “nella storia sono racchiusi tutti i segreti dell’arte di governo”.

Ma giustamente Henry Kissinger nel suo magnifico libro ‘Leadership’, edito nel 2021 quando aveva 98 anni (!), afferma che la conoscenza della storia, ancorché essenziale, non basta. Alcune questioni restano sempre “velate nella nebbia” e risultano impervie e difficili anche per gli esperti.

La storia infatti ci consente di confrontare per analogia situazioni tra loro simili. Ma l’analogia deve essere usata con cautela perché nessuno può rivivere il passato: il passato si può soltanto rievocare. Ogni situazione è in qualche modo unica nelle sue caratteristiche, per la semplice ragione che contiene elementi specifici che nessuna generalizzazione può afferrare.

La leadership è esattamente la capacità di dominare queste irriducibili novità della storia e le loro complessità. È possedere “l’impulso e l’istinto, la capacità di capire uomini e situazioni”, come scriveva all’inizio del secolo scorso il grande filosofo della storia Oswald Spengler.

La situazione che oggi vive l’Europa è del tutto inedita nella sua complessità, nel suo declino demografico, economico e industriale, nelle minacce alla sua sicurezza, nelle incertezze sul futuro.

Dopo la seconda guerra mondiale che aveva devastato il continente e dopo la liberazione dal nazifascismo, grazie soprattutto al sacrificio di giovani americani morti a migliaia di chilometri da casa per salvare l’Europa (solo nello sbarco in Normandia ne morirono 26.000), il nostro continente, grazie all’aiuto e alla protezione militare degli Usa, ha vissuto una stagione straordinaria di pace e di prosperità. Non era più al culmine della propria influenza globale come all’inizio del ’900, ma l’economia e la popolazione nel secondo dopo guerra sono tornate a crescere a un ritmo mai visto prima, l’industrializzazione, e un sempre più fiorente libero scambio, poi esploso negli anni della globalizzazione, hanno portato un benessere senza precedenti sorretto da un welfare sociale mai conosciuto nella storia del mondo.

Dopo secoli di guerre fratricide, le istituzioni democratiche dalla Gran Bretagna e dalla Francia si sono a poco a poco estese alle altre nazioni del continente, e finalmente si è dato vita al sogno della cooperazione europea, prima con la Ceca (Comunità del Carbone e dell’Acciaio) e l’Euratom (l’ente per l’energia nucleare) poi con il Mec (Mercato Comune Europeo) e infine con il trattato di Maastricht del 1992 che ha sancito la nascita dell’Unione Europea, suggellata qualche anno dopo dal traguardo della moneta comune.

Poi, all’inizio del nuovo millennio, si affaccia un cambiamento epocale che non è stato compreso dai più.

Il mondo si allarga e vi è una velocità di crescita di nuovi attori (innanzitutto, ma non solo, la Cina) che l’ideologia globalista e mercatista, imperante in occidente in quegli anni ed in auge anche presso le classi dirigenti europee, vede solo come grande opportunità di nuovi grandi mercati da scalare per le nostre merci e per le nostre industrie, senza intravvederne il rovescio della medaglia: una potenziale grande minaccia proprio per le nostre merci e per le nostre industrie.

All’origine dell’incapacità di comprendere il cambiamento c’è anche un’illusione culturale, e cioè che la crescita, il benessere e la pace che gli europei sono riusciti a costruire (anche, lo si vuole ripetere, grazie alla protezione militare statunitense) dovessero durare all’infinito.

La caduta dell’impero sovietico e la corsa verso l’Europa dei Paesi dell’Est europeo oppressi per decenni dalle diverse dittature comuniste agli ordini di Mosca convinsero tutti della superiorità del nostro modello.

In questo modo ci si è dimenticati della fatica della storia: solo diritti e non più doveri, la scomparsa del bisogno come prima molla dello sviluppo, un sentimento sempre più antindustriale guidato da un’ideologia estremista ambientalista dietro la quale si sono celate spesso spinte e tendenze anticapitaliste e anti-impresa, la grave sottovalutazione delle sofferenze e delle paure generate, soprattutto nelle classi meno abbienti e più indifese, dagli eccessi di una globalizzazione non governata e dai flussi migratori imponenti dal sud del mondo.

E ci si è pure dimenticati che la libertà non è garantita per sempre e che bisogna prepararsi a difenderla anche con la forza delle armi se necessario.

L’invasione russa dell’Ucraina, una guerra di trincea alle porte dell’Europa che si protrae da più di due anni con centinaia di migliaia di morti, che ha colpito un Paese libero che si deve disperatamente difendere, ha stracciato le nostre certezze e ha visto lo sbandamento delle opinioni pubbliche europee, dividendole tra quelle più vicine e spaventate dal neoimperialismo russo e le altre, che forse si credono più lontane e meno a rischio e che non sono sempre capaci di distinguere l’aggredito dall’aggressore.

Oggi noi europei paghiamo l’incapacità di comprendere la realtà e i suoi radicali cambiamenti; paghiamo la nostra presunzione e la sottovalutazione delle nostre debolezze; e paghiamo l’atteggiamento di chi per troppo tempo si è considerato il primo della classe.

Si dice che il castigo per l’ambizione e la presunzione eccessive, quelle che i greci chiamavano hybris, sia lo sfinimento, mentre il prezzo da pagare per aver riposato sugli allori sia la progressiva perdita di importanza e, infine, il declino.

Nicolò Machiavelli nei suoi ‘Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio’ sostiene che l’indebolimento della leadership è spesso legato all’apatia sociale provocata da lunghe fasi di tranquillità. Quando le società hanno la fortuna di vivere lunghi periodi di pace indulgono a una lenta ma progressiva corruzione dei costumi e ciò provoca la disattenzione e la presunzione di cui si è detto.

Al contrario la capacità di comprendere la situazione e di inquadrare una strategia per gestire il presente e plasmare il futuro, l’abilità di condurre la società verso obiettivi elevati costituiscono l’essenza stessa della leadership politica.

C’è qualcuno che ha il coraggio di fare un’analisi della realtà e di dichiarare in che condizioni siamo messi? C’è qualcuno che ha il coraggio di dire che l’Europa ha di fronte a sé una battaglia esistenziale?

Emmanuel Macron nel suo discorso alla Sorbona ha ricordato che l’Europa “è mortale”. Qualche giorno dopo il cancelliere Scholz ha detto cose simili. Non sembra che il ragionamento sia piaciuto né ai cittadini francesi né a quelli tedeschi, almeno a giudicare dall’esito delle urne. Eppure.

E sempre sul tema della leadership, esistono ancora leader capaci di una vera visione politica di lungo termine? È ancora possibile oggi in Occidente un’autentica leadership con il carattere, l’intelletto e l’audacia necessari per affrontare le sfide che attendono l’ordine mondiale?

Kissinger conclude il suo saggio affermando: “La fiducia nel futuro è indispensabile. Nessuna società può rimanere grande se perde la fiducia o se sistematicamente mette in dubbio la percezione che ha di sé. Ciò richiede ai governanti la disponibilità ad ampliare la propria sfera di interesse alla società in generale e a evocare la generosità del senso civico, che ispira servizio e sacrifici.”

Prezioso insegnamento per un’Europa che deve ritrovare la sua via.

Meloni a Parigi per Roma Expo2030: “Progetto innovativo e sostenibile”

La città universale per eccellenza. La prima megalopoli della storia, che “vive continuamente rigenerandosi“. Culla del dialogo tra religioni monoteiste, capitale della cultura, uno degli hub universitari più grandi del mondo. La città “dal cuore antico che batte al ritmo della storia“. Dal palco dell’assemblea generale del Bureau International des Expositions, a Parigi, Giorgia Meloni usa tutte le frecce al suo arco per promuovere Roma, città in cui è nata e cresciuta, per ospitare l’Expo 2030. Lo stesso anno in cui tutti i Paesi saranno chiamati a valutare i risultati degli obiettivi dello sviluppo sostenibile posti dalle Nazioni Unite.

E’ per questo che il progetto di Roma è tutto incentrato sulla sostenibilità, con il più grande parco solare urbano al mondo. Coprirà un’area di 150mila metri quadrati e avrà una capacità produttiva di picco di 36 Megawatt, composto da centinaia di “alberi energetici” che aprono e chiudono i pannelli durante il giorno, raccogliendo energia e offrendo ombra ai visitatori. Una complessa rete completata dal padiglione ‘Eco-system 0.0‘, l’edificio più alto, che fornirà il raffreddamento attraverso l’evaporazione.

Stiamo spiegando ai nostri partner che realizzare un progetto su larga scala senza deturpare il territorio è possibile“, scandisce la premier. Il progetto sarà, ribadisce, “innovativo e sostenibile, ogni padiglione produrrà energia pulita“. L’Expo, ricorda, è stata sempre “molto di più di una esposizione mondiale“: “E’ stata la storia di un disegno dell’era successiva. Roma vuole fare questo: ponendo al centro le persone, i territori, la rigenerazione. Parliamo di un’eredità ambiziosa di progresso“.

La Città Eterna non è però l’unica a contendersi l’Esposizione Universale del 2030. In lizza ci sono anche Busan (Corea del Sud) e Riad (Arabia Saudita). L’Ucraina, che aveva presentato una candidatura nel settembre 2022 per Odessa, non risulta più menzionata nel testo del Bie.

A Parigi il principe saudita Mohammad bin Salman presenta il suo faraonico piano di sviluppo chiamato ‘Vision 2030’. Pranza con il presidente francese, che a luglio aveva espresso il sostegno della Francia alla candidatura di Riad.

Macron però incontra tutti. Vede il presidente sudcoreano Yoon Suk-Yeol per discutere di “energia nucleare civile” e “cooperazione nei settori del futuro“, secondo quanto riferito dall’Eliseo.
Poi vede Meloni e disinnesca le tensioni dei mesi precedenti. “Italia e Francia sono due nazioni legate, importanti, protagoniste in Europa, che hanno bisogno di dialogare perché molti e convergenti sono gli interessi comuni. La nostra collaborazione è stretta e proficua in molti settori“, assicura la premier italiana nelle dichiarazioni all’Eliseo dopo l’incontro.

I 179 Stati membri del Bie voteranno a novembre, a scrutinio segreto, per determinare il vincitore. Le esposizioni universali si tengono ogni cinque anni e durano al massimo sei mesi. Busan vuole ospitare l’evento dal primo maggio al 31 ottobre 2030 sul tema ‘Trasformare il nostro mondo, navigare verso un futuro migliore‘, mentre la candidatura di Roma, nelle stesse date, si concentra su ‘Persone e territori: rigenerazione, inclusione e innovazione‘. Riad si candida dall’1 ottobre 2030 al 31 marzo 2031 con il tema: ‘L’era del cambiamento: insieme per un futuro luminoso‘.

Secondo il Bie, le esposizioni consentono al Paese ospitante di “costruire padiglioni straordinari e trasformare la città ospitante nel lungo periodo“. La più recente esposizione, quella di Dubai, ha attirato 24 milioni di visitatori. Quella del 2025 si terrà a Osaka, in Giappone.

 

Photo credit: Expo2030 Roma (Instagram)

A Bali vertice G7-Nato. Poi leader in visita a foresta mangrovie

La guerra entra nei confini dell’Unione europea e salta la giornata dei leader al secondo giorno di lavori del G20 a Bali, in Indonesia. Nel diluvio di missili russi sui cieli ucraini, nel villaggio polacco di Przewodov, al confine, un’esplosione fa due morti e la Polonia allerta l’esercito.

Gli appuntamenti slittano, mentre tra Kiev e Mosca le accuse rimbalzano. Con i leader del mondo riuniti a Bali, gli Stati Unici convocano una riunione urgente del G7 con la Nato. Al tavolo il presidente Joe Biden, il premier spagnolo Pedro Sanchez, la premier Giorgia Meloni, il presidente francese Emmanuel Macron, la premier il canadese Justin Trudeau, il premier giapponese Fumio Kishida, il primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, il premier inglese Rishi Sunak. Presenti anche la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.

Meloni scende nella hall dell’albergo e procede spedita verso la riunione dei leader, senza rilasciare dichiarazioni. Palazzo Chigi fa sapere poi di una telefonata con il premier polacco Mateusz Morawiecki per esprimergli la sua solidarietà e parla di “fortissima apprensione e preoccupazione” per quanto accaduto in Polonia. “E’ conferma della gravità e delle conseguenze della ingiustificata aggressione russa nei confronti dell‘Ucraina“, spiega lei su Twitter.

Il mondo al G20 chiede una de-escalation, mentre la Russia continua a bombardare: “E’ totalmente inconcepibile“, tuona Biden al termine della riunione. A ogni modo, “è improbabile che il missile che ha fatto due vittime in Polonia sia stato sparato dalla Russia“, lasciando intendere che è stato abbattuto nei cieli ucraini. A far luce sulla vicenda sarà un’indagine polacca, alla quale G7 e Nato offrono supporto, ritenendo la Russia “responsabile dei suoi sfacciati attacchi alla comunità ucraina“. I Paesi resteranno in stretto contatto per, spiegano in una nota congiunta, “determinare i passi successivi appropriati man mano che le indagini procedono“.

A riunione finita, i leader raggiungono la foresta delle mangrovie di Hutan, coinvolta nel programma di ripristino degli esemplari su un’area di 600mila ettari. Giorgia Meloni è l’ultima ad arrivare, dopo un bilaterale con il canadese Trudeau, in cui sul tavolo c’è l’impegno reciproco sulla transizione climatica. Nella foresta, i leader in polo e camicie bianche piantano simbolicamente un albero.

Cop27/Imago

Le tensioni tra Usa-Cina mettono a repentaglio l’esito di Cop27

Le tese relazioni tra Pechino-Washington potrebbero indurre la Cina a trattenersi dal prendere nuovi impegni sul clima, nonostante la crescente pressione internazionale sul più grande emettitore mondiale di gas serra. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è atteso al vertice della COP27 in corso a Sharm el-Sheikh, mentre è certa l’assenza del suo omologo cinese Xi Jinping. La cooperazione tra i due Paesi più inquinanti è stata fondamentale per realizzare progressi in quasi 30 anni di negoziati sul clima sotto l’egida delle Nazioni Unite, in particolare per portare allo storico accordo di Parigi del 2015. Ma a oggi le relazioni si sono inasprite sulle spinta delle crescenti tensioni legate a Taiwan. L’esito della COP27 è quindi incerto, visto che la Cina è stata uno dei principali attori nel successo dell’accordo di Parigi. Si susseguono dunque, da parte della comunità internazionale, gli appelli affinché Pechino e Washington si assumano la propria responsabilità sui cambiamenti climatici: dall’Egitto, il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto loro in particolare di essere “davvero presenti”. Xi Jinping ha già preso due grossi impegni negli ultimi anni: la Cina raggiungerà il picco delle emissioni di carbonio entro il 2030 e sarà carbon neutral entro il 2060. Queste misure si stanno rivelando cruciali per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2°C (l’aspirazione è 1,5°C) rispetto ai livelli preindustriali. Visti gli impegni attuali, è aumentata dunque la pressione sui principali inquinatori per andare oltre le loro promesse.

putin

Ucraina, Putin accetta ispezione Aiea alla centrale Zaporizhzhia

Vladimir Putin ha accettato l’invio di una missione internazionale alla centrale nucleare ucraina di Zaporizhia da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), affermando di temere che il bombardamento possa portare a undisastro su larga scala.

Intanto, il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres, in visita in Ucraina, ha invitato la Russia a non interrompere la rete elettrica ucraina nell’impianto nel Sud del Paese, che il suo esercito ha occupato dall’inizio di marzo e che nelle ultime settimane è diventato il bersaglio di attacchi per i quali Mosca e Kiev si accusano a vicenda.

All’inizio della giornata, l’operatore ucraino della centrale Energoatom non ha escluso uno scenario di questo genere, sostenendo che l’esercito russo sta cercando di rifornirsi di generatori diesel che sarebbero stati attivati dopo lo spegnimento dei reattori e che aveva limitato l’accesso del personale all’impianto.

Naturalmente, l’elettricità di Zaporizhia è elettricità ucraina questo principio deve essere pienamente rispettato“, ha detto Guterres in una conferenza stampa a margine di un viaggio a Odessa, il principale porto ucraino sul Mar Nero, dopo essere stato a Leopoli, nell’ovest del Paese.

Il bombardamento sistematico del territorio della centrale nucleare di Zaporizhia crea il pericolo di un disastro su larga scala che potrebbe portare alla contaminazione radioattiva di vasti territori“, ha avvertito il presidente russo in una conversazione telefonica con il suo omologo francese, Emmanuel Macron. In questo contesto, Putin e Macron “hanno rilevato l’importanza di inviare al più presto alla centrale nucleare una missione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che possa valutare la situazione sul posto“, ha dichiarato il Cremlino, sottolineando che “la parte russa ha confermato di essere pronta a fornire tutta l’assistenza necessaria agli ispettori dell’AIEA“.

Il capo di Stato russo ha anche accettato che questa squadra internazionale “passi attraverso l’Ucraina” e non attraverso la Russia, come aveva chiesto in precedenza, ha dichiarato la presidenza francese. Tuttavia, lo stesso giorno un diplomatico ha dichiarato all’AFP che gli occidentali erano più preoccupati di mantenere il raffreddamento ad acqua dei reattori nucleari che dell’impatto di un incendio sull’impianto, che è stato “costruito per resistere” ai peggiori impatti, “persino allo schianto di un aereo di linea“.

Il giorno prima a Leopoli, dove ha incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il Segretario generale dell’ONU ha affermato che “ogni potenziale danno a Zaporizhia sarebbe un suicidio” e ha sollecitato la “smilitarizzazione dell’impianto“. Venerdì scorso è stato il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, a chiedere su Twitter che i russi si “ritirino” dal sito e “restituiscano immediatamente il pieno controllo al suo legittimo proprietario, l’Ucraina“.

Macron e Le Pen

In Francia Macron e Le Pen bocciati dalle associazioni ambientaliste

I prossimi cinque anni saranno cruciali per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul cambiamento climatico, una sfida che, secondo gli osservatori, finora non è stata raccolta dai due candidati alle elezioni presidenziali francesi. “Questi risultati del primo turno delle elezioni presidenziali del 2022 sono una sconfitta per il clima e più in generale per l’ambiente”, dichiara Greenpeace Francia su Twitter.

I due candidati al duello finale, il presidente uscente Emmanuel Macron e la rappresentante del Rallemblement National Marine Le Pen, non hanno convinto gli ambientalisti e gli attivisti del cambiamento climatico della loro capacità di attuare le riforme necessarie per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Per la Francia, questo significa una riduzione del 40% delle emissioni di gas serra entro il 2030 rispetto al livello del 1990. “Sarà compito del prossimo governo impostare la nazione su una traiettoria coerente con l’accordo di Parigi. Se non riusciremo a farlo nei prossimi cinque anni, possiamo buttarli nella spazzatura”, avverte Matthieu Auzanneau del think tank The Shift Project.

L’ultimo rapporto degli esperti del clima delle Nazioni Unite (IPCC) ha anche evidenziato la necessità di agire nei prossimi anni se vogliamo contenere il riscaldamento globale. Diverse organizzazioni hanno interrogato i candidati sulle loro intenzioni, o almeno hanno esaminato i loro programmi. Questi due candidati “non avevano interesse a dare visibilità al riscaldamento globale in questa campagna, e ci sono in parte riusciti”, osserva Simon Persico, docente a Sciences Po Grenoble. Durante il prossimo mandato, la Francia lavorerà alla prima legge quinquennale di programmazione energetica e climatica (LPEC), per fissare le priorità delle politiche climatiche ed energetiche del paese. Con l’ambizione dell’Europa di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, la Francia dovrà probabilmente accelerare il proprio ritmo.

USO MASSICCIO DELL’ENERGIA NUCLEARE

Emmanuel Macron conta in particolare sul “proseguimento della costruzione delle prime sei centrali nucleari di nuova generazione, moltiplicando per 10 la nostra energia solare e installando 50 parchi eolici offshore entro il 2050”. Mira anche a “costruire un settore francese di produzione di energia rinnovabile” e difende l’idrogeno e l’auto elettrica. L’istituto I4CE – che ha interrogato i candidati sul budget che dedicheranno alla transizione ecologica – ritiene tuttavia che il programma di Macron “non contenga misure fiscali e ne abbia pochissime di regolamentazione per incoraggiare le famiglie e le imprese a investire sul clima”. Climate Action Network pensa che “nessuna misura che vada nella direzione di un greening del bilancio dello Stato è stata presentata” e deplora la volontà di perpetuare la riduzione delle tasse di produzione legate al piano di recupero post-Covid, “ancora senza alcuna contropartita ambientale o sociale”.

Nel suo opuscolo programmatico sull’ecologia, Marine Le Pen afferma che “la Francia rispetterà gli impegni dell’accordo di Parigi, con i mezzi che sceglierà, al ritmo e secondo le tappe che deciderà”. Una delle sue misure chiave è una “moratoria” sulle turbine eoliche e sul fotovoltaico, oltre allo smantellamento dei parchi eolici esistenti, preferendo affidarsi all’energia idroelettrica e geotermica per le energie rinnovabili. Per lottare contro la precarietà, difende “la detassazione parziale del carburante”, una misura che è “assolutamente controproducente” per la trasformazione del sistema dei trasporti, secondo Greenpeace Francia.

Sia Marine Le Pen che Emmanuel Macron fanno molto affidamento sul nucleare per decarbonizzare la produzione di elettricità. Ma The Shift Project fa notare che le capacità proposte dal primo (100 GW) non sono realistiche rispetto alle previsioni dell’industria entro il 2050. “Qualsiasi strategia di uscita dai combustibili fossili deve essere molto forte su posti di lavoro, equità, sobrietà e governance. Per il momento, non sappiamo quasi nulla di ciò che i candidati propongono in questi settori fondamentali”, insiste Matthieu Auzanneau.