atomo

Italia senza energia atomica, ma Enea è leader nella ricerca applicata

Anche se l’Italia ha detto di fatto addio all’energia nucleare con i referendum del 1987, il nostro Paese rimane un punto di riferimento internazionale a livello di ricerca sull’atomo. La testimonianza più chiara arriva da Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile al centro di importanti progetti di ricerca e sviluppo sul nucleare di quarta generazione. Lo scorso dicembre è stato rinnovato il Consorzio Falcon (Fostering Alfred Construction) con Ansaldo Nucleare e Istituto di Ricerca Nucleare della Romania per realizzare un dimostratore di reattore a piombo di media taglia di IV generazione, il primo in Europa. Un’altra collaborazione al via in questo periodo coinvolge uno spin-off del Cern e riguarda reattori cosiddetti ADS (Accelerator Driven System) cioè ‘sistemi guidati da un acceleratore’ di protoni. Impianti che garantirebbero un livello di sicurezza molto maggiore visto che il reattore si spegnerebbe subito in caso di blackout elettrico, l’incubo peggiore per una centrale nucleare. “Questo tipo di reattore funziona ad acqua e sta a metà strada tra terza e quarta generazione, ma permette comunque di ridurre di molto il carico di rifiuti pericolosi”, spiega, parlando con GEA, Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la sicurezza Nucleare Enea. A marzo, inoltre, Enea ha siglato un accordo con la startup newcleo che prevede la realizzazione di Advanced Modular Reactors di piccole dimensioni raffreddati al piombo invece che ad acqua. L’obiettivo, ambizioso, della società è di sviluppare i primi prototipi entro sette anni e quindi di commercializzare i nuovi reattori per sostituire quelli oggi in funzione, di seconda e terza generazione. Un progetto che sta attirando le attenzioni di molti investitori, come testimoniano i 300 milioni di capitale raccolti a metà giugno coinvolgendo realtà di primissimo piano come Exor e Azimut. Enea in questa partita metterà in campo infrastrutture, know-how e professionalità del suo Centro Ricerche del Brasimone (Bologna), potendo anche implementate nuove strutture e laboratori con investimenti attorno ai 50 milioni di parte di newcleo e l’assunzione di diversi ingegneri. “È un progetto in cui io e tutta Enea crediamo molto – conferma Dodaro -. Vogliamo sviluppare un dimostratore di un reattore nucleare che però non è nucleare: non ci sarà alcun isotopo radioattivo e le funzioni del nocciolo saranno svolte da resistenze elettriche. Di fatto, noi costruiremo uno ‘scaldabagno’ ma non a acqua, bensì a piombo per dare la possibilità a newcleo di realizzare in Regno Unito e Francia i primi due prototipi di reattori al piombo di piccole dimensioni”.

Enea però vanta anche una tradizione pluridecennale nel campo della fusione nucleare, la cosiddetta ‘energia delle stelle‘ che, spiega Dodaro, ci “renderà indipendenti dai combustibili e sarà pulita e sicura”. Al Dipartimento Fusione e Sicurezza Nucleare Enea lavorano quasi 500 fra ricercatori e tecnologi nei Centri di ricerca di Brasimone e Frascati. “Oggi c’è un grande interesse dal punto di vista industriale per la fusione”, dice Dodaro. I numeri mostrano che nel maggior progetto internazionale sulla fusione, cioè ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) le imprese italiane hanno vinto quasi 2 miliardi di euro di commesse: meglio di noi soltanto la Francia. “Le competenze sul nucleare erano un fiore all’occhiello per l’Italia già quando avevamo le centrali. Fortunatamente dopo il referendum del 1987 le competenze italiane sul nucleare non sono andate perdute e sono state reinvestite in altri ambiti. L’Enea rappresenta un esempio piuttosto chiaro di questa capacità”. Prova ne sia che di recente a Brasimone la ricerca sulla fusione ha dato il la a due nuovi filoni: la produzione di radiofarmaci, con la prospettiva di realizzare un Polo Nazionale per la medicina nucleare e lo sviluppo di tecnologie avanzate per il monitoraggio e la sicurezza/difesa del territorio.

nucleare

Gli italiani dicono ‘no’ a gas fossile e nucleare ‘verdi’

Gas fossile e energia nucleare sono ‘verdi’? Per la maggioranza dei cittadini italiani no. Un nuovo sondaggio del Wwf mostra che solo il 29% della popolazione pensa che l’Unione Europea dovrebbe classificare l’energia nucleare come sostenibile dal punto di vista ambientale. Per quanto riguarda il gas fossile, solo il 35% ritiene che l’Ue dovrebbe assegnare a questa fonte energetica un’etichetta verde. Plebiscitario invece il sì all’energia solare (92%) e a quella eolica (88%). In particolare, in Italia, solo il 26% degli intervistati ritiene che l’energia nucleare dovrebbe essere classificata come energia ambientalmente sostenibile, mentre il 96% dei cittadini è d’accordo che l’etichetta verde sia assegnata all’energia solare e il 91% pensa altrettanto per l’eolico. Solo il 38% degli intervistati pensa che l’Unione Europea dovrebbe ritenere il gas fossile una fonte sostenibile.

Non c’è assolutamente alcun consenso pubblico per il piano della Commissione di considerare come ’sostenibili’ il gas fossile e gli impianti nucleari. Ciò che i cittadini considerano ‘verdi’ sono l’energia solare ed eolica, non i combustibili sporchi e obsoleti”, ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, lanciando un appello agli eurodeputati, ovvero quello di ascoltare il loro elettorato e di bloccare questa proposta. L’Ue sta per approvare, infatti, l’elenco di fonti di energia ‘verdi’ come parte della sua nuova guida agli investimenti, la Tassonomia Ue. Di conseguenza, c’è il forte rischio che miliardi di euro siano dirottati dall’eolico, dal solare e da altre tecnologie verdi verso il gas fossile e l’energia nucleare, di fatto rallentando ancora la transizione e con essa la sicurezza e l’indipendenza energetica. Se gli eurodeputati non respingeranno l’Atto sulla tassonomia verde, questa diventerà legge dell’Ue.

Crisi frena transizione: ma nucleare e carbone preoccupano italiani

Far di necessità virtù. Questo il mantra del governo italiano e delle istituzioni europee per contrastare gli effetti della crisi energetica scatenata dall’invasione russa in Ucraina. Misure emergenziali, certo, che però rischiano di fare rallentare il percorso di transizione ecologica del pianeta. La riattivazione delle centrali a carbone è in effetti un pugno in un occhio al processo di decarbonizzazione e suona quasi come una beffa all’Onu e alla sua Agenda 2030. Tuttavia ogni possibile soluzione deve essere contemplata in questo periodo storico. Anzi, per dirla con la presidente della Commissione Ue, va trovato “un equilibrio” e “non è detto che prenderemo la direzione giusta”. Secondo Ursula von der Leyen, “dobbiamo assicurarci di approfittare di questa crisi per avanzare nella transizione energetica, senza tornare ai combustibili fossili inquinanti“. D’altronde lo stesso concetto di sostenibilità impone di trovare un equilibrio tra il rispetto dell’ambiente e lo sviluppo umano. E al momento non c’è sviluppo senza energia.

IN EUROPA

Mentre i Paesi del Centro-Europa revocano le restrizioni sulla produzione di energia da carbone (Olanda) o aumentano la capacità produttiva delle centrali in attività (Germania e Austria), l’Italia, per voce del ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha già escluso la possibilità di riattivare gli impianti chiusi. La soluzione individuata è quella di aumentare il ricorso a quelle in attività, “per un periodo transitorio”, giocando sul fatto che il Paese non sforerà comunque la quota Ue del 55% di decarbonizzazione.

NUCLEARE SI, NUCLEARE NO

Ad ogni modo, la stessa Commissione europea, nel piano ‘RePower EU‘ aveva messo in conto la possibilità di utilizzare la risorsa carbone “più a lungo, in casi di straordinaria necessità. Non solo: Bruxelles non ha nemmeno chiuso al dossier nucleare per aggiustare i mix energetici. Per quanto riguarda l’Italia, i due referendum sul ritorno al nucleare parlano chiaro ma il ministro Cingolani aveva chiesto un cambio di paradigma. Perché se è pur vero che “i referendum si rispettano”, è altrettanto vero che la tecnologia può far compiere al settore passi da gigante e restituire un “nucleare moderno” (ovvero più sicuro e pulito) grazie a ricerca e sviluppo. La parte difficile resta quella di convincere gli italiani.

IL SONDAGGIO

Secondo una ricerca Changes Unipol-Ipsos, il possibile ricorso al nucleare (23%) e il rischio di non dare priorità alla transizione verso le rinnovabili (15%) sono le due principali preoccupazioni degli italiani oltre al caro-energia e all’aumento vertiginoso dei prezzi. Il nucleare è indicato dal 48% tra le principali preoccupazioni e, nel 23% dei casi, come prima minaccia in assoluto, mentre il rischio che non venga data priorità alla transizione energetica e alle fonti rinnovabili raggiunge quota 54% tra i fattori più preoccupanti, sebbene solo il 15% lo indichi come timore principale. I segmenti di popolazione più anziana (i baby boomers, tra 57 e 74 anni) e i più giovani (la Generazione Z, tra 16 e 26 anni) mostrano una maggior sensibilità verso il possibile ricorso al nucleare, visto come minaccia principale rispettivamente nel 24% e nel 25% dei casi. Generazione Z e Millennials (tra 27 e 40 anni) manifestano invece una maggior propensione verso il timore di un rallentamento della transizione alle rinnovabili (nel 17% dei casi).

La possibilità di ricorrere all’energia da centrali nucleari anche in Italia raccoglie soltanto il 15% di consensi, ma il favore sale a quasi 1 italiano su 2 (45%) nel caso si utilizzassero tecnologie e modalità di gestione dell’energia nucleare più sicure di quelle attuali. Il 42% si dichiara invece contrario, o per la convinzione che ci siano più rischi che vantaggi (28%) oppure per una questione legata alla non convenienza di costi (14%).

Anche la riattivazione o l’apertura di centrali a carbone è fonte di preoccupazione per il 43% degli italiani ed è la principale preoccupazione per 1 italiano su 10, ma questo timore raddoppia tra chi vive in prossimità di queste centrali (18% vs 9%). Secondo il sondaggio Unipol-Ipsos, minore inquietudine destano la costruzione o l’aumento di produzione dei rigassificatori e la costruzione di nuovi gasdotti, indicati entrambi soltanto dal 4% degli intervistati come maggiore minaccia.

(Photo credits: Oliver Berg / dpa / AFP)

tassonomia verde

No a gas e nucleare in tassonomia, Wwf: “Priorità alle rinnovabili”

‘No’ all’inclusione del gas e del nucleare tra le attività economiche sostenibili con cui finanziare il Green Deal europeo. Le commissioni riunite degli Affari economici (Econ) e dell’Ambiente (Envi) del Parlamento europeo hanno approvato un’obiezione sull’atto delegato con cui la Commissione europea vuole considerare gas e nucleare tra gli investimenti sostenibili dal punto di vista climatico. Se l’obiezione sarà approvata anche dalla maggioranza assoluta dei deputati in seduta plenaria a luglio, la Commissione Ue sarà costretta a rivedere la sua idea di tassonomia.

La tassonomia ‘verde’ è il sistema europeo di classificazione degli investimenti economici sostenibili con cui Bruxelles vuole fissare criteri comuni per assicurarsi che grandi somme di capitale (soprattutto privato) vadano nella direzione del Green Deal e della transizione. I deputati “riconoscono il ruolo del gas nucleare e fossile nel garantire un approvvigionamento energetico stabile durante la transizione verso un’economia sostenibile”, ma “ritengono che gli standard di screening tecnico proposti dalla Commissione non rispettino i criteri per le attività economiche ecosostenibili”, si legge in una nota dell’Eurocamera pubblicata dopo il voto.

Nel congratularsi con gli eurodeputati per aver scelto la strada giusta per proteggere la credibilità della tassonomia dell’Ue Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del Wwf Italia, ha ribadito che “non c’è nulla di sostenibile nei combustibili fossili e nelle scorie nucleari”. Per questo, ha proseguito, “etichettarli come ecologici nella tassonomia europea potrebbe sottrarre miliardi di euro di investimenti alle energie rinnovabili e alle tecnologie verdi”.

Inoltre, il gas è ormai diventato una fonte di insicurezza energetica e di rischio geopolitico in Europa. “L’energia nucleare è costosa, lenta da costruire e crea scorie altamente radioattive che ancora non sappiamo come gestire”, ha avvertito Midulla. Ora come ora le rinnovabili sono la nostra energia di ‘libertà’ e quindi la chiave per la sicurezza energetica. L’etichettatura del gas come investimento sostenibile porterebbe l’Europa a utilizzarne ancora di più. Il che, ha spiegato, “significa continuare la dipendenza e bollette più elevate per i cittadini europei“.

Anche Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha voluto dire la sua in merito alla bocciatura da parte delle commissioni sul nucleare e il gas nella tassonomia verde: “Si tratta di un primo importante risultato – ha dichiarato – che apre la strada alla bocciatura della proposta di considerare gas fossile e nucleare come fonti energetiche sostenibili, in base al regolamento sulla tassonomia che classifica gli investimenti verdi. Una decisione importante che può scongiurare, rigettando la proposta della Commissione, un duro colpo al Green Deal Europeo e a un’ambiziosa politica in grado di fronteggiare l’emergenza climatica”.

L’Europarlamento – ha concluso Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo Legambiente – ora può e deve rigettare la proposta della Commissione ed evitare così che centinaia di miliardi di euro, anziché essere investiti in rinnovabili ed efficienza energetica, vadano sprecati con il nucleare e il gas fossile aggravando la duplice crisi climatica ed energetica”.

rinnovabili

Cingolani: “Rinnovabili? Clamorosa accelerazione rispetto al passato”

La guerra ha cambiato tutto. È l’evento più tragico che abbia visto, a parte le questioni personali, ed è impressionante pensare a cosa succede dietro l’angolo, alle porte dell’Europa”. Il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è intervenuto a ‘Italia 2022: Persone, Lavoro, Impresa’, piattaforma di dialogo promossa da Pwc Italia in collaborazione con il gruppo editoriale Gedi, dal titolo ‘Tecnologia e nuovo umanesimo’.

Come superare le criticità sollevate da questo conflitto, che non vede solamente protagoniste Mosca e Kiev, ma che pian piano si sta estendendo in tutto il mondo? Sul fronte della dipendenza italiana dal gas russo, per l’Italia saranno fondamentali i nuovi accordi allacciati con i Paesi africani e del Medio oriente, che, ha spiegato Cingolani, “ci permetteranno di disporre di circa 5 miliardi di metri cubi di gas nel corso di quest’anno, 18 miliardi dal 2023 e 25 miliardi andranno a regime tra altri due anni”. Nonostante tutto, “per quest’inverno dipenderemo ancora dagli stoccaggi, a proposito dei quali l’obiettivo è arrivare a completarli entro fine 2022. Dall’anno prossimo si incominceranno a sentire fortemente gli effetti delle nuove forniture”, ha puntualizzato il ministro. Tuttavia, per ora è impensabile un’interruzione della somministrazione del gas russo al Paese, dal momento che “noi ne importiamo 29 miliardi di metri cubi, non avremmo un’alternativa e non solo saremmo al freddo, ma fermeremmo le aziende”, l’avvertimento del titolare del Mite.

RINNOVABILI

Sul tema delle rinnovabili, Cingolani ha preso una posizione netta: “È clamorosa l’accelerazione rispetto agli anni scorsi, quindi qualcosa è successo. Si può fare di più? Sì, ma dobbiamo dare il tempo a tutto il sistema di crescere”. I dati parlano chiaro, infatti, “secondo le stime di Terna ci sono state richieste di allacciamenti per 5,1 gigawatt nei primi mesi del 2022, e ne abbiamo già 3 circa per il prossimo anno: secondo il Pnrr dovremmo metterne 7-8 all’anno. Quindi, direi che abbiamo cominciato bene“, la sottolineatura.

IDROGENO

Sulla produzione di idrogeno, accumulatore di energia molto prezioso per la futura decarbonizzazione, il target dell’Europa è quello di arrivare a 500 megawatt in tempi relativamente brevi. “La firma dei primi protocolli d’intesa con le Regioni per le ‘Hydrogen valleys‘ è un’ottima notizia e ci mette in linea con i migliori Paesi d’Europa in un settore che è strategico per il futuro“, ha dichiarato Cingolani nel corso della cerimonia di firma delle intese a Palazzo Chigi, precisando che saranno cinque le Regioni a ospitare questi distretti per la produzione di idrogeno verde: Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Puglia e Umbria.

CARBURANTI SINTETICI

I carburanti sintetici in una fase di transizione potrebbero essere una buona soluzione”, ha spiegato il titolare del Mite rispondendo a una domanda sul voto che attende il Parlamento Ue in merito al pacchetto Fit for 55 che riguarda anche il passaggio da automobili a combustione a modelli elettrici a basso impatto sulle emissioni. “I grandi Paesi che costruiscono automobili, come Francia, Germania e Italia, erano tutti d’accordo per il face out dal motore a combustione per le automobili di uso privato dovesse avvenire entro il 2035, chiedendo un po’ più di tempo per i furgoni che non hanno una soluzione pronta cassa sull’elettrico, mentre i Paesi che non producono auto volevano il face out prima, tanto a loro che cosa costa, il problema della manodopera ce l’abbiamo noi, francesi e tedeschi”. Il ministro evidenza poi che si potrebbero trovare soluzioni per minimizzare l’impatto senza costringere la gente che non può a cambiare l’auto.

NUCLEARE

Per arrivare a net zero nel 2050 ci servirà un accesso universale all’energia. “La fusione nucleare, è il meccanismo di produzione dell’energia dell’universo, quello delle stelle. Siamo veramente impauriti del cambiamento climatico? Basta chiacchiere: 18 mesi per il vaccino Covid, in 18 anni si faccia la fusione sul termonucleare, ogni Paese faccia abbia la sua stella per produrre energia pressoché illimitata a zero costo“, la riflessione di Cingolani. Su questo l’Italia sta facendo un ottimo lavoro, c’è l’Enea che sta facendo investimenti importanti in ricerca: si sono dimostrate moltiplicazioni in energia prodotta molto importanti, il confinamento magnetico è stato dimostrato per la prima volta come molto promettente. “Chissà che non si abbia qualche sorpresa nell’arco di circa 15 anni. Però bisogna crederci“, conclude il ministro della Transizione ecologica.

Energia, Cingolani: Alleanza globale come Covid. Nucleare utile

Il tetto europeo al prezzo del gas è un’ottima notizia, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Ne è consapevole il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che mette in fila tutte le varianti per uscire dalla dipendenza russa (“letale per l’economia“) e avviare una nuova strategia energetica che metta al riparo da speculazioni e oscillazioni del mercato, soprattutto quelle speculative. Perché ormai “siamo già in recessione“. Alla base di tutto, però, c’è la necessità di creare una alleanza globale” anche per l’energia, sulla falsariga di quanto avvenuto in questi anni per contrastare la pandemia: “Avevamo detto che per sviluppare un vaccino per il Covid ci volevano 8-10 anni, ma abbiamo collaborato e l’abbiamo sviluppato in 8 mesi“, è l’esempio che porta il ministro. Anche perché la guerra in Ucrainaavrà un forte impatto sulla transizione ecologica“, avverte. Ricordando che “la grande sfida” in questa fase storica è “mantenere la barra dritta, investire nelle nuove tecnologie e rivedere le regole di mercato, altrimenti arriveremo al 2030 inadatti ad accogliere le sfide della decarbonizzazione“.

Le responsabilità, però, hanno un passato lungo. “Avremmo dovuto avere una visione più chiara – sottolinea Cingolani – avremmo dovuto essere più intelligenti per gestire al meglio il mix energetico“, ecco perché “è ora di cambiare“, servono “fonti verdi programmabili ed è necessario lo sviluppo di nuove tecnologie” nell’ambito “della cattura del carbonio, della fusione nucleare, di piccoli reattori moderni“. Già, quel nucleare che fa sobbalzare dalla sedia associazioni e partiti politici, ma che nella sua accezione moderna è “una strada che va esplorata e considerata in questa fase“, secondo il ministro. “E’ un esempio di tecnologia utile, basata su materiali con radiazioni molto più basse” rispetto al passato e “gli stabilimenti possono essere costruiti off shore, funzionano, vanno bene, se vengono spenti non creano fenomeni pericolosi e dopo 30 anni vengono smantellati“, elenca. Ribadendo il concetto: “Si tratta di un sistema molto utile in una fase di transizione. Può essere una fonte importante, anche se non esclusiva” e soprattutto “offre molte opportunità“, quindi “è un bene investire in questo tipo di tecnologia“.

Perché la realtà dei fatti va guardata a 360 gradi e senza pregiudizi. Grandi alternative, al momento, non sono esplorabili, come l’energia delle onde, perché “quella derivata dal mare è troppo cara“. Anche se “buona e illimitata, non possiamo permetterci delle energie che siano così costose e difficili da produrre“, ammonisce Cingolani, che invece punta su “fonti accettabili anche in termini economici“. Per inciso, il responsabile del Mite conferma, ancora una volta, che in funzione della carenza di energia “molti Paesi stanno riprendendo le centrali a carbone“, ma all’Italia “questo non succederà“. Semmai occorre puntare su strumenti come il riciclaggio e la seconda vita dei prodotti, su cui “stiamo investendo molto“, perché “l’economia circolare è una risorsa fondamentale per la transizione energetica“.

Altro capitolo che resta cruciale è quello delle rinnovabili, su cui l’Italia mette diverse fiches nella strategia nazionale, anche se “il processo di transizione verso il sistema energetico decarbonizzato basato sulle fonti rinnovabili necessità di un rafforzamento e potenziamento Rete elettrica di trasmissione nazionale“, ammette Cingolani. Ricordando che il gestore del servizio elettrico nazionale, Terna, ha “una programmazione con investimenti per oltre 18 miliardi di euro nel decennio“. Il cerchio, infine, si chiude tornando al price cap, che una parte di maggioranza vorrebbe non solo europeo, ma anche nazionale sulla scorta di quanto fatto da Spagna e Portogallo. Modello che per il ministro “non è replicabile come formula nel nostro Paese“.

Oltre al problema dell’approvvigionamento energetico, l’Italia sconta anche altri effetti negativi dall’azione speculativa dei mercati e dal conflitto scatenato dalla Russia in Ucraina. Come quello dell’aumento dei prezzi dei carburanti. Finora il governo è intervenuto per mitigare l’effetto dei rincari ed è pronto a farlo ancora. Anzi, “è molto probabileche Palazzo Chigi vari nuovi provvedimenti a breve sulle accise, come anticipa ai microfoni di ‘RaiNews24‘ la sottosegretaria all’Economia, Maria Cecilia Guerra: “L’aumento – spiega – fa crescere anche il gettito dell’Iva“, che “non vogliamo mettere nelle casse dello Stato“, ma utilizzarlo per “tenere calmierato” il costo dei carburanti. La partita strategica, dunque, resta apertissima.

cingolani

Cingolani: “La guerra avrà forte impatto su transizione ecologica”

Quando la guerra in Ucraina è esplosa, l’Italia si è accorta che la dipendenza energetica dalla Russia era letale per l’economia. Nelle ultime 12 settimane abbiamo, purtroppo, appreso molte cose nuove”. Parola del ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani che, intervenendo al Festival dell’Economia di Torino, ha ribadito quanto la necessità di ricevere forniture di energia dall’estero abbia causato un’incredibile debolezza del mercato energetico globale.

Nonostante sia stata accolta in modo più che positivo, la notizia relativa all’accordo politico sullo sblocco del sesto pacchetto di sanzioni alla Russia, desta non poche preoccupazioni. “Questa decisione rischia di farci male. È necessario sostituire il gas che arriva dalla Russia con forniture naturali”, ha detto il Premio Nobel per l’Economia, Michael Spence nel corso dell’evento. “La turbolenza nel mercato dell’energia probabilmente contribuirà a fare entrare l’Europa in recessione, anche se forse non ovunque”, la sottolineatura dell’economista.

In realtà, secondo il ministro Cingolani, non si tratta più di una ‘previsione’. Per lui, infatti, “siamo già in recessione”. Sul fronte della transizione energetica, per esempio, “è chiaro che stiamo rallentando. Dobbiamo considerare gli enormi investimenti che serviranno per ricostruire l’Ucraina. Gli eventi degli ultimi mesi porteranno conseguenze a lungo termine“. Oltretutto, specifica il titolare del Mite, sono stati fatti diversi errori, come quello di “non aver prestato la dovuta attenzione ai problemi ambientali negli ultimi 20 anni, anche sul mix energetico e sul fronte ideologico”.

Gli ostacoli da superare non sono pochi. “Al 2030 dobbiamo ridurre i combustibili fossili, aumentare le rinnovabili e separare i costi delle fonti pulite dal prezzo del gas. Non c’è motivo per cui queste ultime vengano pagate in base alle quotazioni del gas”, ha insistito Cingolani, specificando che queste sono politiche nel breve termine. Ma a lungo termine va pensato l’accesso universale all’energia e all’energia illimitata. “Quella rinnovabile, però, non è pianificabile. Si produce energia green per 1500-2000 ore all’anno, mentre il gas produce energia per 8mila ore all’anno. È difficile vedere un futuro in cui un mondo come il nostro può crescere in modo continuativo solo con l’energia green”, la riflessione del ministro. Per quanto riguarda il nucleare moderno, si tratterebbe di un’opzione a zero impatto che potrebbe essere molto utile nella fase di transizione. “È un bene investire in questo tipo di tecnologia. È una strada che va esplorata e considerata in questo periodo“, ha puntualizzato il titolare del Mite.

Anche sul tema del caro-prezzi, Cingolani ha voluto dire la sua. La proposta – portata a Bruxelles dall’Italia – relativa al price-cap ha avuto successo, tuttavia non può risolvere tutti i danni causati dal conflitto. Infatti, ha ragionato Cingolani: “Si tratta solo di una misura temporanea che dovrebbe agire come qualcosa che riduce il picco“.