Consiglio Ue approva modifiche al Pnrr italiano. Fitto: “Frutto della collaborazione con Bruxelles”

Il Consiglio europeo ha approvato le modifiche al Pnrr italiano, che riguardano 10 obiettivi dei 27 originariamente associati alla quarta rata del Piano, tra cui gli incentivi all’efficienza energetica nell’ambito del cosiddetto Superbonus, l’aumento delle strutture per l’infanzia, lo sviluppo dell’industria spaziale e cinematografica e il trasporto sostenibile. A questi si è aggiunto un ulteriore traguardo relativo al potenziamento dell’offerta di alloggi per gli studenti universitari.

La richiesta di modifica era stata avanzata dal nostro Paese lo scorso 11 luglio, perché il piano risultava “parzialmente non più realizzabile”. La decisione del Consiglio europeo si basa sulla valutazione della Commissione secondo cui le modifiche proposte “sono giustificate e non incidono sulla pertinenza, l’efficacia, l’efficienza e la coerenza del suo piano di ripresa e resilienza”. Il costo totale stimato del Pnrr modificato rimane invariato, pari a 191,5 miliardi di euro, di cui 68,8 miliardi di euro in sovvenzioni e 122,6 miliardi di euro in prestiti.

Il via libera, spiega da Bruxelles il ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, “è un risultato positivo”, frutto di “un’intensa e proficua collaborazione” tra il Governo e la Commissione europea e “consentirà all’Italia di presentare la relativa richiesta di pagamento ed avviare la procedura per l’esborso dei 16,5 miliardi di euro previsti per la quarta rata del Pnrr”. Secondo Fitto “la decisione odierna del Consiglio dell’Unione europea è la migliore prova che l’Italia può gestire in maniera efficiente le risorse europee, per dare impulso all’attuazione del Piano e rilanciare crescita, produttività e occupazione nel nostro Paese”.

Bruxelles, però, lancia l‘allarme ritardi. Anche se l’attuazione del Pnrr italiano è in corso – spiega nell’annesso al report annuale 2023 sul Recovery and Resilience Facility – restano alcune criticità. “L’Italia ha presentato tre richieste di pagamento – spiega la Commissione – che corrispondono a 151 tappe e obiettivi del piano e che comportano un esborso complessivo di 42 miliardi di euro”, riferito alle prime due richieste di pagamento presentate. Il 30 dicembre 2022 il nostro Paese aveva presentato la terza richiesta di pagamento, la cui valutazione preliminare è stata approvata dalla Commissione il 28 luglio 2023: “Procedere rapidamente con l’attuazione del piano e la negoziazione della sua modifica è essenziale a causa della natura temporanea dell’Rrf in vigore fino al 2026”.

Il Recovery and Resilience Facility “finanzierà 191,6 miliardi di euro di investimenti in Italia nel periodo 2022-2026 (10,7% del Pil)” e il piano italiano “iniziale (e ancora attuale) consiste in 132 investimenti e 58 riforme”. L’Italia “è il maggior beneficiario in termini assoluti”, ricorda la Commissione.

E di ritardi ha parlato anche Monica Pratesi, direttrice del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, in audizione davanti alle commissioni Bilancio congiunte sullo stato di attuazione del Pnrr. “Particolarmente complessa – spiega – è la valutazione degli ostacoli o dei fattori che hanno rallentato l’adozione delle misure Pnrr da parte della pubblica amministrazione a livello centrale e territoriale. A questo proposito, nell’ambito del Censimento delle istituzioni pubbliche, la cui raccolta dati è in corso di completamento (terminerà il prossimo 20 ottobre), sono stati inseriti, d’intesa con altri stakeholders istituzionali, una serie di quesiti finalizzati a rilevare il grado di conoscenza delle opportunità offerte dal Pnrr, le competenze tecnico-giuridiche disponibili interamente o esternamente all’amministrazione pubblica per la progettazione degli interventi, nonché i principali ostacoli riscontrati nel processo di adesione e implementazione dei progetti Pnrr. Si tratta di informazioni che saranno rese disponibili nei prossimi mesi”. 

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Pnrr, luce verde dal Comitato economico alla terza rata. Fitto: “Passo importante”

Un passo in avanti importante. Così il ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto, saluta il parere positivo che il Comitato economico finanziario del Consiglio dell’Ue ha dato oggi via libera all’erogazione della terza rata del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano, pari a 18,5 miliardi di euro. “Prendiamo atto con soddisfazione del parere positivo espresso oggi dal Comitato economico e finanziario europeo sull’erogazione della terza rata. Un altro passo avanti importante”, ha scritto Fitto su X.

Un passo avanti importante, ma ancora non quello definitivo per la terza erogazione dei finanziamenti all’Italia per la ripresa economica dalla pandemia, e non solo. Lo scorso 28 luglio la Commissione europea aveva giudicato positivamente la “valutazione preliminare” della richiesta dell’Italia al pagamento della terza rata del Pnrr, in particolare sui 54 traguardi e obiettivi legati all’erogazione dei 18,5 miliardi di euro. Dopo l’ok preliminare di Palazzo Berlaymont di fine luglio, il dossier era passato dunque al vaglio del Comitato economico e finanziario, che ha avuto a disposizione quattro settimane di tempo per pronunciarsi sul parere preliminare della Commissione.

Il Comitato è un organo consultivo in seno al Consiglio Ue e promuove il coordinamento delle politiche degli Stati membri necessarie al funzionamento del mercato interno, esprimendo pareri su richiesta del Consiglio o della Commissione europea. Visto il via libera, ora la Commissione Ue potrà adottare la decisione di pagamento vero e proprio e sbloccare 18,5 miliardi di euro al Paese. Sui tempi per l’esborso tutto tace per il momento da Bruxelles, anche se è improbabile che arrivino prima della fine del mese.

Il Pnrr italiano prevede 132 investimenti e 58 riforme, che saranno sostenuti da 68,9 miliardi di euro di sovvenzioni e 122,6 miliardi di euro di prestiti da parte di Bruxelles. La prima rata da 21 miliardi di euro è stata ricevuta ad aprile 2022 e la seconda tranche, sempre da 21 miliardi, a settembre dello scorso anno. Ora il governo di Meloni, con mesi di ritardo sulla tabella di marcia e mesi di trattative con la Commissione, ha sbloccato la situazione ottenendo il via libera alla terza tranche da quasi 19 miliardi.

L’incomprensione con Bruxelles sulla terza rata riguardava l’obiettivo di costruire 7.500 nuovi alloggi per gli studenti, contestato a Bruxelles perché parte delle risorse sarebbero state usate dal governo per strutture che già sono di fatto studentati. Infine, il governo ha negoziato con Bruxelles per eliminare l’obiettivo da quelli necessari per ottenere la terza rata. L’intesa si è trovata, ma in cambio il governo italiano ha dovuto spostare circa 519mila euro previsti dalla terza rata (che è passata da 19 a 18,5 miliardi di euro) alla quarta rata che arriverà così a 16,5 miliardi di euro.

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Giorgetti: “La Manovra sarà complicata, non si può fare tutto. La parola chiave è sostenibilità”

La parola chiave è sostenibilità. A ripeterlo – più volte – è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, partecipando al Meeting di Rimini. Il responsabile del Mef, come suo solito, resta abbottonato, ma qualche indicazione la fornisce comunque. Linee di massima che, per un “decisore”, un “politico”, per usare le sue stesse parole, sono comunque messaggi. In primis alla sua maggioranza, ma anche all’opposizione, perché alle porte c’è il lavoro sulla prossima legge di Bilancio. Giorgetti non usa giri di parole: “Sarà complicata come tutte le manovre, siamo chiamati a decidere delle priorità, non si può fare tutto”. A buon intenditor, poche parole insomma. Perché “dovremo certamente intervenire a favore dei redditi medio bassi” con la decontribuzione per frenare gli effetti dell’inflazione, ma allo stesso tempo “dovremo anche utilizzare le risorse a disposizione per promuovere la crescita” e “promuovere e premiare chi lavora, siano essi lavoratori o imprenditori”.

Ed ecco il punto cruciale del suo ragionamento: la sostenibilità. Perché “nulla è gratis, quando si fa debito o deficit dobbiamo sempre pensare anche a questo concetto”. Il ministro passa in rassegna alcuni grandi cambiamenti, che ovviamente toccano anche l’economia, annotando che ad oggi gli strumenti di misurazione non sono adeguati. “Tutti gli indicatori a livello internazionale ed europeo fanno sempre riferimento a questo benedetto Pil, che noi sappiamo benissimo essere nato come una misurazione nazionale, ma si può gonfiare anche facendo spese totalmente assurde o spese pubbliche che non promuovano lo sviluppo economico”, dice con rimpianto.

Ma “è quello che abbiamo e che dobbiamo utilizzare”, aggiunge con un pizzico di rassegnazione. Non troppa, però, visto che il Prodotto interno lordo “non ci permette di cogliere fenomeni importanti”, come “il degrado dell’ambiente, che oggi è diventato veramente un tema centrale”.

Giorgetti consiglia di “non leggere” le soluzioni che si trovano sui giornali o nel dibattito quotidiano, dai quali “da qualche giorno le proposte più o meno corrette o strampalate fioccano”. Serve realismo, per questo motivo sostiene che “non c’è nessuna riforma o misura” legata alle pensioni “che tenga nel medio e lungo periodo” con la “denatalità che abbiamo oggi in Italia”.

Il responsabile del Mef parla anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche in questo caso chiarendo con molta precisione quale sia la sua visione. “Non c’è semplicemente il puntuale rispetto, il fare in fretta, ma anche fare bene”, sottolinea, e per questo garantisce che “la responsabilità del governo è massima, così come l’impegno”. Ma “se fare in fretta significa fare male, è meglio valutare attentamente le situazioni, perché è un’occasione unica per promuovere la crescita, lo sviluppo e anche la conversione di tante imprese nel nostro Paese”. Inoltre, “queste risorse che solo parzialmente sono gratis, mentre altre pagano i loro interessi, quindi non possono essere sprecate anche per questo motivo”. Ergo “devono essere usate nel modo migliore possibile”. L’antipasto d’autunno è servito alla tavola della politica.

L’Italia ha presentato all’Ue la proposta di revisione del Pnrr

Ora è ufficiale: è stata presentata alla Commissione europea la proposta di modifica complessiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che include anche il nuovo capitolo REPowerEU. La proposta sarà valutata nei prossimi mesi dalla Commissione europea in base al Regolamento sul dispositivo per la ripresa e resilienza. Lo annuncia una nota del ministero per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnnr, ma la conferma arriva anche dalla Commissione Europea.

Secondo Bruxelles, il capitolo REPowerEU proposto dall’Italia per il proprio piano per la ripresa (Pnrr) “comprende varie riforme, tra cui lo sviluppo delle energie rinnovabili, il potenziamento delle competenze verdi sia nel settore pubblico che in quello privato, la lotta ai sussidi dannosi per l’ambiente e il miglioramento della produzione di biometano”. Previste anche tre aree principali comprendenti diversi investimenti, in particolare legati al potenziamento delle reti energetiche, all’efficienza energetica e alle filiere strategiche.

Il Governo italiano chiede a Bruxelles di rivedere 144 azioni di investimento e riforme per digitalizzazione e competitività, transizione ecologica, mobilità sostenibile, istruzione e la ricerca, inclusione e coesione, salute. La Commissione valuterà ora se il piano modificato soddisfa ancora i criteri previsti, e in caso proporrà la Consiglio una proposta di esecuzione, per cui il Consiglio avrà fino a quattro settimane per esprimersi.

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Pnrr, Fitto a sindaci: “Nessuna interruzione, interventi vanno avanti”

Lo dico ai sindaci e a chi ha immaginato scenari catastrofici: gli interventi previsti all’interno del Piano vanno avanti avanti, non c’è nessuna interruzione rispetto a tutto ciò che è previsto, non saranno oggetto di definanziamento”. Il ministro agli Affari Europei, Coesione, Sud e Pnrr, Raffaele Fitto, tuona in Aula alla Camera durante le comunicazioni sul Pnrr. Il riferimento è alle nove misure che l’esecutivo ha deciso di cancellare dal Pnrr, come è riportato a pagina 150 del documento approvato dalla cabina di regia. Sono progetti che valgono in tutto 16 miliardi, da quelli per la lotta al dissesto idrogeologico alla decarbonizzazione dell’ex Ilva di Taranto. E Fitto ribadisce: “Noi non stiamo dicendo quello che spesso ascolto, cioè che noi revochiamo il finanziamento di 9 interventi che, in molti casi, hanno delle obbligazioni giuridicamente vincolanti. Non solo saremo degli irresponsabili a farlo, ma non avremmo capito nulla di quello di cui stiamo parlando. Quindi, è bene che su questo si dicano le cose con chiarezza“.

Intanto, sulla questione relativa al dissesto idrogeologico,1,2 miliardi di interventi, “vogliamo spiegare quali sono i progetti previsti? Se un progetto del 2010, del 2014 o del 2016, che non ha visto ancora l’avanzamento, viene inserito nel Pnrr, con criteri totalmente differenti e che oggi non è ancora partito, siamo tranquilli e convinti che venga realizzato a giugno del 2026 o dobbiamo porci qualche problema per evitare che in quella data venga revocato e noi dovremo restituire le risorse?“. Per Fitto “basta fare una verifica specifica per trovare l’elenco delle questioni relative alle risorse del dissesto idrogeologico “, aggiunge  riferendosi, in particolare, all’Accordo di programma fra il ministero dell’Ambiente e le Regioni, ai Patti per il Sud della Libera Cipe del 10 agosto 2016, alla delibera del 26 agosto del 2016, al Piano aree metropolitane, al Piano operativo per il dissesto di idrogeologico del 2019, al Piano stralcio 2019, al Piano stralcio del 2020. “Parliamo di questi interventi, ma di progetti in essere” cioè “precedentemente finanziati con norme nazionali e che sono stati inseriti all’interno del Pnrr: 65 miliardi di euro, più 15 miliardi di Fondo di sviluppo e coesione inseriti dal governo Conte, per un totale di 80 miliardi di euro, e che sono stati ridotti a 67 complessivamente (52 miliardi di progetti in essere, più 15 miliardi di Fondo coesione e sviluppo dal governo Draghi). Dobbiamo sottolineare che nell’ambito dei 291 miliardi di euro relativi alle risorse del Pnrr, 67 miliardi sono di progetti precedenti, che erano stati già finanziati e che sono stati spostati dentro il Piano, con tutte le difficoltà che comporta“.

E poi, la misura relativa agli interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni, da 6 miliardi di euro, “deve puntare principalmente ad affrontare i rischi idrogeologici nelle aree urbane e metropolitane, cioè quelle riguardanti inondazioni, erosioni o instabilità degli edifici che causano un grave deterioramento, tra l’altro, del parco immobiliare, delle reti dei servizi sotterranei e della rete stradale“, sottolinea il ministro. “La visura, sempre in ambito della macroarea rischio idrogeologico, prevede un insieme variegato di interventi finalizzati a prevenzione e mitigazione dei danni connessi al rischio idrogeologico, messa in sicurezza dei centri abitati, degli edifici, di strade, ponti e viadotti, efficienza energetica degli edifici e degli impianti di illuminazione pubblica e i soggetti attuatori beneficiari degli investimenti sono i comuni“.

Il governo non sta immaginando di “definanziare i Piano urbano integrati di questo o quel Comune”. E “non c’è nessuno che immagina di definanziare il tema relativo alla rigenerazione urbana – aggiunge -. Anche qui, progetti in essere progetti del 2020, siamo convinti che la fase di avanzamento sia compatibile con le date di scadenza previste dal Pnrr? Io devo dire di no, ma saremo molto soddisfatti se, nel confronto dei prossimi giorni con la Commissione europea, questo venisse messo per iscritto, in modo che tutti saremo tranquilli rispetto a quello che accadrà dopo”.

Pnrr, ok a rimodulazione e RePower. Fuori dal Piano 16 miliardi

Una rimodulazione che prevede il definanziamento di alcuni progetti e lo spostamento dei fondi su misure che andranno a implementare il RePowerEu. Le modifiche al Pnrr approvate dalla cabina di regia ridisegnano il piano, spostando al di fuori del perimetro alcuni interventi su cui sono emerse criticità tali da impedire che possano essere realizzati entro la scadenza del 2026, tra cui quelli sul dissesto idrogeologico. Scelta che ha scatenato forti polemiche nelle opposizioni, nonostante il ministro Raffaele Fitto abbia annunciato, pubblicamente, che “non stiamo eliminando nulla“, perché saranno finanziati con altri fondi. Citando il caso degli asili nido, per i quali sono previsti 900 milioni di euro per indire un nuovo bando.

Entrando nel dettaglio, la proposta di definanziamento riguarda 9 misure per un totale di oltre 15,8 miliardi di euro. Tre di queste hanno come centrale di riferimento il ministero dell’Interno: “Interventi per la resilienza, la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni” per 6 miliardi; “Investimenti in progetti di rigenerazione urbana, volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale” per 3,3 miliardi; “Piani urbani integrati – progetti generali” per oltre 2,4 miliardi. Quattro interventi sono in capo al Mase: “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico” per oltre 1,2 miliardi; “Utilizzo dell’idrogeno in settori hard-to-abate” per 1 miliardo; “Promozione impianti innovativi (incluso offshore)” per 675 milioni; “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano” per 110 milioni. Infine, due misure sono del dipartimento delle Politiche di coesione: “Aree interne – Potenziamento servizi e infrastrutture sociali di comunità” per oltre 724 milioni; “Valorizzazione dei beni confiscati alle mafie” per 300 milioni.

Ci vuole davvero coraggio a eliminare dal Pnrr più della metà dei fondi destinati alla lotta al dissesto idrogeologico e tagliare progetti per le infrastrutture ferroviarie. È un insulto a un Paese sconvolto dagli eventi di questi giorni“, tuonano i capigruppo del Pd, Chiara Braga e Francesco Boccia. “Il governo dei ‘no’ cancella 15,9 mld per l’emergenza climatica“, commenta il co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, Angelo Bonelli. Mentre il M5S chiede che le modifiche al Piano passino dal Parlamento prima di essere inviate in Europa. Per quanto riguarda, invece, il RePower, con la rimodulazione, sale complessivamente a 19 miliardi di euro. Il piano italiano è organizzato su tre misure di investimento (Reti dell’energia; Transizione verde ed efficientamento energetico; Filiere industriali strategiche) e sei riforme (Riduzione costi connessione alle reti del gas per la produzione di biometano; Power Purchasing Agreement (Ppa), contratti innovativi per garantire remunerazione stabile a chi investe nelle fonti rinnovabili; Green skills, settore privato, formazione delle risorse umane attualmente impiegate nell’industria tradizionale; Green skills, settore pubblico, formazione specialistica dei dipendenti della Pa; Road map, percorso per la razionalizzazione dei sussidi inefficienti ai combustibili fossili; Testo unico circa la legislazione relativa alle autorizzazioni per le fonti rinnovabili).

Bruxelles, intanto, accoglie “con favore l’accordo raggiunto” oggi “nella cabina di regia italiana sul documento che delinea la revisione del Pnrr, compreso il nuovo capitolo RePowerEu“, dichiara a GEA un portavoce della Commissione europea. Un passaggio sottolineato anche dalla nota del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto: “Evidentemente anche in Ue è stato colto l’impegno del nostro governo per utilizzare al meglio tutte le risorse disponibili, evitando di creare condizioni che avrebbero reso impossibili gli investimenti entro giugno 2026“. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy è soddisfatto per il via libera a quattro misure, evocate dalle parti sociali e produttive del Paese: Transizione 5.0, Nuova Sabatini green, Supporto alla transizione ecologica e alle filiere strategiche Net Zero. Per Adolfo Ursocosì rilanciamo investimenti e innovazione. Mettiamo il turbo alle nostre imprese. Questa è politica industriale“.

Non reagiscono con lo stesso entusiasmo, invece, gli enti locali. “Abbiamo appreso che, nell’ambito della rimodulazione dei finanziamenti, si propone di spostare sul programma RePowerEu 13 miliardi di euro di fondi Pnrr che erano stati assegnati ai Comuni“, sottolinea il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, che chiede all’esecutivo “garanzie immediate sul finanziamento di queste opere” per le quali “andranno trovate altre fonti di finanziamento“. Anche le Province chiedono rassicurazioni, oltre a un “pieno coinvolgimento” nella definizione del capitolo aggiuntivo dedicato all’energia.

Sbloccata terza rata Pnrr. Governo: Tutti i 35 miliardi nel 2023

L’accordo c’è. Il governo raggiunge l’intesa con la Commissione europea per lo sblocco della terza rata del Pnrr: l’obiettivo quantitativo dei 7.500 posti letto per studenti universitari, che dovevano essere aggiunti a quelli esistenti entro la fine del 2022, diventa un target qualitativo. In questo modo, sarà soltanto necessario che siano avviate le procedure per creare complessivamente 60mila posti letto universitari in più entro la fine del 2026. In più, l’obiettivo diventa una milestone della quarta rata.

Le modifiche “non avranno alcun impatto sull’importo complessivo dei pagamenti che l’Italia riceverà nel 2023 con la terza e la quarta rata“, assicura Palazzo Chigi. Parliamo, complessivamente, di 35 miliardi di euro.

La terza rata prevede quindi ora 54 obiettivi per 18,5 miliardi di euro invece che 55 obiettivi per 19 miliardi, mentre la quarta avrà 28 obiettivi per 16,5 miliardi invece dei precedenti 27 per 16 miliardi. Slittano 500 mila euro, ma il totale dei 35 miliardi previsto nel 2023 resta invariato e sarà incassato per intero.

Con la decisione della Cabina di Regia, il Governo potrà quindi presentare formalmente la proposta di modifica della quarta rata alla Commissione europea. La proposta sarà esaminata dalla Commissione, poi dal Consiglio dell’Unione europea insieme alle altre 10 proposte di modifica della quarta rata già esaminate dalla Cabina di Regia e presentate l’11 luglio.

Un lavoro di cesello durato mesi, una “sfida di particolare complessità“, confessano fonti di governo, perché la terza rata, rispetto alle due precedenti, prevedeva non solo un maggiore numero di obiettivi da raggiungere ma, soprattutto, un sensibile aumento dei target quantitativi “sui quali, quando i numeri sono elevati, la Commissione svolge attività di sampling“, puntualizzano le fonti.

In particolare, mentre la prima rata prevedeva 51 obiettivi, la seconda rata ne prevedeva 45, la terza 55 di cui 39 milestone e 16 target.

La terza rata, inoltre, includeva alcune riforme “particolarmente complesse“. La principale ha riguardato la legge concorrenza, considerata “tra le più complesse e articolate sia del Pnrr nazionale sia di tutte le riforme previste dai Piani nazionali di ripresa e resilienza nell’Unione europea, coinvolgendo numerosi settori (dai servizi pubblici locali alle concessioni portuali, dalla vigilanza sui prodotti immessi nel mercato a energia elettrica e gas)“, trapela da Palazzo Chigi.

A fronte di queste sfide, chi ha lavorato rivendica un “intenso lavoro di completamento della fase attuativa, in costante contatto con gli uffici della Commissione europea. Tale attività è stata accompagnata da quella rendicontazione funzionale ai controlli da parte della Commissione“.

Pnrr, Fitto a commissioni: “Chiariremo punto per punto. Parlamento discuterà revisione”

In Parlamento si chiarirà “punto per punto” tutto quello che il governo sta facendo per risolvere i problemi che avrebbero portato alla non erogazione della terza rata. In audizione davanti alle commissioni riunite Bilancio e Politiche Ue di Camera e Senato, Raffaele Fitto inizia a tranquillizzare i parlamentari, che incontrerà nelle Aule l’1 agosto per riferire sulla terza relazione semestrale del Pnrr. I nodi restano quelli dell’erogazione della terza rata e dei ritardi sulla quarta. Problemi che il ministro declassa come polemiche. Rispetto alla data del 30 giugno, fissata come termine per presentare i progetti per richiedere la quarta rata, “voglio ribadire che non abbiamo delle scadenze da regolamento, ma degli impegni. Si trattava di un termine indicativo. Ecco perché abbiamo modificato alcuni obiettivi, d’accordo con la Commissione europea“, spiega. Sulla terza, le lungaggini sarebbero dovute alla fase di verifica fisica, che non era prevista per le prime due rate: “Siamo entrati in una fase diversa, si modifica l’approccio“, afferma Fitto.

Della revisione del Piano, a ogni modo, il Parlamento “certamente discuterà, con modalità anche più ampie di quanto non sia stato fatto sull’intera approvazione del Pnrr“, è l’affondo del ministro, che rivendica un confronto molto più assiduo con le Camere rispetto ai governi Conte e Draghi. A breve, si presenterà la revisione con il capitolo del RepowerEu, con una “proposta concreta” discussa nelle commissioni e nell’Aula, che pone due priorità: “Quella relativa all’infrastrutturazione per migliorare la capacità energetica del Paese e il tema del rafforzamento dell’efficientamento energetico per imprese e famiglie“.

Intanto, si conclude a Palazzo Chigi la due-giorni di cabina di regia. Dopo essersi confrontato con le associazioni datoriali e del mondo agricolo, Fitto incontra i sindacati confederali. Le sigle però si spaccano. Mentre Cisl giudica positiva la volontà del governo di proseguire sulla via del confronto, Cgil e Uil si dicono deluse. “Un metodo di confronto occasionale, estemporaneo, senza elementi di merito precisi per esprimere una valutazione compiuta. A queste condizioni, non possiamo parlare di governance partecipata, prevista dalla legge e dai regolamenti europei, che dovrebbe garantire un dialogo preventivo con le parti sociali”, scandisce il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari, che si dice “fortemente preoccupato per i ritardi accumulati e per la condizione di stallo e di incertezza rispetto sia all’implementazione, sia all’ipotetica rimodulazione dei contenuti del piano”. “Ci hanno detto che ci manderanno dei documenti dove forse capiremo come intendono modificare il piano nazionale e 14 su 27 obiettivi della rata numero 4. Ad oggi capiamo che sono ancora in una situazione di sistemazione“, fa eco la segretaria confederale della Uil Ivana Veronese. Dagli asili nido alle infrastrutture chiede chiarezza. “Se poi questa chiarezza ci sarà nei documenti che ci manderanno, lo vedremo. Ad oggi non c’è“, ribadisce. Di tutt’altro avviso la Cisl, che parla di una riunione positiva: “Abbiamo segnalato gli elementi, a nostro giudizio, di maggiore criticità e attenzione, a partire dall’aumento dei prezzi delle materie prime”, riferisce il segretario confederale Ignazio Ganga. Ma, osserva, “a fronte della complessità degli impegni che ci attendono abbiamo apprezzato la disponibilità del ministro a proseguire sulla via dell’interlocuzione e del confronto con le parti sociali in vista della scadenza del 31 agosto prevista per la rimodulazione del Piano”.

Governo modifica obiettivi Pnrr per salvare la quarta rata. Pd: “Meloni chiarisca in aula”

Sono trascorsi più di 10 giorni dal 30 giugno, che segnava la scadenza in cui l’Italia avrebbe dovuto raggiungere 27 obiettivi del Pnrr. Per salvare la quarta rata, che vale 16 miliardi di euro, il governo Meloni ne modifica 10 fissati da Draghi. “Puntiamo a ottenere un risultato molto importante, che ci consente di mantenere fede al percorso prestabilito”, assicura il ministro per gli Affari europei, con delega al piano, Raffaele Fitto.

Le modifiche sono concordate con i servizi della Commissione europea, ma dovranno avere il via libera formale per l’erogazione. Dopo la condivisione formale, si potrà avanzare la richiesta di pagamento. Nessun definanziamento, assicura Fitto: Roma chiederà “l’intera rata”.

Al momento, tre Paesi hanno chiesto il pagamento della terza rata: Spagna, Italia e Grecia. Nessuno ha chiesto il pagamento della quarta. “Il livello di confronto con la Commissione è costruttivo nel merito”, sostiene Fitto. Il lavoro fatto sulla quarta rata, spiega, punta a “evitare una fase lunga di verifica”. Invece sulla terza “stiamo verificando alcuni dettagli di interpretazione”, precisa. La terza rata scadeva il 31 dicembre dello scorso anno, era composta da 55 obiettivi. Per la prima volta, c’erano obiettivi fisici da verificare sul terreno, “è un lavoro di dettaglio, positivo, mette al sicuro Commissione e governo“, scandisce giustificando le lungaggini. Intanto, il passaggio della quarta rata rappresenta per il governo un metodo: “si fa preliminarmente un lavoro, si verificano i rischi”.

E anche se il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, garantisce che il governo sta “gestendo la situazione” nel migliore dei modi, l’opposizione continua a lanciare l’allarme. Chiede a una voce sola Giorgia Meloni in Parlamento, per una informativa e parla di convocazione “urgente” della cabina di regia sul Pnrr. “Fake news”, replica Fitto. “La convocazione è avvenuta ieri, perché nel tardo pomeriggio abbiamo avuto un via libera tecnico dell’Europa e solo dopo abbiamo potuto convocare la cabina di regia“, spiega.

La leader del Pd, Elly Schlein, però, tira in ballo direttamente la presidente del Consiglio: “Ci sono 19 miliardi di euro che l’Italia avrebbe potuto incassare già da febbraio con la terza rata, siamo a luglio e non ne abbiamo traccia. Ci sono altri 16 miliardi di euro, la quarta rata, per i quali dovevamo presentare la domanda a fine giugno, tutto tace”. La premier, è l’accusa, sarebbe in silenzio da giorni per i guai giudiziari dei suoi ministri e sottosegretari, mentre l’Italia “rischia di perdere le risorse che faticosamente ha ottenuto dall’Unione europea. Venga a spiegarci in Parlamento perché non si è ancora visto un euro della terza rata del Pnrr e perché rischia di slittare anche la quarta, si ricordi che parliamo di risorse che riguardano investimenti strategici per le imprese, il lavoro e le vite delle persone e ottenerle è essenziale per far ripartire il Paese”.

Fitto, intanto, sarà in Parlamento il 18 luglio per la relazione semestrale. “Penso di esserci andato un numero di volte che se raffrontato con i due anni precedenti non c’è termine di paragone”, si sgancia dalle accuse. Quanto ai ritardi, è un tema “particolare”, afferma: “Non ho ancora ascoltato un riferimento preciso a un ritardo attribuibile a noi e che sia oggettivo. Mi farebbe piacere ascoltare critiche di merito. Il ritardo andrebbe circoscritto, io porto dati oggettivi. Sono tre i Paesi che hanno chiesto la terza rata, se noi siamo in ritardo, gli altri cosa fanno?”.

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Bonomi: “Servono investimenti per la transizione 5.0, altrimenti economia rallenterà ancora”

“Per le imprese italiane la strada è ben chiara: noi abbiamo di fronte le transizioni che tutti conosciamo, cioè la sostenibilità, il green e il digitale. Dobbiamo mettere in campo un grande piano di investimenti Transizione 5.0, perché se vogliamo rimanere competitivi rispetto ai grandi poli che ci hanno lanciato una sfida mondiale – cioè Cina e Stati Uniti – noi come Europa, perché non è possibile pensarlo solo come Italia, dobbiamo mettere in campo dei fondi importanti, per stimolare gli investimenti delle imprese in questa direzione”. Lo ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ad Agorà, su Rai3. “L’industria è un asset strategico per il Paese – ha aggiunto – e se non riusciamo a comprenderlo rischiamo di farci veramente male”.

RALLENTA L’ECONOMIA. Questi mesi, ha ricordato, “hanno confermato quello che stavamo affermando dall’anno scorso e cioè che l’industria cerca di fare il possibile per reggere il Paese, ma se non c’è attenzione e stimoli agli investimenti, l’economia tenderà a rallentare e purtroppo i dati ci stanno confermando questa traiettoria”. Aprile è il quarto mese di fila in cui la produzione sta rallentando (-1,9% sul mese precedente e -7,2% si base annua) “e questo dimostra” che “se non vengono fatti gli investimenti in un momento in cui il commercio internazionale sta rallentando – e noi sappiamo che l’economia italiano si basa sull’export – inevitabilmente questi sono i numeri”.

TAGLIO STRUTTURALE DEL CUNEO FISCALE. “Confindustria – ha detto Bonomi – sta facendo una battaglia per il taglio del cuneo fiscale contributivo perché questo è un Paese in cui abbiamo più tasse sul lavoro e meno tasse sulle rendite finanziarie ed è inconcepibile. Dobbiamo mettere più soldi nelle tasche degli italiani, soprattutto quelli con redditi più bassi. E’ la battaglia di Confindustria che facciamo da anni. Mi sembra incredibile che nessuno ci sostenga su questa posizione”.

Il tema della produttività, ha ricordato il numero uno di Confindustria, “è evidente nei numeri. Se guardiamo negli ultimi 20 anni prima della pandemia, i salari in Italia sono aumentati di più che negli altri Paesi europei, in Italia del 19%, in Francia e Germania del 18%, in Spagna del 12%. Ma la produttività è aumentata del 17% – cioè meno di quella salariale – e negli Paesi è cresciuta di oltre il 43%. Questi numeri danno la dimensione della differenza con cui ci troviamo a dover competere”.

Da quando sono presidente io, Confidustria – ha ricordato Bonomiha chiesto il taglio contributivo sotto i redditi dei 35mila euro, 2/3 a favore del lavoratore, 1/3 a favore delle imprese. Ricordo che oggi il cuneo fiscale è pagato all’inverso, cioè 2/3 dalle imprese e 1/3 dal lavoratore. Ma ora è corretto dare più soldi a questa fascia di italiani, che è quella che soffre di più anche a causa dell’inflazione. Non si può, però, andare avanti con interventi una tantum: serve un taglio strutturale e consistente, che noi abbiamo stimato in 16 miliardi, che significa mettere in tasca a questa fascia di italiani 1200 euro in più, una mensilità in più per tutta la loro vita lavorativa”.

PNRR? SERVE OPERAZIONE VERITA’. Il presidente di Confindustria è tornato anche a parlare di Pnrr. “Oggi – ha detto – sento tutti dire che il Pnrr non va bene e che doveva essere modificato. Quando con il governo Conte si parlò di fare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, Confindustria fu l’unica a dire che quel piano non convinceva, perché non erano chiari gli obiettivi. Noi ci stiamo indebitando in nome e per conto delle future generazioni senza pensare agli obiettivi finali, cioè le riforme – di cui non si parla – e creare Pil potenziale di crescita del Paese”.

“E cosa abbiamo fatto? Abbiamo aperto i cassetti dei ministeri – ha detto ad Agorà – abbiamo tirato fuori qualsiasi progetto che giaceva e lo abbiamo inserito nel Pnrr. Ma non è questo l’obiettivo. Poi c’è stato un grande cambiamento nell’economia: shock energetici, aumento del costo delle materie prime, che hanno reso impossibile la realizzazione di alcuni progetti”. Ecco allora che sul Pnrr “dobbiamo fare una grande operazione verità con il Paese: dire cosa possiamo realmente realizzare, cosa ci aspettiamo da questi progetti come contributo alla crescita del Paese. E quello che non siamo in grado a realizzare dobbiamo dire che onesta intellettuale che non ci interessa”. Perché se devo indebitare mio figlio per fare un progetto che non contribuisce alla crescita del Paese, non ha senso”.