Cattaneo: “Sì a nucleare e carbone, il Pnrr va cambiato”

Alessandro Cattaneo, ingegnere, deputato di Forza Italia dal 2018, ex sindaco di Pavia, uno dei dirigenti di Forza Italia più vicini a Silvio Berlusconi, racconta dalla sua città come il centrodestra intende affrontare – e risolvere – il tema caldissimo dell’energia e quello non meno importante dell’ambiente. Un’intervista garbata ma ferma, con alcuni punti fondamentali intorno ai quali sviluppare la campagna elettorale e non solo.

EMERGENZA ENERGIA

All’interno del programma del centrodestra ‘Per l’Italia’, il punto 11 è dedicato all’emergenza energia. Tanti obiettivi, tanti progetti da mettere a terra e non tutti di facile realizzazione: “Il programma è stato scritto con persone competenti, con esperti di settore. Io sono ingegnere e ho dato il mio contributo grazie alle competenze che ho maturato come sindaco a livello amministrativo e per le mie conoscenze scientifiche e tecniche”, dice Cattaneo. Il programma, spiega, “è composto da una serie di iniziative che rappresentano una sommatoria: ciascuna da sola non dà risposte sufficienti, ma se vengono sommate tutte insieme possono fornire una soluzione strutturale all’Italia“.

Il tema “più importante” sarà quello delle bollette, perché “qualcosa va fatto subito” e riguarda “il welfare”. Come “dare bonus a chi non riesce a pagarle e si troverebbe con la luce staccata” . E ancora, attraverso azioni come “leva fiscale, detrazioni, interventi sulle energivore” per aiutare le aziende “che se no chiudono e lasciano a casa i dipendenti“. E ancora, “tornare a estrarre il nostro gas naturale che è di buona qualità”, “diversificare le fonti con i rigassificatori, che ci permettono di importare il gas liquefatto da altre aree che non sia la Russia”. E, dice Cattaneo, “bisogna tornare ad occuparsi di nucleare in maniera molto pragmatica. Noi dobbiamo diventare leader nella ricerca del nucleare di quarta generazione. Non possiamo essere assenti tra i grandi Paesi del mondo”.

E le rinnovabili? “Per noi – spiega il deputato azzurro – sono fondamentali, anche se oggi siamo bloccati dalle troppe politiche dei no. In Italia non mancano i soldi, ci sono quelli del Pnrr e quelli privati della finanza internazionale, ci sono progetti fatti, ma mancano le autorizzazioni. Bisogna immaginare una Legge Obiettivo sulla realizzazione delle opere” necessarie alle “rinnovabili, come è successo per l’alta velocità”.

NUCLEARE, LA SOLUZIONE

Il nucleare è tanto delicato quanto cogente. Forza Italia, non è un mistero, sta dalla parte di chi vuole affidarsi a questo tipo di energia, anche se le problematiche e i tempi non facilitano le progettualità. Ma Cattaneo avanza con decisione: “I 20 paesi più industrializzati del mondo ce l’hanno tutti, tranne noi” e, soprattutto, “quando arrivano le bollette, le nostre aziende partono con un gap competitivo… È come correre i 100 metri ma noi dobbiamo farne 120”. “Il nucleare pulito – sottolinea Cattaneo – è alla portata della ricerca” e pur rispettando “il volere popolare dei due referendum”, “non dimentichiamo che Bruxelles ha identificato il nucleare e il gas come fonti pulite”.

CARBONE, IMITARE LA GERMANIA

Per far fronte alla crisi energetica, la Germania è tornata pesantemente sul carbone. Una soluzione lontana dall’obiettivo di emissioni zero. Eppure Cattaneo non se la sente di bocciare la scelta del governo Scholz: “Il dato interessante e paradossale, è che la Germania tiene accese le centrali a carbone con i Verdi ambientalisti per la prima volta al governo. Un paradosso, sì, ma siccome i tedeschi sono molto pragmatici, per affrontare l’assenza di gas non hanno potuto che riattivare le centrali”. E se lo fanno loro, è il ragionamento, “evidentemente non c’è alternativa” se non quella di “chiudere le aziende”. E allora “io scelgo di tenere aperte le imprese e qualche centrale a carbone. In Italia, tra l’altro, non ne abbiamo tante ma sono tra le più moderne del mondo, come quella di Civitavecchia. Poi, come dice Cingolani, andranno spente e riconvertite”.

AUTO ELETTRICHE, CHE ERRORE

Con la corsa all’elettrificazione, per volere dell’Ue, dal 2035 sarà bandita la produzione di auto a benzina e a diesel. “È una decisione sbagliatissima – s’infervora Cattaneo – noi ci siamo opposti con tutte le nostre forze, a Bruxelles, attraverso Tajani e Berlusconi. È una scelta ideologica”. La preoccupazione di Cattaneo è per le imprese e per i lavoratori: “Vuol dire che la filiera dell’auto dismette tutto ciò che è motore a combustione, il che si tramuta in Italia in un milione di posti di lavoro a rischio. Io ritengo che se i ragazzi dei Fridays for future, che dicono cose giuste, tornano a casa e il proprio padre è stato licenziato in virtù di decisioni troppo ideologiche, forse ci ripensano. Serve un approccio di ambientalismo diverso, che non è appannaggio della sinistra”.

CENTROSINISTRA DA PAURA

Una sinistra che, argomenta Cattaneo, “fa venire i brividi”. Il programma su energia e ambiente “l’ho letto, certo. Molto sintetico, molti slogan e poca concretezza. C’è da aver paura di fronte a un approccio del genere. La sinistra può prendere decisioni dalla sera alla mattina, decisioni che vanno a soddisfare le pulsioni di qualche piazza ambientalista, ma che rischiano di fare danni importanti alle imprese italiane. Le aziende non sono il nemico, ma l’alleato nella transizione ecologica. A qualche ambientalista piacerebbe che girassimo tutti in bicicletta, ma saremmo anche tutti affamati a quel punto”.

AMBIENTE E TERMOVALORIZZATORE

Al punto 12 del programma del centrodestra, si parla di ambiente. Dalla piantumazione – il famoso milione di alberi da piantare di Berlusconi – alla salvaguardia dell’acqua, al riciclo dei rifiuti. Per un termovalorizzatore è caduto un governo e Cattaneo lo sa bene: “Ero relatore di quel provvedimento, il dl aiuti. Noi eravamo d’accordo, anche se era il Pd a proporlo. In assoluto è necessario lavorare di più e meglio sull’economia circolare. L’Italia è un Paese manifatturiero e può diventare leader nel mondo per queste pratiche. Io dico: meno ideologia e più pragmatismo”.

PNRR DA RIVEDERE

L’ultimo argomento, non meno delicato degli altri, è il Pnrr. Che per Cattaneo, come per Berlusconi, ha bisogno di “un’aggiustatina”. Lo accetterà l’Europa? “Il Pnrr – dice – ha qualche problema nel merito e nel metodo. Vogliamo negare che siamo già in ritardo negli obiettivi? E perché siamo in ritardo? Viene meno anche l’alibi che i soldi ci sono… ma questo Paese non riesce a spenderli, perché il codice appalti è farraginoso, perché le stazioni appaltanti degli 8 mila comuni non ce la fanno, perché persino le regioni faticano a stare dietro a questi ritmi”. Quindi, conclude Cattaneo, “o tagliamo la burocrazia, oppure gli obiettivi non si ottengono. Noi diciamo di rivedere il Pnrr innanzitutto nella modalità di spesa dei denari e poi per usare meglio la leva dei soldi pubblici. Da liberali vogliamo spalancare le porte ai privati in un’ottica sussidiarietà. Nel merito, poi… Se il Pnrr nasce da una risposta giusta dell’Europa ‘buona’ in tempo di pandemia, oggi c’è una crisi energetica che presuppone una pari, forse maggiore, emergenza. Se noi diciamo di ricalibrare il Pnrr diciamo una cosa giusta e in Europa nessuno può avere nulla da dire.

Mario draghi

Autorevolezza e credibilità, il banco di prova del prossimo governo

Con l’autorevolezza viene il rispetto da parte degli altri”. Mario Draghi ha rivolto alla politica italiana un appello accorato nel suo discorso tenuto al Meeting di Rimini il 24 agosto. Ed è un appello che giunge da tante parti, al quale ci uniamo anche noi, naturalmente.

Stava introducendo un passaggio del suo discorso dedicato a Pnrr, definito “prova essenziale della nostra credibilità”. Su queste pagine ne abbiamo scritto più volte, ricordando anche, come ha fatto Draghi, che i governi europei con una scelta storica hanno deciso di tassare i propri concittadini per sostenere, in primo luogo, il risanamento e il rilancio dell’Italia, che riceve quasi la metà dei fondi del Piano nato con la pandemia.

Il governo Draghi ha fatto la sua parte, ha disegnato i progetti, ha rispettato i tempi conseguendo tutti gli obiettivi che si era prefissato. Ad alcune forze politiche questo non è bastato, anche tra quelle che lo hanno sostenuto ce ne sono che hanno fatto cadere il suo esecutivo. Ma lui, Draghi, sa quanto questo impegno sia importante per l’Italia, non solo sul piano della ripresa, ma proprio su quello della credibilità internazionale. E dunque ha assicurato che il suo governo sta lavorando per realizzare “il più alto numero possibile” di obiettivi prima del cambio di governo.

Perché Draghi sa che, qualunque sia il governo, una fase di rallentamento nei primi mesi potrà esserci. Ma soprattutto perché vede bene come la campagna elettorale potrà portare qualche forza politica a prendere impegni che potrebbero mettere in seria difficoltà la realizzazione del Piano.

L’Italia ha un disperato bisogno di riacquistare credibilità per ripartire, per ammodernarsi e camminare sulla strada della transizione ecologica, perché nessuno può farcela da solo, e in particolare il nostro Paese, ha ricordato il presidente del Consiglio, “non è mai stato forte quando ha deciso di fare da solo”. Il nostro posto, ha ribadito “è al centro dell’Unione europea e nel Patto Atlantico”. E lo è perché ne ha bisogno l’Unione, ma, ancor di più, perché ne ha bisogno l’Italia.

Il Pnrr non si tocca? No, ma c’è uno spazio nuovo, grande, ancora tutto da scrivere

Attenti a toccare il Pnrr. Lo strumento europeo inteso per fare arrivare fondi per 200 miliardi all’Italia (e, in misura molto minore agli altri Paesi Ue) per sostenere il rilancio dell’economia e la modernizzazione del Paese è potente, può essere decisivo, ma è anche estremamente delicato da maneggiare. Ma uno spazio, importante, offerto proprio da Bruxelles esiste, anche se in Italia non se ne parla.

Dopo lunghe e complicate trattative, il Piano per l’Italia è stato messo a punto, e le sue prime scadenze, sotto la guida del governo di Mario Draghi, sono state rispettate ed anche i primi soldi sono arrivati. Ma è solo l’inizio, il grosso deve ancora venire e il patto è il rispetto degli impegni presi. Ogni sei mesi la Commissione controlla quel che si è fatto e come lo si è fatto. Se qualcosa di importante non va ecco che saltano i finanziamenti.

Il Pnrr d’altra parte non è un taboo intoccabile, di fronte a mutate condizioni (ma devono esserci davvero grandi novità nel quadro generale rispetto a quanto concordato solo pochi mesi fa) è possibile discutere qualche riallineamento, ma ad oggi, dopo che anche la guerra russa in Ucraina è stata presa in considerazione, dopo che i governi sono stati invitati a presentare un aggiornamento del Piano per quanto riguarda le infrastrutture di produzione e trasporto dell’energia, per rendersi il più indipendenti possibili dalle forniture di Mosca, a Bruxelles si ritiene non vi sia necessità di rimettere in discussione le decisioni prese.

E qui, proprio qui, nel settore che occupa ben il 37 per cento del valore del Piano che il prossimo governo, nel progetto RepoweEu, ha spazi grandi per intervenire. Ma non si tratta di “rinegoziare” il Pnrr, si tratta proprio di riempire un nuovo capitolo, che in origine non c’era. Dunque un approccio positivo, costruttivo e non “rivendicativo” sarebbe quello giusto, quello che i partner si attendono e che i maggiori frutti potrebbe portare.

Per il resto del Piano fonti Ue confermano che gli Stati membri “dovrebbero attuare in via prioritaria i Piani di ripresa e resilienza approvati dal Consiglio nelle relative decisioni di attuazione”, con inclusi “obiettivi e tappe con tempistiche chiare, anche per quanto riguarda le riforme trasformative incluse in ciascun Piano”. A proposito del Pnrr italiano, “le raccomandazioni, così come le riforme e gli investimenti inclusi, rimangono valide”, sottolineano le fonti, che evidenziano il fatto che il Piano comprende “un’ampia serie di riforme e investimenti che si rafforzano a vicenda” e che contribuiscono ad “affrontare efficacemente un sottoinsieme significativo delle sfide economiche e sociali delineate nelle raccomandazioni specifiche rivolte all’Italia dal Consiglio nell’ambito del semestre europeo nel 2019 e nel 2020”.

Insomma, a voler imporre un tavolo per discutere modifiche sostanziali, o comunque importanti, si rischia lo scontro con la Commissione e con gli altri partner che potrebbe portare anche alla perdita di una ventina di miliardi che sono attesi con la prossima verifica di fine anno, un tempo troppo stretto perché un governo riesca a mettere a punto delle modifiche e che queste siano approvate da esecutivo Ue e governi partner.

povertà energetica

Tra Pnrr ed efficienza, la battaglia dell’Ue contro la povertà energetica

Transizione verde, ma senza lasciare nessuno indietro. Zero emissioni di gas serra ma anche zero povertà energetica nell’Unione europea entro il 2030. Nel 2019 secondo Eurostat, l’ufficio statistico dell’Ue, erano quasi 35 milioni gli europei a non essere in grado di mantenere le proprie case adeguatamente calde d’inverno o fresche d’estate, mentre il 6,2% di loro non poteva permettersi di pagare le bollette o di accedere ai servizi energetici di base, dall’illuminazione all’energia per alimentare gli elettrodomestici.

Si definisce così la povertà energetica, una condizione che affligge, se pure in gradi diversi, tutti i Paesi dell’Unione Europea, che rischia di aggravarsi ulteriormente nei prossimi anni per effetto indiretto della transizione energetica che l’Unione europea porta avanti attraverso il Green Deal, il piano di trasformazione economica lanciato dalla Commissione europea nel 2019 per abbattere le emissioni di gas serra entro il 2050. Il tema dell’accesso all’energia e soprattutto all’energia pulita sarà dominante nel dibattito europeo dei prossimi anni, esacerbato anche dalla guerra di Russia in Ucraina, che ha spinto l’Ue a ripensare il suo approvvigionamento energetico mettendola di fronte a una grande sfida. Ma il costo delle spese energetiche e della transizione può rappresentare nei fatti una barriera che rischia di creare ancora più povertà e disuguaglianze sociali.

La condizione di povertà energetica è dovuta a vari fattori, dai prezzi elevati dell’energia ai bassi redditi. Ma una componente importante è data anche dalla scarsa efficienza energetica degli edifici dell’Ue, case male isolate con impianti vecchi che influiscono negativamente sul clima e sono anche la causa di costi elevati dell’energia. L’aumento negli ultimi anni dei prezzi dell’elettricità nella maggior parte dei Paesi Ue, frenato durante la pandemia ma rincarato con la crisi del gas che oggi affligge l’Europa, insieme alle scarse prestazioni energetiche del patrimonio immobiliare europeo fanno temere un aumento della povertà energetica nei prossimi mesi.

Proprio l’ammodernamento degli edifici per renderli più efficienti dal punto di vista energetico è parte centrale dei piani di Bruxelles per combattere il fenomeno. Attraverso l’iniziativa Renovation Wave (letteralmente, ‘ondata di rinnovamento’), pubblicata nel 2020, la Commissione ha fissato l’obiettivo di raddoppiare il tasso di rinnovamento energetico annuale delle abitazioni e degli edifici non residenziali dell’Ue entro il 2030, dopo aver stimato che il patrimonio edilizio del Continente è responsabile del 40% dei consumi energetici d’Europa e del 36% dei gas a effetto serra provenienti dal settore energetico.

L’Esecutivo prevede di riuscire a ristrutturare 35 milioni di edifici entro il 2030 (oggi solo l’1% viene sottoposto ogni anno a ristrutturazioni di efficientamento energetico) e con una una revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (EPDB – ‘Energy Performance of Building Directive’) pubblicata a dicembre ha proposto l’introduzione di standard minimi obbligatori di prestazione energetica per gli edifici dell’Ue da introdurre gradualmente dal 2027, vincolando gli Stati a individuare almeno il 15% del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni e a ristrutturarlo passando dalla classe energetica più bassa ‘G’ al grado ‘F’. Questa letterale ‘ondata di rinnovamento’, secondo Bruxelles, andrà in parte finanziata con i piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr), con cui gli Stati devono dettagliare come spenderanno le risorse mobilitate da Bruxelles dal fondo per la ripresa da 750 miliardi di euro Next Generation Eu, nel quale l’Ue ha vincolato gli Stati a investire il 37% del fondo in azioni per il clima. Lo stimolo della ripresa dalla crisi economica avvertita con lo scoppio della pandemia, secondo l’Ue, offre l’occasione unica di affrontare anche la povertà energetica.

Punti di rifornimento: il Pnrr mette sul piatto 741 milioni di euro

Missione 2, Componente 2, Investimento 4.3: è qui che, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si trovano le risorse destinate costruire una rete di punti di ricarica adeguata sia a livello numerico che di distribuzione geografica al prevedibile boom dei mezzi elettrici nei prossimi anni. Gli investimenti previsti ammontano a 741,3 milioni di euro e puntano a rendere operative, entro il 2026, almeno 7.500 stazioni di ricarica super-veloci sulle strade strade extraurbane (autostrade escluse) e almeno 13.755 stazioni di ricarica veloci nei centri urbani. A tutto questo dovrebbero aggiungersi anche 100 punti di ricarica sperimentali volti allo stoccaggio dell’energia. I target sono ambiziosi ma non rinviabili, visto che gli obiettivi europei definiscono un parco circolante di circa 6 milioni di veicoli elettrici in Italia nel 2030, con la necessità di avere sul territorio almeno 31.500 punti di ricarica rapida.

Più nel dettaglio, il Pnrr fissa alcuni traguardi intermedi. Entro giugno 2023 dovranno essere definiti i contratti per almeno 2.500 infrastrutture di ricarica da almeno 175 kW (ma espandibili fino ad erogare potenze di almeno 350 kW) sulle strade extraurbane e 4.000 da almeno 100 kW nelle zone urbane. Queste strutture dovranno entrare in servizio entro giugno 2024. Entro dicembre dello stesso anno andranno definiti i contratti per le rimanenti 5.000 stazioni extraurbane e 9.755 urbane, da ultimare poi entro dicembre 2025. La spesa prevista è così suddivisa: 400 milioni per il 2023, 150 per il 2024, 141,3 per il 2025 e infine 50 per il 2026. Mentre riguardo alla tipologia di impianti da installare, circa 360 milioni andranno a quelli sulle strade extraurbane e circa 353 milioni a quelli situati in città.

Secondo quanto fissato dal ministero della Transizione Ecologica, i fondi saranno erogati attraverso tre gare, con un bando per ogni anno nel periodo 2022-24: il primo è previsto a dicembre di quest’anno e resterà aperto per 90 giorni. Gli incentivi prevedono contributi a fondo perduto fino al 40% dei costi di realizzazione, con un tetto massimo di investimento ammissibile di 81mila euro per gli impianti sulle strade extraurbane e di 50mila euro per quelli cittadini. In ogni caso, le stazioni di ricarica dovranno entrare in esercizio entro 12 mesi dall’ammissione all’incentivo.

Il primo passo ufficiale è stato compiuto a cavallo tra maggio e giugno con la consultazione pubblica riservata a soggetti interessati e stakeholders che hanno potuto inviare al Mite osservazioni in vista della stesura finale del decreto attuativo chiamato a regolare i bandi di gara. Tra i punti che hanno suscitato maggiori perplessità c’è l’intenzione del Mite di istituire una “corsia preferenziale” per la nascita di impianti all’interno di stazioni di carburanti già esistenti. Tra gli obiettivi esplicitati c’è infatti quello di “massimizzare il ricorso a stazioni di rifornimento di carburanti tradizionali, al fine di evitare ulteriore sottrazione di suolo e ottimizzare l’utilizzo delle connessioni alla rete elettrica già presenti”. “Limitare la premialità ai soli distributori di carburante, escludendo supermercati, stazioni o altri nodi già operativi, non rappresenta affatto un vantaggio né per gli utenti e né per il sistema elettrico”, ha spiegato Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, associazione che rappresenta gli stakeholder della mobilità elettrica. “Si rischia di non raggiungere gli obiettivi sul numero di infrastrutture da installare, di non spendere tutte le risorse stanziate e, soprattutto, di dare vita ad un servizio poco efficiente per gli utenti finali”, ha avvertito.

ETTORE PRANDINI

Allarme Coldiretti: “Per siccità a rischio crac 250mila aziende”

Energia, siccità, difesa del Made in Italy, fondi europei e battaglia contro il Nutriscore. Sono queste le parole chiave dell’assemblea nazionale di Coldiretti. La prima, grande occasione pubblica per mettere insieme le tessere le puzzle dopo la fine della legislatura, in seguito alle dimissioni del premier, Mario Draghi. Su cui, comunque, continuano a concentrarsi le aspettative dei coltivatori diretti, anche grazie al perimetro ‘allargato’ degli affari correnti cui solitamente sono chiamati gli esecutivi dimissionari. “Abbiamo chiesto, in questo momento particolarmente drammatico, il credito d’imposta per gli energetici, partendo dal gasolio agricolo“, dice il presidente, Ettore Prandini. Aggiungendo di essere “convinto che, proprio grazie a quella continuità che il governo sta dando, riusciremo a portarlo a casa“.

Il messaggio che parte dal palco di Palazzo Rospigliosi è chiarissimo: “È strategico non sederci e osservare la campagna elettorale: dobbiamo continuare a lavorare come se la crisi di governo non ci fosse“. L’obiettivo è difendere il piano strategico nazionale, perché “è la programmazione di quello che dovremo andare a fare nei prossimi 5 anni – avvisa ancora Prandini – e qualsiasi forma di rinvio diventa perdita economica per le nostre imprese“. Anche Draghi mostra sensibilità ai temi posti sul tavolo da Coldiretti, tant’è che nel messaggio di buon lavoro inviato all’assemblea lo scrive nero su bianco: “L’agricoltura è essenziale per la crescita del nostro Paese, la salvaguardia dei territori, la tutela dell’ambiente“. Ecco perché il premier assicura che nonostante il periodo di crisi, il l’esecutivo resterà “vicino al settore“. Anzi, “siamo impegnati a contrastare il cambiamento climatico e i suoi effetti più drammatici, come la siccità” e “continuiamo ad aiutare imprese e famiglie ad affrontare le difficoltà dovute agli aumenti dei prezzi, soprattutto dell’energia“. Investendo in “un’Italia più moderna e solidale” e mettendo “aziende in condizione di poter lavorare e programmare il futuro con fiducia. Intendiamo fare la nostra parte“.

Certo, il tempo stringe. E non solo per le elezioni del 25 settembre prossimo che, praticamente, bussano alle porte. Ci sono altre criticità da affrontare con urgenza: “La campagna elettorale non fermi gli interventi necessari per garantire la sopravvivenza delle imprese agricole, gli investimenti per ridurre la dipendenza alimentare dall’estero e assicurare a imprese e cittadini la possibilità di produrre e consumare prodotti alimentari al giusto prezzo“, è l’appello lanciato da Coldiretti. Che avvisa sul “rischio di perdere 35 miliardi di fondi europei per l’agricoltura italiana nei prossimi cinque anni“, ma anche “la necessità di attuare al più presto le misure previste dal Pnrr“. In questo contesto non deve fermarsi l’azione italiana in Europa: “Sulla Pac occorre superare le osservazioni di Bruxelles e approvare in tempi stretti il Piano strategico nazionale“. Bisogna anche correre sullo sviluppo delle energie rinnovabili e sul taglio al costo del lavoro.

I prezzi delle materie prime, poi, sono una vera e propria mannaia sulla testa di produttori e consumatori. I rincari sono oltre la soglia di guardia, con aumenti che sfiorano anche punte del 250%. E poi c’è la siccità che, in combinato disposto con gli effetti della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, costringe circa 250mila aziende agricole italiane, un terzo del totale (34%), a produrre in perdita. Facendo salire anche i rischi di un crac drammatico. Risposte che Coldiretti attende, almeno in prima battuta anche dal governo uscente, ma con un occhio rivolto al futuro. Perché, per dirla con le parole di Prandini, “di emergenza si muore, non si sopravvive. Anche chi verrà a Palazzo Chigi avrà solo una strada, per i coltivatori diretti: programmare e investire.

Posidonia oceanica

Posidonia oceanica, il polmone blu del Mediterraneo

Un vero e proprio polmone blu all’interno del mare, oltre che un alleato fondamentale per contrastare l’erosione delle spiagge. È la Posidonia oceanica, pianta fanerogama sottomarina endemica nel Mediterraneo che svolge un ruolo centrale nel preservare la biodiversità dell’ecosistema marino. Si stima che le praterie di posidonia oggi occupino circa 20.000 miglia quadrate di superficie (il 3% del Mediterraneo), a una profondità massima che arriva generalmente fino a 35 metri. Un mondo che oggi è messo fortemente in pericolo da diversi fattori quali la pesca a strascico e il raschiamento delle ancore delle imbarcazioni, l’inquinamento dovuto agli sversamenti di sostanze nocive in mare, la crescente cementificazione delle coste, i cambiamenti climatici che modificano le correnti marine. Nonostante la Posidonia sia tutelata dalla Comunità Europea fin dal 1992 con una direttiva relativa alla “conservazione degli habitat naturali e semi-naturali e della flora e della fauna selvatiche” (recepita nell’ordinamento italiano nel 1997), Medsea stima che negli ultimi 50 anni quasi la metà delle praterie presenti nel Mediterraneo abbiano subito una riduzione di estensione.

RUOLO FONDAMENTALE

Tra le proprietà che rendono fondamentale la presenza della Posidonia oceanica c’è la capacità di produrre ossigeno: ogni metro quadro di superficie in buona salute può liberarne fino a 15 litri al giorno tramite il processo di fotosintesi. La stessa area riesce anche a catturare circa 65 grammi di carbonio l’anno, fornendo un contributo alla lotta contro l’effetto serra. Notevole è anche l’apporto in termini di biodiversità: circa un quinto delle specie del Mediterraneo hanno il loro habitat nei posidonieti. E un metro quadro di prateria può ospitare fino a 350 specie animali differenti.

Alla Posidonia sono legate anche le cosiddette banquettes, cioè gli accumuli sulle spiagge del materiale organico rilasciato in gran quantità dalle piante che vanno a formare vere e proprie dune alte anche diversi metri. Queste strutture vengono percepite come un fastidio dai bagnanti e dagli operatori turistici ma hanno una funzione chiave nel contrastare l’erosione dei litorali sabbiosi, visto che riescono a attenuare la forza del moto ondoso. Secondo quanto afferma Sea Forest Life, progetto comunitario per la conservazione delle praterie di Posidonia oceanica, ogni metro quadro di prateria che regredisce causa l’erosione di circa 15 metri di litorale sabbioso.

In generale, sempre Sea Forest Life ha calcolato che la scomparsa di un metro quadrato di posidonieto comporta una perdita economica che va da 39mila a 89mila euro l’anno, a causa della minor produzione di ossigeno e dell’erosione e ripascimento dei litorali.

RIFORESTAZIONE

Contrastare la scomparsa delle praterie di Posidonia oceanica è l’obiettivo di numerosi progetti di riforestazione marina avviati nell’ultimo periodo. Il già citato progetto europeo Sea Forest si propone di ripristinare gli habitat delle praterie di Posidonia nelle aree protette del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni (provincia di Salerno), del Parco Nazionale dell’Asinara e del Parco Nazionale dell’arcipelago di La Maddalena (provincia di Sassari). Parallelamente il progetto Life SEPOSSO (Supporting Environmental governance for the POSidonia oceanica Sustainable transplanting Operations), realizzato con il contributo della Commissione Europea, mira a migliorare la governance italiana dei trapianti di Posidonia oceanica. Tra le iniziative messe in campo c’è anche una campagna di sensibilizzazione nelle scuole attraverso incontri, lezioni, giochi e la pubblicazione di un kit didattico realizzato ad hoc.

Di recente a Golfo Aranci, nel nordest della Sardegna, sono state messe a dimora 2.500 piante acquatiche ripristinando circa 100 metri quadri di fondale verde grazie a un’iniziativa del Comune realizzata attraverso la startup italo-guatemalteca ‘zeroCO’ e la onlus Worldrise. L’associazione ambientalista Marevivo ha invece lanciato la campagna nazionale Replant, mirata a mettere in pratica sperimentazioni di piantumazione della Cymodocea nodosa, un’altra pianta fanerogama che svolge un’azione decisiva nel mantenimento dell’ecosistema marino nel Mediterraneo.

PNRR

La mappatura delle praterie di Posidonia e degli habitat di interesse comunitario rientra poi tra gli obiettivi del protocollo d’intesa tra il ministero della Transizione ecologica e l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) per l’attuazione dell’investimento M2C4-3.5 del Pnrr ‘Ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini’. Un progetto che vale circa 400 milioni di euro e che rientra nella Missione 2, ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’. Fondi che dovranno servire a tutelare i fondali e gli habitat marini del Mediterraneo sempre più esposti al degrado.

Draghi

Energia, lavoro, Pnrr. Cosa accadrebbe con la caduta del Governo Draghi

Le eventuali dimissioni del Governo potrebbero condurre a uno scenario estremamente critico sull’iter dei principali provvedimenti già presentati alle Camere, in particolare per quelli sulle riforme abilitanti per raggiungere gli obiettivi del Pnrr entro dicembre 2022 e quelli di conversione dei decreti-legge pendenti in Parlamento. È quanto emerge da una ‘ricognizione’ del ministero per i Rapporti con il Parlamento sui provvedimenti che rimarrebbero in sospeso.

La crisi, con eventuale scioglimento delle Camere, inciderebbe anche sull’adozione dei decreti legislativi attuativi di riforme già approvate dal Parlamento come le riforme della Giustizia e del Codice degli appalti, che rappresentano specifici impegni Pnrr. La situazione impedirebbe, inoltre, l’adozione di provvedimenti molto attesi dai cittadini come le misure relative al salario minimo e al contrasto della povertà. Si creerebbe, peraltro, anche una situazione di incertezza sull’adozione di misure volte a mitigare gli effetti dell’incremento dei costi dell’energia e dei carburanti.

RIFORME

Attualmente sono all’esame del Parlamento quattro riforme immediatamente riconducibili agli impegni Pnrr. Nelle prossime settimane dovrebbero essere presentate ulteriori nuove riforme, in particolare quelle in materia di alloggi universitari e la riforma degli istituti professionali. Di seguito le riforme attualmente all’esame del Parlamento: Delega al Governo per il riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, approvato dalla Camera e assegnato in commissione Igiene e Sanità del Senato. Entro dicembre 2022 devono essere adottati i decreti attuativi; Giustizia e di processo tributari, assegnato alle commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, da approvare entro dicembre 2022; Codice della proprietà industriale, assegnato alla commissione Industria di Palazzo Madama e da approvare entro il terzo trimestre del 2023; ddl Concorrenza, approvato dal Senato e assegnato in commissione Attività produttive della Camera, entro dicembre 2022 andranno adottati i decreti attuativi e gli accordi di maggioranza prevedevano l’approvazione definitiva del testo entro il mese di luglio.

RIFORMA FISCALE

Approvato dalla Camera e attualmente all’esame della commissione Finanze del Senato, anche se non è direttamente collegata al Pnrr.

DECRETI ATTUATIVI

Rispetto a diverse riforme recentemente approvate, sono necessari ancora diversi mesi per l’adozione dei decreti attuativi. In particolare per: Codice degli appalti, entro dicembre 2022; Processo civile, entro dicembre 2022; Processo penale, entro dicembre 2022; Ordinamento giudiziario, entro giugno 2023; delega Spettacolo, entro aprile 2023.

DECRETI IN CONVERSIONE

Attualmente in conversione nei diversi rami del Parlamento sono presenti tre decreti-legge. In caso di Governo dimissionario, qualora dovessero emergere posizioni contrapposte all’interno della maggioranza, ovvero ostruzionismo delle opposizioni, il governo non potrebbe ricorrere eventualmente alla questione di fiducia per garantire il rispetto dei termini costituzionali per la conversione. Tra i testi attualmente pendenti c’è il decreto Infrastrutture e mobilità, in scadenza il 15 agosto, in cui è stato presentato l’emendamento governativo di rifusione del decreto-legge materia di concessioni e infrastrutture autostradali e per l’accelerazione dei giudizi amministrativi. Tra l’altro, il provvedimento contiene norme volte ad agevolare il conseguimento degli obiettivi Pnrr, in particolare le disposizioni in materia di compiti della Commissione Via-Vas in ambito progetti Pnrr, quelle sul Giubileo di Roma del 2025, nonché le misure volte a semplificare l’attività del Consiglio superiore dei lavori pubblici per opere pubbliche legate a progetti PNRR. Il decreto-legge n. 85 che, invece, sarà rifusò nel DL infrastrutture e mobilità contiene una importante misura di semplificazione in materia di accelerazione dei giudizi amministrativi nell’ambito di progetti Pnrr. Infine, il decreto Semplificazioni fiscali, in scadenza il prossimo 20 agosto.

Bicicletta

Un italiano su due pedala. Ma l’Italia non è (ancora) un Paese per bici

Se c’è un mezzo di trasporto che di fronte alla parola ‘emissioni’ può ritenersi al sicuro da ogni responsabilità, quello è la bicicletta. Amata e utilizzata regolarmente – ogni giorno o, almeno, una volta alla settimana – dal 50% degli italiani, può contare su 4700 chilometri di piste ciclabili (in crescita di oltre il 15% dal 2015). I dati, contenuti nel rapporto del Mims ‘Verso un nuovo modello di mobilità locale sostenibile’, raccontano che la densità è molto maggiore nelle città del nord (57,9 km per 100 km2, contro 15,7 del centro e 5,4 del Mezzogiorno). Tra i capoluoghi metropolitani, Torino e Milano presentano i valori più elevati (166,1 e 123,3 km per 100 km2), seguiti da Bologna e Firenze (poco meno di 100). E proprio il Piemonte punta a diventare la prima regione in Europa per chilometri ciclabili attrezzati. Per farlo sono stati messi in campo 40 milioni di euro di fondi europei per attuare il Piano regionale della mobilità ciclistica. Il Pnrr, poi, a livello nazionale, prevede investimenti per 600 milioni di euro per finanziare la realizzazione delle ciclovie turistiche (400 milioni) e delle ciclovie urbane (200 milioni), per un totale di 1.800 chilometri.

Recentemente il ministro dei Trasporti e della Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, ha ricordato che nel 2022 le Regioni si sono “azzuffate” sulle risorse da destinare alle piste ciclabili, “proprio come hanno sempre fatto su strade e ferrovie“. “Segnale – ha detto – che la mentalità è cambiata“. Della stessa opinione anche Alessandro Tursi, presidente della Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), che ricorda come la bici sia “una soluzione climatica, energetica, sociale e urbanistica fondamentale, e come tale deve diventare una priorità”. E anche l’Europa, come spiega la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, “fa riferimento alla sostenibilità della mobilità ciclabile per aumentare l’indipendenza a livello energetico“.

I capoluoghi italiani con servizi di bike sharing sono 53 (di cui solo 8 nel Mezzogiorno). L’offerta pro capite è più che triplicata nel corso degli ultimi anni, passando da 6 a 19 biciclette ogni 10.000 abitanti tra il 2015 e il 2019. Anche in questo caso l’offerta è più elevata nei comuni capoluogo di provincia del Centro (17) e del Nord (32), a fronte di valori modesti nel Mezzogiorno (2). Il fenomeno è concentrato prevalentemente nei comuni capoluogo delle città metropolitane come Firenze (109 biciclette ogni 10.000 abitanti), Milano (96), Bologna (68) e Torino (35).

Sul fronte economico i dati sono incoraggianti. La mancanza di prodotto, le difficoltà globali di approvvigionamento e i ritardi nelle consegne, che interessano la filiera del pedale negli ultimi anni, non frenano il desiderio di bici degli italiani. Secondo i dati di Confindustria Ancma, dopo i numeri record del 2020, con oltre 2 milioni di pezzi venduti – merito anche del bonus bici – il mercato 2021 sfiora infatti il dato dell’anno precedente, fermandosi a 1.975.000, pari a un -2%. Eppure, nonostante i dati positivi, “non siamo ancora davvero un Paese ciclabile”, dice Piero Nigrelli, responsabile comparto bici di Ancma. “I cittadini lo stanno dicendo: ‘È bello avere la bici, ma è ancora più bello poterla usare al meglio’. I due anni di pandemia lo hanno dimostrato”. Ecco allora che, ancora una volta, il Pnrr potrebbe venire in soccorso. “È tutto pronto”, afferma Nigrelli, per far partire i cantieri delle nuove ciclovie, “ma mancano i tecnici per seguirli. Ci auguriamo che i soldi vengano utilizzati e spesi beni. Per farlo ci va coraggio”.

Intanto dal 16 al 22 settembre si svolgerà la ‘Settimana europea per la mobilità’. Per l’edizione 2022 la Commissione Europea ha scelto di sottolineare l’importanza di una maggiore sinergia per aumentare la consapevolezza verso la mobilità sostenibile e per promuovere un cambiamento degli stili di vita in favore di una mobilità attiva.

Crisi idrica, Cingolani: 2 miliardi per tappare la rete colabrodo

Due miliardi del Pnrr serviranno a “tappare il colabrodo”. Copyright di Roberto Cingolani, che proprio non usa mezzi termini per definire la rete infrastrutturale idrica del nostro Paese. Intervenendo alla tappa di Aosta di ‘Italiadomani, dialoghi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza’, il ministro della Transizione ecologica tocca diversi temi e quello della siccità resta di strettissima attualità. “Abbiamo previsto 40 nuovi invasi, perché si calcolava che un quarto della precipitazione media annuali garantirebbe tutto il fabbisogno dell’Agricoltura: si tratta solo di raccoglierla questa pioggia. Perché anche se piove di meno, comunque piove“. Il riferimento resta il lavoro svolto sul Pnrr, che Cingolani rivendica con orgoglio: “Dopo un anno sono profondamente soddisfatto, perché abbiamo pensato bene”.

Per rendere l’idea racconta che nel Piano ci sono 4,38 miliardi per fronteggiare la crisi idrica: “Queste cose sono state pensate pensate a febbraio e marzo del 2021, quando non c’era, per mettere in sicurezza un paese che ha diversi problemi”. Ma c’è anche l’energia nelle sue riflessioni: sarebbe impossibile non parlarne. Sebbene il concetto non sia proprio inedito, Cingolani usa comunque un linguaggio chiaro, per usare un eufemismo. Perché ciò che è accaduto con la guerra in Ucraina “ci ha sbattuto in faccia vent’anni di errori nella gestione energetica in questo Paese. Poi ammette: “Sono molto duro su questo: ideologismi di tutti i tipi” il suo ‘j’accuse’. Perché “abbiamo smesso di produrre il nostro gas dicendo che era ecologicamente più sostenibile, ma poi abbiamo comprato dai russi. Ci siamo bastonati da soli”.

Il governo ha avviato con solerzia l’opera di diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Per il ministro della Transizione ecologica è una cosa buona e giusta, a prescindere dalla necessità di affrancarsi da Mosca. Anche se “importiamo ogni anno 30 miliardi di gas da un solo fornitore, quando ne consumiamo 76 miliardi ogni anno, è un po’ un suicidio”. Ad ogni modo “ne abbiamo sostituiti 25 miliardi in 8 settimane” grazie ad accordi stretti “con 6 fornitori diversi, più piccoli” e “permettendoci il lusso” di rinunciare scientemente a 5 miliardi di metri cubi perché “sappiamo già che li sostituiamo con le rinnovabili che, grazie al Pnrr, abbiamo accelerato con le semplificazioni”. Per inciso “ad oggi, nei primi sei mesi di quest’anno, le richieste di nuovi allacciamenti sono oltre miliardi di watt, 9 gigawatt”.

Cingolani veicola un altro messaggio: a parte che “non ho mai fatto politica e non voglio farla”, ma “andrebbe fatto uno sforzo, ogni anno, destinando il 2% del Pil, che è in mano ai ministeri, per indirizzarlo su programmi di lungo termine. Al di là del colore politico”. Lo ha detto anche al premier, Mario Draghi, ieri, durante una riunione del Comitato interministeriale sulla Transizione ecologica. L’esempio è il Pnrr. Chissà se (e da chi) sarà ascoltato il suo suggerimento.