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Enea: In Italia da aprile a settembre +6% emissioni CO2, rinnovabili in calo dell’11%

È tutt’altro che positivo il quadro che emerge dall’Analisi Enea del sistema energetico italiano per il II e III trimestre dell’anno. Se, da un lato, evidenzia infatti consumi di gas più bassi, dall’altro si registra anche un calo delle rinnovabili, oltre alla crescita delle emissioni di CO2 e un forte peggioramento dell’indice della transizione energetica Ispred (-60% nel III trimestre). Dai primi nove mesi dell’anno, quindi, giungono segnali di criticità: a fronte di consumi di energia sostanzialmente fermi, con la previsione di un calo dell’1,5% sull’intero 2022, le emissioni di CO2 sono cresciute del 6%, con una stima di aumento di oltre il 2% a fine 2022. D’altra parte, a fronte del maggiore ricorso alle fonti fossili che stanno quasi tornando ai livelli pre-pandemia (+8% petrolio e + 47% carbone) e di una riduzione del 3% dei consumi di gas, le rinnovabili hanno registrato un calo dell’11%, dovuto a una riduzione dell’idroelettrico che l’aumento di solare ed eolico non è riuscito a compensare.
“Il forte calo dell’indice Enea-Ispred è da collegarsi in particolare al peggioramento della componente decarbonizzazione, scesa al valore minimo della serie storica”, spiega Francesco Gracceva, il coordinatore dell’Analisi trimestrale Enea. “In questo scenario – continua – l’obiettivo europeo di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 potrà essere raggiunto solo se nei prossimi otto anni riusciamo a ottenere una riduzione media annua di quasi il 6%”.

Sul fronte della sicurezza energetica, l’analisi evidenzia il peggioramento dell’adeguatezza del sistema gas. “In vista del prossimo inverno richiede particolare attenzione la capacità delle infrastrutture gas di coprire la punta di domanda: infatti, nel caso di un completo azzeramento dei flussi dalla Russia (scesi sotto al 20% dell’import totale nei primi nove mesi, ma già quasi a zero a ottobre), risulterebbe molto difficile coprire punte di domanda legate a picchi di freddo intenso che investano l’intero territorio nazionale”, commenta Gracceva.
Lato prezzi, se per il gas gli incrementi registrati in Italia sono simili alla media europea, nel caso dell’elettricità gli aumenti sono stati all’incirca doppi di quelli registrati nell’Ue, in particolare nel caso delle imprese. “Rispetto al 2021 un’impresa con consumi medio-bassi ha visto aumentare i prezzi di elettricità e gas rispettivamente del 60% e del 120% nel primo semestre 2022, mentre nell’intero 2022 supereranno di ben oltre il 50% i precedenti massimi storici”, sottolinea Gracceva.
A livello di settori, nel periodo gennaio-settembre 2022, i consumi sono diminuiti considerevolmente nell’industria, con un calo particolarmente accentuato nel III trimestre (-15%), mentre è continuata la forte ripresa dei trasporti, sebbene a tassi progressivamente più contenuti (+12% nei nove mesi, +4% nel III trimestre). L’aumento delle emissioni, invece, è riconducibile quasi interamente alla produzione di energia elettrica e calore, alle raffinerie e alle industrie energivore.
“Un segnale importante è che i consumi di energia hanno iniziato a contrarsi in misura progressivamente maggiore rispetto alla dinamica di fattori determinanti come l’andamento del PIL, produzione industriale, mobilità e clima. Un trend simile si è stato registrato in tutta Europa con un calo della domanda dello 0,7% nei primi nove mesi dell’anno”, spiega Gracceva. “È evidente -aggiunge – che la riduzione sia stata determinata fortemente anche dagli alti prezzi dell’energia che hanno imposto a molte imprese energivore uno stop delle attività. Tuttavia, nei prossimi mesi sarà fondamentale verificare se la contrazione possa andare oltre, come effetto delle misure di risparmio energetico”.

In termini di fonti primarie i primi nove mesi del 2022 hanno visto proseguire la risalita delle fonti fossili: i consumi di petrolio sono cresciuti dell’8%, avvicinandosi ai valori pre-pandemici. Ancora più marcato l’aumento dei consumi di carbone (+47%), che a fine anno torneranno non lontani dai livelli del 2018. In forte diminuzione invece i consumi di gas naturale (-3% nei nove mesi, -8% nel III trimestre) e di fonti rinnovabili, in calo costante dell’11% circa in tutti e tre i primi trimestri dell’anno. La performance delle rinnovabili è stata influenzata negativamente dalla significativa riduzione dell’idroelettrico (-25% rispetto al minimo degli ultimi 15 anni), non compensato dall’aumento del 9% di eolico e solare nei primi nove mesi dell’anno, ai massimi storici nel periodo con una quota del 16,3% sulla richiesta di energia elettrica e un picco del 21,7% ad aprile.
L’Enea evidenzia anche un problema sulle materie prime, la cui disponibilità potrebbe risultare un collo di bottiglia per la transizione energetica. Infatti, i dati indicano una pressoché totale dipendenza dell’Ue dall’estero per terre rare, platino e litio (100%), tantalio (99%) e cobalto (86%). Dipendenza ancora più forte per l’Italia, dove le Crm hanno un’incidenza sul Pil pari al 32% e sull’export all’86%. “L’eventualità di non poter soddisfare al 2030 la domanda di energia eolica e per i veicoli elettrici è molto forte”, conclude Gracceva.

Pichetto: “Nel 2030 due terzi energia da rinnovabili, servono rigassificatori”

Il Mase prosegue sulla via della transizione energetica. L’obiettivo al 2030 resta produrre un terzo dell’energia da fonti fossili e due terzi da rinnovabili. Intanto però, i rigassificatori sono necessari per raggiungere l’indipendenza dalla Russia, Piombino sarà temporaneo, in uso per non oltre tre anni. “C’è l’impegno mio e del governo“, assicura il ministro, Gilberto Pichetto Fratin. In cambio, la città toscana riceverà compensazioni. Lo Stato si farà carico delle esigenze delle comunità che “offrono un servizio così importante al Paese“, afferma Pichetto. Si tratta di realizzare opere di riqualificazione ambientale importanti e in tempi rapidi.

Il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo risponde alle domande delle commissioni Ambiente e Attività produttive e fa il punto sulle sue linee programmatiche. “Il conseguimento degli obiettivi di autonomia energetica, rende indifferibile un percorso di importante sviluppo di fonti rinnovabili“, ribadisce. Il Pnrr prevede uno stanziamento di 60 miliardi di euro con l’aumento della quota di produzione di energia verde, il potenziamento delle infrastrutture di rete, la promozione dell’efficienza e della produzione e dell’utilizzo dell’idrogeno.

Ambiente e sicurezza energetica sono strettamente interconnesse, il cambio del nome del ministero non è un caso: “E’ volto a rimarcare le due grandi missioni, che sono tutt’altro che antitetiche“. Un esempio è il Piano nazionale integrato energia e clima, che ha il compito di pianificare le politiche di decarbonizzazione e di contrasto alle emissioni climalteranti. In altre parole, spiega: “E’ teso al contrasto al cambiamento climatico, ma al tempo stesso punta ad implementare la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, il mercato interno dell’energia, la ricerca, l’innovazione e la competitività“.

Le trasformazioni e i cambiamenti del sistema energetico, dunque, costituiscono un elemento fondamentale per la riuscita della transizione ecologica. Quanto alle Comunità energetiche rinnovabili, annuncia, “sono in corso interlocuzioni in Europa, credo di poter dire che c’è l’assenso a trasformare il prestito in sovvenzione. Questo ci permette di superare alcuni nodi, spero a giorni o a ore di avere formale risposta da parte dell’Unione europea“.

A Bruxelles l’Italia continuerà a giocare un ruolo da protagonista, garantisce, con lo stesso approccio che l’ha portata al negoziato sul cap al prezzo del gas. “E’ stato il nostro Paese a portare un numero considerevole di altri Stati membri a chiedere una soluzione condivisa a livello europeo“, rivendica e precisa che il price cap “non è la definizione del prezzo, ma una misura anti-speculazione. Funziona come in borsa, quando viene sospeso un titolo per eccesso di ribasso o di rialzo“.

In prospettiva, nessuna preclusione sul nucleare, torna a ripetere. Anzi, incalza, “mi sembra possa rispondere in maniera efficace al raggiungimento degli obiettivi di neutralità tecnologica“. Lo stato delle competenze resta comunque in capo all’Enea e l’auspicio è che si arrivi a implementare la quarta generazione nell’arco di 10-15 anni: “Sarà un vettore tecnologico di transizione propedeutico all’approccio finale alla fusione nucleare“.

Gas giù e con il vento caldo ripartono le rinnovabili nella Ue

Il prezzo del gas torna a scendere in corrispondenza del cambiamento meteorologico che sta interessando l’Europa, con alta pressione e meno freddo. Mentre è in arrivo un price cap a 180 euro/Mwh, il Ttf ad Amsterdam crolla del 7% a 107 euro/Mwh. A far calare le quotazioni sta contribuendo il cambio di clima degli ultimi giorni dopo l’ondata di gelo che aveva colpito il Vecchio Continente fino a metà mese. Il ritorno di condizioni ventose, umide e miti sta spingendo verso una maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili, riducendo dunque sia il consumo di gas che l’utilizzo degli stoccaggi. Ad esempio in Germania, in tarda mattinata, 1.720 Mw sono stati prodotti dal solare, 23.219 da eolico on shore (a terra), 5.646 da pale eoliche off shore, 13.088 da gas, 7.406 da carbone, 12.678 da lignite, 5.175 da biomasse, 3.650 da nucleare. Il 12 dicembre, quindi lunedì scorso, erano ben diverse le proporzioni delle fonti di energia: 4.925 Mw da solare, 2.458 da eolico on shore, 1.923 da eolico off shore, 17.520 da gas, 13mila da carbone, 16.832 da lignite e più meno stessa quantità di luce prodotta da biomasse e nucleare.
Completamente diverso il mix energetico italiano, dove il metano la fa sempre da padrone. Sempre questa mattina sono stati generati 5.971 Mw da fotovoltaico, 890 da eolico on shore, appena 12 megawatt da eolico off shore, ben 17.261 da gas, 3.504 da carbone e 2.209 dall’acqua. Situazione simile a quella di una settimana fa: la produzione elettrica era arrivata dal gas per 23.040 Mw, dal solare ne sono arrivati 5.130, dall’eolico on shore 1.821 e appena un Megawatt dall’eolico off shore.
Tralasciando il forte utilizzo di carbone e lignite da parte dei tedeschi, non proprio in linea con gli obiettivi climatici fissati dall’Unione Europea verso la transizione energetica, appare però evidente che nel giro di una settimana è sceso il consumo di gas, mentre è ripresa con forza la produzione elettrica rinnovabili soprattutto da pale eoliche. Questo minor ricorso al gas si riflette per tanto sul prezzo del Ttf, che il 7 dicembre scorso aveva chiuso le contrattazioni a 149 euro/Mwh, quasi il 40% in più se confrontato con i 107 di queste ore.
La forte discesa del Ttf, con minore domanda di gas, ha evidenti ripercussioni anche sui prezzi della luce. Domani in Germania – con più rinnovabili – scende a185 euro per megawattora, in Italia invece – sempre metano-dipendenti – siamo sui 271,57.
In attesa di vedere se l’Unione Europea riuscirà effettivamente ad applicare un price cap sul gas, il mercato da solo si autoregola. E a decidere il prezzo non sono norme complicate, bensì il meteo.

Rinnovabili

Rinnovabili, svolta di Fai-Legambiente-Wwf. Pichetto: Apriamo tavolo

Una svolta storica nel segno della transizione ecologica ed energetica. E’ quella compiuta dalle associazioni Fondo per l’Ambiente Italiano Ets, Legambiente e Wwf Italia con la firma del documento-manifesto in 12 proposte dal titolo emblematico: ‘Paesaggi rinnovabili‘. Per la prima volta, infatti, c’è un’apertura all’istallazione di impianti che sfruttano fonti alternative anche in aree che fino a ieri erano considerate ‘off limits’ per non deturpare l’aspetto paesaggistico.

L’ambientalismo italiano ha maturato una nuova consapevolezza: il nostro paesaggio è sempre cambiato. Ci si può opporre ai cambiamenti, oppure cercare di governarli, perché avvengano nel migliore dei modi. Con Fai e Wwf abbiamo scelto questa seconda strada“, spiega il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani. Il passaggio cruciale è negli obiettivi 6 e 7. Nel primo si invita a ‘Sostenere la nascita e la diffusione delle comunità energetiche‘, in considerazione del fatto che per gli scenari di climate neutral “sarà il contributo di impianti su scala industriale a risultare assolutamente indispensabile“. La raccomandazione, però, è quella di serguire “il principio di non ‘occupare’ neanche un ettaro di suolo fertile, se non con tecnologie compatibili (agrivoltaico), evitando quindi gli errori del passato“.

Nel punto 7, dunque, il cambio di passo: ‘Predisporre un piano per lo sviluppo dell’agrivoltaico nelle aree rurali‘. Perché – scrivono le associazioni nel documento – “la soluzione più razionale è, innanzitutto, installare i pannelli sui tetti delle nuove costruzioni, sugli edifici pubblici, nelle aree industriali e ovunque l’impatto sul paesaggio sia trascurabile; sapendo che questo non può bastare, è importante orientare l’istallazione su altre tipologie di superfici – senza occupazione di nuovo suolo“. Dunque, “serve anche ribaltare la narrazione dei tetti solari nei centri storici, non escludendo a priori la loro installazione ma favorendola a certe condizioni. Servono, in buona sostanza, piani speciali per il fotovoltaico sui tetti industriali e commerciali, per lo sviluppo dei grandi impianti fotovoltaici nelle aree dismesse e/o da recuperare, o lungo le fasce di rispetto delle grandi arterie di comunicazione“.

Altrettanto importante è anche il capitolo dedicato a ‘Favorire l’efficientamento degli impianti eolici esistenti‘, il cosiddetto repowering. “Bisogna affrontare i nuovi impianti come vere e proprie sfide ‘progettuali’, che superino l’approssimazione dell’analisi di contesto di alcuni progetti già realizzati. Nessun luogo è uguale a un altro e ogni progetto ha l’obbligo d’inserirsi armonicamente nel contesto territoriale di cui si è riscontrata preventivamente la potenzialità anemometrica“, scrivono Fai, Legambiente e Wwf Italia. Spiegando che “il progetto di paesaggio, in altri termini, deve diventare dunque il cuore stesso del progetto di parco eolico” e “le linee forti presenti sui territori (strade vicinali, linee di sub/crinale, curve di livello altimetrico, sviluppi del reticolo idrografico, etc.) possono rappresentare un’opportunità per un inserimento armonico; parimenti per l’off-shore la distanza dalla linea di costa e una disposizione a ventaglio può produrre un disegno complessivo più armonico e meno impattante“.

Il concetto espresso dalle associazioni è quello di voler “coniugare gli obiettivi della transizione energetica con la lungimiranza nella pianificazione paesaggistica e la qualità della progettazione“. Perché “è questa la sfida cruciale del prossimo futuro. Le emergenze climatica ed energetica sono le più grandi che il genere umano deve affrontare ora e nel prossimo futuro“.

La notizia è accolta con soddisfazione dal ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin. Per questo intende avviare un tavolo di confronto con le sigle che si occupano della tutela dell’ambiente e dei beni culturali. Il Mase – sottolinea Pichetto – ha confermato con il presidente Meloni gli obiettivi di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 e il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Ma il nostro obiettivo – aggiunge – è fare ancora di più e meglio. A tal fine alla Cop27 che si è tenuta in Egitto – spiega ancora il ministro – l’Italia si è impegnata concretamente per la lotta al cambiamento climatico: 1,4 miliardi di dollari all’anno per i prossimi 5 anni, incluso un contributo di 840 milioni di euro attraverso il Fondo Italiano per il clima, la prima piattaforma di investimento italiana specificamente dedicata all’impiego di tecnologie pulite e all’adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. “Sviluppo delle energie Rinnovabili nel rispetto dell’ambiente e del paesaggio, senza mai perdere di vista le esigenze delle imprese italiane, che devono continuare a rappresentare un esempio di eccellenza nel mondo. Questo – conclude Pichetto – resta l’obiettivo del ministero e del governo“.

Rinnovabili

Il mondo delle rinnovabili contro la Manovra: “Così andiamo in crisi”

La legge di bilancio non piace al mondo dell’energia, specie quello delle rinnovabili, che chiede subito una revisione del tetto al prezzo dell’energia fissato a 180 euro/Mwh e soprattutto una modifica del contributo di solidarietà sui cosiddetti extra-profitti. Secondo Anev, l’Associazione nazionale energie del vento, il governo colpisce doppiamente le rinnovabili sia con il ‘cap’ a livello di prezzi di vendita a 180 euro (che sembrerebbe peraltro sommarsi al già vigente cap a 65 euro/MWh) sia con l’extra-tassazione degli utili al 50%, sovrapponendo così due misure che sono concettualmente distinte e in contrasto tra loro. Infatti, con il cap ai ricavi vengono meno i presupposti per extra-profitti, perciò tale misura era stata pensata solo per il settore oil e gas che infatti non è soggetto al revenue cap. La misura relativa al prelievo fiscale straordinario come contributo solidaristico, calcolato sugli utili di impresa, all’art.14 del Regolamento del Consiglio dell’Unione Europea n.2022/1854, è riservata alle imprese operanti nei soli settori petrolifero, del gas naturale, del carbone e della raffinazione e non al settore rinnovabili – sottolinea Anev – come invece ha voluto l’esecutivo italiano, unico tra gli Stati membri ad applicare tale prelievo alle rinnovabili.

Questo affastellamento di norme non fa che creare confusione e incertezze regolatorie che scoraggiano gli investimenti nel settore. Poi non comprendiamo per quale motivo solo il settore dell’energia e in particolare quello delle rinnovabili debba pagare tale balzello visto che era già stato pesantemente bastonato dal precedente governo”, attacca Simone Togni, presidente di Anev. “Ci aspetteremmo un trattamento più equo anche nel mondo elettrico tra tutti gli operatori e non solo quelli da Fer (Fonti energia rinnovabile. ndr), se gli utili li fanno altri e le tasse vanno sempre a colpire solo noi c’è qualcosa che non funziona. I piani del Governo in tema di Fer annunciati ad Ecomondo a Rimini nei giorni scorsi, di voler facilitare la realizzazione di ben 70GW da rinnovabili, ebbene questi non sono realizzabili in questo contesto poiché gli investitori scapperanno da un Paese che penalizza oltremisura gli investimenti nel settore delle rinnovabili. È necessario che il Parlamento modifichi la legge di bilancio – conclude il rappresentante del mondo eolico – introducendo i dovuti correttivi a valle di una interlocuzione approfondita con le associazioni del settore”.

Anche Assopetroli-Assoenergia e Assocostieri, attraverso un comunicato, bocciano il contributo di solidarietà straordinario, mettendo in luce le criticità per gli operatori della logistica e della distribuzione dei prodotti petroliferi, tra i quali vi sono anche numerose Pmi. “La norma – ricordano le associazioni – trae origine dall’art.15 del Regolamento Ue 2022/1854 che, però, individuava un diverso perimetro di applicazione del contributo, includendo esclusivamente le imprese che operano nel settore dell’estrazione, della raffinazione del petrolio e della fabbricazione di prodotti di cokeria. Non è una casualità che il Regolamento europeo, a differenza della norma presente in Legge di Bilancio, abbia escluso il settore della distribuzione dei carburanti. Gli operatori della logistica e della distribuzione, infatti, sono collocati nella parte intermedia della catena e sono pertanto dei meri ‘price taker’, che subiscono le decisioni di prezzo scelte a monte della filiera industriale. Queste imprese, per tale ragione, sono strutturalmente e tecnicamente impossibilitate a generare extraprofitti“.

Più duro l’intervento di Assoebios, Associazione operatori elettrici da bioliquidi sostenibili, che accusa: “Il governo vuole dare il colpo di grazia alle fonti rinnovabili. Mentre i consumi di energia e gas aumentano vorticosamente a causa dell’abbassarsi delle temperature, il governo pensa di mettere un tetto al prezzo dell’energia, non solo per il fotovoltaico e l’eolico, ma anche per le biomasse e i bioliquidi sostenibili fortemente penalizzati dal vertiginoso aumento dei costi delle materie prime”. Per Luca Miris, presidente dell’associazione “l’energia prodotta con il carbone, oggi, viene pagata dai cittadini 500 euro al megawattora, mentre all’ipotetica energia pulita prodotta con i bioliquidi sostenibili viene imposto un prezzo massimo inferiore alle quotazioni dei mercati elettrici, rendendo di fatto, insostenibile la produzione, costringendo quindi gli impianti a fermarsi“.

Infine Assoidroelettrica, davanti al presidente di Arera, ha fatto presente che “il combinato tra siccità ed ingiusti prelievi sta mettendo in grande difficoltà i bilanci delle società che producono energia da fonte idrica – si legge in un comunicato –, è indispensabile rivedere la misura del prelievo così da garantire l’esatto contrario di quanto sta accadendo oggi, ovvero, lo sviluppo del comparto e non certo la consegna, per molti, dei libri in tribunale“.

Terna: A ottobre consumi elettrici in calo, +56% produzione col carbone

A ottobre diminuisce la domanda di elettricità (24,6 miliardi di kWh, -6,6% sul 2021), ma in totale, nei primi dieci mesi dell’anno, è in crescita dello 0,5%. E se da una parte tra gennaio e ottobre, rispetto all’anno precedente, la capacità di rinnovabili è cresciuta rispetto al 2021 del 143%, dall’altra aumenta la produzione di elettricità con il carbone: a ottobre +56,6% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. E’ la fotografica scattata da Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale

Considerando che ottobre 2022 ha avuto lo stesso numero di giorni lavorativi (21) e una temperatura media mensile superiore di circa 2,8°C rispetto a ottobre del 2021, il dato della domanda elettrica, destagionalizzato e corretto dall’effetto della temperatura, risultata in calo del 6,3%. La temperatura del mese di ottobre, infatti, apporta un contributo modesto alla variazione del fabbisogno elettrico. A livello territoriale, la variazione tendenziale di ottobre è risultata ovunque negativa: -7,1% al Nord, -6,7% al Centro e -5,3% al Sud e nelle isole.

Nel mese di ottobre 2022 la domanda di energia elettrica italiana è stata soddisfatta per l’85,7% con la produzione nazionale e per la quota restante (14,3%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. La produzione nazionale netta è risultata pari a 21,3 miliardi di kWh, in diminuzione del 4,6% rispetto a ottobre 2021.

Le fonti rinnovabili hanno prodotto complessivamente 6,9 miliardi di kWh, coprendo il 28% della domanda elettrica, con le seguenti variazioni rispetto a ottobre dello scorso anno: fotovoltaico +17,6%, eolico -35,9%, idrico -36,8% e geotermico -3,2%. La produzione delle fonti rinnovabili è stata così suddivisa nel mese di ottobre: 30,4% fotovoltaico, 26% idrico, 15,4% eolico, 21,6% biomasse e 6,6% geotermico. Pur a fronte di una significativa riduzione del fabbisogno, il calo complessivo della produzione delle fonti rinnovabili e dell’import ha comportato una variazione positiva della generazione termica (+2,6% rispetto a ottobre del 2021).

In questo ambito, è proseguito il programma di massimizzazione della produzione a carbone messo in atto dal Governo per il contenimento dei consumi di gas: nel mese di ottobre la produzione a carbone è cresciuta, infatti, del 56,6% rispetto allo stesso periodo del 2021. Il saldo import-export ha visto una variazione complessiva pari a -16,5%, dovuta a una diminuzione dell’import (-10,1%) e una crescita dell’export (+107,9%). Secondo le rilevazioni Terna illustrate nel report mensile, considerando tutte le fonti rinnovabili, nei primi 10 mesi del 2022 l’incremento di capacità in Italia supera complessivamente i 2.350 MW, registrando una notevole crescita (+143%) rispetto allo stesso periodo del 2021.

Photo credit: Terna

Enel

Enel accelera su rinnovabili: bollette meno care del 20%

Meno debito, meno gas, bollette meno care, più rinnovabili, più elettrificazione, più utile netto. Enel presenta un piano 2023-2025 prudente, visto che “ci aspettano altri due anni di turbolenze” nei mercati energetici come ha sottolineato l’ad Francesco Starace parlando con analisti e giornalisti, ma sostenibile. In tutti i sensi.

Intanto si comincia da una progressiva riduzione della dipendenza dal gas e per questo l’obiettivo è proporre circa il 90% delle vendite a prezzo fisso con elettricità carbon-free nel 2025, portando la generazione da fonti rinnovabili a circa il 75% del totale – un aumento di circa 15 TWh (+7%) rispetto alle stime per il 2022 -, nonché digitalizzando circa l’80% dei clienti di rete. La prospettiva è offrire una bolletta ridotta del 20%, perché se l’energia viene dalle rinnovabili e l’incasso è fisso, garantendo dunque investimenti certi al gruppo, l’utente finale può beneficiare di prezzi più bassi e stabili.

Per arrivare al target sono dunque fondamentali proprio gli investimenti, che saranno complessivamente circa 37 miliardi di euro in tre anni, di cui il 60% a sostegno della strategia commerciale e il 40% a favore delle reti. Reti che necessitano di maggiori fondi per implementare la digitalizzazione, con lo scopo di migliorare l’efficienza e ridurre le interruzioni, raggiungendo un System Average Interruption Duration Index di circa 150 minuti nel 2025 (-35% rispetto alle stime per il 2022), inoltre si punta a raggiungere ad arrivare all’80% (+20%) dei clienti di rete digitalizzati. Il faro resta comunque sempre la produzione di energia, capacità che distingue Enel da altri operatori di mercato: il gruppo prevede di aggiungere circa 21 GW di capacità rinnovabile installata. E per essere ancora più performante il management ha deciso di dare un taglio con i mercati che, secondo le stime degli stessi amministratori, non possono crescere più di tanto. Quindi via da Romania, Perù e Argentina, così da dirottare tutti gli investimenti su soli 6 Paesi ‘core’: Italia, Spagna, Brasile, Cile e Colombia. Discorso a parte per gli Stati Uniti, dove l’ad Starace per ora non ha in mente di fare acquisizioni, tuttavia non sarebbe esclusa una quotazione proprio della divisione americana magari fra un anno. Gli Usa inoltre potrebbero ospitare una replica di 3Sun Gigafactory, il maxi impianto di pannelli che sorgerà in Sicilia, “magari insieme con qualche partner finanziario”, ha precisato il Ceo di Enel.

Via dal gas ma anche via da un eccesso di indebitamento che potrebbe frenare le attività del gruppo nei prossimi anni. Anche per questo la società si concentra su 6 Paesi più potenzialmente redditizi. Dalle cessioni, e i colloqui sono in corso, si genereranno 21 miliardi, dei quali 10 andranno proprio a ridurre il rosso di Enel. La riduzione si dovrebbe attestare in un range di 51-52 miliardi di euro già entro la fine del 2023, dai 58-62 miliardi di euro stimati per quest’anno. Maggiori risorse che andranno anche nelle tasche degli azionisti. Si prevede che l’EBITDA (il margine lordo) cresca infatti a 22,2-22,8 miliardi di euro nel 2025 dai 19-19,6 miliardi stimati nel 2022. E l’utile netto ordinario dovrebbe salire a 7-7,2 miliardi di euro nel 2025, dai 5-5,3 miliardi attuali. Una signora cifra che garantirebbe così un dividendo di 0,43 euro per il prossimo triennio, superiore ai 40 cent di quest’anno.

C’è un approccio un po’ conservativo in questo piano. Siamo stati molto trasparenti. Dovevamo affrontare territori mai visti. Ci sarà ancora la guerra? Finiranno i flussi di gas dalla Russia? Magari abbiamo peccato per eccesso di precauzione, forse nel 2023 le cose andranno meglio e potremmo avere risultati migliori a livello aggregato dato l’outlook prudente da dove siamo partiti”, ha spiegato Starace. D’altronde “abbiamo potenzialità di investimenti di 30mila Mw di rinnovabili. E se il governo, come abbiamo sentito, è pronto a sbloccare gli investimenti potremmo anche raddoppiare i 4 GW che abbiamo in programma di realizzare”.

Il piano è dunque “denso” ma sostenibile “e il management è in grado di eseguirlo indipendentemente da me. Quello che dovrò fare lo farò, però dipendo dalle decisioni degli azionisti. Non è un mistero che mi piaccia questo lavoro, tuttavia non sta a me la scelta di essere riconfermato il prossimo anno”, ha concluso Starace.

Manovra, governo trova la quadra. Ma diminuisce sconto sui carburanti

C’è voluto tutto il tempo disponibile, fino all’ultimo minuto, ma la maggioranza sembra aver trovato la quadra sulla legge di Bilancio 2023. Dopo una lunga riunione alla Camera, alla presenza della premier, Giorgia Meloni. La cifra si aggira sui 35 miliardi circa, di cui 23 sono dedicati quasi esclusivamente al contrasto dei rincari dell’energia. Per le bollette di famiglie e imprese sono previsti aiuti per affrontare i mesi più duri della crisi, aspettando che l’Europa batta un colpo sul price cap (temporaneo) e magari inizi a mettere in cantiere una riforma del mercato dell’elettricità, oltre al disaccopiamento dal prezzo del gas. Di sicuro non sarà al Consiglio europeo di giovedì, visto che fonti di Bruxelles fanno sapere che non è in vista nessuna decisione su questi temi.

L’Italia così prova a organizzarsi da par suo. Con la proposta avanzata dal ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, di un tetto nazionale “che riguarda il sistema delle rinnovabili” di 180 euro al megawatt. “Si tratta comunque di un prezzo abbastanza remunerativo per il sistema“, ha spiegato. Sottolineando che da questa misura “ovviamente sono escluse le famiglie“. Il governo è al lavoro anche su altre iniziative che riguardano gli approvvigionamenti energetici. In particolare di metano, perché “il gas nazionale non è una soluzione per coprire” l’intero fabbisogno del Paese, che “solo di gas consuma circa 76 miliardi di metri cubi annui, finora il prelievo nazionale è stato di circa 3 miliardi di metri cubi che è una cifra minima, di conseguenza ce ne mancano 73“, dice Pichetto. Che conferma l’impegno dell’esecutivo sul rigassificatore di Piombino, sia per l’installazione sia per la rimozione “entro 3 anni“.

Del resto è “l’unica soluzione” per affrontare l’emergenza. Soprattutto quella che potrebbe verificarsi nell’inverno 2023-2024, che rappresenta “la preoccupazione maggiore, perché “dovremo ricostituire tutte le riserve e gli stoccaggi e non avremo più il gas russo“. Per quello in corso, invece, “con gli stoccaggi che abbiamo – sostiene il ministro –, con tutti i meccanismi messi a punto, con distinzioni tra gasivori e altri, con una graduatoria di interrompibilità temporanea a fronte di indennizzo, lo vedo con fiducia, si può superare“.

Anche per questi motivi a Palazzo Chigi c’è tutta l’intenzione di mettere in sicurezza le famiglie e imprese da gennaio contro i rincari. L’imperativo è non aggravare la situazione economica del Paese, evitando – fino a quando sarà possibile – il ricorso a uno scostamento di bilancio. Non sfonda, però, l’ipotesi di azzerare per un anno l’Iva su pane, pasta e latte: è “una possibilità menzionata nella riunione con i capigruppo di venerdì scorso, alla quale ho preso parte anche io, ma in linea di massima sembrerebbe accantonata“, conferma il capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan. Che fa un discorso di “efficacia della misura, e forse non è quella ideale da prendere“. Dunque, “meglio concentrare le risorse su altri interventi, ad esempio verso la produzione agricola nazionale“.

Un’altra novità della Manovra 2023 riguarda i carburanti. Cambiano, infatti, le accise fino al prossimo 31 dicembre. Sulla benzina saranno di 578,40 euro per mille litri anziché 478,40 euro, sul gasolio si a 467,40 euro per mille litri anziché 367,40 euro e sul Gpl saranno di 216,67 euro per mille litri invece di 182,61 euro. Una scelta che fa saltare dalla sedia le associazioni dei consumatori, ma che dal governo non vedono come un rischio per i cittadini. La strada per il 2023, comunque, è tracciata.

Sudafrica, quasi 500 mln da Banca Mondiale per abbandonare carbone

Il Sudafrica, uno dei principali emettitori di gas serra in lotta per la transizione energetica, ha ricevuto 497 milioni di dollari di aiuti per convertire una delle sue vecchie centrali elettriche a carbone. Ad annunciarlo è la Banca Mondiale.

La prima potenza industriale del continente, la cui delegazione accompagnerà il presidente Cyril Ramaphosa alla COP27 che si aprirà domenica in Egitto, ricava ancora l’80% dell’elettricità dal carbone, pilastro dell’economia sudafricana che dà lavoro a quasi 100mila persone. Ma il Paese è afflitto da continue interruzioni di corrente. L’Eskom, azienda statale piegata dai debiti, non è in grado di produrre elettricità a sufficienza, con impianti che hanno in media 41 anni di vita e una scarsa manutenzione.

La Banca Mondiale “approva un finanziamento di 497 milioni di dollari per ridurre le emissioni di gas serra in Sudafrica e sostenere una giusta transizione”, dichiara l’istituzione. Il finanziamento, sotto forma di prestiti e sovvenzioni, sarà utilizzato per la conversione della centrale elettrica di Komati, nella provincia settentrionale di Mpumalanga. L’impianto è stato chiuso definitivamente lunedì, dopo oltre 60 anni di attività. Con nove generatori, consumava fino a 12mila tonnellate di carbone al giorno e, al momento del suo completamento, produceva il doppio dell’elettricità di tutti gli impianti esistenti nel Paese. Per la Banca Mondiale, il sito “servirà da esempio” per la transizione energetica del potente Sudafrica e sarà trasformato in un sito di produzione di energia rinnovabile alimentato da 150MW di energia solare, 70MW di energia eolica e 150MW di batterie di accumulo.

La riduzione delle emissioni di gas serra è una sfida difficile in tutto il mondo e in particolare in Sudafrica, data l’alta intensità di carbonio del settore energetico“, ha dichiarato il presidente dell’organizzazione, David Malpass, citato nel comunicato. L’anno scorso il Sudafrica ha ottenuto 8,5 miliardi di dollari in prestiti e sovvenzioni da un gruppo di Paesi ricchi per finanziare la transizione verso alternative più ecologiche. L’inizio dei negoziati su come spendere il denaro era previsto prima della COP27. Secondo la Banca Mondiale, il Paese ha bisogno di almeno 500 miliardi di dollari per raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2050.

Berlusconi accelera sul decreto aiuti per famiglie e imprese: “Va fatto oggi stesso”

Vi sono misure immediate, da prendere domani stesso, per scongiurare l’emergenza, e misure strutturali per evitare di ritrovarci in futuro in situazioni come questa”. Il caro bollette è la grande preoccupazione di Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia, l’uomo che riesce a tenere insieme Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Intervistato da Gea, il Cavaliere sostiene che la misura immediata, “che già da diversi giorni stiamo chiedendo al Governo“, sia un decreto che protegga le famiglie e le imprese da aumenti insostenibili. “Questo significa che lo Stato si dovrà far carico almeno di una quota importante degli aumenti del gas, o direttamente, con risorse proprie, oppure con la previsione di strumenti innovativi di finanziamento a favore dei distributori di energia”, aggiunge. A medio termine, invece, “bisognerà realizzare tutti quegli impianti che la sinistra ha reso impossibili in questi anni, con la sua politica dei ‘no’: i rigassificatori, i termovalorizzatori, le energie rinnovabili, spesso bloccate con la scusa del paesaggio. E bisognerà far ripartire la ricerca sul nucleare pulito, fin qui irresponsabilmente abbandonata. Eppure è la strada che l’Europa ci indica per il futuro”.

In un momento storico delicatissimo per l’Italia e per l’Europa, ma anche per il mondo intero, Berlusconi cerca una via d’uscita. Quella immediata e sostanzialmente indolore porta ai rigassificatori: “Un telegiornale ha ritrovato le immagini e il mio intervento all’inaugurazione del rigassificatore di Rovigo, il più grande tuttora in servizio. Tredici anni fa anni fa, lo voglio ripetere 13 anni fa, avevo sottolineato l’importanza per il nostro Paese di realizzare rigassificatori per diversificare le fonti di approvvigionamento dell’energia, per diminuire la nostra dipendenza da un solo Paese, la Russia. Il problema è che dopo il mio governo non si è fatto quasi nulla”, attacca. Ma quella resta la strada anche se “le conseguenze di un’ideologia ambientalista vecchia, miope, senza prospettive, imposta dalla sinistra”, rischiano di zavorrare la ripresa del Paese secondo il punto di vista del Cavaliere. “I Verdi in Italia, a differenza di altri paesi europei, sono semplicemente il ‘partito del no’. Le paure irrazionali ci hanno condotto a questa situazione”, il secondo atto di accusa.

Oltre che sulla crisi energetica è sulla transizione ecologica che si sta sviluppando buona parte della campagna elettorale. “Difendere l’ambiente è davvero importante, è una delle grandi scommesse per il futuro dell’umanità, ma bisogna capire che progresso, tecnologia e ambiente sono alleati, non avversari”, sottolinea Berlusconi. Non per caso “i Paesi tecnologicamente più avanzati sono anche quelli che hanno ottenuto risultati migliori nella difesa dell’ambiente. I grandi inquinatori nel mondo contemporaneo sono i paesi come la Cina e l’India, che per ottenere bassi costi si servono di tecnologie inadeguate”, aggiunge con non poca preoccupazione.

L’ambientalismo e il rispetto per la natura sono da sempre uno dei principi cardine del nostro movimento. Del resto mi piace ricordare che io, quando ho iniziato la mia carriera di costruttore, ho ideato città giardino, dove il verde era protagonista, che ancora oggi sono studiate come modello da architetti di tutto il mondo”, ricorda Berlusconi non senza un filo di malcelato orgoglio. Sono i progetti “astratti” quelli che considera pericolosi: “Quando parlo di idee astratte penso per esempio allo stop alle auto a benzina e diesel a partire dal 2035, votato purtroppo dal Parlamento Europeo. Questo è un esempio di quello che non si dovrebbe fare, perché da un lato non è realistico, dall’altro condanna a morte un settore importantissimo come l’industria automobilistica europea, che perde anche ogni incentivo ad investire in tecnologie meno inquinanti. L’effetto paradossale sarà quello di peggiorare, non di migliorare, la tutela ambientale”.