Pil, allarme di Confindustria: +0,8% nel 2024, 0,9% nel 2025. Pesa crollo automotive

Photo credit: profilo Twitter Confindustria

Anche Confindustria rivede al ribasso le stime sul Prodotto interno lordo italiano. Il Rapporto di previsione ‘I nodi della competitività. La crescita dell’Italia fra tensioni globali, tassi e Pnrr’ elaborato dal Centro studi degli industriali evidenzia, infatti, che “la crescita del Pil, a seguito della revisione Istat, si attesta a +0,8% quest’anno e 0,9% il prossimo“. Numeri meno positivi per il governo, che intanto festeggia i primi due anni di attività con “l’inflazione più bassa d’Europa“: 0,7% annuo a settembre, mentre nell’Eurozona è ancora all’1,7, sebbene “nel 2025 è attesa risalire in parte nel nostro Paese, tendendo ad avvicinarsi ai valori della misura core, cioè poco sotto il +2%“. Anche per questo il documento sottolinea l’aumento del reddito disponibile che cozza con “i consumi frenati dall’elevato tasso di risparmio“.

I fattori che determinano questo risultato sono diversi, ma Confindustria ne individua due in particolare, il calo della Germania (che rende “debole” l’economia del Vecchio continente proprio mentre quella mondiale, invece, riprende quota) e il “crollo del settore dell’auto, che quest’anno è tornato al livello di produzione di inizio 2013” come “conseguenza dei costi elevati delle auto elettriche“. Altro peso sulla crescita è il costo di gas ed elettricità: “Sono ancora più alti in Italia, sia rispetto agli altri grandi Paesi europei come Francia e Germania, sia rispetto agli Stati Uniti, penalizzando la competitività delle imprese rispetto ai principali partner occidentali“, avvisa il Csc.

Per fortuna che c’è l’export a fare da “principale traino di crescita quest’anno“. Perché “nonostante la debole domanda europea (che rappresenta il 52% dell’export italiano) e in particolare tedesca (principale partner commerciale), continua ad andare meglio della domanda potenziale (media ponderata dell’import totale dei Paesi di destinazione)“.

Per capire a che punto è l’Italia, comunque, allargato il campo all’intera Europa, che sconta l’aumento delle tensioni geopolitiche, elemento che “accresce la possibilità di ripercussioni negative su commercio mondiale e prezzi delle materie prime“. Inoltre, “rimane alto il costo dei noli” e “aumentano le barriere protezionistiche” mentre “le elezioni presidenziali in Usa acuiscono l’incertezza“.

Riportando lo zoom sul nostro Paese, ci sono altri punti da elencare nel report. Perché “gli investimenti si fermano nel 2024, tornando ai livelli del 2008” e “solo parzialmente sono compensati da quelli previsti dal Pnrr“, che resta “cruciale per la crescita” sebbene le performance risultino in chiaroscuro. “L’Italia è più avanti degli altri nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma dobbiamo correre“, infatti “quest’anno abbiamo speso poco: 9,5 miliardi su 44“. In questo senso si legge l’invito al governo a “semplificare” la misura Transizione 5.0perché sia efficace“.

Andando ancora avanti nella lettura, emerge che “la produzione industriale nel 2023 è diminuita del 2,4% e nei primi otto mesi del 2024 di un’ulteriore 3,2%, rispetto ai mesi corrispondenti dell’anno precedente“. Inoltre, nel terzo trimestre la percentuale rimane negativa, con una riduzione dello 0,5% acquisita ad agosto. Entrando nel dettaglio, a livello settoriale le performance sono molto differenti: “Crescono altri mezzi di trasporto, riparazioni e installazioni (+8,0% e +5,3% nei primi otto mesi dell’anno rispetto ai primi otto mesi del 2023), alimentari e carta (+2,7% e +1,9%), mentre pesa la contrazione dell’automotive (-17,9%), degli articoli in pelle (-15%) e dell’abbigliamento“. II valore aggiunto dell’industria, però, è previsto in recupero il prossimo anno (-0,8% nel 2024, in linea con l’acquisito, +1% nel 2025), grazie alla ripresa della domanda, interna ed estera, comunque modesta, tra fine anno e inizio 2025.

Infine, altra criticità è rappresentata dal “sistema Ets sempre più stringente e il Cbam operativo“, perché “le imprese europee continuano a perdere competitività“. Anzi, “crescono i rischi – avvisa Confindustria – che alcune di queste (sono il 9% del valore aggiunto manifatturiero in Italia come in Ue) chiudano o vengano trasferite fuori dall’Europa“.

Utilitalia-Svimez: “Filiere di acqua, energia e ambiente valgono il 4,7% del Pil del Sud”

La dimensione economica delle utility meridionali è quantificabile in 11,5 miliardi di euro (2023), circa il 24% del valore aggiunto realizzato dall’intero comparto italiano. Considerando il contributo offerto dalle imprese che operano sull’intera filiera delle utility, si sale a circa 16,1 miliardi: pari al 4,7% del Pil del Mezzogiorno. Rispetto alle altre filiere, quella delle utility si contraddistingue al Sud per una marcata vocazione industriale: le imprese estrattive e manifatturiere realizzano infatti oltre il 52% del valore aggiunto complessivo. Lo rivela il ‘Rapport Sud’, di Utilitalia e Svimez, presentato a Palermo, che che valuta gli impatti economici e occupazionali del settore delle utility (ambientale, idrico ed energetico) nelle regioni del Mezzogiorno. Questa quarta edizione, inoltre, contiene una valutazione sulle principali sfide che il comparto dovrà affrontare nei prossimi anni.

“Il sistema delle imprese dei servizi di pubblica utilità, in sostanza, riveste una posizione centrale rispetto ai temi della crescita economica, dell’accessibilità ai diritti essenziali, del cambiamento climatico e dell’autonomia strategica sulle forniture energetiche. Per superare dunque le criticità residue, promuovendo lo sviluppo industriale, un esempio positivo è dato dalle reti d’impresa”, si legge in una nota.

Lo scorso luglio è stato firmato da 9 utilities del Mezzogiorno il Contratto di Rete che ha costituito la Rete Sud, l’iniziativa attraverso la quale le imprese associate a Utilitalia hanno deciso di fare squadra per migliorare i servizi offerti ai cittadini ed affrontare congiuntamente le principali sfide operative, finanziarie e regolatorie del momento”.

“Con questa iniziativa – spiega il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – la Federazione ha voluto fornire un contributo concreto per un maggiore sviluppo dei servizi pubblici al Sud, che soffrono una eccessiva frammentazione e una ancora troppo diffusa presenza di gestioni in economia. Fare rete tra i gestori è un passo importante per rafforzare il sistema delle imprese dei servizi pubblici secondo una logica industriale, un percorso obbligato per migliorare i servizi forniti ai cittadini e per generare impatti positivi sull’occupazione e sull’indotto locale”.

Transizione energetica, economia circolare e adattamento ai cambiamenti climatici: sono questi i pilastri su cui si fondano le sfide e le azioni per rilanciare l’economia delle utility nel Mezzogiorno. “Le utility – evidenzia Luca Bianchi, direttore generale della Svimez – assumono un ruolo decisivo nel supportare i segnali di ripresa dell’economia meridionale, favorendo la trasformazione strutturale che i sistemi economici territoriali dovranno avviare per contrastare e vincere le sfide legate al cambiamento climatico e ai nuovi equilibri economici globali. Il rapporto fa emergere il ruolo effettivo e potenziale del settore delle utility nell’attivare e qualificare le connessioni economiche locali, attirare investimenti e migliorare i servizi per cittadini e imprese, in un’ottica evolutiva per cui è necessario partire dalle vocazioni produttive territoriali per sostenere i processi di sviluppo, ammodernamento e diversificazione”.

Il Sud Italia, del resto, ha il maggiore potenziale su scala nazionale di produzione da fonti rinnovabili (eolico e solare). Oggi il Mezzogiorno gioca un ruolo decisivo nel settore fotovoltaico, contribuendo per circa il 35% della capacità totale installata, che è in crescita in tutte le regioni del Sud: per raggiungere i target del Fit for 55, la capacità fotovoltaica addizionale (53,6 GW) prevista entro il 2030 si concentrerà per il 61% nel Mezzogiorno. Tra le misure suggerite dalla Federazione per implementare il settore figurano l’integrazione verticale della filiera, lo sviluppo di soluzioni integrate per offrire servizi innovativi, l’incoraggiamento dell’autoproduzione e il ricorso a investimenti in digital e tecnologie innovative.

In tema di rifiuti il Sud Italia sconta ancora un importante gap dal punto di vista impiantistico, per cui è difficile chiudere il ciclo ed evitare l’export verso altre regioni o l’estero nonché il conferimento in discarica. Per quanto riguarda i rifiuti indifferenziati, per centrare i target europei al 2035 sull’economia circolare, il fabbisogno impiantistico a livello nazionale e principalmente concentrato nelle regioni centro-meridionali è stimato da Utilitalia in 2,5 milioni di tonnellate; migliore è la situazione per quanto concerne i rifiuti organici, grazie ai numerosi impianti recentemente attivati o in costruzione, grazie anche ai finanziamenti del Pnrr.

La siccità del 2023-2024 che ha colpito il Sud Italia e sta interessando ancora duramente la Sicilia, mette in risalto le vulnerabilità del sistema infrastrutturale idrico. Per uscire dalle logiche emergenziali e rendere il settore più resiliente agli effetti dei cambiamenti climatici in corso, è necessario superare alcune criticità dal punto di vista della governance e delle infrastrutture. “Sono ancora troppe le gestioni in capo agli enti locali nelle regioni del Sud Italia che, con una bassissima capacità di investimento (appena 11 euro per abitante nel 2022, contro una media nazionale di 70 euro), non consentono una rapida attuazione degli interventi necessari. Bisogna dunque incentivare la crescita orizzontale e verticale dei gestori, per migliorare la capacità gestionale anche attraverso il controllo degli enti di governo d’ambito”, prosegue il comunicato.

La crescita del Pil nell’area Ocse

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, la crescita del Pil nelle economie dell’area Ocse. Nel secondo trimestre 2024 è aumentato dello 0,5% in area Ocse, allo stesso ritmo del trimestre precedente, secondo le stime provvisorie. Mentre il tasso di crescita complessivo del Pil è rimasto invariato nel secondo trimestre 2024, nel G7 il è aumentato più rapidamente nel secondo trimestre, dello 0,5% rispetto allo 0,2% del primo trimestre. In Giappone la crescita è aumentata dello 0,8% dopo una contrazione dello 0,6% nel primo trimestre. Negli Stati Uniti la crescita è accelerata dallo 0,4% del primo trimestre allo 0,7% del secondo, grazie soprattutto all’aumento dei consumi privati (0,6% rispetto allo 0,4% del 1° trimestre). È aumentato leggermente anche in Canada (dallo 0,4% allo 0,5%) ed è rimasto invariato in Francia (allo 0,3%). Anche in Italia e nel Regno Unito la crescita è leggermente rallentata nel secondo trimestre, rispettivamente allo 0,2% e allo 0,6%, rispetto allo 0,3% e allo 0,7% del primo trimestre. Su base annua è stata dell’1,8% nel secondo trimestre 2024, in leggero aumento rispetto all’1,7% del primo trimestre. Tra le economie del G7, gli Stati Uniti hanno registrato la crescita più elevata negli ultimi quattro trimestri (3,1%), mentre il Giappone ha registrato il calo maggiore (-0,8%). L’Italia ha registrato un +0,9% su base annuale, superiore alla media dell’eurozona (+0,6%) e dell’Ue (+0,8%).

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INFOGRAFICA INTERATTIVA Ue, Eurostat: Pil eurozona +0,3% in primo trimestre 2024

Nel primo trimestre del 2024, il Pil è aumentato dello 0,3% sia nell’area dell’euro sia nell’Ue, rispetto al trimestre precedente. Ad attestarlo è una stima pubblicata da Eurostat, l’ufficio di statistica dell’Unione europea. Nel quarto trimestre del 2023, il Pil era diminuito dello 0,1% nell’area dell’euro ed era rimasto stabile nell’Ue. Rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, nel primo trimestre del 2024 il Pil è cresciuto dello 0,4% nell’area dell’euro e dello 0,5% nell’Ue, dopo il +0,2% dell’area dell’euro e il +0,3% dell’Ue del trimestre precedente. Nell’infografica INTERATTIVA di GEA è illustrata la crescita del Pil in Ue ed Eurozona dal 2017 ad oggi per trimestre.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Pil, +0,3% in eurozona e in Italia nel primo trimestre

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento trimestrale del Pil dell’eurozona e in Italia. Secondo le stime preliminari di Eurostat, nel primo trimestre del 2024 il Pil destagionalizzato è aumentato dello 0,3% rispetto al quarto trimestre 2023 nell’area euro, come in Italia.

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Via libera al Def, Pil all’1% nel 2024. Giorgetti: “Impatto Superbonus devastante”

La crescita è rivista in ribasso, ma a pesare sono soprattutto i conti del Superbonus. Il Consiglio dei ministri approva il Documento di economia e finanza, ma per i numeri del programma strutturale “il termine deciso in sede europea è il 20 settembre“, come spiega Giancarlo Giorgetti, che spera comunque di arrivare a dama prima della scadenza. Il ministro dell’Economia spiega che il Def “tiene conto di quelle che sono le decisioni, o meglio la rivoluzione delle regole di bilancio e fiscali Ue, tali per cui mancano le disposizioni attuative, le istruzioni per la costruzione del percorso“.

Il quadro tendenziale prevede, per il 2024, un Prodotto interno lordo all’1%, Deficit al 4,3 e il debito al 137,8 percento. Il prossimo anno, invece, il Pil è stimato all’1,2%, il deficit al 3,7 e il debito al 138,9%. Nel 2026 la previsione è Pil all’1,1%, deficit al 3 e debito al 139,8 percento, infine nel 2027 le stime vedono il Pil allo 0,9%, il deficit al 2,2 e il debito al 139,6. “Le nostre previsioni sono, per quanto riguarda la crescita economica, riviste al ribasso rispetto alla Nadef, ma le previsioni sono assai complicate da fare in un quadro internazionale geopolitico complicato“, spiega Giorgetti. Che sui bonus dice, senza troppi giri di parole: “L’impatto del Superbonus e simili è, ahimè, devastante“. Entrando poi nel dettaglio: “L’andamento del debito è pesantemente condizionato dai riflessi per cassa del pagamento dei crediti fiscali del Superbonus per i prossimi anni, come è stato ampiamente detto: quando questa enorme massa dei 219 miliardi di crediti edilizi scenderà in forma di compensazione, quindi di minori versamenti nei prossimi anni, diventerà a tutti gli effetti debito pubblico, anche ai fini contabili, oltre a esserlo già oggi, di fatto, in termini di impegni assunti dai cittadini italiani“.

L’obiettivo del governo resta comunque quello di “confermare la decontribuzione, che scade nel 2024 e che intendiamo assolutamente replicare nel 2025“, dice ancora Giorgetti. Anzi, l’obiettivo è procedere spediti verso la prossima legge di Bilancio, tant’è che fonti di Palazzo Chigi faranno sapere che “nella fase attuale in cui mancano ancora le indicazioni operative su come dovrà essere impostato il Piano, è stata concordata a livello europeo la possibilità di sospendere le vecchie procedure per evitare di svuotare l’atto politico di contenuto. Un processo lineare che si concluderà in tempo per la messa a punto della Legge di Bilancio per il 2025, senza nessun rischio di generare incertezze sui mercati“.

Dalle opposizioni, però, arriva un coro di critiche. Dal Pd è la presidente dei deputati, Chiara Braga, a parlare di “presa in giro: il governo presenta un Def ‘transitorio’, cioè non dice come coprirà le spese almeno fino alle europee. Poi la ricetta sarà la solita: tagli a sanità, scuola, lavoro. Irresponsabili e incoscienti, a spese dei cittadini“. Il M5S definisce il testo dell’esecutivo “fantasma“, mentre il capogruppo di Iv in commissione Bilancio della Camera, Luigi Marattin, attacca duro: “In politica ne avevamo viste tante, ma un governo che dice che 15 miliardi di tagli di tasse verranno mantenuti l’anno prossimo quando contemporaneamente presenta un Def che non lo fa, non ci era davvero mai capitato“.

A difendere l’operato del Mef è, invece, Matteo Salvini: “Giorgetti ha fatto un ottimo lavoro, alle opposizioni non va mai bene niente, ma io sono contento di quello che abbiamo fatto“, commenta il vicepremier e leader della Lega. Anche FdI si schiera con il ministro dell’Economia: “Non poteva fare altrimenti il governo se non presentare un Documento di economia e finanza che contenesse soltanto un quadro macroeconomico tendenziale – afferma il presidente della commissione Bilancio del Senato, Nicola Calandrini -. Gli elementi utili per la nuova manovra saranno invece compresi nel Piano fiscale strutturale di medio termine, previsto dalle nuove regole di governance Ue, da presentare entro l’estate“.

Dal cambiamento climatico perdite economiche per 24,7 trilioni di dollari entro il 2060

La perdita di Pil globale dovuta ai cambiamenti climatici aumenterà esponenzialmente quanto più il pianeta si riscalderà, se si tiene conto del suo impatto a cascata sulle catene di approvvigionamento globali. E’ quanto emerge da una nuova ricerca guidata da ricercatori dell’University College London (UCL).

Lo studio, pubblicato su Nature, è il primo a tracciare le “perdite economiche indirette” del cambiamento climatico sulle catene di approvvigionamento globali che interesseranno regioni potenzialmente meno colpite dal previsto aumento delle temperature.

Queste interruzioni delle catene di approvvigionamento aggraveranno ulteriormente le perdite economiche previste a causa dei cambiamenti climatici, portando a una perdita economica netta prevista tra i 3,75 trilioni e i 24,7 trilioni di dollari entro il 2060, a seconda della quantità di anidride carbonica emessa.

L’autore principale, il professor Dabo Guan (UCL Bartlett School of Sustainable Construction) spiega che “questi impatti economici previsti sono sconcertanti. Le perdite peggiorano con l’aumentare del riscaldamento del pianeta e, se si considerano gli effetti sulle catene di approvvigionamento globali, si capisce come ogni luogo sia a rischio economico”.

Poiché l’economia globale è diventata sempre più interconnessa, le perturbazioni in una parte del mondo hanno effetti a catena nel resto del globo, a volte in modo inaspettato. I fallimenti dei raccolti, i rallentamenti del lavoro e altre perturbazioni economiche in una regione possono influire sulle forniture di materie prime che affluiscono in altre parti del mondo che ne dipendono, interrompendo la produzione e il commercio in Paesi anche lontani.

Più la Terra si riscalda, più peggiora la sua situazione economica, con un aggravamento dei danni e delle perdite economiche che aumenta esponenzialmente con il passare del tempo e con l’aumento del calore. I cambiamenti climatici danneggiano l’economia globale soprattutto a causa dei costi sanitari dovuti all’esposizione al calore, all’interruzione del lavoro quando fa troppo caldo e agli stop che si propagano a cascata attraverso le catene di approvvigionamento.

I ricercatori hanno confrontato le perdite economiche previste in tre scenari di riscaldamento globale. Quello migliore prevede un aumento delle temperature globali di soli 1,5 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali entro il 2060, quello intermedio, che secondo la maggior parte degli esperti si trova attualmente sulla Terra, prevede un aumento delle temperature globali di circa 3 gradi centigradi, mentre lo scenario peggiore prevede un aumento delle temperature globali di 7 gradi centigradi.

Entro il 2060, le perdite economiche previste saranno quasi cinque volte maggiori con il percorso di emissioni più alto rispetto a quello più basso, con perdite economiche che peggioreranno progressivamente con l’aumento del riscaldamento. Entro il 2060, le perdite totali del Pil ammonteranno allo 0,8% con un riscaldamento di 1,5 gradi, al 2,0% con un riscaldamento di 3 gradi e al 3,9% con un riscaldamento di 7 gradi.

Anche il costo umano diretto è significativo. Anche nel caso del percorso più basso, nel 2060 si registrerà il 24% in più di giorni di ondate di calore estremo e 590.000 morti in più all’anno, mentre nel caso del percorso più alto il numero di ondate di calore sarà più che raddoppiato e si prevedono 1,12 milioni di morti in più all’anno. Questi impatti non saranno distribuiti uniformemente in tutto il mondo, ma saranno i Paesi vicini all’equatore a sopportare il peso maggiore del cambiamento climatico, in particolare quelli in via di sviluppo.

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INFOGRAFICA INTERATTIVA Pil, il quarto trimestre 2023 nei Paesi dell’eurozona

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento del Pil trimestrale nei Paesi dell’eurozona.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Pil, le stime di crescita Ocse

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, le previsioni Ocse sul Pil. Secondo l’ultimo Interim Economic Outlook, “la crescita globale regge, mentre il ritmo di crescita rimane disomogeneo tra paesi e regioni e l’inflazione è ancora al di sopra degli obiettivi”. Le prospettive prevedono una crescita del Pil globale del 2,9% nel 2024 e un leggero miglioramento al 3% nel 2025, sostanzialmente in linea con le precedenti proiezioni Ocse di novembre 2023. Si prevede che l’Asia continuerà a rappresentare la maggior parte della crescita globale nel 2024-25, come nel 2023. Per l’Italia, l’Ocse mantiene stabili le stime di crescita rispetto all’analisi di novembre.

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Bankitalia: 2023 a due fasi, prima la crescita poi lo stop. Restano rischi sul prezzo del gas

Il Pil italiano è cresciuto nella prima parte dell’anno, ma ora questo trend si è “sostanzialmente arrestato”. Anche i dati della Banca d’Italia confermano che il nostro Paese è in una fase molto particolare per l’economia, con un 2023 a due fasi. I dati raccolti nel terzo Bollettino economico di via Nazionale mostrano che nei primi tre mesi dell’anno “il Pil italiano è tornato a crescere dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, i consumi delle famiglie sono saliti, sospinti dal parziale recupero del reddito disponibile reale e da condizioni più favorevoli del mercato del lavoro, e gli investimenti totali, che hanno raggiunto livelli di oltre il 20% superiori a quelli del 2019, hanno continuato ad aumentare“. Ma allo stesso modo, da aprile a giugno c’è stata una evidenza frenata.

L’attività è stata sostenuta dai servizi (soprattutto quelli turistico-ricreativi)“, spiega lo studio, ma “la produzione manifatturiera è diminuita, frenata in particolare dall’indebolimento del ciclo industriale globale“. Dunque, “in attesa che lo stimolo derivante dal Pnrr si dispieghi pienamente“, l’attività sembra ridotta “anche nel settore delle costruzioni, risentendo della graduale attenuazione degli effetti degli incentivi fiscali legati al Superbonus 110%“. Almeno in questo quadro un aspetto positivo c’è, perché secondo le valutazioni di Bankitalia, anche se “su un insieme ancora limitato di dati“, l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna lo scorso mese di maggio “pur avendo conseguenze rilevanti sull’economia locale, non ha avuto un impatto significativo sulla crescita del prodotto dell’Italia nel complesso del secondo trimestre“.

Altro capitolo delicato è quello relativo all’energia e riguarda tutta Europa, dunque Italia compresa. Ad oggi lo scenario è quello di un costante trend di calo dei prezzi di gas naturale al Ttf, la borsa di riferimento. Nella prima settimana di luglio è arrivato a toccare una quota poco inferiore ai 35 euro per megawattora, una cifra decisamente migliore dei circa 50 euro/Mwh di fine marzo. Merito del livello di stoccaggi molto ampio, combinato all’andamento moderato dei consumi industriali e l’abbondante offerta di Gnl a livello globale. Ma guai ad abbassare la guardia, avverte la Banca d’Italia, perché “i rischi che gravano sul prezzo del gas per la prossima stagione invernale rimangono non trascurabili”. Restando in tema, sono molto positive le cifre disavanzo energetico, che nei primi tre mesi del 2023 “si è dimezzato“, arrivando al 3,6% del Pil, “grazie alla forte riduzione del valore delle importazioni (da 8,6 a 4,6 miliardi di euro)”.

Nel primo trimestre 2023, poi, la progressiva riduzione dei prezzi dell’energia e dei beni importati ha determinando un “calo dei costi variabili per unità di prodotto dell’1,6%” rispetto al trimestre precedente, mette in luce il Bollettino. Il margine operativo lordo rapportato al valore della produzione è quindi cresciuto di circa 1,8 punti percentuali, “recuperando pienamente i livelli del 2021“. Questo aumento dei margini di profitto ha riguardato tutti i settori della manifattura, inclusi quelli della metallurgia, della chimica e della produzione di carta e legno, nei quali nonostante la contrazione dei prezzi si è osservata una diminuzione dei costi più intensa. Ma “nel complesso del manifatturiero i margini di profitto sono tornati ai livelli pre-pandemici“, sebbene “gli andamenti sono stati tuttavia eterogenei tra comparti“.

La diminuzione dei prezzi dell’energia ha contribuito notevolmente anche al calo dell’inflazione. Stando al Bollettino di Bankitalia, dalla seconda metà del 2022 negli Usa, sulla base dell’indice dei prezzi al consumo, è scesa di circa 6 punti percentuali (dal 9,1% di giugno 2022 al 3 in giugno di quest’anno)”. Ma l’andamento è simile anche nell’area dell’euro, che passa “dal 10,6% di ottobre 2022 al 5,5 del mese scorso, appaiando la dinamica degli degli Stati Uniti, seppure “con alcuni mesi di ritardo”. Nella media del secondo trimestre è proseguita anche la discesa dell’inflazione armonizzata al consumo, che a giugno raggiunge 6,7%. Sui prezzi dei beni alimentari c’è un lieve allentamento, ma in sostanza “continuano a risentire degli effetti ritardati dello shock energetico sui costi di produzione lungo l’intera filiera“. Inoltre, avverte Bankitalia, “pressioni al rialzo potrebbero derivare dagli ingenti danni alla produzione agricola causati dall’alluvione in Emilia-Romagna”.

Guardando al prossimo futuro, però, secondo le proiezioni della Banca d’Italia per l’economia italiana, nello scenario di base il Pil aumenterebbe dell’1,3% quest’anno, dello 0,9 nel 2024 e dell’1 percento nel 2025. Inoltre, l’inflazione sarebbe al 6% nel 2023 per poi scendere al 2,3 nel 2024 e al 2 nel 2025. “Il quadro macroeconomico continua a essere caratterizzato da forte incertezza, con rischi orientati al ribasso per la crescita e bilanciati sull’inflazione”, sottolinea via Nazionale. Specificando che in questo quadro “si ipotizza che le tensioni connesse con il conflitto in Ucraina non comportino ulteriori difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime energetiche“.