L’ambizione di Fedriga: “Puntiamo a diventare riferimento internazionale per la sostenibilità”

Sostenibilità, prevenzione del rischio, decarbonizzazione, transizione ecologica e digitale. Con la pandemia e, più, ancora con lo scoppio della guerra in Ucraina, il mondo istituzionale – a ogni livello – e quello industriale sta facendo i conti con la necessità di una trasformazione epocale, verso un modello economico più equo, giusto e green. E, per il nostro Paese, il cambiamento climatico e le sue devastanti conseguenze sul territorio e in termini di vite umane, l’accelerazione si fa ancora più necessaria. Ne abbiamo parlato con il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, i cui piani in questa direzione sono decisamente ambiziosi.

E’ in corso a Rimini Ecomondo, che rappresenta un punto di incontro fondamentale per istituzioni, imprese, stakeholders nell’ambito dell’economia circolare e la sostenibilità. Quali azioni ha messo in campo il Friuli Venezia Giulia per favorire lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica?
“Questa amministrazione si è data un obiettivo ambizioso fin dal precedente mandato: fare del Friuli Venezia Giulia una regione di riferimento per la sostenibilità a livello internazionale. Un obiettivo che ora ha anche una cornice normativa specifica, quella della legge Fvgreen approvata lo scorso febbraio, che introduce la Strategia regionale per lo sviluppo sostenibile. La transizione ecologica del Friuli Venezia Giulia viene delineata come un processo strutturale multilivello, trasversale e partecipato che ha l’obiettivo di conseguire la neutralità climatica nel 2045, con cinque anni di anticipo sul termine europeo. A questa strategia è connesso il Piano regionale per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Il conseguimento dell’obiettivo di neutralità climatica implica il coinvolgimento dei Comuni e degli Enti locali e, a tal fine, la Regione valorizza l’adesione dei Comuni all’iniziativa comunitaria “Patto dei Sindaci per il clima e l’energia” e la conseguente predisposizione dei Piani di azione per l’energia sostenibile ed il clima.
Ma vi sono anche progettualità già concluse o avviate: penso alla dismissione dell’ex ferriera di Servola, al piano di elettrificazione delle banchine del porto di Trieste, e ancor più ad un progetto di respiro internazionale quale la Valle dell’idrogeno. La Regione in questo settore ha voluto rafforzare la propria collaborazione con i Paesi vicini di Slovenia e Croazia avviando un processo unico nel suo genere a livello europeo per la costituzione di una Valle dell’idrogeno del Nord Adriatico, un ecosistema integrato transnazionale che interessa l’intera catena del valore dell’idrogeno e una pluralità di investimenti ingenti in forma di “portfolio” di progetti”.

A Ecomondo partecipano oltre 30 aziende friulane, segno che la spinta verso la transizione è viva. Quale può essere il contributo delle imprese nell’accelerazione verso la green economy?
“Il contributo delle imprese è fondamentale perché possono incidere sui modelli produttivi e imprimere cambiamenti duraturi tali da diventare delle vere e proprie best practice. Penso al polo chimico di Torviscosa dove il gruppo Bracco da 20 anni ha investito su un modello di sviluppo sostenibile imprimendo una riconversione green ad un intero sito produttivo. Operazioni di questo genere sono possibili solo se c’è un patto istituzionale e territoriale forte.
Nel caso, invece, di aziende medio piccole la Regione cerca di incentivarne la transizione energetica attingendo alle risorse regionali e comunitarie. È il caso, ad esempio, del recente bando da 70 milioni di euro per l’autoproduzione di energia rinnovabile o il masterplan per il recupero dei complessi degradati”.

Case green, auto elettriche, decarbonizzazione: da dove è necessario partire per una transizione che sia realmente sostenibile, anche dal punto di vista economico e sociale?
“L’impegno della Regione come detto è trasversale. Noi siamo partiti da un investimento capillare sul fotovoltaico. Per i privati i fondi regionali già stanziati per le installazioni di impianti sulle abitazioni sono ad oggi 150 milioni. Per le aziende abbiamo canali di accompagnamento alla transizione energetica, tecnologica ed ecologica, che prevedono di immettere nel sistema, da qui a fine legislatura, 275 milioni di euro, tra risorse proprie e comunitarie”.

Ogni volta che si contano vittime e danni del maltempo, la parola ‘prevenzione’ torna protagonista. Si può davvero prevenire una tragedia del genere? E cosa servirebbe in più per la messa in sicurezza del territorio?
“Fortunatamente, contiamo su modelli di previsione sempre più accurati e riusciamo ad allertare il sistema con anticipo, ma la violenza di alcuni fenomeni è ancora imperscrutabile. Purtroppo lo abbiamo visto con la grandinata eccezionale di fine luglio, un fenomeno mai registrato prima addirittura a livello europeo, ma anche con l’ondata di maltempo di inizio novembre o prima ancora con la tempesta Vaia. La nostra Protezione civile è all’avanguardia e costituisce uno dei punti di riferimento della prevenzione a livello nazionale e transfrontaliero.
Sul fronte degli investimenti abbiamo destinato i circa 600 milioni a disposizione del Friuli Venezia Giulia per progetti legati al Pnrr e volti alla transizione ecologica. Fra le priorità rientrano la riduzione del rischio idrogeologico con la realizzazione di interventi complementari allo scolmatore del Cormor, messa in sicurezza delle arginature del torrente Torre e del fiume Isonzo (241 milioni); investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico (20 milioni); realizzazione di impianti irrigui, micro invasi e laghetti per la razionalizzazione delle risorse idriche (269 milioni). Un altro fronte su cui stiamo lavorando è il nuovo Piano di governo del territorio che servirà a contenere il consumo di suolo, a razionalizzare le infrastrutture e a definire una strategia di sviluppo di lungo periodo”.

Sostenibilità, Fondazione Guido Carli lancia la task force con top manager e imprenditori

Nasce una task force permanente di top manager e imprenditori per offrire contributi qualificati di idee al governo e ai decisori politici in materia di sostenibilità ambientale, economica e sociale. Con una missione chiara: elaborare progetti e proposte per saldare la tutela dell’ambiente alla crescita e all’occupazione. Il gruppo di lavoro indipendente sarà il lascito strutturale della Convention inaugurale della Fondazione Guido Carli dedicata a ‘Sostenibili futuri. Guida visionaria al domani che vogliamo‘, in programma il 1° dicembre alle ore 17.30 a Roma, nella Sala della Regina della Camera dei deputati, dove fino al 2018 si era svolto il Premio Guido Carli.

Ad aprire i lavori della Convention sarà la vicepresidente della Camera, Anna Ascani. Dopo il saluto iniziale della presidente della Fondazione Guido Carli, Romana Liuzzo, interverrà, a nome del governo, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi. L’avvio del dibattito sarà affidato a Giampiero Massolo, consigliere della Fondazione Guido Carli.

Nel panel, moderato dal vicedirettore del TG5, Giuseppe De Filippi, otto relatori di altissimo profilo andranno a comporre la task force: Paolo Barletta, ceo & founder Arsenale Spa; Domitilla Benigni, ceo e coo Elettronica; Sergio Dompè, presidente Dompè Farmaceutici Spa; Luigi Ferraris, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Italiane; Andrea Illy, presidente di Illycaffè; Claudia Parzani, presidente di Borsa Italiana; Ettore Prandini, presidente della Coldiretti; Alessandra Ricci, ad di Sace.

Contro il rischio di trasformare la sostenibilità in un termine inflazionato, buono per operazioni di greenwashing – afferma Romana Liuzzo (nella foto) – abbiamo voluto radunare figure di primo piano delle istituzioni e della nostra impresa che si confrontano ogni giorno con la sfida dello sviluppo sostenibile, in un mondo post Covid provato da tensioni geopolitiche, inflazione elevata e nuove guerre. Ciascuno ci regalerà una tessera del mosaico che proveremo a comporre per donarlo come possibile bussola per la definizione delle policy. Dalla farmaceutica alla sicurezza, dall’agricoltura all’alimentare, fino al mondo della finanza e all’hospitality, è in atto una rivoluzione silenziosa che sta riorientando processi e prodotti, inducendo tutte le organizzazioni a cambiamenti profondi, anche nei sistemi di valori. La capacità di guardare lontano, appannaggio di pochi, si sta affermando come requisito indispensabile per trasformare le crisi in opportunità. Tra quei pochi vi era Guido Carli, statista illuminato, come lo ha definito il Presidente Mattarella, fautore ante litteram della sostenibilità a tutto campo, anche per la sua costante fiducia nelle nuove generazioni. Futuri sostenibili, ancorati alla crescita, erano quelli che mio nonno sognava, da Governatore della Banca d’Italia, da Ministro del Tesoro e da Presidente di Confindustria, auspicando un Paese aperto e meritocratico. Un’Italia dei giovani, per i giovani“.

Il parterre della Convention sarà quello delle grandi occasioni. In prima fila siederanno personalità istituzionali come il generale Francesco Paolo Figliuolo, comandante del Covi e commissario straordinario per l’emergenza in Emilia-Romagna, Toscana e Marche, il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, la senatrice di Azione, Mariastella Gelmini, e la deputata della Lega, Simonetta Matone, il senatore Andrea Paganella, gli onorevoli Michela Vittoria Brambilla, Maria Elena Boschi, Matteo Colaninno e Federico Mollicone, il presidente del Cnel, Renato Brunetta, l’ambasciatore italiano presso la Santa Sede, Francesco Di Nitto, l’assessore ai Grandi eventi, Sport, Turismo e Moda di Roma Capitale, Alessandro Onorato. Hanno già confermato la loro partecipazione anche il neo presidente della Luiss Guido Carli, Luigi Gubitosi, l’ad di Invitalia, Bernardo Mattarella, l’ad di Medusa, Giampaolo Letta, il presidente di Simest, Pasquale Salzano, la presidente di Paglieri Spa, Debora Paglieri, e il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana.

L’appuntamento inaugurerà la stagione di attività 2023-2024 della Fondazione, interamente dedicata all’impatto delle scelte del presente sull’avvenire, tracciando il sentiero che culminerà a maggio 2024 con le celebrazioni per il 15esimo anniversario del Premio Guido Carli. La convention si svolgerà in presenza e sarà trasmessa anche in diretta streaming sui canali social della Fondazione Guido Carli.

Trasporti, per mobilità sostenibile dall’Ue servono meno regole e più incentivi

Transizione e sostenibilità non sono in discussione, ma nei modi l’Unione europea sta spingendo troppo sull’acceleratore. Troppe ambizioni e regole troppo severe, che rischiano di lasciare l’Ue al palo e, soprattutto, soccombere ad una concorrenza decisa di Stati Uniti e Cina. Servono cambi di passo, un compito lasciato a questo punto alla prossima legislatura. A fare il punto della situazione Withub, nell’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’ dedicato alla mobilità pulita.

Un tema, quest’ultimo, che già tanto ha fatto discutere e che ancora continua a far discutere. Perché, sostiene l’europarlamentare Carlo Fidanza, membro della commissione Trasporti, “la strada della transizione non è in discussione, ma il tema è capire come arrivare alla meta”, e qui l’Ue sembra aver sbagliato qualcosa. L’esponente dei conservatori europei (Ecr) contesta in particolare la scelta compiuta sui motori del futuro, e la decisione di inserire nella strategia ‘green’ a dodici stelle i soli combustibili sintetici. Da un punto di vista industriale, critica Fidanza, “oggi siamo all’avanguardia sui biocarburanti, e non tenere conto di questa filiera per un Paese come l’Italia è un colpo pesante, anche per l’indotto dell’automotive, che non potrà essere rimodulato”. Da un punto di vista di agenda sostenibile, invece, “se si conteggiano le emissioni solo allo scarico si crea un indirizzo tecnologico mono-direzionale”. Da un punto di vista di politiche, dunque, “è stato un errore non tenere aperte le porte a delle alternative”. Un errore che viene imputato ad un “approccio ideologico della Commissione e di Timmermans”, il commissario responsabile per il Green Deal nel frattempo dimessosi per correre alle elezioni olandesi di novembre.

C’è poi un secondo errore strategico, a detta di Marco Stella, vicepresidente di Anfia-Associazione nazionale filiera industria automobilistica. “L’ansia più grande che rimane è quella regolatoria”, e questo rischia di penalizzare l’Ue e la sua competitività economica. “Quello che ci differenzia dalle due grandi arre con cui ci confrontiamo a livello industriale, Stati Uniti e Cina e Asia, è che noi abbiamo avuto l’ansia di regolamentare l’industria mentre loro hanno stimolato l’industria”. Facendo un paragone, “noi (europei, ndr) ci siamo preoccupati di mettere la bandierina della sostenibilità, loro (Stati Uniti e Cina, ndr) hanno messo sul terreno aiuti”, come dimostra anche l’Inflation reduction act varato dall’amministrazione Biden, il piano da circa 369 miliardi di dollari per sostenere l’industria del green-tech. Ecco, nella corsa alla transizione “c’è stato da parte nostra un disarmo volontario”, lamenta ancora il vicepresidente di Anfia. “Abbiamo lasciato loro la leadership”. Per questo “l’auspicio è che nella prossima legislatura Ue si pensi profondamente all’industria del nostro continente”.

La questione del sostegno è centrale anche per Massimo Nordio, presidente di Motus-E. “Oggi c’è bisogno di un aiutino. Parlo degli incentivi”. Certo, l’Ue ha meno disponibilità, e regole comuni di spesa per tenere in ordine conti pubblici dissestati da crisi sanitaria prima e crisi energetica poi. Ma servono interventi, visto e considerato che, insiste Nordio, “il sistema degli incentivi nel passato ha funzionato”. Questo per l’impresa non può essere ignorato, poiché quando si parla di mobilità sostenibile “il mercato che non si sta sviluppando è quello della fiscalità dell’auto”. Che si scelgano sgravi, incentivi o bonus “l’auto elettrica deve essere trattata, dal punto di vista fiscale, in maniera diversa perché è una scelta virtuosa e coraggiosa”. In Italia “interloquiamo con il governo anche da questo punto di vista”, affinché la politica tricolore possa fare pressione a livello Ue per un cambio di rotta ritenuto imprescindibile.

Marco Castagna, presidente di Duferco energia, attira l’attenzione sulla necessità di sostegno all’auto elettrica e le sue potenzialità sfatando quello che considera un mito. “Quello dei tempi di ricarica nelle aree di sosta è un falso problema, perché alla fine decido io quando e dove ricaricare”. Certo, riconosce, “il tema rimane il prezzo” al concessionario, ma, “andrebbe considerato il prezzo dell’intero ciclo”, perché l’auto elettrica “costa molto meno in manutenzione” rispetto a un’auto tradizionale. Stando ai numeri diffusi da Withub nel corso dell’evento, c’è tanto in ballo, soprattutto per l’industria italiana. Ad agosto 2023 i numeri di immatricolazioni auto elettriche sono i seguenti: 165.165 in Regno Unito, 86.649 in Germania, 19.657 in Francia, 4.055 in Italia, 3.583 in Spagna. L’Italia fa fatica. E rischia di continuare a fare fatica per le scelte compiute.

La decarbonizzazione trasporti è già iniziata: è resa possibile dalle tecnologie già disponibili, come il biocarburante HVO, già disponibile in purezza, che può essere utilizzato con le infrastrutture esistenti e in molti veicoli già in circolazione”, scandisce Alessandro Sabbini, Responsabile Relazioni Istituzionali Centrali di Eni. “L’HVO – spiega – è un esempio di economia circolare applicata alla mobilità e contribuisce da subito alla riduzione delle emissioni del trasporto stradale, anche pesante, e dei traporti aereo, marittimo e ferroviario”.

Massimiliano Salini (Fi/Ppe), membro della commissione Trasporto del Parlamento europeo, insiste sulla necessità di un più ampio ventaglio di scelte. “Indicare un’unica formula produce in genere l’effetto contrario di quello che volgiamo ottenere”, dice riferendosi allo stop europeo ai biocarburanti. “Il principale alleato della transizione è l’innovazione e il principale alleato dell’innovazione è la libertà tecnologica, quello che noi definiamo neutralità”. L’auspicio implicito è un cambio di rotta, affidato alla prossima legislatura che verrà. “Nessuno chiede di ridurre le ambizioni, ma di farlo collocando queste sfide nel tempo e nella storia, in modo che tutti possano concorrere: industria, i cittadini con la tutela delle loro tasche, e la politica affezionata all’ambiente ma affezionata a quella sintesi che noi cerchiamo di realizzare tra ambiente, innovazione tecnologica e il mantenimento in vita di una brillante manifattura che fa il bene dell’economia europea”.

Un’impostazione condivisa da Alberto Moro, direttore generale Automotive di Bitron, azienda che guarda alla transizione a 360 gradi. “Sui biorcarburanti possiamo sviluppare i motori termici. Sull’idrogeno abbiamo iniziato a lavorare da qualche anno e abbiamo prodotto delle soluzioni innovative, da fornire ai clienti”. Perché nel mondo e nella mobilità che cambiano “la sperimentazione tecnologica gioca un ruolo strategico” e a Bitron “cerchiamo di anticipare i bisogni dei nostri clienti”.

Torna a Venezia il Sustainable Fashion Forum: sfida transizione

Il 26 e 27 ottobre torna tra le calli, per il secondo anno, il ‘Venice Sustainable Fashion Forum‘, il summit dedicato alla moda sostenibile.

Boosting Transition‘ è il titolo scelto per l’edizione 2023: l’obiettivo è sottolineare l’urgenza di interventi efficaci per la riduzione dell’impatto ambientale e sociale dell’industria del fashion. L’invito è rivolto a tutti gli attori della filiera, in particolare alle istituzioni, al mondo politico e al legislatore, perché promuovano un approccio coeso, anche attraverso un sistema normativo omogeneo.

La transizione sostenibile è una “questione strategica urgente” per il settore, conferma il presidente di Sistema Moda Italia, Sergio Tamborini. Nei primi sei mesi del 2023, il comparto ha registrato un fatturato di circa 58 miliardi di euro, con una proiezione di crescita del 7,3% per il primo semestre e una previsione a fine 2023 di circa 112 miliardi di fatturato.

La due giorni sarà anche un’occasione per lanciare un appello alla finanza, che può avere un ruolo chiave per aiutare il comparto ad allinearsi a nuovi standard condivisi a livello internazionale. Il settore non resta fermo: in un solo anno, le top 100 aziende fashion europee hanno tutte incrementato i propri presidi di sostenibilità del 17% negli ambiti ESG. Tuttavia, delle 100 aziende analizzate, la best-in-class soddisfa solo il 70% dei requisiti di maturità dei presidi ESG, il percorso verso la sostenibilità è, anche per i migliori, in salita.

Nella prima giornata, saranno analizzati gli scenari geopolitici che influenzano il tema della sostenibilità e del cambiamento climatico a livello globale. Verranno indagate le implicazioni del fast fashion, il tema dei diritti umani dei lavoratori, il ruolo dell’attivismo e della sensibilizzazione dei consumatori alla luce delle crescenti disuguaglianze economiche e sociali. Climate change al centro, con l’analisi di alcuni dei principali fattori d’impatto, dalle emissioni di sostanze inquinanti al consumo e alla contaminazione delle acque, fino agli effetti sulla biodiversità. La discussione si concentrerà sul ruolo chiave dell’innovazione come acceleratore di transizione. Gli imprenditori condivideranno buone pratiche e soluzioni efficaci per coniugare competitività e resilienza con un approccio responsabile.

La seconda giornata verrà dedicata alle regolamentazioni e alla finanza sostenibile e alle possibili nuove soluzioni alle sfide globali, dal riuso all’ecodesign, fino ai nuovi modelli di business per aderire alle aspettative dei consumatori. Verranno formulate proposte, raccomandazioni, richieste degli stakeholder. “Per una transizione giusta del settore Fashion & Luxury non si può che partire dalla manifattura“, è convinto Flavio Sciuccati, Partner The European House-Ambrosetti e Director Global Fashion Unit. In questa transizione, l’Italia delle filiere e dei distretti della moda, ribadisce, “ha un ruolo centrale“. Sciuccati parla di una sfida che potrà essere affrontata con successo solo attraverso “la ricerca scientifica di nuove soluzioni e prodotti sempre più durevoli, riusabili e differenziabili“. Questo richiederà investimenti difficili da sostenere per le aziende del settore, spesso PMI che operano con marginalità inferiori rispetto a quelle di imprese più vicine alla distribuzione e al consumatore.

Criosabbiatura: la pulizia industriale sostenibile della A&G Chemical

E’ possibile combinare la pulizia industriale con la sostenibilità ambientale? A rispondere ‘sì’ alla domanda è la A&G Chemical Production, azienda di Osio Sotto (Bergamo) leader in Italia e in Europa nella criosabbiatura con ghiaccio secco. Si tratta di una tecnologia che utilizza aria compressa e ghiaccio secco per rimuovere lo sporco dalle superfici senza utilizzare prodotti chimici, acqua o abrasivi. La A&G, nata nel 1989 con la produzione di detergenti industriali, a metà degli anni Novanta ha scoperto, appunto, la sabbiatura criogenica e ha deciso di investirci, soprattutto in ricerca e sviluppo, diventando così una realtà praticamente senza concorrenti. A raccontarla a GEA è Bruno Allegrini, titolare dell’azienda e ‘mente’ dietro l’intero progetto.

Come è nata l’idea di avvicinarsi alla sabbiatura criogenica?

“Me ne sono innamorato, l’ho vista su internet e mi sono reso conto che era un po’ come chiudere il cerchio della mia attività, cioè riuscire a pulire senza utilizzare acqua, detergenti, solventi e abrasivi. Quindi prodotti chimici che possono inquinare. Mi sono informato, sono andato in giro per l’Europa per cercare la tecnologia che veniva dall’America e dal Nord Europa. Ho cominciato acquistando una macchina usata per vedere come funzionava e così è nata l’avventura della sabbiatura. Non lo faceva praticamente nessuno in Italia, nessuno portava avanti questa tecnologia perché non trovava sbocchi. Per le grandi aziende era un’attività talmente irrisoria che non valeva la pena investirci, per noi, invece, che eravamo una piccola azienda, era la novità che poteva darci una mano per crescere e farci conoscere”.

E così è iniziata l’avventura. Perché, in principio, i clienti si sono avvicinati a voi?

“Il primo cliente è stato la Ferrero, dove andavamo a rimuovere i residui delle cialde quando i forni dovevano essere puliti. Fino ad allora lo facevano con prodotti chimici e con un’attività molto più lunga, inquinante e dispendiosa anche in termini di mancata produttività. Per pulire un forno noi ci mettevamo circa 5 ore, loro impiegavano 10 giorni. La produttività è aumentata in maniera incredibile, con l’abbattimento dei costi. Il vantaggio economico c’era e c’è, e questo è stato sicuramente il primo approccio. A oggi abbiamo due tipi di clienti. Ci sono quelli che ci utilizzano come service, dove quindi andiamo direttamente con le nostre macchine a fare gli interventi, come Ansaldo, Ferrero e Fiat, e quelli che invece acquistano i nostri macchinari e li usano durante il processo, ad esempio le fonderie”.

Ora, però, la questione ambientale è diventata di stringente attualità. Ha avuto un impatto sulla vostra attività?

“Se prima la criosabbiatura era interessante sotto l’aspetto economico, ora diventa in alcuni casi necessaria per il suo bassissimo impatto ambientale, visto che va a eliminare i residui carboniosi, lo smaltimento dei rifiuti e l’utilizzo di solventi e detergenti industriali. Per esempio, ultimamente siamo intervenuti con la criosabbiatura sul tessuto denim, che viene trattato chimicamente e con abrasivi per renderlo del colore azzurro del jeans. Nel trattamento dei tessuti l’acqua utilizzata ha quantità spaventose, utilizzare la criosabbiatura ne diminuisce moltissimo l’uso. E questo è uno degli obiettivi primari dell’industria tessile”.

E voi, all’interno dell’azienda, che tipo di politiche avete sulla sostenibilità ambientale?

“Abbiamo da 15 anni un impianto fotovoltaico, siamo autonomi per l’energia elettrica. E poi non smaltiamo praticamente nulla, utilizziamo gli scarti di produzione per i sottoprodotti e non immettiamo niente nell’ambiente. Per quanto riguarda la produzione di detergenti, cerchiamo sempre di studiarne di nuovi con tensioattivi di natura vegetale che inquinino il meno possibile. I contenitori sono in plastica riciclabile, con etichette che indicano dove buttare le parti per cercare di aiutare il consumatore ad essere il più responsabile possibile nello smaltimento”.

Per chi lavora come voi nel campo della chimica le regole a livello nazionale ed europeo sono sempre più stringenti. Sono chiare o ci sono delle zone d’ombra?

“Le normative a livello di ghiaccio secco sono abbastanza chiare. Non ci sono buchi, anche perché ancora oggi è un’attività di nicchia. Per quanto riguarda i detergenti invece le norme sono sempre più complicate. Passiamo giornate intere a correre dietro alle normative e metterci a posto, e devo dire che le regole non sempre sono chiare. Oltretutto ci sono tante aziende che lavorano in maniera non corretta e continuano a operare come 15 anni fa, cosa che non si può più fare”.

Cosa servirebbe per migliorare la vostra attività?

“Servirebbero semplificazione e finanziamenti. Quelli che ci sono a livello europeo sono praticamente irraggiungibili. Ti trovi nelle condizioni di dover avere un budget di spesa talmente alto che per un’azienda come la nostra non ha senso. Si dovrebbe trovare il modo di riuscire a dare una mano anche a aziende come la nostra, magari con il medio credito, in modo da darci qualche finanziamento o aiuti a tasso zero. Questo ci aiuterebbe nello sviluppo: la A&G è un’azienda di ricerca, i nostri clienti cercano sempre qualcosa di nuovo e noi lavoriamo per darglielo”.

Giorgetti: “La Manovra sarà complicata, non si può fare tutto. La parola chiave è sostenibilità”

La parola chiave è sostenibilità. A ripeterlo – più volte – è il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, partecipando al Meeting di Rimini. Il responsabile del Mef, come suo solito, resta abbottonato, ma qualche indicazione la fornisce comunque. Linee di massima che, per un “decisore”, un “politico”, per usare le sue stesse parole, sono comunque messaggi. In primis alla sua maggioranza, ma anche all’opposizione, perché alle porte c’è il lavoro sulla prossima legge di Bilancio. Giorgetti non usa giri di parole: “Sarà complicata come tutte le manovre, siamo chiamati a decidere delle priorità, non si può fare tutto”. A buon intenditor, poche parole insomma. Perché “dovremo certamente intervenire a favore dei redditi medio bassi” con la decontribuzione per frenare gli effetti dell’inflazione, ma allo stesso tempo “dovremo anche utilizzare le risorse a disposizione per promuovere la crescita” e “promuovere e premiare chi lavora, siano essi lavoratori o imprenditori”.

Ed ecco il punto cruciale del suo ragionamento: la sostenibilità. Perché “nulla è gratis, quando si fa debito o deficit dobbiamo sempre pensare anche a questo concetto”. Il ministro passa in rassegna alcuni grandi cambiamenti, che ovviamente toccano anche l’economia, annotando che ad oggi gli strumenti di misurazione non sono adeguati. “Tutti gli indicatori a livello internazionale ed europeo fanno sempre riferimento a questo benedetto Pil, che noi sappiamo benissimo essere nato come una misurazione nazionale, ma si può gonfiare anche facendo spese totalmente assurde o spese pubbliche che non promuovano lo sviluppo economico”, dice con rimpianto.

Ma “è quello che abbiamo e che dobbiamo utilizzare”, aggiunge con un pizzico di rassegnazione. Non troppa, però, visto che il Prodotto interno lordo “non ci permette di cogliere fenomeni importanti”, come “il degrado dell’ambiente, che oggi è diventato veramente un tema centrale”.

Giorgetti consiglia di “non leggere” le soluzioni che si trovano sui giornali o nel dibattito quotidiano, dai quali “da qualche giorno le proposte più o meno corrette o strampalate fioccano”. Serve realismo, per questo motivo sostiene che “non c’è nessuna riforma o misura” legata alle pensioni “che tenga nel medio e lungo periodo” con la “denatalità che abbiamo oggi in Italia”.

Il responsabile del Mef parla anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche in questo caso chiarendo con molta precisione quale sia la sua visione. “Non c’è semplicemente il puntuale rispetto, il fare in fretta, ma anche fare bene”, sottolinea, e per questo garantisce che “la responsabilità del governo è massima, così come l’impegno”. Ma “se fare in fretta significa fare male, è meglio valutare attentamente le situazioni, perché è un’occasione unica per promuovere la crescita, lo sviluppo e anche la conversione di tante imprese nel nostro Paese”. Inoltre, “queste risorse che solo parzialmente sono gratis, mentre altre pagano i loro interessi, quindi non possono essere sprecate anche per questo motivo”. Ergo “devono essere usate nel modo migliore possibile”. L’antipasto d’autunno è servito alla tavola della politica.

smartphone

Batterie, entra in vigore il regolamento Ue per una catena di valore più sostenibile

“Le batterie sono strategiche per la transizione dell’Ue verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico”. Lo scrive la Commissione Europea su X annunciando che dal 17 agosto “il Regolamento sulle batterie garantirà che le batterie siano sicure, circolari e sostenibili durante il loro intero ciclo di vita”. Il via libera definitivo al Regolamento presentato nel 2020 dalla Commissione Ue – sulla base dell’accordo tra i co-legislatori del 9 dicembre 2022 – era arrivato lo scorso 14 giugno dall’Eurocamera e il 10 luglio dal Consiglio dell’Ue.

Il nuovo Regolamento rafforza le norme di sostenibilità per le batterie e ne disciplina l’intero ciclo di vita, dalla produzione al riutilizzo, fino al riciclo dei rifiuti. Sono incluse tutte le batterie e i relativi rifiuti: batterie portatili, industriali, per i veicoli elettrici, per l’avviamento, l’accensione e la fulminazione (utilizzate principalmente per veicoli e macchinari) e per mezzi di trasporto leggeri (biciclette elettriche, monopattini elettrici ed e-scooter).

Al centro della legislazione comunitaria c’è lo sforzo di ridurre gli impatti ambientali e sociali durante l’intero ciclo di vita delle batterie, con regole stringenti per gli operatori che devono verificare l’origine delle materie prime utilizzate per le batterie immesse sul mercato. Per questo motivo sono previsti requisiti di etichettatura e informazione sui componenti e sul contenuto riciclato, anche attraverso un “passaporto della batteria” elettronico (entro il 2026) e un codice QR (entro il 2027).

Per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti di batterie portatili da parte dei produttori, è stato stabilito l’obiettivo del 45 per cento entro la fine del 2023, del 63 entro il 2027 e del 73 entro il 2030, con un target specifico per i rifiuti di batterie per mezzi di trasporto leggeri al 51 per cento entro la fine del 2028 e al 61 entro il 2031. Sul piano dei livelli minimi di litio recuperato dai rifiuti di batterie è previsto l’obiettivo del 50 per cento entro la fine del 2027 e dell’80 entro il 2031. Per cobalto, rame, piombo e nichel è invece pari al 90 per cento entro il 2027 e al 95 entro il 2031.

Tra le introduzioni del nuovo Regolamento Ue c’è anche l’obbligo entro il 2027 per cui le batterie portatili incorporate negli apparecchi siano rimovibili e sostituibili dall’utente finale, lasciando agli operatori il tempo sufficiente per adattare la progettazione dei loro prodotti a questo requisito.

Entro l’anno la riforma dei porti: verso un’agenzia nazionale

Entro l’anno sarà presentata la riforma dei porti, infrastrutture fondamentali per l’Italia da dove passa il 39% dell’import-export per un valore di 377 miliardi. Un interscambio via nave che ha mostrato una ripresa solida nel 2022, con un + 38%, 10 punti percentuali in più rispetto alla performance dell’interscambio nel suo complesso, come fa sapere l’ultimo report di Intesa Sanpaolo e Assoporti.
Per anticipare le linee guide della riforma, il viceministro ai Trasporti, Edoardo Rixi, ha sempre sottolineato che sarà messo “al centro l’interesse di ogni singolo scalo, nel rispetto delle rispettive vocazioni specialistiche e territoriali. Inoltre, abbiamo chiesto uno screening per tutti gli interventi che riguardano il Fondo complementare per permettere una immediata riprogrammazione dei fondi in modo che si possano utilizzare tutte le risorse Pnrr dedicate al settore marittimo“. Il testo che arriverà per dicembre, come ha più volte spiegato il ministro Matteo Salvini, sarà inserito in una apposita legge delega. E, tecnicamente, la riforma dovrebbe prendere il buono del cosiddetto modello spagnolo. “Con il suo Puertos del Estado abbinato a una autonomia locale di alcuni porti” è la rotta che il governo intende seguire, ha spiegato Rixi a Shippingitaly.it, sottolineando però come alla base di questo processo di rinnovamento serva “una visione nazionale”, con “lo Stato che deve mantenere il controllo pubblico sugli scali portuali”.

In Italia il ruolo e la funzione rappresentata da Puertos del Estado iberico – ipotizza Shippingitaliy.it – “potrebbe essere assunta da Assoporti (se ne saranno ampliate risorse e competenze) e non sarebbe troppo diversa dalla missione pianificatoria e di coordinamento svolta in ambito aeroportuale da Enac (ente nazionale per l’aviazione civile)”. Attualmente le autorità di sistema portuale sono enti pubblici di personalità giuridica che – come spiega il sito del Mit – hanno, “tra gli scopi istituzionali, la gestione e l’organizzazione di beni e servizi nel rispettivo ambito portuale”. Nel 2016 l’allora ministro Graziano Delrio riordinò le Autorità portuali ridisegnando il sistema di governance. Di fatto i 58 porti di rilievo nazionale sono coordinati da 15 Autorità di sistema portuale, cui viene affidato un ruolo strategico di indirizzo, programmazione e coordinamento del sistema dei porti della propria area, con le Regioni che possono chiedere l’inserimento nelle Autorità di Sistema di ulteriori porti di rilevanza regionale. Per garantire la coerenza con la strategia nazionale si prevede l’istituzione di una Conferenza nazionale di coordinamento delle authority, però manca una vera e propria agenzia capace – come punta la riforma – a decidere una strategia nazionale basata sugli interessi del Paese.

Di fatto ogni ente è indipendente nella gestione e nella fissazione dei canoni. Una mole di dati che paradossalmente non è nelle disponibilità del ministero dei Trasporti, proprio perché ogni authority è autonoma, creando magari contrapposizioni o addirittura arrivando a farsi concorrenza. Nelle intenzioni del governo c’è comunque – come diceva Rixi – la tutela delle “vocazioni specialistiche e territoriali”, in vista anche di una possibile aumento dell’autonomia delle regioni, che potranno avere eventualmente un ruolo maggiore nella governance del porto. “Stato forte, struttura del ministero forte e solida e visione politica che ha in mano il ministero delle infrastrutture e del Trasporti”, chiede Stefano Messina, presidente di Assarmatori. La nascita di una agenzia nazionale permetterebbe anche di integrare le altre infrastrutture necessarie per il transito di merci nelle terraferma, decidendo investimenti mirati ed evitando doppioni costosi.

A proposito di costi. Per i porti è previsto un cospicuo capitolo del Pnrr. La cabina di regia ieri ha varato le modifiche al Piano nazionale di ripresa e resilienza e le proposte per il capitolo aggiuntivo del RePowerEu dedicato alla transizione energetica. La revisione prevede lo spostamento di alcuni progetti, che andranno rifinanziati con fondi differenti da quelli previsti dal Pnrr e una ricalibrazione degli obiettivi, fra questi 400 milioni dovrebbero andare ai porti con l’obiettivo è il potenziamento dell’elettrificazione delle banchine portuali per la riduzione delle emissioni delle navi nella fase di stazionamento in porto (cold ironing). Risorse che si aggiungono ai 9,2 miliardi previsti che andranno andranno a finanziare interventi in 47 porti di 14 regioni diverse e di competenza di 16 differenti Autorità di sistema portuale. Metà dei fondi va ai porti del Mezzogiorno, il 37,7% a quelli del Nord e il restante 15,4% a quelli del Centro Italia. Saranno finanziate opere per la “resilienza delle infrastrutture ai cambiamenti climatici” e per l’efficientamento energetico delle banchine, ma anche misure per il dragaggio e la realizzazione di nuovi moli. Tutti interventi che, secondo la riforma, dovranno essere coordinati per sfruttare le previsioni del trasporto marittimo mondiale, segnalato in crescita in termini di tonnellaggio: +1,6% per il 2023 e +2,8% per il 2024. Oil & Gas sono le commodities che incontreranno le prospettive più favorevoli, spinte dalla necessità di trasporto conseguenti alla guerra in corso. In particolare le stime per l’area del Mediterraneo sono di +3,5% per la movimentazione media annua dei container nei prossimi 5 anni contro il 2,8% del mondo.

Sestriere, il campo da golf dove i green sono sempre più green

E’ il campo da golf più alto d’Europa con i suoi 2035 metri, abbarbicato tra le montagne che hanno ospitato le Olimpiadi del 2006 e molte gare di coppa del mondo di sci, ma adesso è anche il più sostenibile. Fareway e green del percorso di Sestriere sono infatti trattati senza l’uso di fitofarmaci come recita un grande cartello all’ingresso della club house ‘a cielo aperto’. Significa che la cura dei greenkeeper, ovvero degli addetti alla manutenzione delle spettacolarissime 18 buche, avviene nel modo più ‘sano’ possibile, evitando la contaminazione del terreno e preservando la salute dei giocatori. “E’ un nostro motivo di orgoglio”, dice Donatella Bertrand, la manager del Sestriere golf club. Sarebbe più facile e meno rischioso usare sostanze chimiche ma tutto questo mal si accompagna con la policy che si è voluta dare la direzione operativa del campo.

Verde, verdissimo, mai così tirato a lucido grazie anche alle abbondanti piogge di giugno, il percorso che ha come presidente l’ex gloria dello sci Paolo De Chiesa, ha l’ambizione di staccare un altro record: quello della sostenibilità ambientale, un viaggio virtuoso intrapreso anche durante l’inverno quando le buche sono in realtà piste e il sistema neve fa divertire migliaia di appassionati. “Tutti i trattamenti sono in linea con le prerogative green che ci siamo imposti”, ricorda ancora Bertrand. E gli appassionati rispondono. Nella pro am che si è disputata domenica scorsa, oltre centoventi partecipanti si sono dati battaglia in una giornata di sole e di vento. Ad aggiudicarsi il primo premio lordo è stata la quadretta di Filippo Armand, mentre il 1° netto al team di Emanuele Bolognesi, il 2° netto a quello di Marco Brizzolara. Terzo posto per Guido Jacopo.

Radici Group, storia dell’abito da sera che nasce da un fagiolo

Un abito da sera plissettato, ricamato, con le maniche a sbuffo, compare, completo, direttamente da una macchina. Non ha cuciture, non ha scarti. In più, viene da un fagiolo. Sembrerebbe un remake di Cenerentola, in chiave moderna, invece è quello che Radici Group è riuscito a realizzare con il Biofeel Eleven e che ha portato in passerella nei Mercati dei fori di Traiano a Roma, per il Phygital Sustainability Expo, gli stati generali della sostenibilità della moda.

Presentiamo un abito davvero speciale“, racconta a GEA Chiara Ferraris, head of corporate communication and external relations del gruppo, che produce in tutto il mondo poliammidi, fibre sintetiche e tecnopolimeri.

Come nasce un filato da un fagiolo?

“II piccolo fagiolo nasce in India, da una pianta che si chiama Eranda. Dal fagiolo si ricava un olio che dà origine a un biopolimero al 100% naturale, che dà vita a questo filato che si chiama Biofeel Eleven. Oltre a essere 100% naturale, ha una impermeabilità naturale, è estremamente duttile e può essere utilizzato in molteplici applicazioni. E’ uno splendido abito da sera quello che presentiamo, ma utilizziamo il filato tranquillamente anche per abiti sportivi. L’abbiamo tra l’altro realizzato con una tecnologia grazie alla quale la macchina produce l’abito completo, senza dover fare assolutamente nulla, nessuna cucitura. Ma è estremamente articolato. Ha delle forme particolari ma totalmente senza gli scarti. In più, essendo materiale con caratteristiche termoplastiche, è al 100% recuperabile, per essere trasformato in qualcosa di nuovo nella sua seconda vita, con un altro valore. Zero scarti, impatto ambientale bassissimo e performance elevate per un abito davvero bello esteticamente”.

Come funziona un gruppo internazionale che vuole essere sostenibile?
“Radici è di proprietà italiana ma conta tremila persone nel mondo, più della metà in Italia. Abbiamo delocalizzato, sì, ma produciamo in America quello che vendiamo in America, in Asia quello che vendiamo in Asia e in Europa quello che vendiamo in Europa. Il nostro tessile è europeo”.

Il settore della moda però è tra i più inquinanti…
“In realtà, oggi è al quarto-quinto posto, non è più considerato tra i primissimi settori inquinanti. Detto ciò, è vero: il mondo dell’abbigliamento genera tantissimi capi e questo è dovuto soprattutto al nostro modo di acquisto. Noi, come Radici, in questo ambito abbiamo una storia molto lunga: quest’anno pubblichiamo il nostro 19esimo bilancio di sostenibilità. Significa che sono già 19 anni che rendicontiamo in modo trasparente la nostra sostenibilità. Se ci si misura si può capire come attivarsi per essere ancora più sostenibili e noi ci rendicontiamo a livello di bilancio, ma costruiamo anche gli Lca su tutti i nostri prodotti. Misuriamo per ogni filato quale sarà e come si è generato l’impatto ambientale. Il primo tema per essere sostenibili è imparare a misurarsi e capire come poter attivarsi per poter cambiare le cose”.

Misurare la propria sostenibilità ha costi importanti. Ne vale la pena?
“Ne vale sicuramente la pena. Per completare un Life Cycle Assessment ci vogliono da 1 a 2 mesi, se il prodotto è semplice, ma arriviamo anche a sei mesi. Sono sicuramente attività che occupano tanto tempo e tante risorse. Però solo in questo modo possiamo capire come essere davvero performanti in ambito ambientale. Noi come gruppo ogni anno investiamo milioni di euro in risparmio ambientale. Avendo una storia così lunga di rendicontazione, posso dire che dal 2011 a oggi abbiamo ridotto di più del 70% le nostre emissioni di C02, come gruppo mondo. Per farlo, ci sono voluti decine di milioni di investimento. Ma se non ci crediamo non possiamo fare la differenza. Spero che il consumatore capisca sempre di più che deve scegliere in modo responsabile. Una scelta responsabile ha un costo, ma cambia il mondo”.