scarsità acqua

Allarme Onu: Accesso all’acqua negato a miliardi di persone

Lo scorso anno, tutte le regioni del mondo sono state colpite da eventi meteorologici estremi legati all’acqua, il cui accesso è negato a miliardi di persone. L’allarme arriva dall’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, nel suo primo rapporto annuale sullo stato delle risorse idriche mondiali che ha lo scopo di aiutare a monitorare, gestire le limitate risorse mondiali di acqua dolce e soddisfare la crescente domanda.

Nel 2021, segnala il dossier dell’Omm, vaste aree del mondo hanno registrato condizioni più secche del normale, sotto l’influenza del cambiamento climatico e della ‘Nina’.
Gli effetti del cambiamento climatico si fanno spesso sentire attraverso l’acqua. Tra questi, siccità più intense e frequenti, alluvioni più estreme, scioglimento accelerato dei ghiacciai, che hanno effetti a cascata sulle economie, sugli ecosistemi e su tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana. Eppure non abbiamo una comprensione sufficiente dei cambiamenti nella distribuzione, nella quantità e nella qualità delle risorse di acqua dolce“, spiega il segretario generale dell’Omm, Petteri Taalas.

Attualmente, 3,6 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua per almeno un mese all’anno. Secondo il rapporto, questa cifra è destinata a salire a più di cinque miliardi entro il 2050. Tra il 2001 e il 2018 il 74% di tutti i disastri naturali è stato legato all’acqua. “Nel 2021, tutte le regioni hanno sperimentato eventi idrologici estremi sotto forma di inondazioni e siccità, che hanno avuto un impatto significativo sulle comunità e hanno causato molti morti“, si legge nel rapporto.

Rispetto alla media idrologica trentennale, nel 2021 gran parte del mondo ha registrato condizioni più secche del normale. È il caso del Rio de la Plata in Sud America, che sta vivendo una siccità persistente dal 2019, dell’Amazzonia meridionale e sudorientale e dei bacini in Nord America, tra cui i fiumi Colorado, Missouri e Mississippi.

In Africa, fiumi come il Niger, il Volta, il Nilo e il Congo hanno registrato una portata inferiore alla norma nel 2021. Lo stesso vale per alcune zone della Federazione Russa, della Siberia occidentale e dell’Asia centrale. Etiopia, Kenya e Somalia stanno vivendo una grave siccità dopo diversi anni consecutivi di precipitazioni inferiori alla media.
Al contrario, gravi inondazioni hanno causato molte vittime, in particolare nella provincia cinese di Henan, nell’India settentrionale, nell’Europa occidentale e nei Paesi colpiti da cicloni tropicali, come Mozambico, Filippine e Indonesia.

Il rapporto sottolinea che la criosfera – ghiacciai, manti nevosi, calotte di ghiaccio e permafrost – è la più grande riserva naturale di acqua dolce al mondo.
Circa 1,9 miliardi di persone vivono in aree in cui l’acqua è fornita dai ghiacciai e dallo scioglimento delle nevi. Di conseguenza, i cambiamenti nella criosfera hanno un impatto importante sulla sicurezza alimentare, sulla salute umana, sugli ecosistemi e sullo sviluppo umano. A livello globale, lo scioglimento dei ghiacciai è proseguito nel 2021 e sta accelerando.

L’autunno nella morsa della siccità. Anbi: Il 2023 sarà anche peggio

Non sono bastati pochi giorni di pioggia, l’umidità e una spruzzata di neve in montagna. La siccità che ha attanagliato il Paese per tutta l’estate non è affatto scomparsa. E a dirlo sono i numeri contenuti nel report settimanale dell’Osservatorio Anbi sulle Risorse Idriche, dal quale emerge che “permane una situazione molto preoccupante perché finora è caduta mediamente la metà della pioggia consueta sull’Italia“.
In particolare, a soffrire di più sono alcune zone del nord Italia. La portata del fiume Po è in veloce diminuzione (a Pontelagoscuro c’è stato un ulteriore calo di 63 metri cubi al secondo in 5 giorni) e ormai si conferma ininterrottamente sotto la media da dicembre 2020. Il timore, avverte l’Anbi, è che il 2023 sarà un anno ancora più difficile per le maggiori riserve idriche del Paese rispetto al già difficile 2022. I grandi laghi del nord, infatti, sono tutti in grande sofferenza. Cala il livello del Lago Maggiore, che è 90 centimetri sotto la media, e quello del Garda, che ha toccato un’altezza di 35,4 centimetri sullo zero idrometrico contro una media di 81,3 cm, mentre l’Iseo ha una percentuale di riempimento quasi dimezzata rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Non piove da così tanto tempo che i bacini non hanno avuto modo di ricaricarsi.

Come ricorda il presidente di Anbi, Francesco Vincenzi, “non può certo bastare qualche pioggia a risolvere una situazione di deficit idrico, che si protrae da molti mesi”. I dati confermano una situazione che rimane complessa in molte zone del Paese. In Veneto i fiumi sono ai livelli minimi, così come in Valle d’Aosta e in Emilia Romagna, dove alcuni corsi d’acqua hanno addirittura le portate quasi azzerate e il 90% del territorio è ancora in zona rossa per la siccità. Il Lazio è la regione dell’Italia centrale che soffre di più per la mancanza di acqua i livelli degli invasi testimoniano la penuria di piogge autunnali: sono quasi tutti al di sotto dei livelli registrati in estate. Non va meglio nelle Marche, dove i laghi trattengono poco più di 30 milioni di metri cubi d’acqua, in Umbria, dove a ottobre non è quasi mai piovuto e in Abruzzo, dove il deficit pluviometrico è tra l’80 ed il 100%. Migliore, invece, la situazione al sud.

Finora, spiega Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l’attuale stagione “sta deludendo le speranze di recupero per una situazione idrologica gravemente compromessa e del cui cambiamento si fa fatica a prendere atto, assumendo decisioni conseguenti“. L’estate 2022, dice, “rappresenta una linea di confine per l’Italia davanti ad una crisi climatica, cui si deve rispondere anche con nuove infrastrutture multifunzionali, capaci di trattenere le acque, aumentando la resilienza di comunità e territori”. Il Piano Laghetti, il Piano Invasi, il Piano di Efficientamento della Rete Idrica sono strumenti, conclude “in gran parte cantierabili, che mettiamo a servizio del Paese e del suo Governo”.

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Un’estate di incendi in tutta Ue: emissioni CO2 più alte da 15 anni

Era dal 2007 che non si registravano così tante emissioni di CO2 nell’atmosfera e questo a causa degli incendi record registrati in estate durante il periodo estivo, soprattutto tra Francia e Spagna. Il dato emerge dal report diffuso dal Copernicus Atmosphere Monitoring Service (Cams). Secondo gli scienziati i devastanti roghi registratisi in tutta Europa quest’estate hanno causato le emissioni di CO2 più alte da 15 anni a questa parte. Cams ha monitorato l’intensità e le emissioni giornaliere e gli impatti sulla qualità dell’aria risultanti da questi incendi durante l’estate insieme ad altri incendi in tutto il mondo.

La combinazione dell’ondata di caldo di agosto con condizioni di siccità prolungate in tutta l’Europa occidentale ha provocato un aumento dell’attività, dell’intensità e della persistenza dei roghi. Secondo i dati del Cams Global Fire Assimilation System (Gfas) che utilizza le osservazioni satellitari dei luoghi degli incendi e il Fire Radiative Power (Frp) – una misura di intensità per stimare le emissioni degli inquinanti atmosferici presenti nel fumo – le emissioni totali di incendi boschivi dell’Ue + Regno Unito dal 1 giugno al 31 agosto 2022 sono stati stimati in 6,4 mega tonnellate di carbonio, il livello più alto di questi mesi dall’estate del 2007.

Il Cams spiega che le emissioni registrate per l’estate 2022 sono state in gran parte dovute ai devastanti incendi nel sud-ovest della Francia e nella regione iberica Penisola, con Francia e Spagna che hanno registrato le loro più alte emissioni di incendi negli ultimi 20 anni. In altre regioni dell’emisfero settentrionale, che tipicamente registrano un picco di attività degli incendi durante i mesi estivi, le emissioni totali stimate sono state notevolmente inferiori rispetto agli ultimi anni, nonostante alcuni incendi devastanti. La Repubblica di Sakha e l’Oblast autonoma di Chukotka nell’estremo oriente della Russia non hanno subito tanti incendi come nelle ultime estati con la maggior parte degli incendi questa estate più a sud nel Krai di Khabarovsk. Le regioni più centrali e occidentali della Russia, tra cui Khanty-Mansy Autonomous Okrug e Ryazan Oblast, hanno subito un numero maggiore di incendi che hanno provocato diversi giorni di fumo denso e qualità dell’aria degradata. Le emissioni totali stimate degli incendi nel Distretto Federale Centrale della Russia sono state le più alte dai grandi incendi di torba che hanno colpito la Russia occidentale nel 2010.

Secondo Mark Parrington, scienziato senior ed esperto di incendi boschivi del Copernicus Atmosphere Monitoring Service, “la portata e la persistenza degli incendi nel sud-ovest dell’Europa sono state estremamente preoccupanti per tutta l’estate. La maggior parte degli incendi si è verificata in luoghi dove il cambiamento climatico ha aumentato l’infiammabilità della vegetazione, come nell’Europa sudoccidentale, e come abbiamo visto in altre regioni in altri anni“.

somalia

Vite in pericolo: in Somalia la carestia bussa alla porta

La Somalia è sull’orlo della peggiore carestia del decennio. Lo denuncia il capo dell’agenzia umanitaria delle Nazioni Unite, in quello che definisce un “ultimo avvertimento” prima della catastrofe nel Paese del Corno d’Africa, afflitto da una storica siccità. “La carestia bussa alla porta. Questo è un ultimo avvertimento“, le parole di Martin Griffiths, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), nel corso di una conferenza stampa a Mogadiscio. Gli ultimi dati, osserva, “mostrano indicazioni concrete che una carestia si verificherà tra ottobre e dicembre di quest’anno” in due distretti del sud del Paese, Baidoa e Buurhakaba. Arrivato in Somalia giovedì, si dice “profondamente scioccato dal livello di dolore e sofferenza che tanti somali stanno sopportando“, raccontando di aver visto “bambini così malnutriti da riuscire a malapena a parlare” durante una visita a Baidoa, l'”epicentro” dell’imminente disastro.

Queste condizioni estreme “probabilmente dureranno almeno fino a marzo 2023“, prevede. In tutto il Paese, un totale di 7,8 milioni di persone, ovvero quasi la metà della popolazione, sono colpite da una siccità storica, 213mila sono a grave rischio di fame, secondo i dati delle Nazioni Unite. La fame e la sete hanno gettato in strada un milione di persone dal 2021.

Scosso dalla violenta insurrezione degli islamisti radicali Shebab, il Paese sta vivendo la terza siccità in un decennio, ma quella attuale “ha superato le terribili siccità del 2010-2011 e del 2016-2017 in termini di durata e gravità“, ha stimato Ocha a luglio. Questa siccità è il risultato di una sequenza di quattro stagioni piovose consecutive scarse, mai viste da almeno 40 anni, a partire dalla fine del 2020. L’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), l’agenzia meteorologica delle Nazioni Unite, ha avvertito a fine agosto che anche la prossima stagione, prevista per ottobre e novembre, rischia di fallire.

La siccità ha decimato le mandrie, essenziali per la sopravvivenza della popolazione, così come i raccolti, già devastati da un’invasione di locuste che ha attraversato il Corno d’Africa tra la fine del 2019 e il 2021. E le conseguenze della pandemia di coronavirus hanno reso la vita di molti somali ancora più precaria. Negli ultimi mesi, poi, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha avuto ripercussioni drammatiche sulla Somalia, il cui approvvigionamento di grano dipendeva per il 90% da questi due Paesi. La consegna degli aiuti è impossibile anche in vaste aree rurali sotto il controllo degli Shebab, islamisti radicali affiliati ad Al-Qaeda che combattono il governo federale da 15 anni. “I mezzi a disposizione della popolazione per produrre cibo e guadagnare un reddito sono esauriti oltre ogni limite e un intervento su larga scala è urgentemente necessario per salvare vite umane ed evitare la carestia“, ha dichiarato l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO).

Nel 2011-2012 la Somalia è stata colpita da una carestia che, secondo le stime, ha ucciso circa 260mila persone, metà delle quali erano bambini sotto i cinque anni. Tra luglio 2011 e febbraio 2012 è stato dichiarato lo stato di carestia in diverse aree del sud e del centro del Paese. Nel 2017 è stato evitato un nuovo disastro grazie alla tempestiva mobilitazione della comunità internazionale. Ma quest’anno, di fronte alla molteplicità delle emergenze umanitarie (Yemen, Afghanistan, Ucraina…), i numerosi appelli lanciati dalle ONG umanitarie e dalle agenzie ONU per evitare una tragedia – non solo in Somalia, ma in tutto il Corno d’Africa (Etiopia, Kenya) – hanno avuto scarsa eco. Alla fine di giugno, l’ONG Save The Children ha avvertito la comunità internazionale che in Somalia si stava “barcollando verso una carestia catastrofica”.

(photo credits: EDUARDO SOTERAS / AFP)

tempesta

Tempeste causate da riscaldamento globale: “Un colpo di frusta meteorologico”

Le tempeste che si sono abbattute sugli Stati Uniti e in altre parti del mondo questa estate sono un chiaro segnale del riscaldamento globale. La scienza concorda: il cambiamento climatico sta avendo effetti devastanti su tutto il pianeta e questi fenomeni meteorologici, un tempo raro, ora stanno diventando più intensi e frequenti, con effetti potenzialmente devastanti. Gli Usa stanno pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane: almeno 40 persone sono smorte a luglio in Kentucky, Illinois, Texas e Missouri, a causa delle tempeste arrivate in un periodo di estrema siccità. Il suolo, troppo secco, non è più in grado di assorbire l’acqua. Durante uno di questi episodi sono caduti più di 300 millimetri di pioggia, evento che, secondo i modelli statistici, si verifica solo una volta ogni mille anni. “È come un colpo di frusta meteorologico“, spiega Peter Gleick, co-fondatore del Pacific Institute, una ong specializzata nello studio dell’acqua. E ciò è dovuto ad “un’intensificazione del ciclo idrologico globale“, conseguenza del riscaldamento globale.

Da anni gli scienziati da anni avvertono dell’impatto dell’innalzamento della temperatura del pianeta causato in particolare dall’uso di combustibili fossili e dall’emissione di gas serra, le cui conseguenze ora sono chiare. Gli effetti del cambiamento climatico stanno infatti diventando molto concreti: i luoghi asciutti sono ancora più asciutti, i luoghi umidi ancora più umidi. “Il punto in comune tra queste forti precipitazioni e altri fenomeni eccezionali dello stesso tipo è un cocktail di ingredienti molto preciso“, necessario per il loro innesco, sottolinea David Novak, che dirige l’ufficio previsioni del tempo all’interno dei Servizi meteorologici americani (NWS). “Servono umidità e instabilità nell’atmosfera. E poi un innesco per la formazione della tempesta“, spiega.

Le tempeste ovviamente non sono rare in Texas o nell’Illinois in estate, ma la loro intensità legata all’altissima pressione atmosferica è la diretta conseguenza del riscaldamento del pianeta. “Più l’aria è calda – dice il meteorologo – più sarà maggiormente umida. E più c’è umidità più è facile che si formino le tempeste“. Secondo la formula di Clausius-Clapeyron, un aumento della temperatura di 1 grado Celsius è associato a un aumento di circa il 7% dell’umidità nell’atmosfera. Questo, dice Novak, è ciò che capovolge i modelli statistici delle previsioni meteorologiche e spiega perché quello che una volta era un fenomeno raro ora è più frequente, come le cinque tempeste che hanno colpito gli Stati Uniti quest’estate. tempeste che, prima dell’era industriale, avevano una probabilità dello 0,1% di formarsi, il che significa che in media si verificavano solo ogni mille anni. Ma questa percentuale aumenta drammaticamente in un contesto di riscaldamento globale.

(Photo credits: Valery HACHE / AFP)

siccità cina

Metà Cina colpita da siccità: manca l’acqua anche in Tibet

La siccità ha colpito metà del territorio cinese a causa del caldo record di questa estate, che fa scarseggiare l’acqua anche in Tibet. La Cina non ha mai avuto un’estate così calda da quando sono iniziati i monitoraggi, nel 1961. Si tratta di una situazione senza precedenti sia per la durata che per l’estensione dell’ondata di calore. Diverse grandi città hanno registrato i giorni più caldi della loro storia, con temperature fino a 45°C nel Sud-Ovest del Paese. Come il fiume più grande del Paese, lo Yangtze, molti fiumi sono gravemente prosciugati.

La siccità ha colpito un’ampia fascia del Paese che comprende la parte meridionale della regione montuosa autonoma del Tibet e si estende alle regioni costiere orientali, cuore economico della Cina. Questa vasta area, con una popolazione totale di oltre 370 milioni, segue principalmente il corso del fiume Yangtze. Alcune parti del Tibet sono elencate come aree di siccità “grave” o “eccezionale” dall’Agenzia meteorologica nazionale.

siccità cina

Queste condizioni rappresentano una sfida per l’agricoltura in un Paese che già normalmente ha un deficit di terreni coltivabili. Particolarmente problematica è la situazione per le colture di riso e soia, ad alta intensità idrica. Ieri il governo ha deciso di sbloccare aiuti per 10 miliardi di yuan (quasi 1,5 miliardi di euro) a sostegno degli agricoltori. Il denaro sarà utilizzato principalmente per garantire il raccolto autunnale di riso. Il prosciugamento dei fiumi, che alimentano le dighe, sta inoltre costringendo le autorità a razionare l’elettricità a livello locale.

(Photo credits: STR / AFP)

Mario Draghi

Draghi: “Momento complesso. Con rigassificatori liberi da Russia nel 2024”

Una sfida dopo l’altra. Intervenendo al meeting di Rimini, il premier Mario Draghi, traccia il quadro delle numerose emergenze che affliggono il Paese, cominciando, naturalmente, dall’energia. “L’Italia – annuncia – ha raggiunto l’80% dello stoccaggio di gas, in linea con l’obiettivo del 90% entro l’autunno”, un traguardo importante che permetterà al Paese di diminuire ulteriormente le forniture da parte della Russia. I risultati degli “sforzi” del governo per l’indipendenza da Mosca, ricorda “sono già visibili. A differenza di altri Paesi europei, le forniture di gas russo in Italia sono sempre meno significative, e una loro eventuale interruzione avrebbe un impatto minore di quanto avrebbe avuto in passato“.

In pochi mesi, aggiunge, “abbiamo ridotto in modo significativo le importazioni di gas dalla Russia, un cambio radicale nella politica energetica italiana. Abbiamo stretto nuovi accordi per aumentare le forniture – dall’Algeria all’Azerbaigian. Gli effetti sono stati immediati: l’anno scorso, circa il 40% delle nostre importazioni di gas è venuto dalla Russia. Oggi, in media, è circa la metà”. Ma c’è di più. Secondo il presidente del Consiglio dei ministri se la costruzione dei due rigassificatori sarà realizzata nei tempi previsti, “l’Italia sarà completamente indipendente dal gas russo nell’autunno del 2024”.

Tuttavia, oggi “il costo del gas è più di 10 volte il suo valore storico”. “In Europa abbiamo spinto molto sul price cap ma alcuni Paesi temono che Mosca possa nuovamente interrompere le forniture e i frequenti blocchi di questi mesi hanno mostrato i limiti di questa posizione. Così ci troviamo con forniture incerte e prezzi esorbitanti“, puntualizza.

Uno scenario che, inevitabilmente, si ripercuote su famiglie e imprese: “Il notevole aumento dell’inflazione, partito dai costi dell’energia, si è trasmesso sul comparto alimentare” aggravando ancora di più la condizione delle categorie più a rischio, ammette il premier. Inoltre, “il rallentamento della crescita globale si ripercuote negativamente sulle esportazioni e le condizioni di accesso al credito cominciano a peggiorare, questo avrà sicuramente effetti sugli investimenti“.

La questione energetica va certamente di pari passo con l’emergenza siccità. E qui entrano in gioco il cambiamento climatico e l’aumento dell’utilizzo di fonti non rinnovabili per sopravvivere alla crisi, che ‘sospende’ quello delle rinnovabili. Come sottolinea Draghi, invece, è solo “accelerando sulla strada delle energie rinnovabili che si potrà combattere il cambiamento climatico“. Proprio quello che ultimamente si è “manifestato in modo minaccioso – riferisce il l’ex Bce – con fenomeni estremi sono sempre più comuni con conseguenze tragiche, penso al dramma della siccità, che ha colpito in particolare il bacino del Po; allo scioglimento dei ghiacciai come quello della Marmolada; ai violenti nubifragi“, aggiunge.

siccità

La siccità 2022 sarà la peggiore degli ultimi 500 anni nell’Ue

La peggiore da almeno 500 anni, in tutto il continente. La siccità del 2022 in Europa potrebbe aver toccato un livello epocale, come anticipa la valutazione preliminare dell’ultimo rapporto del Centro comune di ricerca (Ccr) della Commissione Ue ‘Siccità in Europa – Agosto 2022’ e che dovrà essere confermata dai dati finali alla fine della stagione. L’emergenza potrebbe durare fino a novembre, avvertono gli esperti del Ccr: “È probabile che nella regione euro-mediterranea occidentale si verifichino condizioni più calde e secche del solito“.

siccità

L’aggiornamento della valutazione sulla situazione della siccità in Europa è basato sui dati e le analisi dell’Osservatorio europeo della siccità ed evidenzia la situazione “ancora grave” in molte regioni Ue. L’evoluzione e gli impatti della prolungata siccità sul territorio comunitario confermano la situazione di luglio, con il 64% del territorio dell’Unione europea complessivamente in stato di allerta: questo contribuisce a diffondere “ampiamente le aree a rischio incendio in tutta l’Ue“, si legge nel rapporto, a proposito dell’emergenza che sta colpendo le zone boschive dalla Francia al Portogallo e la Spagna. Il 47% del territorio è ancora “in condizioni di allerta” – e questo significa che le precipitazioni sono state inferiori alla norma e l’umidità del suolo è in deficit – mentre il 17% si trova “in allerta“, con la vegetazione e le colture che mostrano gli effetti negativi della siccità.

Le attuali previsioni di resa per il mais, la soia e i girasoli a livello europeo sono crollate rispettivamente del 16%, 15% e 12% al di sotto della media quinquennale e il “grave deficit di precipitazioni ha interessato quasi tutti i fiumi europei“. Le ripercussioni sono state avvertite in particolare sul settore energetico – sia per la produzione di energia idroelettrica sia per i sistemi di raffreddamento di altre centrali – ma anche sul trasporto fluviale. È per questo motivo che diversi Stati membri Ue hanno adottato quest’estate misure di restrizione idrica, considerato anche l’allarme per cui “le forniture potrebbero essere ancora compromesse nelle prossime settimane“. Il rapporto Centro comune di ricerca della Commissione avverte inoltre che, nonostante le precipitazioni degli ultimi giorni hanno alleviato le condizioni di siccità in alcune regioni europee, si sono presentate “nuove sfide” sotto la forma di forti fenomeni temporaleschi.

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Mai luglio tanto caldo e siccitoso: allarme dal Piemonte al Trentino

Primi del mese, tempo di bilanci del mese precedente. Le agenzie regionali per l’ambiente di Veneto e Piemonte insieme a Meteotrentino per il Trentino hanno diffuso i loro bollettini sulla situazione climatica del mese di luglio e sono dei veri bollettini di guerra: temperature ai massimi, portate dei fiumi ai minimi e scarsità di precipitazioni. Che la situazione stesse così i cittadini e le aziende agricole del nord Italia l’avevano già capito, ma ora c’è la certificazione degli esperti del settore.

Arpa Veneto già ieri aveva detto che per riequilibrare il deficit di precipitazioni, ad agosto dovrebbero cadere 477 mm di pioggia, oggi invece, sul fronte delle temperature, ha certificato che il mese scorso è stato il luglio più caldo degli ultimi 30 anni, battendo il record del 2015. “Sulla base dei dati della rete di stazioni Arpav – spiega l’agenzia per l’ambiente – il mese di luglio risulta infatti il più caldo dell’ultimo trentennio per quanto riguarda le temperature massime (il precedente record era del luglio 2015), mentre per le temperature minime si configura come il secondo luglio più caldo dopo quello del 2015. Luglio 2022 è più caldo di quello del 2003, in cui i picchi di temperatura erano stati registrati soprattutto a giugno e nella prima metà di agosto“.

Situazione analoga anche in Trentino, dove Meteotrentino ha riferito che “luglio 2022 è risultato con temperature molto superiori alla norma. La temperatura media mensile non è stata però da record risultando ovunque poco inferiore al massimo: il luglio più caldo è stato ovunque quello del 2015, fatta eccezione per Trento Laste dove il record, seppur di solo un decimo di grado, è ancora quello del luglio 1950. Da evidenziare però che a Trento Laste non si era mai registrata una temperatura minima così alta. La minima assoluta del mese di 16,4 °C è stata registrata il 9 luglio e risulta la più alta mai registrata; il record precedente era 16,0°C nel 1967“.

Il mese di luglio del 2022 dunque sarà ricordato per le temperature molto elevate, per le scarse precipitazioni fino al giorno 24, per il perdurare quindi del periodo siccitoso e per gli incendi che si sono verificati in diversi boschi soprattutto prima delle precipitazioni iniziate il giorno 25“.

Anche Arpa Piemonte ha certificato numeri record: “Analizzando i dati dell’anno 2022 – spiega l’agenzia per l’ambiente -, sul Piemonte sono caduti nel periodo 1 gennaio-31 luglio circa 272 mm medi di pioggia e/o neve, a fronte di una norma climatica del medesimo periodo che si assesta sui 528 mm, con un deficit significativo, pari al 49%, rispetto al valore medio degli ultimi 30 anni“. Concentrandosi sul mese di luglio, sull’intero bacino del Po chiuso alla confluenza col Ticino sono caduti in media 44 mm di pioggia, con uno scarto del 23% rispetto alla media storica mensile degli ultimi 70 anni”.

Dal punto di vista delle temperature, il mese appena trascorso si pone come il secondo luglio più caldo degli ultimi 65 anni, dopo quello del 2015, ma se consideriamo l’intero trimestre maggio-giugno-luglio, i tre mesi appena terminati sono stati nel complesso i più caldi mai osservati con la rete meteorologica di Arpa Piemonte, superando i trimestri corrispondenti del 2003 e il 2015. Soltanto per due brevi periodi ad inizio e fine di maggio, le temperature giornaliere sono state al di sotto della norma climatica 1991-2020: in tutte le altre giornate le temperature sono state al di sopra della norma, con 3 periodi record attorno alla metà di ciascuno degli ultimi tre mesi“.

Anche l’associazione nazionale dei Consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue (Anbi) ha evidenziato come la situazione sia stata e lo sia ancora, drammatica nel nord del Paese. In Valle d’Aosta ad esempio l’indice SPI (Standard Precipitation Index) a lungo termine (12 mesi) indica livelli di siccità estrema per tutta la fascia centro-meridionale della regione (fonte: Centro Funzionale Regionale), facendo tornare la mente al periodo medievale, quando in quei territori crescevano gli ulivi. Le recenti piogge hanno portato la media mensile di luglio a 25 millimetri, cioè circa il 30% di quella storica. Le precipitazioni fin qui registrate nel 2022 sono prossime ad inedite performances negative, ma le alte temperature, favorendo lo scioglimento anche delle nevi perenni, hanno per paradossale conseguenza, una delle stagioni più favorevoli per la Dora Baltea. Nel mese appena concluso la temperatura media è stata di ben 3 gradi superiore alla norma, sfiorando addirittura i 40 gradi nelle località Saint Marcel e Saint Christophe.

Ancora a proposito di record, la portata media del fiume Po a Pontelagoscuro (ultimo rilevamento prima del delta) è stata, in luglio, pari a 160,48 metri cubi al secondo, cioè addirittura il 32,29% in meno del precedente record negativo di portata media mensile, registrato a luglio 2006. Non solo: quest’anno è stato toccato anche il nuovo record di portata minima con soli 104,3 metri cubi al secondo (24 luglio). Tra i laghi del Nord continua a decrescere il livello del lago Maggiore (rimane solo il 10,8% di risorsa ancora utilizzabile), mentre il Lario segna -0,6% sullo zero idrometrico (nuovo apice negativo: – cm. 39.9), il Garda è al 29,3% e l’Iseo è al 5,7% del riempimento. Il fiume Po, corroborato da temporali localizzati, ha registrato leggeri aumenti di portata, ma le rilevazioni più recenti dimostrano quanto effimeri siano i benefici che le piogge hanno apportato (in Piemonte sono caduti circa 30 millimetri di pioggia in 7 giorni, nel Ferrarese meno di 17 millimetri in un mese).

(Photo credits: Marco SABADIN / AFP)

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Veneto assetato: per riequilibrare il deficit da siccità servirebbero 477mm di pioggia ad agosto

Per riportare la situazione delle precipitazioni nella norma, in Veneto ad agosto dovrebbero cadere 477 mm di pioggia, “ossia quasi cinque volte la precipitazione media di agosto (pari a 101 mm, serie 1994-2021)“. E chiaramente questo è impossibile. Lo sottolinea Arpa Veneto nel suo ‘Rapporto sulla risorsa idrica’ nel quale fa il bilancio sulle precipitazioni, le portate dei fiumi, la situazione delle falde e le nevi nel mese di luglio nella regione.

Partendo proprio dalle nevi, è particolarmente drammatica la situazione sulle Dolomiti (nel versante Trentino il 3 luglio scorso, per il forte caldo, un seracco della Marmolada si è distaccato facendo 11 morti): “In quota nelle Dolomiti – riferisce l’agenzia per l’ambiente – il mese di luglio è stato, dopo il 2015, il più caldo dal 1988, con un valore oltre il 90° percentile (evento raro) rispetto al periodo 1991-2020. Gran parte delle giornate sono state calde oltre la media: il giorno più fresco è stato l’8 luglio, il più caldo il 21. La neve in quota è pressoché scomparsa anche nelle zone glaciali. Lo strato attivo del permafrost nel sito campione di Piz Boè, nella terza decade del mese, è più profondo di circa 80 cm (temperature positive fra i 4.5 e i 5.5 metri di profondità) rispetto alla media (fra i 3.5 e i 4.5 m di profondità)“.

Passando invece alle precipitazioni Arpa dice che “gli apporti meteorici registrati a luglio sono inferiori del 40% rispetto alla media, mentre le risorse nivali sono pressoché assenti. Per la falda acquifera quasi tutte le stazioni monitorate mostrano andamenti e livelli in genere inferiori a luglio 2017 anno in cui, per la maggior parte delle stazioni, si sono raggiunti i livelli minimi degli ultimi 20 anni“. Nel mese di luglio in Veneto sono caduti mediamente in 54 mm di precipitazione; la media del periodo 1994-2021 è di 90 mm (mediana 83 mm).

Dal 1994 sul Veneto sono stati misurati in luglio apporti mensili inferiori solo nel 2013 (52 mm) e 2015 (48 mm). Le massime precipitazioni del mese sono state registrate nel Bellunese dalle stazioni di La Guarda (Cesiomaggiore) con 207 mm, rio Rudan-Monte Antelao con 175 mm, Pian del Crep (Val di Zoldo) con 173 mm e Passo Valles (Falcade) con 163 mm. Le minime precipitazioni sono state misurate dalla stazione di Venezia Cavanis con 5 mm, mentre sulle stazioni di Mogliano Veneto (Treviso), Oderzo (Treviso), San Pietro in Cariano (Verona) e Fontanelle (Treviso) si sono rilevati circa 9 mm.

Allargando lo sguardo agli ultimi 6 e 12 mesi, Arpa riferisce di “condizioni di normalità solo sulla parte più settentrionale del bellunese. Sul resto della regione permangono segnali di siccità per lo più estrema, in particolare per l’arco temporale dei 12 mesi dove la siccità estrema occupa gran parte della regione, ad eccezione del bellunese meridionale e delle zone prealpine veronesi e vicentine dove la siccità è valutata severa“.

Osservando le portate dei fiumi, in luglio è proseguito il calo ‘fisiologico’ del volume nei principali serbatoi del Piave, con un rallentamento solo negli ultimi giorni: al 31 luglio il volume totale invasato è di 102,2 milioni di m3 (36,6 milioni di m3 in meno rispetto alla fine di giugno), pari al 61% del volume massimo invasabile, tra il 5° ed il 25° percentile della serie storica (1995-2021) e poco sotto la media del periodo (-22%, pari a -28.4 Mm3).

Infine non stanno meglio le falde: quasi tutte le stazioni monitorate mostrano andamenti e livelli in genere inferiori a luglio 2017 anno in cui, per la maggior parte delle stazioni, si sono raggiunti i livelli minimi degli ultimi 20 anni. Nel settore centrale ad esempio (alta pianura vicentina e padovana) la falda ha proseguito con significativi cali per Dueville e Schiavon e con piccole oscillazioni e una leggera tendenza negativa a Cittadella. Il pozzo di Dueville è andato in asciutta il 26 luglio con circa un mese di anticipo rispetto a quanto avvenuto nel 2003 e il pozzo di Schiavon ha ancora poco margine prima che la falda arrivi a fondo pozzo, cosa avvenuta solo nel 2003 e a fine estate.