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INFOGRAFICA INTERATTIVA La produzione di energia nucleare nel mondo

In questa infografica interattiva, elaborata da GEA su dati Aiea, sono mostrati i dati sulla produzione mondiale di energia elettrica. In particolare, sono messi a confronto la produzione totale di energia nucleare (in GWh) e il suo peso nel mix energetico. È interessante notare come gli Stati Uniti, primo produttore mondiale per volume, siano solo al 16° poso nel dato sull’incidenza. Per passare da una visualizzazione all’altra, cliccare sulla legenda

Presidente Cop28 replica alle polemiche: “Rispetto la scienza, inevitabile abbandonare combustibili fossili”

In una Cop già controversa, non si placa la bufera che si sta abbattendo sul suo presidente, l’emiratino Sultan Al Jaber. Dopo i documenti resi noti, tra gli altri, dalla Bbc, che lo accusavano di conflitto di interessi, questa volta a gettare benzina sul fuoco è un audio che lo riguarda. In uno scambio avvenuto a novembre con l’ex presidente irlandese Mary Robinson, riportato dal Guardian, Al Jaber ha affermato che l’“uscita” dai combustibili fossili è “inevitabile”, ma che “non esiste nessuno studio scientifico, nessuno scenario, secondo cui l’eliminazione dei combustibili fossili” porterà a limitare il riscaldamento globale a +1,5° gradi rispetto all’epoca preindustriale. Eppure, lo stesso presidente della Cop28, proprio durante il primo giorno della Conferenza – pur parlando una necessaria convivenza tra fonti fossili e rinnovabili durante la transizione energetica – aveva invitato i presenti a non omettere “alcun argomento” dai testi che saranno negoziati nell’arco di due settimane dai delegati di quasi 200 Paesi, quindi nemmeno i combustibili fossili.

Sultan Al Jaber è l’amministratore delegato di Adnoc, la principale compagnia petrolifera degli Emirati Arabi Uniti. E nasce proprio da qui il suo ruolo controverso, che nell’audio reso noto si esplicita ancora di più. “La riduzione dell’uso dei combustibili fossili e il loro abbandono sono, a mio avviso, inevitabili. È essenziale – ha detto a un evento online organizzato dall’iniziativa She Changes Climate – ma dobbiamo essere seri e pragmatici“. Con una sottolineatura ulteriore: “Mostratemi la tabella di marcia per un’uscita dai combustibili fossili che sia compatibile con lo sviluppo socio-economico, senza riportare il mondo all’età delle caverne“.

Per cercare di placare le polemiche, il presidente della Cop28 ha spiegato che rispetta le raccomandazioni scientifiche sul cambiamento climatico e ha chiesto una riduzione del 43% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030. “Siamo qui perché crediamo e rispettiamo la scienza”, ha detto. “Tutto il lavoro della Presidenza è focalizzato e centrato sulla scienza”, ha dichiarato durante una conferenza stampa, alla quale ha invitato Jim Skea, il presidente dell’Ipcc, il gruppo di esperti sul clima incaricato dalle Nazioni Unite.

Durante la conferenza stampa gli è stato chiesto della frase riportata dal Guardian, che sembra mettere in discussione ciò che l’Ipcc e altri scienziati dicono sulla necessaria riduzione dei combustibili fossili, che sono responsabili di due terzi delle emissioni attuali.“La scienza dice che dobbiamo raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050 e che dobbiamo ridurre le emissioni del 43% entro il 2030” per limitare il riscaldamento globale a +1,5°C, l’obiettivo fissato dall’Accordo di Parigi, ha risposto, aggiungendo: “Ho detto più e più volte che la riduzione e l’uscita dai combustibili fossili è inevitabile”. “Sono sorpreso dai continui e ripetuti tentativi di minare il lavoro della Presidenza della Cop28”, ha aggiunto Sultan Al Jaber. “Questa è la prima Presidenza della Cop che invita attivamente le parti a proporre formule su tutti i combustibili fossili”, ha sottolineato l’emiratino, lamentando che i media non sono interessati a questo fatto.

Nucleare, Pichetto: “Pronti dai primi anni del 2030”. Salvini: “Vorrei centrale a Milano”

Il governo va avanti sul nucleare, nel mix energetico considerato fondamentale per l’indipendenza e per la transizione energetica. L’esecutivo è “convintamente impegnato” sul tema, assicura il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto, “questa è la scelta di fondo”. Secondo il responsabile del Mase, “dai sondaggi il quadro nel Paese è cambiato molto”. Si riferisce ai referendum con cui gli italiani hanno detto No alla tecnologia, bloccando il piano italiano iniziato nel 1959 con la costruzione di quattro centrali, per due volte: prima nel 1987, dopo il disastro di Chernobyl, poi nel 2011. Nel 2022 però l’Europa ha inserito il nucleare tra le attività considerate sostenibili dalla tassonomia verde. La decisione è avvenuta dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e la corsa al gas per l’Unione, che si riforniva principalmente dalla Russia. Per la quarta generazione del nucleare, secondo il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, bastano sei o sette anni, se si parte nel 2024: “Ho chiesto ad alcuni tecnici, se noi domani superiamo il dibattito ideologico, il primo interruttore si può accendere nel 2032”, afferma. L’obiettivo è che per quell’anno “tutti i protagonisti siano attorno allo stesso tavolo, perché se ogni ministero fa il suo tavolo non si arriva da nessuna parte”, precisa il ministro. Sulla sicurezza non ha dubbi: “Io da milanese lo vorrei un reattore di ultima generazione nella mia città, perché sono convinto che sia energia pulita, sicura e costante”, sostiene. “L’ho detto 2-3 anni fa, la prima centrale la vorrei a Milano, apriti cielo“, ricorda il vicepremier, che lancia un segnale politico: “è facile dire sì al nucleare, ma nella provincia a fianco”.

E’ d’accordo Pichetto: “Non ho assolutamente problema a dire a dire di sì a un reattore nella mia città, perché sono il primo a dire che deve avere garanzie di sicurezza e la ricerca dice che arriveremo qualcosa di molto sicuro“, garantisce. Anche il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo guarda ai primi anni trenta per l’inizio delle attività: “Non parliamo di terza generazione, noi parliamo di quarta e di reattori che sono un orizzonte che gli esperti tecnici mi dicono fattibile, realizzabile in quegli anni”, conferma. “Non è immaginabile un sistema energetico decarbonizzato, stabile e sicuro, senza la garanzia che offrono gli avanzamenti scientifici e tecnologici in questo settore“, scandisce la viceministra del Mase, Vannia Gava. Si dice pronta: “Archiviamo la stagione dei no e dei timori, apriamo quella dei sì. Le imprese ci sono, le istituzioni ci sono. Noi ci siamo”.

Le opposizioni però dissentono. “Salvini, l’uomo barzelletta, oggi ne ha sparata un’altra: vuole costruire una centrale Nucleare a Milano. Bene, lo sfido a fare un confronto pubblico con me in Piazza Duomo a Milano a spiegare che vuole la centrale a Milano e dove prenderà i soldi per finanziare la realizzazione delle centrali e io spiegherò perché quello che lui dice sul nucleare, e non solo, è una barzelletta”, tuona il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli. Alleanza Verdi Sinistra si prepara a due iniziative in piazza a Milano e Torino con cartonati di centrali nucleari. Bonelli ricorda che in Francia, Paese all’avanguardia dal punto di vista della tecnologia, a Flamanville hanno iniziato a costruire una centrale Nucleare terza generazione plus nel 2006 e dopo 17 anni i lavori non sono ancora terminati. “In più i costi da 3.7 miliardi di euro sono lievitati a 20 miliardi“, fa sapere.

Di “pantomima farsesca” parla il Movimento 5 Stelle: “Praticamente oggi il leader della Lega Salvini ci dice che vuole un reattore Nucleare nel cuore di Milano. Chissà, magari al posto del Teatro della Scala. Oppure dell’Arena Civica Gianni Brera. Sta di fatto che, fosse per lui, una mini-centrale se la metterebbe pure in garage. Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano i milanesi, e con loro tutti gli altri italiani“, scrivono in una nota i parlamentari M5s delle commissioni Ambiente di Camera e Senato Ilaria Fontana, Patty L’Abbate, Daniela Morfino, Agostino Santillo, Gabriella di Girolamo, Elena Sironi e Antonio Trevisi. Il governo, affermano, “spara promesse a casaccio su centrali nucleari da aprire tra dieci anni – dove e con quali soldi, non è dato sapere – ma sulle rinnovabili nel frattempo batte la fiacca“. Il discorso approda al question time della Camera, quando, in una interrogazione sulle Cer, la deputata del Pd, Sara Ferrari, chiede a Pichetto se “anche il suo governo creda davvero come il Partito democratico nelle comunità energetiche rinnovabili o preferisca invece puntare sulla centrale nucleare a Milano, come piacerebbe a Salvini”.

Giappone, iniziata la seconda fase di scarico delle acque di Fukushima

La seconda fase dello scarico in mare delle acque trattate dalla centrale nucleare giapponese di Fukushima è iniziata questa mattina.
Il Giappone ha iniziato a scaricare nell’Oceano Pacifico l’acqua utilizzata per raffreddare i nuclei dei tre reattori della centrale di Fukushima Daiichi, che si sono fusi dopo lo tsunami del 2011, il 24 agosto scorso.

Quest’acqua, che proviene anche dalle falde acquifere e dalla pioggia, è stata conservata a lungo in enormi serbatoi nel sito della centrale e trattata per liberarla dalle sostanze radioattive, ad eccezione del trizio che, secondo gli esperti, è pericoloso solo in dosi concentrate molto elevate.

La Tepco diluisce molto l’acqua triziata con acqua di mare prima di scaricarla nell’oceano, per garantire che il suo livello di radioattività non superi il limite di 1.500 Bq/L. Il limite è 40 volte inferiore allo standard giapponese per questo tipo di scarico in mare ed è anche quasi sette volte inferiore al limite fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per l’acqua potabile (10.000 Bq/L). Lo scarico in mare è stato approvato dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA). Ma l’avvio del processo ha scatenato una crisi diplomatica tra il Giappone e la Cina, che alla fine di agosto ha sospeso tutte le importazioni di prodotti ittici giapponesi.

La Russia, le cui relazioni con il Giappone sono state messe a dura prova anche dalle sanzioni imposte da Tokyo contro Mosca dall’inizio della guerra in Ucraina, starebbe valutando di fare lo stesso. “Come per il primo rilascio, continueremo a monitorare i livelli di trizio. Continueremo a informare il pubblico in modo chiaro e comprensibile, sulla base di prove scientifiche”, ha dichiarato la scorsa settimana un funzionario della Tepco alla stampa.

Durante la prima fase, durata 17 giorni, sono stati scaricati in totale circa 7.800 m3 di acqua triziata. La Tepco ha pianificato altre tre operazioni simili fino alla fine di marzo 2024. In totale, il Giappone prevede di scaricare nell’Oceano Pacifico oltre 1,3 milioni di m3 di acqua triziata proveniente da Fukushima – l’equivalente di 540 piscine olimpioniche – ma in modo estremamente graduale, fino all’inizio del 2050, secondo il programma attuale.

Edison investe 10 miliardi per decarbonizzazione e punta a due centrali nucleari entro 2040

Dieci miliardi sul tavolo entro il 2030 per raddoppiare i clienti, i margini, l’energia rinnovabile prodotta e persino i punti luce dell’illuminazione pubblica, abbattendo le emissioni da 293 grammi per kilowattora al 2022 a 190 grammi per kilowattora entro il termine del decennio. Dal 2030 in poi l’attenzione dovrebbe essere invece tutta sulla ripartenza del nucleare, con la possibilità di mettere a terra due nuove centrali, arrivando così ad abbassare ulteriormente bollette e costi oltre che l’inquinamento dato che la previsione è di poter produrre il 90% dell’energia decarbonizzata. Questi i punti principali della nuova strategia di Edison, svelata questa mattina nella sala degli azionisti in Foro Bonaparte, sede storica di un gruppo che festeggia 140 anni di storia.

“I tre pilastri della nostra strategia puntano su aumento della produzione di energia rinnovabili, fotovoltaico ed eolico correlata a sistemi di flessibilità. Vogliamo poi giocare un ruolo rilevante nella transizione con il gas, settore che ci vede occupare il 20% del mercato dove andremo a inserire idrogeno e gas verde. Terzo pilastro: accompagnare i nostri clienti a consumare meno e meglio, fornendo commodity sempre più decarbonizzate”, ha spiegato l’amministratore delegato Nicola Monti.

Per quanto riguarda la produzione elettrica, l’obiettivo è arrivare al 2030 con 5 GW di capacità rinnovabile installata tra eolico, fotovoltaico e idroelettrico rispetto agli attuali 2 GW. Questo significa incrementare la capacità fotovoltaica di 2 GW, quella eolica di 1 GW rispetto all’esistente e mantenere stabile 1 GW di idroelettrico. Si punta poi ad avere almeno 2 nuovi impianti termoelettrici di ultima generazione altamente efficienti e flessibili con una potenza installata complessiva di circa 2 GW totali, per compensare l’intermittenza delle fonti rinnovabili e rispondere alla loro crescente penetrazione. Inoltre il gruppo lavorerà per raggiungere 500 MW di sistemi di accumulo tra sistemi di pompaggio e batterie, a compendio della produzione rinnovabile e per dare stabilità alla rete, e ad almeno 1 sistema di cattura della CO2 approvato, da installare entro il 2035 presso una centrale termoelettrica.

Altro pilastro è quello del gas. “Vogliamo mantenere il 20% della copertura nazionale di gas ma puntiamo a una maggiore flessibilità sulla fornitura. Arriverà Gnl dagli Usa, abbiamo Porto Tolle, ma l’obiettivo è anche avere idrogeno e biometano. L’obiettivo è essere protagonisti nel gas liquido, vogliamo avere due depositi in funzione nel decennio. L’ambizione al 2040 è quella di avere una quota di gas verde al 15%”, ha evidenziato Monti. Terzo pilastro: i clienti. “Abbiamo raggiunto quest’anno 2 milioni di contratti, ma puntiamo a 4 milioni di contratti al 2030. Possiamo farcela rafforzando la nostra rete territoriale. L’obiettivo è dare vita a 1000 negozi. Vogliamo poi sviluppare oltre 2mila comunità energetiche condominiali e conquistare l’8% dell’energia necessaria per la ricarica”, ha sintetizzato l’amministratore delegato aggiungendo infine che “nell’illuminazione pubblica vogliamo raddoppiare i punti luce, arrivando a quota 2 milioni”.

In tutto ciò il gruppo ha anche l’obiettivo di raddoppiare l’Ebitda – l’utile lordo – in una forchetta tra 2 e 2,2 miliardi di euro al 2030 rispetto a 1,1 miliardi di euro nel 2022. Un target che sulla carta verrà raggiunto grazie a un significativo cambiamento del portafoglio industriale che porterà le attività a emissioni dirette nulle o quasi nulle a rappresentare il 70% dell’Ebitda rispetto alla media dell’ultimo triennio pari al 35%. Una evoluzione che sarà finanziata tramite flussi di cassa operativi e un livello di debito in linea con rating investment grade.

Il clou della strategia verso il 2040 è però il nucleare. La nuova tecnologia degli Small Modular Reactor (Smr) può essere utilizzata per produrre energia elettrica e termica, rispondendo in modo versatile alle esigenze dei distretti energivori e dei territori ed Edison ha l’ambizione di sviluppare il nuovo nucleare, se si creeranno le condizioni per il suo ritorno in Italia. In particolare, la società punta ad avviare due impianti da 340 MW ciascuno con tecnologia Smr tra il 2030 e il 2040, valorizzando in particolare le distintive competenze tecnologiche dell’azionista Edf. Nei prossimi anni “l’Italia dovrà spendere 300 miliardi per arrivare agli obiettivi vincolanti di decarbonizzazione”, ha ricordato Monti. Ebbene, ha fatto sapere Lorenzo Mottura, vicepresidente Edison area Strategy, Corporate Development & Innovation, “in uno scenario ottimizzato con rinnovabili, nucleare e produzione a gas decarbonizzata emerge che si può raggiungere il target di decarbonizzazione al 2050 con una riduzione degli investimenti pari a 400 miliardi di euro”.

“La stima è che per realizzare 15 nuovi impianti nucleari in Italia serviranno 30 miliardi”, ha aggiunto Mottura. “La centrale però avrà una durata di vita di 60 anni, e il costo sarà inferiore rispetto a quello delle rinnovabili, più adeguamento delle reti e stoccaggio”. E poi “gli Smr (i mini reattori nucleari, ndr) sono in grado di modulare molto di più rispetto alle centrali nucleari attuali. Sanno spostare la produzione tra energia elettrica e calore, che serve i distretti industriali e la produzione di idrogeno. Gli Smr sono poi modulabili in potenza. Nel complesso vediamo un nucleare flessibile al Nord e stoccaggi di energia che riequilibra le rinnovabili rendendo meno costosa l’interconnessione tra Nord e Sud Italia”.

Riprodurre la fusione sulla Terra ci darebbe l’energia dei sogni

L’energia a fusione nucleare? Sarà talmente economica da non aver nemmeno bisogno di essere misurata. Non è vero, ovviamente. La frase – metà anni ‘50 – è attribuita all’allora presidente della commissione per l’energia atomica Lewis Strauss (per gli amanti del cinema: uno dei protagonisti, interpretato da Robert Downey Jr, del film campione di incassi ‘Oppenheimer’). Richiamava l’idea di un futuro in cui l’energia potesse essere – cito – disponibile come l’acqua.

La previsione rimandava alla futura progettazione di reattori nucleari a fusione. Macchine in cui dovrebbe avvenire lo stesso processo che alimenta il Sole e le stelle: strizzare, cioè, la materia grazie a campi magnetici potentissimi (nel Sole ci pensa la gravità) per fondere fra loro nuclei di atomi di idrogeno. E generare energia. Tutto diverso dal processo delle attuali centrali a fissione, dove invece la reazione si produce bombardando l’atomo.

Riprodurre la fusione sulla Terra ci darebbe l’energia dei sogni: pulita, sicura, prodotta da un combustibile facilissimo da reperire, e senza produzione di scorie radioattive a lungo tempo di decadimento.

La previsione di settant’anni fa era, senz’altro, troppo entusiasta. Il percorso che potrebbe portarci a una vera centrale termonucleare funzionante guarda a dopo il 2050. In mezzo ci sono una serie di sfide scientifiche e tecnologiche.

Ma la frase di Strauss (“Too cheap to meter”, in originale) era impropria anche in senso più stretto: una delle sfide lungo il percorso, infatti, è proprio quella di misurare la potenza emessa dal reattore durante un processo di fusione. Sì, perché la fusione nucleare è già una realtà dal punto di vista sperimentale. Quello che manca è dimostrare che possa essere vantaggiosa economicamente in un reattore di grandi dimensioni, capace, in teoria, di alimentare intere città.

La vera notizia, è che oggi l’ostacolo della misurazione è superato. A compiere l’ultimo importantissimo passo, un team di fisici italiani dell’università di Milano-Bicocca e del Cnr. La sfida era trovare un metodo di misurazione indipendente a quello già sviluppato in passato, basato sui neutroni emessi dalla reazione. Un nuovo metodo che potesse confermare i risultati del primo durante il processo di fusione. E senza il quale, di accendere il reattore non se ne parla nemmeno.

L’idea degli scienziati è stata sfruttare l’emissione di raggi gamma durante la reazione: individuarli, contarli, e risalire alla potenza. “Come cercare un ago in un pagliaio”, per usare parole loro.

Noi di GEA abbiamo raccontato questa storia. E l’abbiamo pubblicata in esclusiva insieme a Wired, testata da sempre attenta alle tematiche scientifiche.

E per farlo siamo partiti dal passato, che coinvolge fisici come Bruno Pontecorvo, Andrej Sacharov e Bruno Coppi. E dalle storie dei protagonisti di questa scoperta. Come il direttore del dipartimento di Fisica di Milano-Bicocca, Giuseppe Gorini, che ha guidato il gruppo di ricerca dell’ateneo, e che dagli anni ‘80 in poi ha sviluppato gli spettrometri ora utilizzati per le misurazioni. Lavorando insieme a fisici internazionali e facendo calcoli nella campagna di famiglia, vicino a Ravenna, raccogliendo ogni tanto pesche mature dagli alberi. Come a dire che anche i luoghi della scienza sono spesso inaspettati da raccontare. Newton del resto aveva la mela…

Il vocabolario tecnico della fusione nucleare

A Milano, i ricercatori e le ricercatrici dell’università di Milano-Bicocca con l’istituto per la scienza e la tecnologia dei plasmi del CNR, hanno sviluppato una nuova tecnica per il monitoraggio della potenza prodotta dalle reazioni di fusione nucleare controllata, basata sull’osservazione e sulla misurazione della ‘luce dei nuclei’, cioè i raggi gamma emessi dal reattore. Di seguito il vocabolario tecnico per orientarsi nella nuova scoperta.

FUSIONE NUCLEARE CONTROLLATA. La reazione consiste nel fondere due nuclei in un nucleo di massa maggiore, con un importante rilascio di energia. Nella fusione nucleare controllata vengono fusi in un reattore i nuclei di due isotopi dell’idrogeno (deuterio e trizio), ogni reazione produce un nucleo di elio e un neutrone. Una centrale elettrica a fusione nucleare, a differenza di una centrale a fissione, non produrrebbe scorie radioattive a lungo tempo di decadimento, sarebbe inoltre un processo sicuro, in grado di auto-spegnersi in caso di anomalie, e una fonte di energia senza emissioni di CO2.

DEUTERIO E TRIZIO. Sono due isotopi dell’idrogeno, e sono il combustibile per i reattori a fusione nucleare controllata. Il trizio è il terzo isotopo dell’idrogeno, il suo nucleo è composto da un protone e due neutroni. Il nucleo del deuterio è invece composto da un protone e un neutrone. Il deuterio di ottiene a partire dall’acqua, il trizio, invece, può essere auto-generato dalla centrale a fusione.

PLASMA. Definito come il ‘quarto stato della materia’, il plasma si ottiene a temperature di milioni di gradi. In queste condizioni, gli elettroni vengono separati dai nuclei generando un gas ionizzato. In questo stato possono avvenire reazioni di fusione nucleare.

TOKAMAK. Macchina formata da una camera di forma toroidale (a ‘ciambella’) nel quale il plasma viene contenuto grazie a campi magnetici ad alta intensità capaci di ‘strizzare’ la materia e produrre reazioni di fusione nucleare. La configurazione del tokamak è stata sviluppata fra gli anni ’50 e gli anni ’60 dai fisici sovietici Igor Tamm e Andrej Sacharov.

JET, ITER, DEMO, E I NUOVI INVESTIMENTI PRIVATI. Sono i progetti che segnano le tappe della ricerca scientifica e tecnologica verso lo sviluppo futuro di una centrale a fusione nucleare. JET (Joint European Torus), progetto iniziato negli anni ’70 e costruito in Inghilterra, è al momento il più grande reattore tokamak in funzione, viene utilizzato in particolare per gli esperimenti preparatori a ITER. L’obiettivo di ITER, reattore in costruzione in Francia da un consorzio internazionale che comprende anche l’Unione Europea, sarà invece dimostrare che è possibile produrre energia termica superando il breakeven con l’energia immessa per far funzionare il sistema (i test finali sono previsti per la seconda metà degli anni ‘30 e dovranno portare a generare una potenza di 500 MW per decine di minuti). DEMO sarà un reattore a fusione dimostrativo, e sarà il predecessore di centrali termonucleari per usi commerciali. Oltre agli investimenti delle organizzazioni internazionali, l’ingresso di importanti capitali privati stanno portando allo sviluppo di diversi progetti paralleli, rinnovando interesse e attenzione sul tema e verosimilmente accelerando le tempistiche dello sviluppo scientifico e tecnologico.

I PROTAGONISTI DELLA SPETTROSCOPIA DI RAGGI GAMMA. La nuova tecnica di misurazione della potenza del reattore è stata sviluppata da una collaborazione tra l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e l’Istituto per la Scienza e la Tecnologia dei Plasmi del CNR. Il professor Giuseppe Gorini ha coordinato il gruppo di ricerca a Milano-Bicocca, il coordinatore del gruppo di ricerca del CNR è Marco Tardocchi. GEA ha intervistato il professor Giuseppe Gorini, direttore del dipartimento di fisica dell’università di Milano-Bicocca e il professor Massimo Nocente, fisico sperimentale dell’università di Milano-Bicocca.

A Milano passo avanti verso fusione nucleare: nuova tecnica per monitoraggio potenza

La fusione nucleare controllata promette un futuro a energia pulita disponibile per generazioni. Ora, a Milano, i ricercatori e le ricercatrici dell’università di Milano-Bicocca con l’istituto per la scienza e la tecnologia dei plasmi del CNR, hanno sviluppato una nuova tecnica per il monitoraggio della potenza prodotta dalle reazioni di fusione nucleare controllata, basata sull’osservazione e sulla misurazione della ‘luce dei nuclei’, cioè i raggi gamma emessi dal reattore. “Stiamo verificando gli ultimi dettagli” spiega Giuseppe Gorini, fisico sperimentale e direttore del dipartimento di Fisica all’università degli Studi di Milano-Bicocca, intervistato da GEA, “ma abbiamo dimostrato che questa tecnica può essere utilizzata per monitorare la potenza emessa da qualunque plasma con miscela deuterio-trizio”. Un passo fondamentale nel lungo percorso che dovrebbe portarci al traguardo della prima centrale elettrica dimostrativa a fusione nucleare dopo il 2050.

COSA E’ LA FUSIONE NUCLEARE. La fusione nucleare è il processo che alimenta le stelle e fornisce energia all’universo. In una stella la forza di gravità dovuta alla sua enorme massa comprime la materia al punto che, al suo interno, i nuclei si fondono, liberando una grandissima quantità di energia. Per riprodurre lo stesso processo in maniera controllata vengono immessi in un reattore atomi di deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno. Nei reattori attualmente in sperimentazione (prendono il nome di tokamak), la forza di gravità è sostituita da campi magnetici ad altissima intensità e che ‘strizzano’ la materia fino a raggiungere la temperatura di circa 150 milioni di gradi. A queste temperature deuterio e trizio si fondono, producendo energia. Si stima che il processo di fusione possa fornire energia sulla Terra per centinaia di migliaia di anni, senza emissione di anidride carbonica, in modo sicuro e senza produrre le scorie a lungo tempo di decadimento della ‘sorella’, e più nota, fissione nucleare.

LA ROADMAP VERSO LA PRIMA CENTRALE A FUSIONE. Il più grande laboratorio mondiale sulla fusione nucleare è ITER, attualmente in costruzione in Francia da parte di un consorzio internazionale a cui partecipa anche l’Unione Europea. Tra qualche anno, ITER inizierà la sua fase di sperimentazione. L’obiettivo, atteso dopo il 2035, è di dimostrare che dalla fusione nucleare si può ottenere più energia rispetto a quella necessaria per mantenere la materia alle alte temperature richieste. Dopo ITER, è prevista la costruzione di DEMO, un prototipo di centrale elettrica a fusione, per poi arrivare alla prima centrale a fusione nucleare con produzione netta di energia elettrica. Attualmente il più grande reattore tokamak in funzione è il JET (Joint European Torus), in Inghilterra, dove dal 1983 avvengono oggi le principali sperimentazioni. Più recentemente, l’ingresso di importanti investitori privati nel campo di ricerca della fusione nucleare ha portato a prevedere una possibile accelerazione negli sviluppi scientifici e tecnologici.

LA NUOVA TECNICA DI MISURAZIONE SVILUPPATA A MILANO. Un parametro fondamentale per arrivare ad avere una centrale termonucleare a fusione è la misurazione della potenza del reattore. La tecnica principale si basa sulla misurazione dei neutroni emessi dal processo di fusione. Per avviare, però, un reattore di grande portata come ITER, e in generale un reattore capace di generare l’energia sufficiente ad alimentare una o più città, è richiesto un secondo metodo indipendente di misurazione. I ricercatori e le ricercatrici dell’università di Milano-Bicocca e dell’istituto per la scienza e la tecnologia dei plasmi del CNR, hanno messo a punto una tecnica che consente di monitorare la potenza prodotta riconoscendo il colore emesso dalla ‘luce dei nuclei’ e riuscendo a stabilirne la brillantezza. La tecnica (spettroscopia di raggi gamma ad alta energia) si basa sulla misurazione dei raggi gamma, emessi durante il processo di fusione una volta ogni 100mila neutroni. Riuscendo a contarli è possibile risalire alla potenza emessa dal reattore. Qui un vocabolario tecnico per orientarsi nella nuova scoperta.

Pichetto apre a mini reattori nucleari. Prezzo uranio a record da 12 anni

L’apporto del nucleare potrebbe supportare la transizione dei sistemi energetici, il nostro obiettivo è facilitare il raggiungimento dei target comunitari. L’integrazione del nucleare nel nostro sistema industriale potrebbe rafforzare la filiera industriale. Non si tratta di proporre il ricorso in Italia alle vecchie centrali nucleari di grande taglia ma di valutare le nuove tecnologie più sicure, quali gli small e micro modular reactor, i reattori nucleari di quarta generazione allo studio“. Ad annunciarlo è stato stamattina il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, in un videomessaggio inviato all’Italian Energy Summit del Sole 24 Ore. Accanto al progressivo aumento percentuale delle fonti di energie rinnovabili, “si prevede l’introduzione di nuove tecnologie, di combustibili verdi, alternativi che accompagneranno il graduale phase out del carbone. S’inquadra in questa attenzione a tutte le tecnologie green e alle esigenze di sicurezza e indipendenza energetica nazionale l’avvio della piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile“, ha spiegato il ministro secondo cui “l’iniziativa ha l’obiettivo di definire in tempi certi un percorso finalizzato alla possibile ripresa dell’utilizzo dell’energia nucleare nel nostro paese attraverso nuove tecnologie sostenibili in corso di studio“.

Oggi il nucleare nel mondo “conta il due per cento, non è la soluzione a breve ma lo sarà forse tra ma a 10-15-20 anni. Vale la pena studiare tutti gli scenari possibili ma la priorità è nostra vulnerabilità“, ha indirettamente risposto al ministro Luca Dal Fabbro, presidente di Iren. “La dipendenza energetica dell’Italia verso alcune direttrici è ancora molto grande e molto grave – ha spiegato – la guerra non è finita, potrebbe evolvere in senso negativo e dobbiamo pensare al peggio se vogliamo essere un paese leader. Dobbiamo quindi investire nella diversificazione, nella rigassificazione aumentando numero di fonti, e in questo il rinnovabile e l’idroelettrico devono avere un nuovo impulso. E’ il momento di pensare a diversificazione più di prima perché la crisi potrebbe essere alle porte“.

Proprio per evitare un’altra crisi del gas come nel 2022, magari sul petrolio visti i prezzi di corsa verso i 100 dollari al barile, è il mondo intero, che ha impresso una decisa accelerazione sulle centrali nucleare. Una spinta che ha messo le ali al prezzo dell’uranio, salito a 70 dollari per libbra, il livello più alto prima del disastro di Fukushima a 73 dollari nel 2011, poiché la forte domanda coincide con scorte basse e minacce all’offerta. Si prevede che la Cina costruirà altri 32 reattori entro la fine del decennio e il Giappone ha dato il via libera a piani per riavviare più impianti e costruire nuove strutture, in linea con la revisione al rialzo della World Nuclear Association per la produzione globale, la quale ipotizza una domanda di 130.000 tonnellate nel 2040 di uranio, mentre la stessa è fissata a 65.650 tonnellate per il 2023. In generale ci sono circa 60 reattori in costruzione in tutto il mondo e altri 300 sono in fase di progettazione.

Questi sviluppi si scontrano però appunto con le rinnovate preoccupazioni circa l’approvvigionamento da parte della canadese Cameco, la seconda più grande miniera di uranio al mondo, che ha ridotto le sue previsioni di produzione per l’anno in corso. Nel 2022, l’azienda ha firmato un numero record di contratti di fornitura e servizi di conversione a lungo termine, che ne hanno accelerato la crescita. In particolare si è assicurata un contratto di 12 anni con Energoatom, la società statale ucraina per l’energia nucleare, e un accordo di 10 anni con la Bulgaria nel 2023. Tutti business che hanno praticamente raddoppiato il valore del titolo in Borsa.

Anche la Russia è leader nell’export di uranio. Infatti Usa e Ue hanno importato grandi quantità di combustibile nucleare e composti da Mosca per un valore che si aggira attorno agli 1,7 miliardi. Secondo la Us Energy Information Administration, lo scorso anno la Russia ha fornito all’industria nucleare statunitense circa il 12% del suo uranio. L’Europa ha riferito di ricevere circa il 17% del suo uranio nel 2022 da Mosca. La dipendenza dai prodotti nucleari russi lascia così gli Stati Uniti e l’Europa esposta a carenze energetiche se Vladimir Putin dovesse tagliare le forniture. E si prevede che la dipendenza dall’energia nucleare aumenterà man mano che le nazioni adotteranno alternative ai combustibili fossili.

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Pichetto: “A settembre autocandidature per deposito nazionale delle scorie nucleari”

Dovrebbe essere pronto per l’inizio di settembre il provvedimento con cui il governo aprirà ufficialmente l’autocandidatura dei territori per accogliere il Deposito nazionale delle scorie radioattive. Lo ha annunciato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, durante un evento sul nucleare che si è svolto alla Camera dei deputati. Naturalmente, ha spiegato il titolare del Mase, “bisognerà fare delle valutazioni sull’idoneità dei territori”. Il nodo dello smaltimento delle scorie, infatti, non è ancora stato risolto, ma “se davvero si vuole dare un segnale per investire” su questa fonte energetica, ha spiegato Antonio Zoccoli, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare durante lo stesso convegno, “dobbiamo dire dove le smaltiamo. Se non siamo in grado di farlo non sarà mai possibile costruire una centrale”.

Ma a che punto è la questione deposito? Attualmente i rifiuti radioattivi finora prodotti sono custoditi in depositi temporanei che ne consentono la gestione in sicurezza e l’isolamento dall’ambiente. Si tratta di scorie derivanti dalle attività del passato, dallo smantellamento degli impianti nucleari e dai settori sanitario, industriale e della ricerca. Complessivamente sono circa 95mila metri cubi (17mila a media-alta attività e 78mila a bassa-molto bassa attività) di rifiuti.

I referendum abrogativi sul nucleare (l’ultimo dei quali è del 2012) stabilivano lo stop alle centrali, ma non le modalità di gestione e smaltimento delle scorie. Dopo una consultazione pubblica durata un anno (dal 5 gennaio 2021 al 14 gennaio 2022), a metà marzo 2022 Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari, commissariata dal governo il 22 giugno) ha trasmesso al ministero della Transizione ecologica la proposta di Carta nazionale delle aree idonee (Cnai) ad ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi. La mappa ha individuato 67 aree tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia e Basilicata, Sicilia, Sardegna. Si tratta, sostanzialmente dell’ultimo step prima di scegliere la destinazione finale del deposito. Da settembre, quindi, come ha annunciato Pichetto, si apriranno le auto candidature, ma il ministro non esclude che possano essere prese in considerazione anche aree militari messe a disposizioni dalla Difesa”.

Il futuro Deposito Nazionale – che dovrà essere costruito all’interno di un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito stesso e 40 al Parco Tecnologico – permetterà lo smaltimento dei rifiuti radioattivi prodotti nel nostro Paese puntando su sicurezza e ottimizzazione della gestione. Una volta realizzato sarà possibile demolire i depositi temporanei in cui sono attualmente stoccati i rifiuti, chiudendo così il ciclo nucleare italiano con la restituzione dei siti privi di vincoli radiologici alle comunità locali per altri usi.

L’impianto accoglierà i rifiuti radioattivi a bassa e media attività, ossia quelli che nell’arco di 300 anni raggiungeranno un livello di radioattività tale da non rappresentare più un rischio per l’uomo e per l’ambiente. In attesa della disponibilità di un deposito geologico, i rifiuti a media e alta attività saranno stoccati in sicurezza all’interno di una diversa struttura di deposito temporaneo, denominata CSA, Complesso Stoccaggio Alta attività, collocata sullo stesso sito del deposito nazionale.