‘Make Europa great again’ perché Bruxelles non può più dormire

Non ce ne vorrà il 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, se prendiamo a prestito il claim della sua campagna elettorale e lo adattiamo a questioni di casa nostra. Perché mai come adesso che è ri-diventato il capo della nazione più potente del pianeta, è indispensabile un risveglio da parte di chi a Bruxelles sta nella stanza dei bottoni. Eccoci dunque alla composizione del ‘Make Europa great again’, che è quasi un obbligo per non soccombere nel futuro prossimo e per ridare forza gravitazionale e non posticcia al Vecchio Continente.

Ancorché appesantita dalla crisi di Germania e Francia, ancorché mai veramente unita ma troppo spesso divisa da interessi di campanile, l’Europa deve tornare a essere importante senza la spocchia di sentirsi la migliore di tutti perché è tristemente svanito quel tempo dorato. Va sempre ricordato che mentre a Washington si scuciono e ricuciono i destini del mondo, in contemporanea a Bruxelles si tiene l’audizione del commissario alla pesca. Che, con tutto il rispetto, ci proietta in una dimensione quasi grottesca. La sensazione, infatti, è che mentre il vice-presidente (non nominato e non eleggibile perché sudafricano ma sostanzialmente designato dal tycoon) Elon Musk spara razzi sulla Luna e pensa alla conquista di Marte, qualcuno giocherella ancora con procedure burocratiche da ‘ancien regime’. Dicevano i latini, che proprio stupidi non erano: ‘dum differtur vita transcurrit’, che sarebbe un altro claim azzeccatissimo non avesse però un’accessibilità culturale di pochi. In sintesi, mentre rinvii, il tempo scorre.

Dunque: l’Europa deve destarsi dal Grande Sonno e deve farlo perché il nuovo inquilino della Casa Bianca non ci considera alleati ma sostanzialmente concorrenti. E, come tali, verremo trattati nei prossimi quattro anni, a cominciare dai dazi che intende applicare a stretto giro fino alle politiche energetiche che tengono in ostaggio l’Unione europea e, di conseguenza, le nostre industrie. Dal Gnl al petrolio, sulla base delle prevedibili connessioni commerciali con la Russia dell’amico Putin, che fine farà l’Europa? Bella domanda, che resta per il momento senza risposta ma che non può trovare Bruxelles ancora intorpidita dal sonno e dalle audizioni con il commissario sulla pesca. Tanto per capirsi, il dollaro vola, gli indici Dow Jones e Nasdaq viaggiano in positivo: sono le conseguenze dell’effetto Trump.

Sul tema climatico pare poi non ci sia possibilità di mediazione, The Donald è un negazionista per interesse di patria: ha già anticipato la ri-uscita dagli accordi di Parigi del 2015 e guarda alla prossima Cop29 come una inutile kermesse ideologica. Il paradosso è che il suo principale sponsor elettorale, Musk, è il paladino/produttore dell’auto elettrica, la Tesla. Tesla che ha come secondo mercato di vendita la Cina e che viene prodotta anche nella gigafactory di Shanghai. Paradossi, sì, e giochi ad incastri, con la fortuna per l’Italia del rapporto speciale tra la premier Giorgia Meloni e il visionario Musk. Metterà una buona parola, Elon?

Transizione ecologica e decarbonizzazione non possono essere terminologie che riguardano solo i 27 paesi membri dell’Unione ma devono essere ‘esportati’ anche al di là dell’Oceano. E a Pechino. E in India. Ma con lungimiranza e buonsenso, senza ideologie. Trump ne riderebbe. O riderà.

Assovetro: “15 miliardi per net zero al 2050, servono strategie coraggiose e leader forti”

La spesa vale l’impresa, ma solo se tutti faranno la propria parte. Il vecchio adagio torna utilissimo per comprendere lo scenario che l’industria del vetro si trova ad affrontare da qui al 2050 per ottemperare a tutti i parametri scelti dall’Unione europea per raggiungere i target di decarbonizzazione che si è posta da qui al 2050. Il conto di Assovetro è salato: almeno 15 miliardi di euro per raggiungere il net zero.

Ecco perché l’associazione la definisce una “trasformazione radicale nel modo di produrre i manufatti e di utilizzare l’energia”, lanciando sette proposte per una transizione. Che però, avverte, “potrà avere successo senza mettere a rischio la competitività industriale solo con politiche e regolamenti governativi adeguati e calibrati, una chiara e condivisa programmazione degli interventi, incentivi per l’adozione di tecnologie pulite sia alla domanda che alla produzione, supporto alla ricerca e sviluppo e la realizzazione delle necessarie infrastrutture”. Del resto, parliamo della seconda manifattura d’Europa, all’interno della quale lavorano circa 29mila occupati diretti ad alta specializzazione. Su questi temi si è concentrato il convegno ‘La transizione ecologica del vetro’, che si è svolto oggi a Roma, per aprire una riflessione con tutti gli stakeholder e il mondo istituzionale non solo sulle strategie e le tecnologie che le industrie dovranno mettere in campo, ma anche sugli impatti organizzativi, sociali ed economici, di questo percorso di decarbonizzazione.

Siccome non siamo un settore energivoro consumiamo l’1,5% del metano nazionale e l’1% di elettricità nazionale, l’obiettivo è quello di ridurre significativamente i consumi energetici. Ma soprattutto è una missione”, dice il presidente di Assovetro, Marco Ravasi. Che torna spesso sul punto: “Quello del costo dell’energia, dell’elettricità oggi è veramente un tema. È anti-competitivo in Italia rispetto ad altri Paesi, come la Spagna che grazie alle emergenze rinnovabili ha un costo di 40 euro/MWh, la Francia ha il nucleare che noi per scelta non abbiamo e spende 50 euro, la Germania è messa male perché ne spende 70, e noi siamo messi peggio di quelli che sono messi male, spendiamo più di 90 euro/MWh”.

Diversi elementi che si ritrovano anche nello studio realizzato da Assovetro in collaborazione con Kpmg sugli scenari possibili di decarbonizzazione. Da qui nascono anche le sette proposte dell’associazione per rendere attuabili i target: sostegni economici agli investimenti rafforzando i contratti di sviluppo ambientali, il fondo per il sostegno alla transizione industriale, i crediti di imposta di Transizione 5.0; sostegni economici all’acquisto di vettori energetici ad emissioni zero; sostegni al cambiamento del processo produttivo del vetro anche attraverso le semplificazioni; riforma degli Eu Ets; rafforzamento dei sistemi di difesa commerciale dalle importazioni da paesi terzi che non applicano legislazioni ambientali avanzate; sviluppo delle infrastrutture di rete; e un piano di produzione di energia verde/vettori energetici decarbonizzati con quantitativi opzionabili a prezzi ‘fissati’.

Il report sulla transizione energetica che è stato qui presentato da Assovetro, cioè da una associazione che rappresenta una parte importante, significativa del nostro sistema industriale e produttivo, è pienamente in sintonia con il Libro verde del Made in Italy 2030”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, intervenendo al convegno.

Per il presidente di Federacciai e advisor di Confindustria con delega all’Autonomia strategica Ue, Piano Mattei e Competitività, Antonio Gozzi, “è chiaro che l’ipotesi migliore sarebbe un pezzo unico dell’energia europeo, almeno per gli energivori, ma dobbiamo essere realisti, questa ipotesi non esiste”, dunque “visto che gli altri Paesi europei stanno intervenendo pesantemente per sostenere la loro industria, dobbiamo approcciare una politica energetica nazionale che consenta all’industria italiana di tenere botta nella competizione internazionale”. Serve una “una macro strategia che ci consente di individuare soluzioni più efficaci in funzione delle tante variabili: spazi, costi, ed evoluzione tecnologica”, secondo Federico Boschi, capo dipartimento Energia del Mase.

Il punto di vista dell’Europa è cruciale in questo quadro. La Dg Clima della Commissione Ue sta “supportando gli elementi chiave della transizione come lo switch dalle energie fossili, l’elettrificazione e la Carbon Capture and Storage di Co2 – spiega il Policy Officer, Javier García Fernández -. In questo senso sta supportando 200 progetti di decarbonizzazione globalmente, di cui 11 nell’industria del Vetro. Di questi 11, cinque sono in Italia, per un totale di 19 milioni di euro”. Le rinnovabili, inoltre, potrebbero aiutare ma sostanzialmente non essere l’unica soluzione per abbassare i costi della decarbonizzazione. “In una prospettiva di lungo periodo potenzialmente i vantaggi dovremmo averli dal punto di vista della fonte, ma potrebbero esserci difficoltà nel realizzare impianti dal punto di vista autorizzativo e nel trovare il territorio”, avverte il direttore della divisione Energia di Arera, Massimo Ricci.

Del resto lo dice anche il vicepresidente Energia di Assovetro che “non esiste una sola medicina” per arrivare a dama sulla transizione. Anzi, “le strade sono tante e diverse”, anche se il vetro parte da un vantaggio: “Il perfetto riciclo che abbiamo ci consente di essere ancora più sostenibili per il rispetto dell’ambiente”.

Per l’associazione, ad ogni modo, non ci sono dubbi che “tireremo fuori le soluzioni per la decarbonizzazione – assicura Ravasi -. Il punto è sincronizzare gli interventi”. Ma soprattutto “davanti a una rivoluzione che è più della prima rivoluzione industriale, a una ridefinizione dei paradigmi, servono leader forti e grandissimo coraggio per non rifare gli errori già fatti a Bruxelles”.

I costruttori si ribellano allo stop endotermico: adelante elettrico, ma con juicio

L’ultimo, in ordine di tempo, è stato Oliver Zipse, gran capo della Bmw. Senza mezzi termini ha detto che lo stop ai motori endotermici fissato dalla Ue per il 2035 appartiene praticamente alla sfera dell’iperuranio. Insomma, si tratta ormai di qualcosa che ha contorni vagamente inverosimili. In fondo, le auto elettriche non si vendono perché – citiamo qua e là Carlos Tavares, ad di Stellantis – costano troppo al produttore, figurarsi ai potenziali clienti; non offrono adeguate garanzie di tenuta (le batterie, già); si imbattono in evidenti problemi infrastrutturali, le fantomatiche colonnine di ricarica. Ergo, il cuscinetto tra la fine dell’utilizzo delle vetture ‘tradizionali’ e l’inizio dell’era elettrica ha bisogno di essere più ampio e flessibile. Da una certa prospettiva, il 2035 sembra lontano ma in realtà è vicino.

Il punto è che ci vuole più tempo per arrivare a una transizione indolore e che dieci anni abbondanti possono non essere sufficienti per un atterraggio senza scossoni. Riflessioni mirate mentre le ombre cinesi si allungano sul futuro dell’occidente, tra dazi e screzi. Del resto, la crisi dell’automotive non può essere curata sempre e solo con le iniezioni di denaro dei governi ma deve trovare una soluzione strutturale. E definitiva. Senza arrivare alle posizioni rigidissime di Sergio Marchionne, all’epoca della gestione di Fca apertamente contrario all’elettrico in termini di costi produttivi e di guadagni ambientali, la fretta che ha messo l’Europa sicuramente non ha giovato. Tanto che adesso, con i numeri in rosso e con un europarlamento sulla carta meno oltranzista, la maggior parte dei costruttori ha innestato la retromarcia. Sintetizzando: adelante sì, anzi elettrico sì, ma con juicio. Si puedes.

Se da un lato le preoccupazioni della maggior parte delle case automobilistiche sono condivisibili, se i cinesi (e Tesla) sono effettivamente in vantaggio anni luce sull’industria europea, dall’altro va anche detto che gli sforzi economici degli ultimi anni per riconvertire gli impianti da benzina/diesel a elettrico non possono essere vanificati. E le gigafactory dove le mettiamo?, domanderebbe qualcuno. Non le mettiamo proprio e facciamo prima. Ma, al di là delle battute, è questo clima di incertezza che non giova, è questa zona grigia, quasi nebbiosa, in cui si procede a strappi che zavorra qualsiasi tipo di iniziativa. E che, a ben guardare, frena l’utente finale, cioè l’acquirente. Che non cambia macchina, che si tiene il vecchio, caro, superinquinante diesel piuttosto di avventurarsi in un acquisto oneroso e posticcio. Tanto più che, passato l’idillio green, le Regioni cominciano a stringere la cinghia. Prova ne sia il Piemonte del governatore Alberto Cirio: dal 1° gennaio dell’anno che verrà, le vetture ibride benzina-elettrico saranno soggette al 50% della tassa di proprietà per cinque anni. E pagheranno tutto il balzello dal sesto anno. Così, alla faccia dell’ambiente, l’ente locale di Cirio intende incassare quattro milioni di euro annui.

Quindi, sempre cercando di sintetizzare, a tendere scompariranno quelle piccole agevolazioni che potevano far pendere la bilancia dalla parte dell’elettrico. Nel mentre Leapmotor, assemblata negli stabilimenti polacchi di Stellantis, si prepara a sbaragliare la concorrenza…

Moda, nuovo sostegno da 15 mln per transizione green

Dopo il pacchetto di aiuti presentato ad agosto, va dalla moratoria sui debiti, alla cassa integrazione, passando per una sanatoria sui crediti R&S e la promozione all’estero, con il sostegno all’economia circolare, Adolfo Urso cala un’altra carta buona per il comparto moda.
In un decreto interministeriale a doppia firma con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro delle Imprese e del Made in Italy dispone le modalità di attuazione per sostenere la transizione ecologica e digitale delle imprese del settore tessile, della moda e degli accessori nel Paese. Alla misura sono destinati 15 milioni di euro.

Le agevolazioni alle imprese beneficiarie – identificate con i codici Ateco – saranno concesse sotto forma di contributo a fondo perduto, per (al massimo) il 50% delle spese ammissibili e nel limite di 60mila euro, per l’acquisizione di prestazioni specialistiche. Potranno cioè essere finanziate con questi fondi le attività di formazione del personale dipendente dell’impresa; l’ implementazione di una o più tecnologie abilitanti finalizzate a favorire lo sviluppo dei processi aziendali o i prodotti innovativi (come cloud computing, big data e analytics, intelligenza artificiale, blockchain, robotica avanzata e collaborativa, manifattura additiva e stampa 3D, Internet of Things, realtà aumentata, soluzioni di manifattura avanzata, piattaforme digitali per condivisione di competenze, sistemi di tracciabilità digitale della filiera produttiva), l’ottenimento di certificazioni di sostenibilità ambientale e i servizi di analisi di Life Cycle Assessment (LCA).

L’industria italiana della moda, “ha bisogno di particolare attenzione“, spiega Urso, descrivendo il provvedimento come un “tassello importante” di un più ampio piano di sostegno al settore, ma anche per accelerare gli investimenti nella transizione e sviluppare le competenze richieste per affrontare queste sfide.

La misura sarà gestita da Invitalia che, per conto del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, svolgerà l’istruttoria per l’ammissione alle agevolazioni. Con successivo provvedimento del Mimit saranno fissati i termini per la presentazione delle domande di agevolazione e fornite eventuali ulteriori specificazioni per la corretta attuazione dell’intervento.

Transizione 5.0, la circolare del Mimit

Con la circolare n.25877/2024, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy fornisce importanti dettagli sul progetto ‘Transizione 5.0’ che mira a incentivare gli investimenti in tecnologie innovative e l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili destinata all’autoconsumo.

“Sono agevolabili tutti i progetti avviati dal 1° gennaio 2024 e completati entro il 31 dicembre 2025. Gli impianti per l’autoproduzione – spiega Maria Vittoria Tonelli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – dovranno essere localizzati sulle stesse particelle catastali della struttura produttiva, su particelle diverse connesse alla rete elettrica tramite POD esistenti, o situati nella stessa zona di mercato della struttura produttiva”.

“Il credito d’imposta, introdotto dall’articolo 38 del Dl n.19/2024 prevede due presupposti. Gli investimenti devono promuovere un processo di innovazione – prosegue Tonelli  – e devono comportare una diminuzione dei consumi energetici dell’azienda o dei singoli processi produttivi. La riduzione minima richiesta è del 3% per la struttura produttiva complessiva o del 5% per il processo produttivo specifico coinvolto.

 

Green ma non troppo: ecco come la transizione energetica mette a rischio uccelli e pesci

Oltre 4600 specie di vertebrati sono minacciate dall’estrazione di minerali in tutto il mondo attraverso le miniere e le cave e dalle trivellazioni per la ricerca di petrolio e gas. L’attività mineraria coincide con gli hotspot di biodiversità più preziosi al mondo, che contengono un’iper-diversità di specie e habitat unici che non si trovano in nessun altro luogo della Terra. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology.

Il rischio maggiore per le specie deriva dall’estrazione di materiali fondamentali per la nostra transizione verso l’energia pulita, come il litio e il cobalto, entrambi componenti essenziali dei pannelli solari, delle turbine eoliche e delle auto elettriche. Anche l’estrazione del calcare, richiesto in grandi quantità per il cemento come materiale da costruzione, mette a rischio molte specie.

La minaccia per la natura non si limita ai luoghi fisici delle miniere: anche le specie che vivono a grande distanza possono subire un impatto, ad esempio a causa dell’inquinamento dei corsi d’acqua o della deforestazione per la costruzione di nuove strade di accesso e infrastrutture. Secondo i ricercatori, i governi e l’industria mineraria dovrebbero concentrarsi sulla riduzione dell’inquinamento provocato dalle miniere come “vittoria facile” per limitare la perdita di biodiversità associata all’estrazione mineraria. La ricerca è la più completa valutazione globale della minaccia alla biodiversità derivante dall’estrazione mineraria mai realizzata.

“Non saremo in grado di fornire l’energia pulita di cui abbiamo bisogno per ridurre il nostro impatto sul clima senza estrarre i materiali che ci servono e questo crea un problema perché stiamo estraendo in luoghi che spesso hanno livelli molto elevati di biodiversità”, spiega David Edwards del Dipartimento di Scienze Vegetali e dell’Istituto di Ricerca sulla Conservazione dell’Università di Cambridge, autore senior del rapporto. I pesci, dice, sono tra le specie più a rischio (2.053 specie), seguiti da rettili, anfibi, uccelli e mammiferi. In particolare, le specie che vivono in habitat d’acqua dolce e quelle con un areale ridotto sono particolarmente a rischio. Il geco dalle zampe ricurve, ad esempio, è minacciato dall’estrazione del calcare in Malesia: esiste solo su un’unica catena montuosa che l’attività estrattiva prevista distruggerà completamente.

Per condurre lo studio, i ricercatori hanno utilizzato i dati dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) per vedere quali specie di vertebrati sono minacciate dalle attività estrattive. Mappando la posizione di queste specie, hanno potuto indagare sui tipi di estrazione mineraria che mettono a rischio le specie e vedere dove sono particolarmente elevati.

L’estrazione mineraria minaccia le popolazioni di specie vertebrate in tutti i tropici, con punti caldi nelle Ande, nell’Africa occidentale e centrale costiera e nel Sud-est asiatico, che coincidono con un’alta densità di miniere. Ad esempio, l’estrazione artigianale di oro su piccola scala in Ghana minaccia importanti aree ornitologiche a causa dell’inquinamento ambientale da mercurio.

La domanda globale di minerali metallici, combustibili fossili e materiali da costruzione è in forte crescita e le attività estrattive si stanno espandendo rapidamente per soddisfare questa domanda. Nel 2022 il fatturato dell’industria nel suo complesso è stato stimato in 943 miliardi di dollari.

Lo studio si è concentrato solo sulle specie vertebrate, ma i ricercatori affermano che l’attività estrattiva può rappresentare un rischio sostanziale anche per le piante e gli invertebrati.

La transizione energetica progredisce ma l’Italia fa passi indietro: colpa del gas

Secondo un nuovo rapporto del World Economic Forum, pubblicato oggi, la transizione energetica globale verso un sistema energetico più equo, sicuro e sostenibile continua a progredire, ma ha perso slancio di fronte alla crescente incertezza a livello mondiale. Mentre 107 dei 120 Paesi presi in esame nel rapporto hanno dimostrato di aver compiuto progressi nel loro percorso di transizione energetica nell’ultimo decennio, il ritmo complessivo della transizione è rallentato e il bilanciamento delle sue diverse sfaccettature rimane una sfida fondamentale. La volatilità economica, l’acuirsi delle tensioni geopolitiche e i cambiamenti tecnologici hanno avuto un impatto, complicandone la velocità e la traiettoria. C’è tuttavia qualche motivo di ottimismo, con l’aumento degli investimenti globali nelle energie rinnovabili e la crescita significativa dei risultati della transizione energetica nell’Africa sub-sahariana nell’ultimo decennio. E a fare dei passi indietro è l’Italia che, a causa della sua dipendenza dal gas, scende al 41esimo posto dell’Energy Transition Index (ETI).

La 14esima edizione annuale del rapporto del Forum, Fostering Effective Energy Transition 2024, pubblicato in collaborazione con Accenture, utilizza l’Energy Transition Index (ETI) per valutare 120 Paesi in base alle prestazioni dei loro attuali sistemi energetici, con particolare attenzione al bilanciamento tra equità, sostenibilità ambientale e sicurezza energetica, e alla loro preparazione alla transizione. La novità di quest’anno è rappresentata dai “percorsi personalizzati” che analizzano le caratteristiche specifiche di ogni Paese, tra cui il livello di reddito e le risorse energetiche locali, per fornire raccomandazioni specifiche per ogni regione.

Dobbiamo garantire che la transizione energetica sia equa, sia nelle economie emergenti che in quelle sviluppate“, ha dichiarato Roberto Bocca, responsabile del Centro per l’energia e i materiali del World Economic Forum. “Trasformare il modo in cui produciamo e consumiamo energia è fondamentale per il successo. Dobbiamo agire con urgenza su tre leve fondamentali per la transizione energetica: riformare l’attuale sistema energetico per ridurne le emissioni, implementare soluzioni energetiche pulite su scala e ridurre l’intensità energetica per unità di Pil“.

L’Europa continua a guidare la classifica ETI, con la top 10 per il 2024 composta interamente da Paesi di questa regione. Svezia (1) e Danimarca (2) sono in cima alla classifica, essendosi entrambe posizionate tra i primi tre Paesi ogni anno nell’ultimo decennio. Seguono Finlandia (3), Svizzera (4) e Francia (5). Questi Paesi beneficiano di un elevato impegno politico, di forti investimenti in ricerca e sviluppo, di una maggiore adozione di energia pulita – accelerata dalla situazione geopolitica regionale, dalle politiche di efficienza energetica e dalla determinazione del prezzo del carbonio. La Francia è una nuova entrata nella top five, con recenti misure di efficienza energetica che hanno ridotto l’intensità energetica nell’ultimo anno. Tra le economie del G20, la Germania (11), il Brasile (12), il Regno Unito (13), la Cina (17) e gli Stati Uniti (19) si aggiungono alla Francia nella top 20 dell’ETI, insieme ai nuovi entrati Lettonia (15) e Cile (20), sostenuti dall’aumento della capacità di energia rinnovabile.

La Cina e il Brasile hanno compiuto progressi significativi negli ultimi anni, soprattutto grazie agli sforzi a lungo termine per aumentare la quota di energia pulita e migliorare l’affidabilità della rete. L’impegno costante del Brasile nel settore dell’energia idroelettrica e dei biocarburanti, i recenti progressi nel settore dell’energia solare e le iniziative volte a creare nuove opportunità sono stati fondamentali per attrarre investimenti. Nel 2023, anche la Cina ha aumentato in modo significativo la sua capacità di produzione di energia rinnovabile e ha continuato a crescere e a investire nella sua capacità produttiva in tecnologie pulite come batterie per veicoli elettrici, pannelli solari, turbine eoliche e altre tecnologie critiche. La Cina, insieme agli Stati Uniti e all’India, è anche leader nello sviluppo di nuove soluzioni e tecnologie energetiche.

Il divario nei punteggi complessivi dell’ETI si è ridotto tra le economie avanzate e quelle in via di sviluppo e il “centro di gravità” della transizione si sta spostando verso i Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, gli investimenti in energia pulita continuano a concentrarsi nelle economie avanzate e in Cina. Ciò sottolinea la necessità di un sostegno finanziario da parte dei Paesi avanzati per facilitare una transizione energetica equa nei Paesi emergenti e in via di sviluppo e di una politica lungimirante in tutti i Paesi per favorire condizioni di investimento davvero favorevoli. Poiché non esiste una soluzione universale, le politiche potrebbero essere adattate alle esigenze specifiche di ciascun Paese, in base a fattori quali il livello di reddito, le risorse e le esigenze energetiche nazionali e il contesto regionale.

L’Indice della transizione energetica di quest’anno trasmette un messaggio chiaro: è necessario agire con urgenza. I responsabili delle decisioni a livello globale devono compiere passi coraggiosi per recuperare lo slancio nella transizione verso un futuro energetico equo, sicuro e sostenibile. Questo è fondamentale per le persone, per le intere economie e per la lotta ai cambiamenti climatici“, ha dichiarato Espen Mehlum, responsabile dell’Energy Transition Intelligence and Regional Acceleration del World Economic Forum.

Transizione 4.0, sbloccate le compensazioni dei crediti

Il Mimit ha emanato il decreto direttoriale che riguarda la compensazione dei crediti d’imposta per gli investimenti del piano Transizione 4.0 richiesto dall’art. 6 del D.L. 39/2024.

Le imprese potranno trasmettere i modelli richiesti per ottenere le compensazioni relative ai crediti d’imposta per i beni strutturali nuovi 4.0 e per ricerca, sviluppo, innovazione tecnologica, design e innovazione estetica.

“La procedura per lo sblocco delle compensazioni sarà disponibile sul sito del GSE. Qui – spiega Gianluca Buselli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili –le imprese potranno compilare i modelli necessari che dovranno includere informazioni sugli investimenti effettuati, la ripartizione negli anni del credito d’imposta e la modalità di fruizione a partire dal 30 marzo 2024”.

È prevista inoltre una comunicazione telematica di completamento degli investimenti, anche per gli investimenti realizzati dal 1° gennaio al 28 marzo 2024.

“Esclusivamente per gli investimenti in beni strumentali nuovi 4.0 relativi all’anno 2023 – prosegue Buselli – la compensabilità è subordinata alla comunicazione. Pertanto, a partire dal 29 aprile 2024 è possibile compensare anche il bonus spettante in relazione a detti investimenti”.

La procedura appare piuttosto articolata e complessa ma come dichiarato dal ministro Urso, si tratta di una misura di tutela delle entrate pubbliche.

Visione confermata anche dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio che ha evidenziato la necessità e l’importanza di rendere selettive le agevolazioni, limitando la spesa e implementando meccanismi di monitoraggio efficaci.

Fs fissa obiettivi ‘sfidanti’ per promuovere una transizione giusta

Sviluppare un modello sostenibile è un’esigenza dettata dalle sfide globali, ma anche dal cambio di paradigma economico. In questo contesto il settore dei trasporti ricopre un ruolo cruciale, ragion per cui i grandi player hanno già indirizzato su questi ‘binari’ i propri piani industriali. E’ il caso del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane, che ha puntato obiettivi “sfidanti“, come li definisce il responsabile Sostenibilità, Lorenzo Radice: “Al 2040 arrivare ad essere net zero, con obiettivi intermedi di ridurre del 50% le emissioni di Scope 1 e Scope 2 al 2030 e del 30% di Scope 3“.

Tutto questo si ritrova nel report Just Transition e Trasporti, un’iniziativa che affronta la sfida mirando a garantire inclusività, equità e sostenibilità nel lungo periodo. Fs è promotore di una crescita sostenibile del Paese, capitalizzando appieno le potenzialità offerte dal servizio ferroviario nell’ottica della sostenibilità ambientale e sociale, con un approccio olistico e partecipativo: proponendosi di guidare il settore verso un futuro più sostenibile, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche guardando alla dimensione di equità sociale ed economica collettiva. “Un grande gruppo industriale ha il dovere di ascoltare, capire cosa si muove attorno a sé e se dalla società arrivano spunti su metriche che non comprendiamo“, spiega il responsabile Affari istituzionali del Gruppo Fs, Fabrizio Dell’Orefice, durante la presentazione del documento. “Siamo in una fase di grande trasformazione del Paese – prosegue -. Per anni abbiamo sentito questa magica sigla, Pnrr, qualcosa che sembrava dovesse venire, mentre siamo già alle inaugurazioni. Lo scorso anno noi abbiamo toccato, nella voce investimenti, quota 16 miliardi, una cifra mai vista nella nostra storia, circa 1 punto di Pil. Questo significa cantieri, lavoro, appalti, realizzazioni, opere pubbliche e ricucitura del territorio“.

Una cifra record di cui, però, Ferrovie non vuole solo considerare per la realizzazione delle, ma “capire anche quello che significa per il tessuto sociale dove andiamo ad operare“, sottolinea Elisa Rinelli, del dipartimento Affari Istituzionali del Gruppo. Per affrontare la complessa sfida della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, il Gruppo Fs ha avviato il progetto La Just Transition nel Settore Trasporti, in collaborazione con la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.

Questo progetto si concentra su tre aree prioritarie: la mitigazione del cambiamento climatico, la tutela ambientale e sociale e l’impatto positivo sulle comunità. I risultati di questo confronto e approfondimento si traducono in una serie di iniziative concrete e nel coinvolgimento attivo delle parti interessate. Dopo una fase preliminare di coinvolgimento degli stakeholder avvenuta tra dicembre 2023 e gennaio 2024, il progetto si propone di redigere un rapporto introduttivo che esamina gli aspetti più significativi e problematici della transizione climatica nel mondo dei trasporti. Tra le varie misure possibili, emerse da un confronto con gli stakeholder coinvolti, grande attenzione è stata posta al potenziamento del trasporto su rotaia attraverso la programmazione a medio-lungo termine, resa possibile grazie ai fondi del Pnrr. Le azioni necessarie a tal fine comprendono un’espansione e un miglioramento generale delle infrastrutture ferroviarie, il completamento dei corridoi europei Ten-T, l’incremento delle linee ad Alta Velocità, delle reti regionali e interregionali, nonché dei nodi ferroviari nelle città metropolitane. Inoltre, un generale apprezzamento si è avuto nelle attività di valorizzazione delle stazioni come centri intermodali e poli di sviluppo sostenibile, tenendo conto del loro ruolo centrale nell’ambito urbano e territoriale. Fs, inoltre, si impegna a coinvolgere attivamente le comunità locali nei processi decisionali, promuovendo una maggiore consapevolezza dei benefici derivanti dalla trasformazione infrastrutturale. Emerge così, tra i molteplici aspetti considerati, l’importanza fondamentale delle stazioni ferroviarie, non solo come nodi di transito, ma anche come veri e propri centri vitali per lo sviluppo sociale ed economico. Dal lavoro sulla Just Transition, realizzato con la Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, emerge anche l’esigenza di creare un Osservatorio sulla povertà dei trasporti, che “proponga delle soluzioni – dice il direttore della Fss, Raimondo Orsini -, raccogliendole anche dalle buone pratiche sviluppate in tutti gli altri Paesi. Questa è l’urgenza. E abbiamo deciso di fare questo passo con il gruppo Fs, che su questo non solo ha una storia, una tradizione, ma ha anche un futuro“.

Credito d’imposta per investimenti transizione 5.0: procedura per la richiesta

Nonostante gli investimenti innovativi con crediti di imposta, il legislatore fiscale sta introducendo adempimenti preventivi complessi per verificarne l’effettività.

Per accedere ad esempio al credito d’imposta per investimenti in transizione 5.0, le imprese devono presentare al GSE le certificazioni tecniche, una descrizione del progetto d’investimento ed il suo costo.

“L’impresa dovrà poi comunicare periodicamente al GSE l’avanzamento dell’investimento e, pena la decadenza – sostiene Rosa Santoriello, consigliera d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – dovrà poi comunicare il completamento dell’investimento, corredato dalla relativa certificazione”.

“La spettanza del beneficio – aggiunge Santoriello – è subordinata alla presentazione di certificazioni rilasciate da un valutatore indipendente, che ne attesterà la riduzione dei consumi energetici conseguibili tramite gli investimenti e l’effettiva realizzazione degli stessi”.

I requisiti dei soggetti autorizzati al rilascio delle certificazioni saranno individuati dal decreto ministeriale di attuazione.