Draghi bacchetta l’Europa: “La crescita perde slancio. L’inazione minaccia competitività e sovranità”

“A distanza di un anno, l’Europa si trova quindi in una situazione più difficile. Il nostro modello di crescita sta perdendo slancio. Le vulnerabilità aumentano. E non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno. Ci è stato dolorosamente ricordato che l’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra stessa sovranità”. A dodici mesi dalla presentazione del rapporto che metteva in guardia dal “ritardo” economico del Vecchio Continente rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea ed ex presidente del Consiglio, ha esortato martedì l’Europa a uscire dalla sua “lentezza” e a condurre riforme per ripristinare la sua competitività. Invitato dalla Commissione europea a tracciare un primo bilancio – alla presenza di Ursula von der Leyen – dodici mesi dopo la presentazione delle sue raccomandazioni, l’economista è stato, come sempre, molto schietto.

Pur lodando la determinazione ad agire della Commissione, che aveva fatto propria la sua diagnosi e da allora ha lanciato molteplici iniziative ispirate alle sue raccomandazioni, Draghi ha ritenuto che “le imprese e i cittadini” sono delusi “dalla lentezza dell’Europa e dalla sua incapacità di muoversi con la stessa rapidità” degli Stati Uniti o della Cina. “L’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra sovranità”, ha avvertito, rammaricandosi che “i governi non siano consapevoli della gravità della situazione”.

Secondo i calcoli del centro di riflessione EPIC di Bruxelles, solo l’11% delle 383 raccomandazioni formulate da Draghi nella sua relazione sul “futuro della competitività europea” sono state attuate completamente e circa il 20% in modo parziale. Anche gli economisti della Deutsche Bank Marion Muehlberger e Ursula Walther ritengono in una nota che “i progressi nel complesso siano contrastanti”, con “riforme sostanziali” attuate o avviate, ma senza che vi sia nulla che possa cambiare radicalmente la situazione in questa fase.

Tra i principali progressi, c’è la ripresa dell’industria della difesa. L’urgenza di riarmare l’Europa di fronte alla minaccia russa ha spinto i 27 Stati membri a lanciarsi in uno sforzo collettivo di reindustrializzazione, con notevole agilità. La settimana scorsa, la Commissione ha annunciato di aver stanziato 150 miliardi di euro di prestiti a 19 paesi, nell’ambito di una serie di misure volte a mobilitare fino a 800 miliardi di euro. L’Europa si è anche dotata di una piattaforma comune per garantire l’approvvigionamento di materie prime “critiche” e ha moltiplicato le iniziative nel campo dell’intelligenza artificiale. Tutti risultati sottolineati von der Leyen, che, ricevendo Mario Draghi, ha riconosciuto la necessità di accelerare i tempi per raddrizzare la barra.

La Commissione, ha detto, “manterrà senza sosta la rotta fino a quando tutto sarà completato” e ha esortato le altre istituzioni europee a unirsi al movimento, in particolare il Parlamento, che non ha ancora adottato una serie di leggi di semplificazione normativa denominate Omnibus. “Abbiamo bisogno di un’azione urgente per far fronte a esigenze urgenti, perché le nostre imprese e i nostri lavoratori non possono più aspettare”, ha detto von der Leyen.

Secondo la Deutsche Bank, queste misure di semplificazione potrebbero far risparmiare alle imprese europee circa 9 miliardi di euro all’anno. La presidente dell’esecutivo europeo ha invitato inoltre ad attuare “con senso di urgenza”  il completamento del mercato unico, un vasto progetto che consiste nell’eliminare entro il 2028 molteplici barriere interne che continuano a frenare l’attività economica in numerosi settori. Secondo il Fondo monetario internazionale, tali ostacoli rappresentano l’equivalente del 45% dei dazi doganali sui beni e del 110% sui servizi. Per Simone Tagliapietra, esperto dell’istituto Bruegel, “il messaggio di Draghi è molto chiaro: o l’Europa cambia modello economico, o è destinata a scomparire”. E questo messaggio è rivolto in primo luogo agli Stati membri, dove secondo lui risiede il principale ostacolo alle riforme.

Per Meloni dazi al 15% “sostenibili”. Ma Schlein attacca: “Resa alle imposizioni di Trump”

Per Giorgia Meloni avere dazi sulle esportazioni in Usa al 15% è una “base sostenibile”. Sicuramente meglio di una guerra commerciale, che “avrebbe avuto conseguenze imprevedibili, potenzialmente devastanti”. La premier, da Addis Abeba, dice la sua sull’accordo stretto da Donald Trump e Ursula von der Leyen in Scozia, ma intravede ancora qualche spiraglio nelle pieghe del negoziato tra Bruxelles e Washington: “Bisogna valutare i dettagli e lavorarci, perché quello sottoscritto domenica non è vincolante, su alcune cose c’è ancora da battersi”.

Il pensiero, ovviamente, corre a settori come la farmaceutica o i vini, che pesano per un Paese come l’Italia. Si tratta di speranze più che di certezze, ma visti i tempi è pur sempre un punto di partenza migliore del 30% prospettato solo poche settimane fa dal tycoon. Meloni riconosce alla presidente della Commissione Ue di essere stata chiara nel dire che “bisogna andare nei dettagli, dunque essere certi che ci siano alcuni settori sensibili inseriti nell’accordo”, verificando se siano possibili esenzioni, “particolarmente su alcuni prodotti agricoli”.

La presidente del Consiglio non si sbilancia, invece, sugli approvvigionamenti di energia dagli Usa: “Non so a cosa si riferisca, al momento non so valutarlo”. Vuole prima vedere i testi nero su bianco, anche se nel frattempo vanno studiate strategie per aiutare i settori che ne usciranno più colpiti dai dazi. Sul punto Meloni si aspetta di più dall’Ue: “Semplificazioni, mercato unico, c’è tutto un lavoro su cui l’Europa non può più perdere tempo, anzi deve accelerare e compensare i possibili limiti”.

La macchina italiana, intanto, si attiva. Antonio Tajani riunisce alla Farnesina i rappresentanti del mondo produttivo, davanti ai quali ammette che i dazi al 15% sono alti ma “sostenibili”, confermando così la versione del governo. “Il rischio era avere una situazione peggiore”, ammette il ministro degli Esteri agli imprenditori, ai quali esprime una preoccupazione ancora maggiore: “La svalutazione del dollaro, una sorta di altro dazio”. La speranza è che la Bce abbassi ancora i tassi, ma di soluzioni ne prospetta almeno un paio a caldo: “Un quantitative easing o una procedura accelerata modificando per qualche mese il Sme Supporting Factor, che agevola il credito alle piccole e medie imprese, portandolo da 2,5 a 5 milioni”.

Se agli occhi del vicepremier “questa era la migliore trattativa possibile”, per il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, “forse era difficile fare di più”. Il responsabile del Mase ritiene che sia presto per valutare gli impatti dei dazi sull’economia italiana, ma una battuta geo-economica se la concede a ‘PiazzAsiago’: “Per noi sicuramente Kamala Harris sarebbe stata più conveniente”.

Almeno su questo non potrebbe che concordare Elly Schlein. “Non è un buon accordo come sostiene il governo Meloni – commenta la segretaria del Pd -. Ha i tratti di una resa alle imposizioni americane, dovuta al fatto che il governo italiano insieme ad altri governi nazionalisti totalmente subalterni a Trump, hanno spinto per una linea morbida e accondiscendente che ha minato l’unità europea e indebolito la posizione negoziale dell’Ue”, attacca. Senza risparmiare critiche all’esecutivo: “Anziché lottare per rinnovare i 750 mld di investimenti comuni europei del Next Generation Eu, Meloni e i suoi sodali ne regalano uno identico per portata agli Stati Uniti di Trump”. Schlein chiede risposte immediate sugli aiuti alle imprese e nel frattempo guida la ruspa verso Palazzo Chigi: “Altro che ponte con gli Usa, questa amicizia a senso unico di Meloni con Trump avrà un costo altissimo per le imprese e lavoratori italiani”.

I dem sono attivissimi e rispolverano parole di Giancarlo Giorgetti di un paio di settimane fa, sostenendo che il ministro dell’Economia ritenesse “insostenibile” ogni accordo diverso dal 10%. Fonti del Mef, però, rilanciano in tempo reale il video del 15 luglio scorso, in cui Giorgetti ammette che ricalcare i termini dell’accordo stretto con il Regno Unito “non è nella disponibilità” degli Usa, e pochi istanti dopo aggiunge che “non si può andare molto lontano da questo numero, altrimenti diventa insostenibile”. In effetti, un po’ di differenza la fa.

Ma è tutta l’opposizione a protestare per un accordo che ritiene una “resa incondizionata al sovranismo” del tycoon, per dirla con l’espressione del leader di Iv, Matteo Renzi. Duro anche Giuseppe Conte, che fa il raffronto tra la reazione di Meloni e quella di altri leader europei, ad esempio Francois Bayrou: “Si proclama sovranista, poi diventa portabandiera dello slogan ‘America First’. Crolla il castello di carte di Giorgia Meloni: una premier che, pur di compiacere la Casa Bianca, ha deciso di sacrificare il presente e il futuro di milioni di italiani. Nessun sussulto di dignità, nessun allarmismo per un Paese che corre verso il baratro”. Per Angelo Bonelli (Avs), poi, “spendere 750 miliardi di euro in gas americano significa dire addio alla transizione energetica e costringere famiglie e imprese italiane a bollette sempre più care”. Il coro, comunque, è unanimemente negativo, preannunciando una nuova estate calda della politica. Con il meteo che, ancora una volta, non c’entra.

In Scozia il faccia a faccia von der Leyen-Trump. Il tycoon: “Accordo con Ue? 50% di possibilità”

Non avverrà né su suolo statunitense né in territorio dell’Unione europea: il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e quella della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si vedranno in Scozia, domenica 27 luglio. L’obiettivo è “discutere delle relazioni commerciali transatlantiche e di come possiamo mantenerle forti“, ha precisato su X von der Leyen.

La decisione è stata definita oggi, 25 luglio, dai due leader, “dopo una proficua telefonata“. Questo è il terzo incontro tra i due presidenti, dopo gli incontri a margine del G7 in Canada e del funerale di Papa Francesco a Roma. E, se si considera gli umori registrati negli ultimi giorni a Bruxelles – che ritiene che “un accordo sia a portata di mano” – e le ultime dichiarazioni dell’inquilino della Casa Bianca – che dà al 50% le possibilità di raggiungere un accordo -, si può ipotizzare che la giornata di domenica segni un’accelerazione importante, se non addirittura la conclusione, di questo primo atto nelle trattative tra Ue e Usa sulle loro relazioni. Inoltre, va ricordato che più volte, nei mesi scorsi, Palazzo Berlaymont ha messo in chiaro che un incontro specifico tra i due leader sarebbe stato possibile solo alla presenza sul tavolo di un testo su cui concordare.

Direi che abbiamo il 50% di possibilità, forse meno, di concludere un accordo con l’Ue“, ha dichiarato Trump. “Stiamo lavorando molto intensamente con l’Europa, con l’Ue“, ha aggiunto parlando con i giornalisti e, prima della sua partenza per la Scozia, ha accennato ai negoziati con altri importanti partner commerciali: “Abbiamo una bozza di accordo con la Cina“, ha assicurato. La prossima settimana, a Stoccolma, i rappresentanti dei governi cinese e americano si incontreranno per un terzo ciclo di discussioni sui dazi doganali in vista del 12 agosto, data in cui scadrà la pausa con Pechino.

Le parole più dure Trump le ha riservate per il Canada: “Finora non abbiamo avuto molta fortuna con il Canada. Penso che il Canada potrebbe essere uno di quei Paesi che dovranno semplicemente pagare i dazi doganali“, ha sottolineato, lamentando che i colloqui con Ottawa non fossero “veri e propri negoziati“.

Nel frattempo, Bruxelles ha approvato la lista unica di contromisure che scatterebbero dal 7 agosto in caso di mancato accordo. I dazi verrebbero riscossi a partire da date diverse. Le contromisure adottate in risposta ai dazi statunitensi sull’acciaio e sull’alluminio entrerebbero in vigore il 7 agosto, ad eccezione dei dazi sui semi di soia e sulle mandorle, che entrerebbero in vigore il primo dicembre. Mentre i dazi previsti dalle misure aggiuntive adottate il 24 luglio entrerebbero in vigore in due fasi, a seconda del prodotto importato specifico in questione: per la maggior parte delle merci, i dazi sarebbero riscossi a partire dal 7 settembre. Ciò al fine di concedere alle autorità doganali tempo sufficiente per prepararsi alla riscossione di tali dazi. Per le restanti merci, i dazi sarebbero riscossi a partire dal 7 febbraio 2026. Ciò al fine di concedere all’industria dell’Ue il tempo necessario per adeguare le proprie catene di approvvigionamento, data la natura sensibile delle merci in questione.

Tra le merci statunitensi che verrebbero sottoposte, ad un dazio del 25% figurano, in un elenco non esaustivo: il granturco dolce, compreso quello conservato nell’aceto o nell’acido acetico; il riso lavorato e semilavorato, il riso a grani tondi e a grani medi, i prodotti a base di riso soffiato; i mirtilli rossi americani e i mirtilli palustri, i succhi di frutta non congelati; i sigari, le sigarette al garofano (simili alle ‘kretek’ indonesiane) e il tabacco da narghilè; il burro d’arachidi; l’olio essenziale di arancio; le soluzioni alcoliche odorifere usate nell’industria. I prodotti per trucco, manicure e pedicure, le ciprie e le lacche per capelli. E poi jeans, Harley Davidson, whisky, materiale da campeggio. Nel primo elenco, stilato in risposta ai dazi del 25% su acciaio e alluminio europei (poi saliti al 50%) e poi unito al secondo elenco preparato per rispondere ai dazi reciproci di Trump, venivano colpiti prodotti industriali per un valore di 65,764 miliardi di euro e di prodotti agroalimentari per 6,352 miliardi di euro (per un totale di 72,116 miliardi di euro). Nel mirino aeromobili (per 10,8 miliardi di euro), macchinari (9,4 miliardi), automotive (7,9 miliardi), motori e componenti (1,7 miliardi), sostanze chimiche e materie plastiche (7,7 miliardi), dispositivi e apparecchiature mediche (7,6 miliardi), alluminio e acciaio (1,4 miliardi), combustibili energetici (coke, pellet di legno) per 1,4 miliardi. E, ancora, frutta e verdura (1,9 miliardi), bevande alcoliche (vino, birra, superalcolici, per 1,2 miliardi), prodotti provenienti da pesca e acquacoltura (per 500 milioni di euro) e anche le uova (per 21 milioni). Tra i prodotti ci sono anche il bourbon, la soia, la carne bovina e il pollame, prodotti in legno.

Le guerre fatte sulle tasche dei cittadini e la retromarcia della Ue

Schiacciati tra la guerra in Ucraina e gli orrori di Gaza, onestamente non si sentiva necessità di un altro fronte conflittuale, ancor più pericoloso, aperto da Israele contro l’Iran. Le evidenze di questi giorni testimoniano una svolta nell’accezione politica a questa terza guerra: mentre sull’Ucraina a tratti le posizioni non sono allineate, mentre sulla Striscia la condanna del mondo è univoca per ciò che ha scatenato la mattanza e per la reazione inusitata che continua a esserci, sulle incursioni dell’esercito di Netanyahu a Teheran e dintorni c’è la quasi sintonia del pianeta, al massimo (ed è il caso della Russia) si registrano silenzi imbarazzati. La minaccia atomica di un regime poco incline alla salvaguardia dei diritti umani, quello degli ayatollah, sta mettendo tutti d’accordo nella speranza che il conflitto non si allarghi e da regionale diventi planetario.

Fatta questa premessa, c’è la poi la sostanza delle cose che va a impattare sul cittadino comune, in Europa e in Italia. Già fiaccati dal ‘tiraemolla’ di Donald Trump che minaccia di mettere dazi anche ai sogni – a proposito, manca meno di un mese alla tregua di luglio – i sistemi economici occidentali devono rifare i conti con altri rincari, in particolare quelli dell’energia, cioè gas e petrolio. E’ vero che l’Iran attualmente ha un’incidenza minima nel mercato globale ed è vero che non si è verificato uno sconquasso dei prezzi (a giugno 2022, quattro mesi dopo l’invasione russa, aveva toccato i 122 dollari al barile, oggi è a 75), però la timida ripresa delle scorse settimane è andata a farsi benedire. E al signor Brambilla o alla signora Pautasso, che smaniano per andare in vacanza e magari non posseggono tutta questa sensibilità geopolitica, l’unica cosa che li rende irascibili sono il rincaro delle bollette e il pieno di diesel o benzina. Perché, alla resa dei conti, è sempre l’energia a fare da discriminante.

Prima c’erano gli Houty, adesso c’è lo stretto di Hormuz, che è grande come il Mare Adriatico e collega il Golfo Persico e il Golfo di Oman, là dove transitano ogni giorno 20 milioni di barili via nave. Se l’Iran decidesse di bloccare quel passaggio, mezzo mondo resterebbe a secco con conseguente impazzimento dei prezzi, perché una goccia di greggio varrebbe quanto un’oncia d’oro. Non a caso, l’Unione europea ha innestato la marcia indietro per quanto riguarda il tetto al petrolio russo, che doveva passare da 60 dollari (stabiliti nel 2022) a 45, in maniera da intaccare i ricavi di Vladimir Putin e togliergli le sovvenzioni per continuare il conflitto con l’Ucraina. Ma di fronte all’incedere minaccioso della guerra tra Israele e Iran e all’inevitabile aumento del prezzi, Ursula von der Leyen ha detto che conviene pazientare. Al contrario dell’Alta Commissaria Kaja Kallas che non vorrebbe arretrare di un millimetro, testimonianza di una distonia strategica all’interno della Commissione. A metterle d’accordo è intervenuto Trump, con un no secco e ultimativo all’inasprimento delle misure contro Mosca. E allora?

Allora lo spauracchio è quello degli Anni Settanta e delle targhe alterne legate alla crisi petrolifera. Assetati di benzina, vennero introdotte misure di austerity – mutuate da un’idea americana – per limitare la circolazione dei veicoli privati la domenica: una era vietata alle targhe pari, quella dopo alle targhe dispari. Tornare indietro di cinquant’anni senza capire il perché…

Von der Leyen

L’Ue accelera sulla competitività, ma l’ombra dei dazi Usa si allunga sui 27

La “rivalità geostrategica” è “spietata” e l’Europa “deve cambiare marcia se vuole mantenere la sua crescita nei prossimi 25 anni”, anche alla luce del fatto che “le principali economie mondiali si contendono l’accesso alle materie prime, alle nuove tecnologie e alle rotte commerciali globali”. Insomma, “dall’Artico al Mar Cinese Meridionale, la gara è aperta”. Da Davos, in Svizzera, dove si svolge il World Economic Forum, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, preme sull’acceleratore e cerca di scuotere il continente di fronte “all’intensificarsi della concorrenza” e spinge i 27 a “lavorare insieme” per “evitare una corsa al ribasso”.

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non è affare da poco e von der Leyen lo sa. L’Unione europea, assicura, sarà “pragmatica” con gli Stati Uniti, e si impegnerà “nel dialogo senza indugio”, ben consapevole degli “interessi comuni” e pronta “a negoziare”. Allo stesso tempo, però, serve una spinta forte e per questo la Commissione europea la prossima settimana presenterà una “tabella di marcia, che guiderà i nostri sforzi nei prossimi cinque anni”. Una roadmap che vede il suo fil rouge nel rapporto sulla competitività firmato da Mario Draghi. Quattro gli obiettivi indicati da von der Leyen: aumentare la produttività “colmando le lacune dell’innovazione”, sviluppare un piano comune per la decarbonizzazione e la competitività, “affrontare le carenze di competenze e di manodopera e ridurre la burocrazia”. Una strategia, dice la leader dell’esecutivo Ue, che “mira a garantire una crescita più rapida, più pulita e più equa”.

Sullo sfondo, però, l’ombra dei dazi annunciati da Trump smorza gli entusiasmi. Il presidente Usa ha già annunciato che dal 1° febbraio punta ad aumentare del 25% le tasse doganali sui prodotti provenienti dai vicini Canada e Messico, mentre gli effetti delle nuove politiche protezionistiche nei confronti dell’Europa hanno contorni non ancora ben definiti.

Da Strasburgo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, prova a gettare acqua sul fuoco: “Di per sé i dazi non significano nulla – dice – e dobbiamo raccogliere una sfida competitiva dando una risposta adeguata”. Insomma la presidenza Trump può rappresentare “una grande opportunità per l’Europa, perché ci costringe a rispondere con altrettanta assertività”. Anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz invita alla calma: l’Europa, dice a Davos, deve “difendere il libero scambio”, ma è necessario “mantenere il sangue freddo” e puntare su “cooperazione e comprensione reciproca”. Un tema, quello dei dazi, in cui la Cina non può che entrare dalla porta principale: “il protezionismo non porta da nessuna parte e non ci sono vincitori nelle guerre commerciali”, assicura il vice premier Ding Xuexiang. A margine dei lavori dell’Ecofin, anche la Svezia chiede prudenza. “Certamente ci sono preoccupazioni per dazi, ma ancora non siamo in questa situazione quindi restiamo calmi”, dice la ministra delle Finanze, Elisabeth Svantesson.

Meno diplomatico, ca va sans dire, il primo ministro canadese Justin Trudeau, che si dice pronto “ad affrontare tutti gli scenari” e a tutelare gli interessi nazionali se tra 10 giorni le nuove tariffe doganali entreranno ufficialmente in vigore. Già, perché seppur dimissionario, Trudeau spera ancora di convincere Trump a fare dietrofront. Gli economisti sostengono che l’imposizione di dazi innescherebbe una profonda recessione nel Paese, dove il 75% dei beni e servizi esportati è destinato agli Stati Uniti.

Giovedì Trump è atteso in videocollegamento a Davos e il tema degli scambi commerciali con l’Europa potrebbe essere uno dei piatti messi sul tavolo. Il volume tra Usa e Ue ammonta a 1,5 trilioni di euro, pari al 30% del commercio mondiale. “La posta in gioco per entrambe le parti – assicura von der Leyen – è enorme”.

Si sblocca l’impasse: via libera a Fitto e Ribera vice presidenti esecutivi della Commissione Ue

Via libera ai due vice presidenti esecutivi designati, Teresa Ribera e Raffaele Fitto, dalle commissioni competenti del Parlamento europeo. Dopo una giornata intensa di litigi e rinvii del voto, alla fine la commissione per lo Sviluppo regionale ha dato disco verde all’ormai ex ministro italiano come vice presidente esecutivo della Commissione europea a Coesione e Riforme, mentre e le commissioni Ambiente, Industria ed Energia e Affari economici hanno approvato la nomina dell’esponente spagnola a vice presidente esecutiva alla Transizione pulita, giusta e competitiva.

Raffaele Fitto è stato confermato nel ruolo di vicepresidente esecutivo della Commissione europea. Quest’importante incarico attribuito al Commissario designato dall’Italia è una vittoria di tutti gli italiani, non del Governo o di una forza politica“, commenta quasi in tempo reale la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Abbiamo ottenuto un portafoglio di peso e il coordinamento di deleghe strategiche per la nostra Nazione e per l’Europa intera, come l’agricoltura, la pesca, l’economia del mare, i trasporti e il turismo – sottolinea -. Questa indicazione è la conferma di una ritrovata centralità dell’Italia in ambito europeo, all’altezza del nostro ruolo come Stato fondatore della Ue, seconda manifattura d’Europa e terza economia del Continente“.

L’accordo tra le tre forze politiche della maggioranza a sostegno della Commissione europea Ursula von der Leyen (Partito popolare europeo, Socialisti e democratici, liberali di Renew Europe) che ha sbloccato lo stallo è arrivato nel pomeriggio di mercoledì 20 novembre. Il perimetro tiene dentro tutti i candidati, in particolare Fitto, Ribera e l’ungherese Oliver Varhelyi, che si è visto però togliere dal portfolio le deleghe sulla Agenzia per la preparazione e reazione alle emergenze (Hera), inclusa la gestione e la preparazione alle crisi, e la competenza sui diritti sessuali e riproduttivi, tutti file che vengono trasferiti alla commissaria di Renew Europe, Hadja Lahbib. In questo modo vengono ribaditi i punti politici espressi nelle linee guida di von der Leyen che hanno consentirono la sua conferma a luglio. Nessun riferimento all’allargamento o meno della maggioranza ai conservatori e riformisti europei, ma secondo il presidente del gruppo Ppe al Parlamento europeo, Manfred Weber, l’Ecr e Fratelli d’Italia hanno dimostrato un impegno costruttivo non solo nelle ultime settimane ma fin dallo scorso aprile, in occasione del voto sul nuovo Patto per la migrazione e l’asilo.
Stiamo lavorando insieme a coloro che vogliono davvero realizzare le cose. Un esempio concreto è che abbiamo avuto ad aprile di quest’anno un voto cruciale per la gestione della migrazione a livello europeo dopo anni di discussioni senza fine sulla gestione della migrazione a livello europeo. Alla fine Fratelli d’Italia ha contribuito ad avere la maggioranza nel Parlamento europeo“, afferma Weber dopo la Conferenza dei presidenti, composta dalla presidente Roberta Metsola e dai capi dei gruppi politici, che sancisce il raggiungimento dell’accordo. “I Verdi hanno rifiutato di sostenere tutto il Patto per le migrazioni – aggiunge -. Quindi questo è per me uno degli argomenti che mi ha dato la chiarezza sul fatto che il governo italiano, anche sotto la guida di Giorgia Meloni, vuole contribuire a risolvere i problemi legalmente sulla base dei nostri valori a livello europeo. E questo è un buon segnale. E nelle ultime settimane di audizioni dei candidati qui al Parlamento europeo, abbiamo visto pieno impegno da parte dell’Ecr a sostenere tutti i candidati. Quindi l’Ecr – è una mia osservazione – è pronto a lavorare costruttivamente a far prendere le funzioni alla prossima Commissione ed è una buona notizia“, sottolinea ancora il presidente degli eurodeputati Ppe.

Di parere totalmente opposto i Verdi. Il co-presidente del gruppo, Bas Eickhout ha parlato di “un giorno non buono per il Parlamento europeo” e di “un processo farsa di valutazione” dei commissari e vice presidenti designati. “Abbiamo detto fin dall’inizio che l’unico modo per ottenere una maggioranza stabile è lavorare insieme come europeisti. È evidente che stanno rompendo il patto di collaborazione. E non credo che d’ora in poi il Ppe non lavorerà più insieme all’Ecr. Lo vedremo anche stasera, sembra che tutti i diversi commissari saranno votati, compreso Fitto, senza alcun cambiamento nel portafoglio – spiega -. Sono abbastanza sicuro che l’Ecr sia molto felice. Ma onestamente non vedo la possibilità di un lavoro stabile con Ecr” da parte di Ppe, S&D e Renew Europe. L’Ecr “sarà ovviamente molto vittorioso perché Fitto passerà, ma io sto pensando al lungo termine e a questo tentativo dei tre di avere una dichiarazione che finge di avere una maggioranza stabile: non sarà così“.

Lite Meloni-Schlein su Fitto. La dem: “Stallo creato da Vdl e Ppe, allargano a destra”

Non si placa lo scontro a distanza tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Questa volta, il terreno è quello europeo e la posta in gioco è alta per tutti. La vicepresidenza della commissione europea di Raffaele Fitto è in stallo e la premier non accetta che il Paese non sia compatto nel supporto alla causa.

Non posso che augurarmi il massimo sostegno da parte del Sistema Italia, forze politiche comprese, alla conferma della vicepresidenza esecutiva della prossima Commissione per il Commissario italiano Raffaele Fitto”, mette in chiaro Meloni. Il ruolo di vicepresidente, ricorda, consentirà al ministro italiano, già dotato di un portafoglio “significativo” alla coesione e alle riforme, di “supervisionare altre politiche settoriali come quella dei trasporti, affidata al commissario greco Tzitzikostas”. A lui spetterà, tra l’altro, la redazione di un nuovo piano europeo per il settore caldissimo dell’automotive, che sta facendo tremare le vene ai polsi dell’intero Continente. La premier ce l’ha in particolare, con la segretaria dei Dem. Dal palco della chiusura della campagna elettorale del centrodestra per le Regionali in Umbria, la presidente del Consiglio si dice “basita”: “Da giorni chiedo alla segretaria del Partito Democratico quale sia la posizione ufficiale del Pd” su Fitto “e non riesco ad avere una risposta”, denuncia. “Non deve rispondere a me ma ai cittadini italiani, le persone serie fanno così”, ribadisce, invitando Schlein ad assumersi la “responsabilità delle proprie scelte.

Sorrido”, risponde la democratica oggi proprio da Perugia, perché, sostiene “questa cosa chiarisce molto bene chi è la presidente del Consiglio”. Racconta di aver telefonato lei alla premier per chiederle “perché è da una settimana che mi attribuisce cose che non ho mai fatto e che non ho mai detto” e di non aver ricevuto risposta. “Mi attribuisce cortei a cui non ho partecipato, assessorati regionali che non ho mai avuto, e posizioni su Fitto che non ho mai assunto”, assicura. Poi chiarisce la posizione del Pd su Fitto: “Non abbiamo mai messo in discussione un portafoglio di peso per l’Italia in quanto Paese fondatore”, chiosa. Lo stallo politico, secondo Schlein l’hanno creato i Popolari che in Parlamento stanno cercando di allargare “strutturalmente” la maggioranza alla destra nazionalista. Fa nomi e cognomi: il problema l’hanno creato “Manfred Weber e Ursula von der Leyen“. Si rivolge proprio alla presidente della Commissione europea, esortandola a “sbloccare questa situazione”. Perché, spiega, “Il problema non è mai stato Fitto e le sue deleghe, questo non l’abbiamo mai detto. Il nodo politico è l’allargamento della maggioranza a destra diversamente da chi ha votato von der Leyen a luglio“.

Intanto, il commissario uscente all’Economia, Paolo Gentiloni, ricorda a tutti che “il mondo non aspetta la Commissione europea” e che difficoltà e problemi vanno superati il prima possibile. Si dice convinto che ci siano le condizioni perché il nuovo esecutivo entri in funzione “come necessario” il primo dicembre. Le sfide sono tante: “Tutti siamo convinti che nel contesto che si è creato anche dopo le elezioni americane avere una Europa unita e salda sia importante e per questo mi auguro che non ci siano ritardi”, sostiene.

Dalla missione di Monaco di Baviera, il vicepremier e vicepresidente del partito Popolare europeo, Antonio Tajani, tratta con il capogruppo del Ppe Manfred Weber e “gli amici della Csu”, l’Unione Cristiano Sociale. “Di fronte alle sfide da affrontare, da migrazioni a competitività, occorre lavorare per soluzioni”, commenta il ministro degli Esteri italiano, ribadendo che è “necessario approvare la nuova Commissione nei tempi previsti”. I leader Ue avranno modo di cercare una soluzione vis-à-vis nei prossimi giorni, ospiti del G20 di Rio de Janeiro, in Brasile, il 18 e 19 novembre.

Nuova Commissione von der Leyen va a destra: Fitto incassa la prima vicepresidenza di Ecr

Quattordici commissari del Partito popolare europeo (Ppe); cinque liberali di Renew Europe (RE); cinque della famiglia socialista (S&D); due dei Conservatori e riformisti europei (ECR) e uno dei Patrioti d’Europa (PdE). E per la prima volta una vice presidenza esecutiva della Commissione europea va a un politico più a destra della famiglia popolare, con Raffaele Fitto. È il collegio dei commissari della Commissione europea targata Ursula von der Leyen per il lustro 2024-2029, in base ai nomi che i 27 Paesi membri dell’Ue hanno presentato nelle settimane passate e che la politica tedesca ha vagliato e accettato.

Nelle prossime settimane, i candidati saranno prima sottoposti allo screening della commissione giuridica del Parlamento europeo, che valuterà l’eventuale presenza di conflitti di interesse che impediscano l’assunzione delle funzioni, e poi dovranno sostenere le cosiddette audizioni, una sorta di esame nelle commissioni parlamentari competenti delle materie loro affidate. Dunque, i giochi non sono conclusi, dato che gli eurodeputati hanno la possibilità di ‘bocciare’ i candidati obbligando gli Stati a presentare nuove personalità. Ma, intanto, il gruppo attuale mostra il consolidamento del Ppe – che dopo aver già le due presidenti di Parlamento e Commissione incassa anche la maggioranza in seno all’esecutivo europeo (14 su 27) – e con la vice presidenza a Fitto rafforza il rapporto con una famiglia politica considerata sovranista. Ciò perché le nomine dei candidati commissari vengono fatte dai Paesi membri e non dipendono direttamente dall’esito delle elezioni europee. Dopo la tornata di giugno, ad esempio, il dibattito all’interno del Parlamento ha portato alla creazione di una maggioranza a sostegno del bis di von der Leyen alla guida della Commissione che andava dalla maggioranza Ursula – Ppe, S&D, Renew Europe – e teneva dentro anche gran parte del gruppo dei Verdi mentre escludeva Ecr e gli altri gruppi. Ma, per la formazione dell’esecutivo, il discorso cambia e parte dal peso e dalle figure designate dalle 27 Capitali.

La Commissione 2024-2029 non ha raggiunto matematicamente la parità di genere, dato che saranno 11 le donne al tavolo, ma oltre alla presidente la rappresentanza femminile ottiene 4 delle sei vicepresidenze esecutive. La spagnola Teresa Ribera (S&D) sarà vicepresidente esecutiva di una transizione pulita, giusta e competitiva. Sarà anche responsabile della politica sulla concorrenza. “Guiderà il lavoro per garantire che l’Europa rimanga sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi stabiliti nel Green deal europeo. E che decarbonizziamo e industrializziamo la nostra economia allo stesso tempo”, ha spiegato von der Leyen in conferenza stampa. La finlandese Henna Virkkunen (Ppe) sarà vicepresidente esecutiva per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia. “Sarà anche responsabile del portafoglio sulle tecnologie digitali e di frontiera. Chiederò a Henna di esaminare gli aspetti interni ed esterni della sicurezza. Ma anche per rafforzare le fondamenta della nostra democrazia, come lo stato di diritto, e proteggerla ovunque venga attaccata”, ha continuato. Il francese Stéphane Séjourné (RE) sarà il vicepresidente esecutivo per la prosperità e la strategia industriale. Sarà inoltre responsabile del portafoglio Industria, Pmi e Mercato unico. “Guiderà il lavoro per creare le condizioni affinché le nostre aziende prosperino, dagli investimenti e dall’innovazione alla stabilità economica, al commercio e alla sicurezza economica”, ha aggiunto.

L’estone Kaja Kallas (RE) sarà il nostro Alto rappresentante e vicepresidente. “Viviamo in un’epoca di rivalità geostrategiche e instabilità. La nostra politica estera e di sicurezza deve essere progettata tenendo presente questa realtà e deve essere maggiormente allineata ai nostri interessi. So di poter contare su di lei per riunire tutto questo e fungere da ponte tra le nostre politiche interne ed esterne. E per garantire che restiamo una Commissione geopolitica”, ha continuato. La romena Roxana Mînzatu (S&D) avrà il ruolo di vicepresidente esecutiva per le persone, le competenze e la preparazione. “Avrà la responsabilità di competenze, istruzione e cultura, posti di lavoro di qualità e diritti sociali. Tutto questo rientra nell’ambito della demografia. Roxana guiderà in particolare un’Unione delle competenze e il Pilastro europeo dei diritti sociali. Si concentrerà su quelle aree che sono cruciali per unire la nostra società”, ha illustrato. Raffaele Fitto (Ecr) sarà vice presidente esecutivo per la coesione e le riforme. “Sarà responsabile del portafoglio che si occupa di politica di coesione, sviluppo regionale e città. Faremo affidamento sulla sua vasta esperienza per contribuire a modernizzare e rafforzare le nostre politiche di coesione, investimento e crescita”, ha precisato von der Leyen.

Sono onorato dell’incarico ricevuto oggi da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e la ringrazio per la stima e la fiducia che mi ha voluto dimostrare con questa scelta, giunta a seguito della mia designazione da parte del presidente Meloni e del governo italiano“, ha commentato Fitto. “Questa decisione rappresenta un grande riconoscimento per l’Italia, Paese fondatore da sempre in prima fila nel processo d’integrazione europea. Intendo esercitare il ruolo affidatomi, una volta concluso l’iter di approvazione della nuova Commissione, con il massimo impegno e nel pieno rispetto dei Trattati e del loro spirito, nella consapevolezza che i prossimi cinque anni saranno fondamentali per il futuro dell’Unione europea e dei suoi cittadini“, ha sottolineato il vicepresidente esecutivo in pectore dopo la nomina ricevuta in Europa.

Ue, in Germania sicuri: Fitto verso la vicepresidenza della Commissione

Il rumors arriva da dove meno se lo aspettava l’Italia. In quella che sembrava una tranquilla notte d’inizio settembre, il quotidiano tedesco ‘Die Welt‘ fa deflagrare la notizia che tutti aspettavano dalle parti di Palazzo Chigi: il nostro Paese sembra averla spuntata nella partita a scacchi con Ursula von der Leyen per la vicepresidenza al futuro commissario Ue, Raffaele Fitto.

Secondo le informazioni raccolte dal giornale, che cita diplomatici europei e fonti informate di Bruxelles, il rappresentante italiano avrà anche la delega all’economia e il monitoraggio dei vari piani di ripresa e resilienza europei, nati dai fondi del Next Generation Eu a cui si aggiungono quelli del RePowerEu. Se a novembre le voci partite dalla Germania dovessero trovare riscontro nei fatti, per il governo di Giorgia Meloni sarebbe una grande notizia, sul piano politico. La ‘famiglia‘ europea di cui fa parte, i conservatori dell’Ecr, infatti, hanno votato contro la conferma di Vdl a capo della Commissione, aprendo scenari finora molto incerti sulla redistribuzione degli incarichi.

La premier, però, ha sempre chiesto di separare il piano politico da quello istituzionale, dove il peso specifico del nostro Paese – a sua detta – deve essere misurato in base all’apporto dato all’Unione in termini economici. Un discorso che, stando alle informazioni carpite dal quotidiano tedesco, sembra aver fatto breccia nei ragionamenti di von der Leyen. Meloni, del resto, subito dopo il rientro a Roma dalla pausa estiva ha incontrato il capo del Ppe, Manfred Weber, per trovare sponde utili nel Vecchio continente. Un’operazione che, stando a quanto trapela da Berlino, sembrerebbe portare i frutti sperati.

Die Welt‘, però, fa anche altri nomi. Perché tra gli altri contendenti alla carica di vicepresidente sembrano avere ottime chance il francese Thierry Breton, il lettone Valdis Dombrovskis e la spagnola Teresa Ribera Rodriguez.

Per avere tutte le conferme del caso, comunque, basterà aspettare poche settimane, poco più di un mese al massimo. Nel frattempo Fitto resta al lavoro in Italia e già prende confidenza con i dossier di cui dovrà occuparsi a Bruxelles, sebbene ancora dall’altra parte della barricata. Ad esempio con la relazione della Corte dei conti Ue sul Pnrr. “Il Rapporto fornisce un quadro di insieme sullo stato di attuazione del Piano a livello europeo. Una sua lettura più attenta e non strumentale consente di capire che le osservazioni sui ritardi del Pnrr sono di carattere generale, riferite a tutti gli stati membri dell’Unione“, specifica in una nota la struttura di missione italiana. Sottolineando che “dai dati pubblicati ieri, in relazione all’attuazione del Pnrr italiano, si evince che la revisione portata a compimento dal governo, in accordo con la Commissione, è risultata fondamentale per evitare possibili ritardi“.

Cdm e vertice governo, inizia ‘l’autunno’ della politica. Riflettori sulla legge di Bilancio

Giornata piena a Palazzo Chigi, quella di oggi 30 agosto. Con il vertice di governo tra la premier, Giorgia Meloni, e i suoi vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, e il successivo primo Consiglio di ministri post-ferie, inizia ufficialmente ‘l’autunno’ della politica. No, le stagioni non sono cambiate – nonostante il clima continui a dare segnali di profonda sofferenza -, ma questo, storicamente, è il momento di ‘mettere a terra’, come si usa dire oggi, i progetti di lavoro da qui alla fine dell’anno.

In agenda sono tanti i temi da discutere, tra gli alleati di governo e maggioranza. La partita europea è chiusa, non nel senso che gli accordi siano stati già definiti con Ursula von der Leyen, anzi. Ma la quadra su Raffaele Fitto è stata trovata da tempo e domani in Sala del Consiglio, dopo lo scampanellio della premier, si tratterà solo di mettere il suo nome nero su bianco sul foglio da spedire a Bruxelles con oggetto: candidato italiano alla nuova Commissione Ue. Poi tutto passerà nelle mani della presidente Udl, alla quale staranno fischiando parecchio le orecchie da direzione sud-Europa, dopo il tour de force del leader Ppe, Manfred Weber, a Roma. La partita andrà avanti fino a novembre, mese nel quale la squadra sarà completata con giocatori e ruoli assegnati.

Nel frattempo l’Italia deve imbastire tutti i passaggi che dovranno portare alla prossima legge di Bilancio 2025. In primis, il Piano strutturale di bilancio da consegnare a Parlamento e Unione europea: il Mef garantisce che arriverà in Cdm nei tempi previsti, ovvero metà settembre. Il documento non è di poco conto, perché prende il posto della Nadef e da quello si capirà se i rumors sui tagli all’assegno unico per i figli, il lavoro femminile e le pensioni sono reali, o fake news come sostiene il ministero dell’Economia. Dalle opposizioni chiedono chiarezza anche sulle reali intenzioni del governo rispetto alla transizione ecologica e la conseguente conversione industriale, perché, a detta degli avversari di centrosinistra (se riusciranno a trovare la quadra sulla potenziale coalizione), la lotta ai cambiamenti climatici non sembra proprio essere in cima ai pensieri della maggioranza.

Uno scenario, questo, che richiama ancora una volta alla sfida europea. Perché a Bruxelles il centrodestra continua a chiedere di avere un’Ue “meno ideologica“, ergo razionalizzando i dettami del Green deal. Principio sul quale, invece, la rive gauche italiana (e non solo) non vuole cedere e insiste con i vertici delle istituzioni continentali per andare avanti. Forti anche del fatto che i voti a von der Leyen per la riconferma, loro, non li hanno fatti mancare. Come il Ppe, che vuole realismo per non sovraccaricare le imprese. Sarà un bel nodo da sciogliere, per la riconfermata presidente.

Altro punto: i trasporti. L’estate nera per l’intensa opera di infrastrutturazione delle linee ferroviarie starebbe volgendo al termine, ma da sciogliere restano comunque diversi nodi, soprattutto sull’alta velocità. Per inciso, il ministro Salvini esulta per il via libera della commissione Mase agli interventi sulla AV Salerno-Reggio Calabria.

C’è il tema lavoro, poi. Il rilancio del piano industriale italiano ed europeo, fortemente voluto da Adolfo Urso. Il ministro delle Imprese e il Made in Italy dovrà mettere mano a diversi dossier, primo tra tutti Stellantis, per la Gigafactory di Termoli (il tavolo è fissato per il 17 settembre) e non solo. C’è da capire se arriverà, come sperano a Palazzo Piacentini, un secondo produttore automobilistico (ma anche un terzo e un quarto). Inoltre, vanno risolti i tavoli di crisi aperti, incrociando le dita che i dati sul fatturato dell’industria (in calo su base annua, a luglio) non ne portino altri in dote. Allo stesso tempo, c’è da aiutare le imprese a mantenere uno standard elevato di export (che va a gonfie vele), potenziando l’internazionalizzazione delle nostre aziende nel mondo.

Agricoltura. Capitolo complicato, legato a doppio nodo sia al Green deal, per il contrasto ai cambiamenti climatici, sia al braccio di ferro sulle regole europee, che i nostri agricoltori contestano perché miopi e troppo restrittive nella competizione con mercati che, invece, hanno pochi ostacoli da superare.

Tutto questo scenario, infine, si incrocia con la partita politica delle prossime elezioni regionali. Si voterà in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria: tre partite che potrebbero riaprire i giochi per il centrosinistra oppure chiuderli (per il momento) a favore del centrodestra e del governo. Anche di questo parleranno Meloni, Salvini e Tajani. Cosa che faranno pure nel campo opposto (vedremo se largo o meno). Per l’appunto, l’autunno della politica è già iniziato.