Si sblocca l’impasse: via libera a Fitto e Ribera vice presidenti esecutivi della Commissione Ue

Via libera ai due vice presidenti esecutivi designati, Teresa Ribera e Raffaele Fitto, dalle commissioni competenti del Parlamento europeo. Dopo una giornata intensa di litigi e rinvii del voto, alla fine la commissione per lo Sviluppo regionale ha dato disco verde all’ormai ex ministro italiano come vice presidente esecutivo della Commissione europea a Coesione e Riforme, mentre e le commissioni Ambiente, Industria ed Energia e Affari economici hanno approvato la nomina dell’esponente spagnola a vice presidente esecutiva alla Transizione pulita, giusta e competitiva.

Raffaele Fitto è stato confermato nel ruolo di vicepresidente esecutivo della Commissione europea. Quest’importante incarico attribuito al Commissario designato dall’Italia è una vittoria di tutti gli italiani, non del Governo o di una forza politica“, commenta quasi in tempo reale la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Abbiamo ottenuto un portafoglio di peso e il coordinamento di deleghe strategiche per la nostra Nazione e per l’Europa intera, come l’agricoltura, la pesca, l’economia del mare, i trasporti e il turismo – sottolinea -. Questa indicazione è la conferma di una ritrovata centralità dell’Italia in ambito europeo, all’altezza del nostro ruolo come Stato fondatore della Ue, seconda manifattura d’Europa e terza economia del Continente“.

L’accordo tra le tre forze politiche della maggioranza a sostegno della Commissione europea Ursula von der Leyen (Partito popolare europeo, Socialisti e democratici, liberali di Renew Europe) che ha sbloccato lo stallo è arrivato nel pomeriggio di mercoledì 20 novembre. Il perimetro tiene dentro tutti i candidati, in particolare Fitto, Ribera e l’ungherese Oliver Varhelyi, che si è visto però togliere dal portfolio le deleghe sulla Agenzia per la preparazione e reazione alle emergenze (Hera), inclusa la gestione e la preparazione alle crisi, e la competenza sui diritti sessuali e riproduttivi, tutti file che vengono trasferiti alla commissaria di Renew Europe, Hadja Lahbib. In questo modo vengono ribaditi i punti politici espressi nelle linee guida di von der Leyen che hanno consentirono la sua conferma a luglio. Nessun riferimento all’allargamento o meno della maggioranza ai conservatori e riformisti europei, ma secondo il presidente del gruppo Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber, l’Ecr e Fratelli d’Italia hanno dimostrato un impegno costruttivo non solo nelle ultime settimane ma fin dallo scorso aprile, in occasione del voto sul nuovo Patto per la migrazione e l’asilo.
Stiamo lavorando insieme a coloro che vogliono davvero realizzare le cose. Un esempio concreto è che abbiamo avuto ad aprile di quest’anno un voto cruciale per la gestione della migrazione a livello europeo dopo anni di discussioni senza fine sulla gestione della migrazione a livello europeo. Alla fine Fratelli d’Italia ha contribuito ad avere la maggioranza nel Parlamento europeo“, afferma Weber dopo la Conferenza dei presidenti, composta dalla presidente Roberta Metsola e dai capi dei gruppi politici, che sancisce il raggiungimento dell’accordo. “I Verdi hanno rifiutato di sostenere tutto il Patto per le migrazioni – aggiunge -. Quindi questo è per me uno degli argomenti che mi ha dato la chiarezza sul fatto che il governo italiano, anche sotto la guida di Giorgia Meloni, vuole contribuire a risolvere i problemi legalmente sulla base dei nostri valori a livello europeo. E questo è un buon segnale. E nelle ultime settimane di audizioni dei candidati qui al Parlamento europeo, abbiamo visto pieno impegno da parte dell’Ecr a sostenere tutti i candidati. Quindi l’Ecr – è una mia osservazione – è pronto a lavorare costruttivamente a far prendere le funzioni alla prossima Commissione ed è una buona notizia“, sottolinea ancora il presidente degli eurodeputati Ppe.

Di parere totalmente opposto i Verdi. Il co-presidente del gruppo, Bas Eickhout ha parlato di “un giorno non buono per il Parlamento europeo” e di “un processo farsa di valutazione” dei commissari e vice presidenti designati. “Abbiamo detto fin dall’inizio che l’unico modo per ottenere una maggioranza stabile è lavorare insieme come europeisti. È evidente che stanno rompendo il patto di collaborazione. E non credo che d’ora in poi il Ppe non lavorerà più insieme all’Ecr. Lo vedremo anche stasera, sembra che tutti i diversi commissari saranno votati, compreso Fitto, senza alcun cambiamento nel portafoglio – spiega -. Sono abbastanza sicuro che l’Ecr sia molto felice. Ma onestamente non vedo la possibilità di un lavoro stabile con Ecr” da parte di Ppe, S&D e Renew Europe. L’Ecr “sarà ovviamente molto vittorioso perché Fitto passerà, ma io sto pensando al lungo termine e a questo tentativo dei tre di avere una dichiarazione che finge di avere una maggioranza stabile: non sarà così“.

Ue, Barachini: “Estremamente soddisfatto della conferma di Ursula von der Leyen”

Come esponente di Forza Italia sono estremamente soddisfatto del fatto che la coerenza dell’appartenenza al Partito popolare europeo ha portato a una buona continuità di governo europeo“. Lo dice il sottosegretario all’Editoria e l’informazione, Alberto Barachini, ospite della nuova puntata del #GeaTalk, commentando la rielezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. “La coerenza e anche la visione europeista del nostro movimento politico e del Ppe credo siano fondamentali anche per dare una centralità all’Italia“, aggiunge.

Ue, Draghi: “Aumentare produttività e ridurre i costi, serve mercato europeo energia”

Photo credit: sito Fundacion Yuste

 

Tutto si può dire, tranne che Mario Draghi non abbia le idee ben chiare su dove mettere le mani per modellare una nuova Ue. L’ex presidente della Bce ripropone alcune idee già enunciate in questi mesi, ma accentua i toni su alcuni punti nuovi. La base di partenza di tutto è “aumentare la produttività“, perché dalla vicenda del gas russo alla difficoltà di reperire le materie prime critiche, la lotta ai cambiamenti climatici e quelli tecnologici, così come il rapido invecchiamento della popolazione europea, diventano sfide cruciali da vincere assolutamente. Per riuscire nell’intento, però, occorre “crescere più velocemente e meglio“. Draghi ne parla a lungo nel discorso che tiene al Monastero di San Jerónimo de Yuste, in Spagna, dove riceve dalle mani del Re Felipe VI il premio europeo Carlos V.

Nei prossimi giorni l’ex premier consegnerà i risultati del lavoro commissionatogli da Ursula von der Leyen sul futuro della competitività, ma negli ultimi due mesi, con l’avvicinarsi delle elezioni europee, il suo nome era circolato tra i possibili candidati alla guida dell’esecutivo Ue o del Consiglio, sponsorizzato soprattutto dal presidente francese, Emmanuel Macron. La partita dei Top Jobs, intanto, sembra avviata sul binario della riconferma della attuale presidente, ma i suggerimenti di Draghi potrebbero risultare molto utili a chiunque si accomoderà sulla sedia più arroventata di Bruxelles.

Lo stato dell’arte è nei dati che porta in Spagna. “La crescita della produttività europea sta rallentando da tempo” e la differenza di crescita rispetto agli Usa inizia a pesare, perché “dovuta principalmente al settore tecnologico e alla digitalizzazione in generale“, spiega l’ex Bce. Che avvisa: “Il divario potrebbe aumentare ulteriormente con il rapido sviluppo e la diffusione dell’Intelligenza artificiale“. Del resto, “circa il 70% dei modelli fondamentali di Ia viene sviluppato negli Stati Uniti e solo tre aziende statunitensi rappresentano il 65% del mercato globale del cloud computing”. Allo stesso modo il sistema dei dazi può servire, ma con un approccio generale pragmatico, cauto e coerente“. Perché “non vogliamo diventare protezionisti in Europa, ma non possiamo restare passivi se le azioni degli altri minacciano la nostra prosperità“.

Altro punto cruciale del discorso di Draghi riguarda i costi da ridurre, soprattutto quelli dell’energia, che “stanno portando a una riduzione degli investimenti in Europa“. Il mix tra “investimenti infrastrutturali lenti e non ottimali, sia per le rinnovabili che per le reti” e “regole di mercato che non disaccoppiano completamente il prezzo dell’energia rinnovabile e nucleare dai quelli più alti e volatili dei combustibili fossili, impedendo alle industrie e alle famiglie di cogliere appieno i benefici dell’energia pulita nelle loro bollette“, impone una riflessione sulla “costruzione di un vero mercato europeo dell’energia“, da cui dipende, peraltro, l’aumento della produttività.

Per far lievitare gli investimenti, poi, l’Europa deve “non solo incrementare il livello della domanda attraverso una spesa più elevata, ma anche garantire che questa si concentri all’interno dei nostri confini” e “il modo più efficiente per farlo sarebbe aumentare la spesa comune“. Esortando l’Ue a porre tra le sue “priorità collettiveRicerca e innovazione e rilanciare rapidamente la diffusione dell’innovazione nella propria economia.

Nella riflessione di Draghi, infine, trova ampio spazio il tema della transizione green. A suo modo di vedere “anche rendere più efficace la spesa pubblica non sarà sufficiente“, dunque “il fabbisogno di finanziamenti per la transizione verde e digitale è enorme” e “dovremo anche mobilitare il risparmio privato su una scala senza precedenti, ben al di là di quanto possa fare il settore bancario“, raccogliendo questi fondi principalmente nei “mercati del capitale di rischio, delle azioni e delle obbligazioni“.

Commissione Ue, parte il toto-nomi in Italia. Ma prima va chiusa la partita dei ‘Top Jobs’

La partita europea entra già nel vivo. Chiuse le urne e completati i conteggi, il negoziato sembra avviato sulla linea di una possibile riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue, ma stavolta la maggioranza potrebbe allargarsi a Verdi e Ecr, quanto meno a nuclei della famiglia dei Conservatori europei. Dunque, anche la composizione della squadra di governo continentale potrebbe essere più ‘larga’ del previsto, nonostante le iniziali ritrosie dei Socialisti. Prima, però, vanno definiti i cosiddetti ‘Top Jobs‘, ovvero i ruoli di vertice: Presidenza di Commissione e Consiglio, alto rappresentante per la politica estera, per intenderci. L’Italia può dire la sua, forte del fatto che l’esecutivo – uno dei pochi nel Vecchio continente – non ha subito contraccolpi dal voto, anzi ne esce rafforzato, in particolar modo la premier, Giorgia Meloni.

Non sarà una fase facile, né veloce anche se i rumors sono indirizzati verso la soluzione dei negoziati entro il 18 luglio. In questo lasso di tempo dovranno essere scelte anche le figure dei commissari con la relativa assegnazione delle varie deleghe. Ed è qui che si fa più calda la situazione nel nostro Paese. L’Italia vorrebbe un ‘ministero’ di peso: le voci di corridoio dei palazzi della politica suggeriscono di tenere d’occhio le deleghe alla Concorrenza (sarebbe il vero obiettivo di Meloni), ma anche l’Agricoltura, il Mercato interno o addirittura l’Energia, che potrebbe chiudere il cerchio di quel Piano Mattei su cui Palazzo Chigi sta puntando molte delle sue fiches di politica estera. Difficile, ma non fantascienza, che al nostro Paese venga assegnata la Difesa, mentre potrebbe rivelarsi un boomerang accettare eventualmente la delega agli Affari interni, che in pancia porta la delicata questione dei flussi migratori, storicamente divisivo in Europa.

Una volta deciso chi farà cosa, allora si potrà passare alla fase dei nomi. Sebbene il pallottoliere stia già andando a mille dalle parti di Roma. Finora sono tre i ministri del governo Meloni che hanno pubblicamente fatto sapere di non essere disponibili: in primis Giancarlo Giorgetti, che ha ripetuto spesso (e volentieri) di preferire il campo italiano a quello europeo. Si chiama fuori dai giochi anche Adolfo Urso, che vuole completare il lavoro al Mimit: “Il Paese ha altre personalità che saranno sicuramente più adeguate del sottoscritto, io certo non posso mollare quello che faccio“. Out pure Antonio Tajani, che più chiaro non poteva essere: “Ritengo non si debba tornare dove si è lavorato per 30 anni“, aggiungendo che preferisce restare alla Farnesina.
Sul taccuino, dunque, resta Raffaele Fitto, che in questi due anni ha avuto stretti contatti con Bruxelles nel suo ruolo di ministro degli Affari Ue, della Coesione e del Pnrr. Ma nelle ultime ore sono circolate altre ipotesi, altrettanto valide, come quella di Roberto Cingolani, attuale ceo di Leonardo con un passato da ministro della Transizione ecologica nel governo di Mario Draghi. Sarebbe un ‘tecnico‘, certo, ma con esperienza istituzionale, che alle latitudini europee conta eccome come criterio per essere scelto. Ancora, della squadra dell’ex Bce potrebbe avere il phisique du role Vittorio Colao, che ha guidato una multinazionale come Vodafone e ha fatto il ministro dell’Innovazione e Transizione digitale.

I bene informati non escludono, però, colpi di scena. Come Maurizio Leo che, però, ha ‘solo‘ gli ultimi due anni da viceministro dell’Economia nel suo curriculum politico da poter spendere a Bruxelles, dove è preferibile avere personalità che abbiano ricoperto cariche di maggiore responsabilità, sebbene il Mef sia considerato un dicastero assolutamente ‘pesante‘. Nella ruota dei ‘papabili‘ restano comunque Gilberto Pichetto (Mase) e Guido Crosetto (Difesa), così come a mezza bocca è circolato il nome di Francesco Lollobrigida, attuale ministro dell’Agricoltura, forse la persona più vicina alla premier. Molto difficile che possa traslocare dal Masaf, ma in politica vige una sola regola: ‘nulla è impossibile.

Besseghini: “Fer 2 costerà 8-10 euro/MWH in bolletta. Mercato gas ancora nervoso”

Dagli stoccaggi di gas alle rinnovabili che incideranno nelle bollette per effetto del decreto Fer 2, ai costi della Tari e la nuova Europa. Stefano Besseghini a tutto campo ai microfoni del #GeaTalk. Il presidente dell’Arera fa il punto sui prezzi per gli approvvigionamenti di gas: “Tutto apposto? Magari è un po’ eccessivo, sicuramente non abbiamo più quei livelli di prezzi e questo molto ci tranquillizza. In ogni caso siamo più vicini ai 40 euro al Megawattora che ai 30 euro, il ché è indice di una situazione dei mercati ancora nervosa”, spiega. Chiarendo che “siamo grossomodo al doppio del valore storico di valorizzazione della commodity gas“, ma rispetto al passato “abbiamo alcuni cambi di assetto fondamentali, uno su tutti il ruolo dell’Lng, che non essendo collegato tubi fisici ci espone di fatto al mercato globale“.

Altro tema caldo è il decreto Fer 2, appena approvato dalla Commissione Ue, che consente di realizzare degli impianti per la produzione di energia rinnovabile. L’unica controindicazione è che può costare fino a 35 miliardi in venti anni, da coprire con aumenti in bolletta nella componente Asos, con un onere da calcolare nel delta tra la richiesta dei produttori nelle procedure competitive e i prezzi dell’energia elettrica sui mercati spot. “E’ molto difficile fare una stima – dice subito Besseghini -. Diciamo che, probabilmente, parliamo di circa 8-10 euro al MWH per la bolletta del consumatore, ma vedremo il suo dispiegamento nei prossimi vent’anni e a partire da quando questi impianti diventeranno operativi“.

Nel frattempo si andrà avanti con i metodi ‘tradizionali’, perché “il gas lo abbiamo raccontato, in tempi non sospetti, come combustibile di transizione e in fondo questo ruolo non viene meno. Ci accompagnerà, soprattutto nella generazione elettrica, ancora per qualche tempo“. Dunque, meglio capire che cosa aspettarci nel prossimo inverno. “Dal punto di vista delle forniture, che sono un po’ la sonda principale, pur rimanendo sempre cauti sulle previsioni di prospettiva, non si vedono indicatori di criticità particolari“. Ergo “guarderei a questo autunno con ragionevole fiducia, nel convincimento che poi entrando nel 2025/2026 le cose andranno tendenzialmente migliorando“.

Il dibattito politico, e non solo, è acceso anche sulla fine della finestra per il rientro nel mercato tutelato, in scadenza il prossimo 1 luglio. La Lega vorrebbe allargare le maglie almeno fino alla fine del 2024. “Questa è una valutazione che deve fare il governo“, mette il primo paletto Besseghini. Che vede anche delle potenziali criticità: “Questi termini hanno anche vincoli rispetto agli impegni presi e i processi già definiti, visto che l’assegnazione delle gare è avvenuta a inizio anno e rinviare alla fine di dicembre vorrebbe dire assegnare il consumatore, a distanza di un anno“. Poi, però, tutto va valutato nel contesto delle dinamiche” ma “una dilatazione di tempi porta anche a disperdere questo tipo di convenienza” dovuta alle gare ben costruite, avvisa.

Passando da un argomento all’altro, il presidente dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente ritiene “estremamente virtuoso” che l’Antitrusteserciti una moral suasion sul suo approccio, cioè la visione ex post delle dinamiche di mercato che si instaurano, soprattutto in un momento di transizione in cui la chiarezza e la precisione delle informazioni aiuta a orientarsi“, commenta l’uscita dell’Agcm verso le aziende del settore energivoro. “E’ una ‘never ending story’ quella del miglioramento della chiarezza delle bollette, tant’è vero che abbiamo in corso uno specifico procedimento, che non voglio chiamare ‘bolletta 3.0’ ma è esattamente finalizzata, con un ascolto attento delle associazioni dei consumatori, a trovare un meccanismo omogeneo delle informazioni che i clienti trovano nella bolletta – prosegue -. Perché molto spesso il problema è non trovarla sempre nello stesso posto e questo è molto disorientante. Per parte nostra cerchiamo di costruire strutture di regolazione che portino a elementi formativi chiari“.

Infine, i rifiuti. “E’ abbastanza difficile dire, genericamente, che si spende troppo per la Tari – sottolinea Besseghini -. Ciò che conta è che si spenda coerentemente con i servizi che si ottengono“. Allo stesso tempo “è drammaticamente vero che abbiamo ancora zone del Paese, lo abbiamo letto in tutte le relazioni annuali, in cui il rapporto tra il costo che si sostiene e il servizio che si ottiene, o il servizio ambientale, quindi la capacità di aderire alle indicazioni su smaltimento rifiuti e riciclo, sono molto sbilanciato. Questo, però, tipicamente dipende da assetti industriali un po’ deboli, da gestioni in economia o, appunto, dalla mancanza di impianti“. Situazione che si verifica più al Sud che al Nord, ma anche sulla separazione territoriale, il presidente di Arera invita a non essere “così netto nel tracciare la divisione“.

Panetta: “Fronte comune Ue su transizioni e materie critiche. Puntare sul capitale umano”

Fronte comune in Europa per portare avanti le transizioni (verde e digitale), aumentare l’indipendenza energetica rafforzando le rinnovabili ma allo stesso tempo stringere rapporti “solidi e reciprocamente vantaggiosi” con i Paesi ricchi di materie critiche.

Nelle sue prime considerazioni finali da Governatore della Banca d’Italia e a pochi giorni dalle elezioni europee, Fabio Panetta guarda a Roma, ma soprattutto a Bruxelles, invitando a puntare molto sulla dimensione comune per non restare indietro rispetto ai grandi competitor internazionali. Innovazione e capitale umano sono le parole chiave di una relazione di ampio respiro, che non tralascia i rischi dell’Intelligenza artificiale. L’Ia, è il monito, potrebbe creare rapporti di costi-vantaggi disomogenei e avere effetti, in Italia, su due lavoratori su tre.

La visione del governatore è ottimista: nell’Unione, Roma ha tutte le carte in regola per tornare a crescere e “contare, scandisce. Cruciale è rilanciare la produttività, aprire alla concorrenza, ridurre il debito, soprattutto. Un “fardello“, lo definisce, da cui però potersi liberare. Come? “Coniugando prudenza fiscale e crescita“, suggerisce.

Politiche comuni, precisa Panetta, “sono necessarie nel campo ambientale, della difesa, dell’immigrazione, della formazione e in altri ancora”, osserva il governatore, “poiché molti progetti riguardano beni pubblici comuni quali l’ambiente e la sicurezza esterna, un ammontare di investimenti insufficiente danneggerebbe tutti i paesi e tutti i cittadini dell’Unione. È pertanto necessario, nell’interesse collettivo, realizzare iniziative a livello europeo“.

Per le sole transizioni climatica e digitale e per aumentare la spesa militare al 2 per cento del Pil, la Commissione europea stima infatti un fabbisogno di investimenti pubblici e privati di oltre 800 miliardi ogni anno fino al 2030: “Perseguire un piano così vasto a livello nazionale comporterebbe duplicazioni di spesa e la rinuncia alle economie di scala“, mette in guardia Panetta.

Sugli investimenti in capitale umano, parla di “un’esigenza pressante, data la minore disponibilità, rispetto al resto dell’area dell’euro, di lavoratori con livelli di competenza elevati nel campo dell’innovazione.

Poi l’invito alla piena attuazione degli investimenti e delle riforme previste dal Pnrr che, oltre a innalzare il prodotto di oltre di 2 punti percentuali nel breve termine, “avrebbe effetti duraturi sulla crescita dovuti a incrementi di produttività stimabili tra 3 e 6 punti percentuali in un decennio”, ricorda Panetta.
E’ comunque sul fronte della tecnologia che “si giocherà la partita del futuro, per l’Italia e per il resto d’Europa. Servirà, scandisce, “valorizzare la ricerca, accompagnare il sistema produttivo nella sua trasformazione proteggendo i più svantaggiati, creare un ambiente normativo, economico e finanziario che favorisca l’assunzione di rischi imprenditoriali nei settori innovativi e che limiti il potere monopolistico di pochi grandi attori”.

Coldiretti contro l’arrivo in Italia del cibo ‘fake’, blitz nei porti di Bari e Salerno

Photo credit: Coldiretti

 

No fake in Italy“, “Stop falso cibo italiano“, “Basta import sleale“: sono solo alcune delle grida di battaglia lanciate da Coldiretti dal Brennero, che ora arrivano anche nei porti di Bari e Salerno. Sono proprio Puglia e Campania i teatri dei blitz dei coltivatori diretti per impedire l’arrivo in Italia di “importazioni sleali fatte con lo sfruttamento dei lavoratori cinesi o senza rispettare gli standard europei“, come spiega il presidente, Ettore Prandini.

Entrando nel dettaglio, l’azione messa in campo a Bari è servita a denunciare l’arrivo in rada della “nave fantasma” con a bordo grano turco “di cui si erano perse le tracce dopo che aveva lasciato la Tunisia, da cui risulta sia stata respinta” spiega l’associazione. Sottolineando che l’arrivo allo scalo pugliese sarebbe avvenuto toccando le coste della Grecia. A Bari, però, sono salpate le imbarcazioni degli agricoltori di Coldiretti “decise a denunciare queste pratiche che stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di centinaia di nostre aziende, facendo crollare i prezzi del prodotto italiano proprio alla vigilia dei raccolti“. I dati parlano chiaro: nel 2023 l’import di grano duro dalla Turchia è aumentato oltre l’800%, dalla Russia di oltre il 1000%, dal Kazakistan del 170 percento e dal Canada del 47, sebbene sia trattato con glifosato secondo modalità vietate a livello nazionale. Inoltre, solo nei primi 2 mesi del 2024 sono arrivati quasi 35 milioni di chili di frumento duro, lo stesso quantitativo dell’intero 2022.

Vogliamo che venga rimesso in discussione il principio del codice doganale sull’origine dei cibi, dove ciò che conta è solo l’ultima trasformazione“, dice ancora Prandini in audizione sul decreto Agricoltura davanti alla commissione Agricoltura del Senato. Il numero uno di Coldiretti apprezza l’apertura del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: “Per noi è la madre di tutte le battaglie a livello europeo. Non può e non deve essere l’ultima trasformazione, ma il prodotto che viene utilizzato, che ne deve esaltare l’italianità“.

Proprio per questo motivo i blitz. Il secondo dei quali è avvenuto a Salerno, con gommoni e imbarcazioni sui quali gli associati hanno contestato l’arrivo nei pressi del porto di una nave con 40 container di concentrato di pomodoro cinese, accusato di essere ottenuto con lo sfruttamento del lavoro delle minoranze. Un carico che ha iniziato il suo viaggio lo scorso 29 aprile sul treno della China-Europe Railway Express per essere poi trasferito sull’imbarcazione che è poi approdata in Campania dopo un viaggio di oltre diecimila chilometri tra binari e mare. “Il 90% del concentrato di pomodoro cinese destinato all’esportazione viene dai campi della regione dello Xinjiang, dove verrebbe coltivato grazie al lavoro forzato degli uiguri“, denuncia Coldiretti. Lo scorso anno l’Italia ha importato 85 milioni di chili di pomodoro trasformato cinese, proveniente in gran parte proprio dallo Xinjiang nonostante il fatto che gli Stati Uniti ne abbiano vietato l’importazione sul proprio territorio dal gennaio 2021 per evitare di sostenere il lavoro forzato.

A Salerno è anche il Masaf a muoversi, come conferma il ministro Lollobrigida a GEA, a margine di una visita nel Viterbese. “Ieri abbiamo avuto la segnalazione di una nave che stava per arrivare, che ha chiesto l’autorizzazione a entrare in porto e penso che quando ha saputo che avremmo controllato fino all’ultimo dettaglio del grano che portava e che era stato rifiutato dalla Tunisia, ha girato e se n’è andata. Ma potrebbe avere anche cambiato idea per altre ragioni, non lo sappiamo“. Comunque, assicura, “quel grano non sbarcherà in Italia“. Lollobrigida ribadisce l’impegno sulla “richiesta di revisione del codice doganale” e assicura: “Con noi i controlli sono aumentati. Non accetteremo che la concorrenza sleale dei paesi che non rispettano le stesse regole che imponiamo ai nostri agricoltori e allevatori desertifichi il nostro sistema produttivo“.

Attivate oltre 100 ‘war room’ del Pnrr. Meloni: “Italia prima per obiettivi raggiunti”

Oltre cento cabine di coordinamento presso tutte le Prefetture d’Italia. La premier, Giorgia Meloni, presiede la riunione di insediamento della ‘war room‘ per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, dando di fatto a quella che lei stessa definisce “la fase 2 del Pnrr“. A Palazzo Valentini arriva a metà mattinata, occhiali da sole d’ordinanza seduta al lato passeggero della macchina di scorta. Ad attenderla il Prefetto di Roma, Lamberto Giannini, il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, i ministri degli Affari europei, Raffaele Fitto, e dell’Interno, Matteo Piantedosi, poi il presidente di Anci Lazio, Riccardo Varone, e tutte le Prefetture in videocollegamento.

L’incontro dura circa un’ora e Meloni va dritta al punto nel suo intervento: “Quelli appena trascorsi sono stati mesi di straordinario lavoro di tutti i ministeri, le strutture e gli uffici, che ha permesso all’Italia di essere al primo posto in Europa per obiettivi raggiunti e avanzamento finanziario del Pnrr. Primato certificato dalla Valutazione a medio termine della Commissione europea“. Ragion per cui da questo momento, il “più importante, della concreta attuazione delle riforme e della messa a terra di tutti gli investimenti strategici“, diventa “fondamentale rendere più efficace il monitoraggio su base territoriale degli interventi del Piano, favorire le sinergie tra le diverse amministrazioni e i soggetti attuatori operanti nello stesso territorio e migliorare l’attività di supporto agli enti territoriali, anche promuovendo le migliori prassi“.

Poi, la presidente del Consiglio ricorda gli step raggiunti: “È entrato in vigore il nuovo Pnrr, comprensivo della settima missione RePowerEu, abbiamo ricevuto il pagamento sia della terza rata da 18,5 miliardi che della quarta rata da 16,5 miliardi di euro (l’Italia ha ad oggi ricevuto 102,5 miliardi di euro, rispetto ai 194,4 stanziati dall’Unione europea) e siamo in dirittura d’arrivo per il raggiungimento dei 52 obiettivi della quinta rata, pari a 10,6 miliardi di euro“. Il coordinamento servirà, dunque, a mantenere il trend. Anzi, “il confronto continuo con i territori, tra tutti i soggetti coinvolti, ci consentirà anche di accelerare i pagamenti e di standardizzare e diffondere le buone pratiche amministrative su tutto il territorio nazionale“, spiega Meloni.

Sullo sfondo resta, però, la polemica su alcuni tagli alla spesa corrente per i Comuni, prevista dalla spending review elaborata nell’ultima legge di Bilancio. Circostanza su cui torna anche Gualtieri, nel suo intervento alla cabina di coordinamento, parlando dei problemi che si potrebbero verificare sulla gestione dei servizi potenziati grazie al Pnrr: “L’attivazione, in alcuni casi, è una condizione della norma stessa, quella cioè di disporre la spesa corrente necessaria per l’attivazione dei servizi in periferie e nei luoghi di rigenerazione urbana” e “su questo devo sottolineare come il taglio della spesa corrente per i Comuni costituisca una criticità, a maggior ragione per chi è impegnato con il Pnrr“.

Fitto, però, risponde a distanza smentendo questa possibilità: “Surreale la polemica relativa allo schema di decreto sulla spending review. Ci sono state decine di dichiarazioni su presunti tagli, a partire dagli investimenti per gli asili. Sarebbe bastato leggere il comma 534 della manovra che esclude chiaramente la spesa relativa alla Missione 12 – Diritti sociali, politiche sociali e famiglia degli schemi di bilancio degli enti locali“. La replica del Pd arriva a stretto giro di posta: “Fitto dovrebbe scusarsi con gli italiani per le modalità con cui sta gestendo il Pnrr e falcidiando i comuni“. Anche il vicepremier, Matteo Salvini, poche ore prima aveva provato a rassicurare gli enti locali: “I sindaci è giusto che siano sempre preoccupati, ma non ci saranno tagli“.

Ue, Bonetti: “Investimenti comuni con fiscalità agevolata. Sul Mes errore grave”

Si candida all’Europarlamento con un progetto che metta al centro politica estera, difesa comune e un approccio al Green Deal non ideologico. Elena Bonetti, vicepresidente di Azione, co-fondatrice di Per-Popolari europeisti riformatori, in passato ministra delle Pari opportunità e la Famiglia nel governo Conte 2 e nell’esecutivo a guida Mario Draghi, racconta al #GeaTalk (clicca qui per rivedere l’intervista integrale) gli obiettivi per la nuova legislatura Ue. “Solo un’Europa solida, forte e coesa può rispondere alle esigenze dei cittadini e dei Paesi membri da un lato, e svolgere un ruolo di grande potenza sul piano internazionale dall’altro“. Ai suoi occhi il pericolo è evidente: “L’asse Russia-Cina da una parte, e Stati Uniti (ci auguriamo di no, ma magari a guida Trump potrebbe accadere) dall’altra, renderebbero l’Europa totalmente schiacciata e anche succube di decisione altrui“.

Si parte da una base ben definita: per agganciare il trend internazionale “uno sviluppo tecnologico industriale che affianca il piano di transizione climatica può essere la leva giusta“. In altri termini, “va portato avanti un Green Deal che sia sostenibile da un punto di vista economico, quello che si chiama l’effective cost, cioè ottenere un risultato bilanciato rispetto al costo, con l’obiettivo determinato di fare politiche pro ambiente“. L’esempio è la Direttiva sulle Case Green: “L’Ue ha votato – noi siamo stati l’unico partito di opposizione a esprimerci contro – un provvedimento rispetto al quale l’Italia è impegnata a ridurre del 16% il consumo energetico degli edifici. Questo significa, conti alla mano, che dobbiamo diminuire da qua al 2030 di 75 terawattora il consumo energetico degli edifici” e “il Superbonus, al 2022, aveva fatto una riduzione di 9 Terawattora. Facciamo pure che siamo molto più bravi, ma dobbiamo immaginare un potenziale costo di quattro volte superiore a quello del Superbonus“. Ma questi soldi, sia a livello pubblico che a livello privato, “non ci sono“, ergo “l’esito di questa Direttiva è che non si farà nulla, non cambieremo lo stato di consumo energetico degli edifici“.

Ragion per cui “ci immaginiamo un Green Deal che abbia la capacità di fissare obiettivi ambiziosi, ma raggiungibili a cui si affianchi il foglio del come raggiungerli. Se da un punto di vista energetico vogliamo ridurre le emissioni si investe sul nucleare – entra nel dettaglio -. Se si deve fare una riduzione dei costi energetici, deve esserci, per esempio, un investimento europeo che metta in campo una fiscalità agevolata per degli obiettivi di sostenibilità raggiungibile“. Altro tema emblematico: “Se continuiamo a investire solo sulle auto elettriche, ma non aggiorniamo l’industria dell’automotive europea in modo adeguato, rimanendo totalmente dipendenti dalla Cina per i componenti, non sono per le batterie, significa che l’Europa viene impoverita nella sua parte produttiva, scaricando i costi della transizione sulle imprese o sulle fasce sociali più deboli, aumentando le disuguaglianze sociali“, avvisa Bonetti.

Sull’energia, poi, la posizione è netta, ma da tempo ormai: “Il nucleare di nuova generazione ha dei livelli certificati di sicurezza molto più alti, tra l’altro, dei possibili incidenti che ci sono stati con altre forme di energia“.

Inoltre, Bonetti vede la necessità di avere una difesa comune europea e anche un esercito. “Il punto chiave è questo – dice -. Il passaggio che deve fare l’Europa al prossimo giro, dopo le elezioni di giugno, è decidere, almeno con i Paesi che ci stanno, di diventare un soggetto politico decidente. Per avere, ad esempio, l’ambizione di sedersi al tavolo delle Nazioni Unite e nel Consiglio di sicurezza anche come Unione europea“. In questo modo, dividendo anche le spese, “saremmo molto più efficaci muovendoci con la massa critica, con l’effetto scala europeo e non come singoli Paesi isolati, e avremmo minor costo e più beneficio“.

Impossibile non parlare del giudizio sul governo italiano e sulla premier Giorgia Meloni. “Sulla politica estera, almeno nella prima fase, è stata totalmente in continuità con la politica di Draghi. Pensiamo al sostegno all’Ucraina“. Poi, però, c’è il tema della “non credibilità dei suoi alleati interni, come Salvini“. Inoltre, secondo Bonetti, la presidente del Consiglio “ha fatto degli errori, penso gravi, come quello di non aver ratificato il Mes, oltre a non aver preso quello sanitario“. Perché l’Italia “col diritto di veto, ha impedito di ratificare uno strumento di tenuta finanziaria a livello europeo. Ed è chiaro che questo poi lo abbiamo pagato nella trattativa sul Patto di stabilità, dove evidentemente siamo arrivati più deboli“.

Green Deal, Bonetti: “Investimento Ue con fiscalità agevolata per obiettivi raggiungibili”

Ci immaginiamo un Green Deal che abbia la capacità di fissare obiettivi ambiziosi, ma raggiungibili a cui affianchi il foglio del come raggiungerli“. Lo dice la vicepresidente di Azione, Elena Bonetti, candidata alle prossime elezioni europee, ai microfoni del #GeaTalk. “Se da un punto di vista energetico vogliamo ridurre le emissioni si investe sul nucleare – aggiunge -. Se si deve fare una riduzione dei costi energetici, deve esserci, per esempio, un investimento europeo che metta in campo una fiscalità agevolata per degli obiettivi di sostenibilità raggiungibile“. Inoltre, “il nucleare di nuova generazione ha dei livelli certificati di sicurezza molto più alti, tra l’altro, dei possibili incidenti che ci sono stati con altre forme di energia“.