Ue, il Parlamento europeo rinvia la legge sulla deforestazione: maggioranza Ursula in crisi

Cade la ‘maggioranza Ursula’, si conferma quella ‘Venezuela’, e si compattano gli schieramenti delle forze politiche italiane: da un lato Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia; dall’altro Partito democratico, Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 Stelle. Il tema è il regolamento Ue sulla deforestazione importata, uno dei testi più importanti del Green deal, già approvato e in vigore. Ora il rinvio di un anno dell’attuazione di questa legge, proposto dalla Commissione europea, e gli emendamenti al testo – avanzati a sorpresa dal Partito popolare europeo al Parlamento e passati col sostegno dell’estrema destra – sembrano tracciare uno spartiacque dei due blocchi politici, ma anche delle due legislature targate von der Leyen: se la prima ha cercato di portare sul tavolo la questione ambientale, la seconda si preannuncia quella del freno, o addirittura della retromarcia. E, alla fine, la partita di oggi l’hanno vinta il Ppe e le forze di estrema destra dell’Aula, “dimostrando ancora una volta – come ha commentato la Lega – non solo che un’altra maggioranza è possibile: è già realtà”. La ‘maggioranza Venezuela’, come è stata ribattezzata dal voto di settembre sulla condanna al regime di Maduro che ha sancito l’esistenza di una maggioranza alternativa a destra.

Secondo il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, il rinvio “rappresenta una grande vittoria per l’Italia che, insieme a molti altri Governi di matrice politica diversa, aveva proposto di rinviarne l’applicazione poiché avrebbe causato effetti devastanti sulla produzione e trasformazione agricola”. Per Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo (Ecr), “si è raggiunto il giusto compromesso tra tutela della natura e sostenibilità economica e sociale”. Di “doppia vittoria del Ppe e di Forza Italia”, parla Flavio Tosi, europarlamentare di Forza Italia-Ppe: “Giusto proteggere l’ambiente, ma la transizione verde deve avvenire nei tempi giusti e non deve danneggiare le nostre aziende”, evidenzia.

Secondo la delegazione del Pd a Bruxelles, invece, “il Ppe ha deciso di stracciare gli accordi con la maggioranza europeista” e “questa volta a farne le spese è l’ambiente, protetto dal regolamento deforestazione che mira a garantire la produzione di una serie di beni chiave immessi sul mercato dell’Ue non contribuisca più alla deforestazione e al degrado forestale nell’Ue e nel resto del mondo”. Il M5S, con Valentina Palmisano, lega il voto di oggi agli eventi estremi. “Il mondo è flagellato da eventi climatici estremi come alluvioni, bombe d’acqua e siccità che causano morte e distruzione ma la priorità della destra è quella di annacquare la legge europea che lotta contro la deforestazione approvata nella scorsa legislatura”, sottolinea. Mentre i Verdi chiedono a von der Leyen “di ritirare la proposta di rinvio”, così da “evitare una completa violazione della legge e ulteriore incertezza per le aziende”.

Alla fine, il rinvio è stato approvato con 371 voti favorevoli, 240 contrari e 30 astenuti. A dire ‘no’ sono stati socialisti, verdi e sinistra, con la stessa compattezza con cui i popolari e l’estrema destra hanno sostenuto il testo. Si sono spaccati i liberali: 20 no, 24 astensioni e 29 sì. Una delle modifiche più rilevanti introdotte è la creazione di una quarta categoria di Paesi: a fianco a quelli a basso, medio e alto rischio, arrivano gli Stati “senza rischio”, quelli da cui poter continuare a importare prodotti senza nuovi obblighi. E ad approvarla è stata la stessa formazione: Ppe, Ecr, Patrioti (PfE) e Sovranisti (Esn).

A tutte le unità: arriva un autunno caldo, a cominciare dal Commissario Ue

Con il videomessaggio della ripresa di possesso di Palazzo Chigi, il vertice di maggioranza e il Cdm fissato per il fine settimana, Giorgia Meloni ha aperto l’autunno (caldissimo) della politica e chiuso la parentesi (torrida) delle vacanze. “A tutte le unità” il messaggio è chiaro: ci attendono mesi delicati, dalla nomina del commissario Ue alla grana non da poco dei balneari, via via fino ad arrivare alla legge di Bilancio, che è la madre (e il padre) di tutti i provvedimenti. Sullo sfondo lo ius scholae, l’autonomia e le tensioni internazionali suddivise tra Russia-Ucraina e il Medioriente, le divergenze di vedute tra Forza Italia e Lega. Un mappazzone, direbbe qualcuno.

La presidente del Consiglio ha detto di voler infondere il massimo delle energie nei suoi impegni interni e internazionali dopo essersi ricaricata in Puglia. Venerdì c’è la scadenza del commissario Ue, che è un nodo delicatissimo da sciogliere: potrebbe/dovrebbe essere Raffele Fitto il prescelto, però solo se Ursula von der Leyen ci concederà un ruolo di peso, cioè un commissario con competenze economiche. Nel caso non sarà facile sostituire Fitto, che in questi due anni ha preso per mano il Pnrr e ne ha gestito la delicatissima applicazione. Pnrr significa il piano indispensabile di rilancio del Paese, una chance da non sprecare mentre il traguardo del 2026 si avvicina. ‘Dum differtur vita transcurrit’, raccontavano i latini e tempo da perdere non ce n’è. Perché poi, dietro la scelta del Commissario, ci sono le scelte della Nuova Europa che entra davvero in funzione a novembre e che si porta appresso l’eredità non sempre comoda del Green Deal. Sul quale l’Italia ha dato e, salvo cambiamenti abbastanza netti, vuole dare battaglia. Le auto a motore endotermico, le case green, il packaging, la Pac: ce n’è per tutti i gusti. E se il Commissario fosse di secondo piano? Allora probabilmente Fitto rimarrebbe al suo posto e verrebbe chiamato in causa qualcun altro, ma di secondo livello. Ipotesi, ques’utlima, che non vuole essere presa in considerazione. Comunque, è questione di poco e si saprà.

Sul fronte nazionale, l’agenda è ricca di impegni per il governo. A cominciare dalle molte partite che si giocano nelle sale del Mimit, il ministero dell’Impresa e del Made in Italy. Una a caso? La questione delle auto con Stellantis, l’apertura a un fabbricante cinese, la gigafactory di Termoli… Tutto ruota intorno all‘auto elettrica che, al momento, non ha molto appeal in assoluto e non viene quasi considerata dagli italiani. Ma poi c’è la sistemazione definitiva dell’ex Ilva e altri casi. In totale i tavoli di crisi al Mimit sono 32, non proprio bruscolini.

 

Von der Leyen rieletta presidente della Commissione europea: “Manteniamo rotta su Green Deal”

Lo ha citato due volte nel suo discorso, durato quasi 50 minuti, e 4 nelle trenta pagine di linee programmatiche per i prossimi 5 anni di mandato: per von der Leyen il Green deal resta – non è rinnegato – ma cambia il modo con cui leggerlo, cioè “con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione”. L’accento dunque si sposta su un nuovo Patto per l’industria pulita che la presidente riconfermata al bis (con con 401 voti a favore, 284 contrari, 15 astensioni e 7 schede vuote) presenterà nei suoi primi 100 giorni di mandato. “La nostra massima attenzione sarà rivolta al sostegno e alla creazione delle giuste condizioni affinché le aziende possano raggiungere i nostri obiettivi comuni. Ciò significa semplificare, investire e garantire l’accesso a forniture energetiche e materie prime a basso costo, sostenibili e sicure. Ciò preparerà la strada verso l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% per il 2040 che proporremo di sancire nella nostra Legge europea sul clima. In ogni fase lavoreremo in collaborazione con l’industria, le parti sociali e tutte le parti interessate. Presenteremo una legge sull’acceleratore della decarbonizzazione industriale per sostenere le industrie e le aziende durante la transizione”, ha puntualizzato von der Leyen.

Un nuovo piano per la prosperità sostenibile e la competitività dell’Europa; una nuova era per la difesa e la sicurezza europea; sostenere le persone, rafforzare le nostre società e il nostro modello sociale; sostenere la qualità della nostra vita: sicurezza alimentare, acqua e natura; proteggere la nostra democrazia, sostenere i nostri valori; un’Europa globale: sfruttare il nostro potere e i nostri partenariati; realizzare insieme e preparare la nostra Unione per il futuro. Sono questi i sette capitoli in cui è declinato il documento contenente le linee guida di Ursula von der Leyen per la Commissione europea dei prossimi 5 anni. In 30 pagine, von der Leyen ha cercato di trovare la mediazione in modo tale che “il centro democratico in Europa regga” e sia “all’altezza delle preoccupazioni e delle sfide che i cittadini devono affrontare nella loro vita”.

Oltre a rafforzare l’Unione dell’Energia, la presidente nominata intende proporre una nuova legge sull’economia circolare, “che contribuirà a creare una domanda di mercato per materiali secondari e un mercato unico per i rifiuti, in particolare in relazione alle materie prime critiche” e un nuovo pacchetto per l’industria chimica, con l’obiettivo di semplificare Reach (regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) e fornire chiarezza sui ‘prodotti chimici per sempre’ (Pfas).

Sul fronte dell’agricoltura, von der Leyen in aula richiama alla necessità di “superare le differenze e sviluppare buone soluzioni insieme a tutte le parti interessate” e scandisce alcuni impegni. Come ad assicurare “che gli agricoltori ricevano un reddito giusto” e che nessuno sia obbligato “a vendere il buon cibo al di sotto dei costi di produzione” e a fare in modo che ci siano “incentivi più intelligenti” affinché “chiunque gestisca la natura e la biodiversità in modo sostenibile e contribuisca a bilanciare il bilancio del carbonio deve essere adeguatamente ricompensato”. Per tutte queste ragioni, von der Leyen presenterà un piano per l’agricoltura per affrontare la necessità di adattamento ai cambiamenti climatici e, parallelamente, una strategia per la gestione sostenibile della preziosa risorsa acqua. “Da ciò dipende non solo la nostra sicurezza alimentare, ma anche la nostra competitività complessiva”, ha sottolineato.

 

Green Deal trascurato e inevitabile tra fondi Ue e sponde capitalistiche

Secondo un parere della Commissione Politica di coesione territoriale e bilancio dell’Ue (Coter) del Comitato europeo delle regioni (Cdr), adottato mercoledì 3 luglio, l’Unione europea dovrebbe sostenere tutte le regioni nella realizzazione di una transizione giusta ed equa, in particolare quelle fortemente dipendenti da un unico settore economico o da industrie ad alta intensità energetica. Come sostiene la Coter, le difficoltà incontrate nell’approvazione dei piani di transizione e la riduzione dei fondi alla fine del periodo di programmazione evidenziano la necessità di prorogare il termine per l’utilizzo delle risorse del “Fondo per la transizione” nell’ambito del piano di ripresa dell’Ue di prossima generazione. Il parere invita la Commissione europea a semplificare i finanziamenti e a migliorare la trasparenza nel prossimo quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell’Ue post-2027. Presa a prestito da Agence Europe, uno dei punti di riferimento dell’informazione da Bruxelles e su Bruxelles, questa notizia offre lo spunto per rivisitare il Green Deal nell’ottica della Commissione che sarà.

E intanto… Manfred Weber, nominato presidente del Ppe, ha ribadito in un recente intervista che dal Green Deal non si torna indietro. Weber è stato seguito a ruota da Ursula von der Leyen che, nel delicato tentativo di mettere insieme una maggioranza non traballante, ha posto sempre il Green Deal tra le cinque priorità dei prossimi cinque anni di governo. Ovviamente ammesso che, come accade spesso nei Conclave, chi entra Papa non esca cardinale. Green Deal, per la verità, che è stato sorpassato a sinistra da altre tematiche cogenti come la competitività, la Difesa, le questioni sociali e la semplificazione normativa. Sintetizzando: la transizione verde è indispensabile ma non così indispensabile come nel 2019. Ora: cosa sia cambiato in meglio o in peggio dopo un lustro di propositi più o meno buoni è difficile da stabilire con determinazione matematica, ma che siano indispensabili delle correzioni ‘in corsa’ questo è ineluttabile.

Con o senza i Verdi, oppure anche solo con l’appoggio esterno, il Green Deal continuerà a esserci. Giusto. Ma qui si torna al punto di partenza: più delle ideologie e di certe rigide ottusità saranno i denari da investire nella transizione verde a fare la differenza. E di denari ne serviranno davvero tanti: in fondo, più le pratiche sono virtuose più i costi aumentano. Saranno determinanti i fondi privati e il buonsenso collettivo, sarà determinante coinvolgere sempre di più Cina, India e Stati Uniti in un percorso che abbia cura del Pianeta senza creare ulteriori diseguaglianze non solo tra Paesi ma tra blocchi di Paesi, come ad esempio la Ue e i Brics.

Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, scrive in un suo intervento che “dietro l’estremismo ambientalista, ideologico ed astratto, che purtroppo ha orientato negli ultimi dieci anni anche le politiche europee contro il climate change e per il così detto green deal, ci siano anche alcuni ‘grandi vecchi’, sconfitti nel loro credo dalla storia, ma che hanno rivestito lo spirito e il pregiudizio anticapitalista e anti-impresa con le bandiere dei verdi”. Cita Noam Chomsky e Robert Pollin e giunge a sostenere che Occidente e Stati Uniti andranno avanti ma dovranno fare i conti con il popolo. “’Voi parlate della fine del mondo ma noi ci preoccupiamo della fine del mese. Come sopravviveremo alle vostre riforme?, è questa la domanda pressante a cui bisogna dare risposte concrete onde evitare un rigetto totale delle politiche ambientaliste”, sottolinea Gozzi.

Non è indispensabile essere d’accordo, è fondamentale riflettere. E fornire risposte concrete. Il cambiamento climatico è sotto i nostri occhi, “non ci sono più le stagioni di una volta” direbbe qualcuno, ed è una evidenza che si abbatte sulle economie, sul turismo, sull’agricoltura. Come se ne esce? E’ chiaro che ricerca, innovazione, nuove tecnologie, rinnovabili, nucleare sono gli ingredienti indispensabili di una ricetta che, comunque, dovrà avere il sostegno economico di Stati e di industrie. Finanziare il futuro delle generazioni future: non è uno slogan ma una necessità. Insomma, adelante ma con juicio.

Ursula von der Leyen

Ue, la settimana lampo delle nomine. Ora la parola passa al Parlamento

La settimana dei top jobs, cioè le figure apicali dell’Ue, si aperta e chiusa con gli stessi nomi: Ursula von der Leyen presidente alla Commissione europea, l’ex premier portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio europeo e la premier estone Kaja Kallas come Alta rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza. Una decisione lampo, con la maggioranza composta da popolari, socialisti e liberali che ha tenuto in sede di Vertice tra i 27 capi di Stato e di governo, nonostante i voti fuori dal coro di Italia e Ungheria.

Ora la palla passa al Parlamento europeo, dove Ursula von der Leyen dovrà guadagnarsi il 18 luglio la soglia di almeno 361 consensi (720 sono i deputati europei). La candidata al bis può contare sulla somma aritmetica di 399 seggi ai quali, però, secondo alcune fonti diplomatiche, andranno tolti franchi tiratori e oppositori che, nel segreto del voto, non avalleranno von der Leyen pur essendo parte della maggioranza centrista o della stessa famiglia politiche. Le stime parlano di una cinquantina di seggi in bilico. Per questo motivo, da qui al 18 luglio, von der Leyen cercherà di ampliare la sua maggioranza e, con i Popolari che pongono un veto all’allargamento ai Verdi e chiedono un dialogo con i conservatori, un’ipotesi è che si riproponga quanto avvenuto già 2019 quando, come ha ricordato il vice premier Antonio Tajani, “Angela Merkel chiese il consenso dei Conservatori, perché senza di loro von der Leyen non sarebbe stata eletta. Non tutti i Conservatori la votarono, ma i polacchi sì. Bisogna tenere conto di tanti variabili, quando si vota a scrutinio segreto”.

E proprio sulla possibilità che i 24 deputati di Fratelli d’Italia vengano richiesti per appoggiare Ursula von der Leyen in Aula si è espressa la premier Giorgia Meloni, nel punto stampa dopo il Consiglio europeo. “Il tema non è Ursula von der Leyen. Il tema è quali sono le politiche che Ursula von der Leyen intende portare avanti. E su questo, come accade anche per gli altri nomi che sono stati fatti, non abbiamo risposte”, ha dichiarato Meloni. Ma “la presidente della Commissione europea prima di andare in Parlamento dovrà dire che cosa vuole fare e, quindi, io penso che la valutazione vada fatta a valle e non vada fatta a monte”, ha precisato. Da qui l’astensione di Meloni sul nome di von der Leyen, oltre al fatto che è della stessa famiglia politica, il Ppe, di cui fa parte Forza Italia. Un voto di “rispetto” delle sensibilità della sua maggioranza, ricambiata dal suo vice Antonio Tajani che da giorni auspica l’apertura ai conservatori e che ieri, dopo il pre vertice, ha sottolineato come nei popolari tutti abbiano compreso bene “che non si può fare qualcosa senza tenere conto dell’Italia”.

Allo stesso modo dei popolari, anche i Verdi hanno posto una linea rossa: quella dell’allargamento a Ecr e a Id, proponendosi come forza europeista, pragmatica e credibile cui guardare per estendere la coperta della maggioranza Ursula. Un’offerta ancora in piedi, apparsa in filigrana anche nel punto stampa con i neo eletti di Sinistra Italia, Ilaria Salis e Mimmo Lucano, dove alla domanda se voteranno o meno la fiducia a von der Leyen è intervenuto il segretario Nicola Fratoianni spiegando che la decisione verrà presa nel gruppo della sinistra, ma che ci sarà anche con un confronto con i Verdi con cui sono in Alleanza.

Intanto, la prossima tappa certa è quella del programma che von der Leyen dovrà presentare ai deputati per convincerli. In conferenza stampa, la presidente ha ricordato che le servirà il via libera degli europarlamentari “dopo che presenterò le linee politiche al Parlamento europeo per il prossimo mandato”. Appuntamento confermato nella sessione a Strasburgo del 16-19 luglio, la cui agenda verrà definita l’11 luglio. Nella stessa sessione, i neoparlamentari saranno chiamati a votare anche il loro presidente. O la loro presidente. Anche in questo caso, infatti, il Ppe propone un bis: quello dell’uscente Roberta Metsola.

Top Jobs Ue, intesa su von der Leyen e Costa. Fitto chiede un ruolo di primo piano per l’Italia

I rumors che arrivano da Bruxelles, da quei palazzi di mattoni e vetro, sono forti e chiari. Anche se sono ancora rumors. Perché, a quanto si apprende, i sei negoziatori dell’Ue che stanno trattando i posti di vertice dell’Ue hanno trovato un accordo per sostenere Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea, il portoghese Antonio Costa al Consiglio europeo e l’estone Kaja Kallas come Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue. Domande: sarà così? Andrà davvero così? Lo scopriremo a breve.

I sei negoziatori sono il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis e il primo ministro polacco Donald Tusk (per il Partito popolare europeo), il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez e il cancelliere tedesco Olaf Scholz (per i socialisti), il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro olandese Mark Rutte. (per i liberali).

Il prossimo appuntamento è fissato per giovedì e venerdì a Bruxelles, al Consiglio europeo, dove i tre nomi saranno presentati ai Ventisette capi di Stato e di governo per la loro approvazione. In queste ore la situazione potrebbe cambiare ma non stravolgersi, anche se il ministro Raffaele Fitto ha ribadito qual è la posizione italiana. “Il prossimo vertice dei capi di Stato e di governo sarà un’occasione molto importante per discutere dei nuovi assetti istituzionali dell’Unione europea e l’Italia intende esercitare in questa discussione un ruolo di primo piano, adeguato al suo status di Paese fondatore”, ha detto il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, dopo aver partecipato, a Lussemburgo, al Consiglio Affari generali dell’Ue. “Abbiamo discusso soprattutto della preparazione del prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno”, ha spiegato. “Quello delle nomine non è l’unico tema rilevante dell’agenda del Consiglio europeo”, ha proseguito Fitto. “Per noi è molto importante che dal vertice esca un messaggio chiaro su temi cruciali come la competitività dell’economia europea, la difesa, la migrazione e l’Agenda strategica oltre, ovviamente, ai temi di politica estera come l’Ucraina ed il Medio Oriente sui quali si sono registrati molti progressi grazie al recente Vertice del G7 presieduto dal presidente Meloni”.

Più o meno è la stessa linea tenuta ieri da Antonio Tajani. Il vicepremier e ministro degli Esteri ha parlato “come minimo” per l’Italia della vicepresidenza della Commissione e un commissario “di peso”. Tajani ha infatti rivendicato un peso importante per il nostro Paese: “Credo che l’Italia non possa non avere un vice presidente della Commissione europea e non possa non avere un commissario con un portafoglio di peso. Credo che questo sia il minimo che possiamo chiedere e pretendere”. Anche perché, è il ragionamento, l’Italia “ha il diritto di avere un riconoscimento di alto livello”, visto che è “un Paese fondatore” e ha “una manifattura” al secondo posto in Europa. Una convinzione tale che ha portato Tajani a sbilanciarsi persino sul nome: Fitto. “Sarebbe un eccellente commissario, perché ha conoscenza, esperienza”, anche se “non c’è nessuna decisione. Sarà il presidente del Consiglio a dire l’ultima parola dopo aver ascoltato la maggioranza e dopo aver valutato con il governo il da farsi”.

Europee, Ppe si conferma primo partito. Von der Leyen vuole ampia maggioranza

In base all’ultima proiezione su dati reali del Parlamento europeo (alle 19.30 di lunedì 10 giugno), il Partito popolare europeo (Ppe) si conferma primo gruppo dell’Aula con 186 deputati. A seguire l’Alleanza progressista dei socialisti e democratici (S&d) con 135 seggi, i liberali di Renew Europe con 79, i riformisti e conservatori europei con 73, Identità e democrazia con 58, i Verdi con 53. Seguono poi gli eletti non affiliati ad alcun partito (55), i non iscritti 45 e la Sinistra con 36. L’Italia si conferma la presenza maggiore sia in Ecr, con 24 eletti, che nel gruppo S&d, dove i 21 deputati fanno del Pd il primo partito d’Europa.

Regge la maggioranza uscente composta da popolari, socialisti e liberali, che totalizzano 400 deputati, e che, fin da subito, si metteranno in contatto per iniziare un dialogo politico. La candidata popolare al bis alla Commissione, Ursula von der Leyen, vuole una maggioranza ampia. “Quello che i cittadini vogliono è un’Europa che produca risultati. A partire da domani inizierò a costruire un’ampia coalizione per un’Europa forte. Insieme ad altri costruiremo un bastione contro gli estremi di destra e di sinistra”, ha scritto su X.

Mentre socialisti, liberali e verdi sottolineano l’importanza della responsabilità e di una cooperazione tra le forze democratiche dell’Aula. “Desidero che formiamo una coalizione pro-europea il più consolidata possibile”, ha scandito la presidente del gruppo Renew Europe, Valerie Hayer. “La coalizione resterà così come l’abbiamo conosciuta nel mandato precedente, cioè composta da Ppe, S&d e RE? I Verdi vogliono unirsi a noi? Penso che vada innanzitutto considerato il programma per i prossimi anni, quale valore aggiunto vogliamo portare. Come presidente di RE ho a cuore le priorità del mondo liberale, centrista: l’Europa della difesa, un’Europa che sia più competitiva, lo stato di diritto, la preservazione delle ambizioni sul Patto verde che è stato la colonna vertebrale del nostro mandato. Dovremo trovarci su valori e priorità politiche fondamentali”, ha aggiunto.

Dal canto loro, i socialisti, hanno ribadito attraverso il loro candidato Nicolas Schmit di essere “aperti a una forte cooperazione con tutte le forze democratiche di questo Parlamento” ma di non dare alcuna “possibilità alla cooperazione con quanti vogliano smantellare e indebolire quest’Europa costruita in molti decenni”. I Verdi, che 5 anni fa bocciarono von der Leyen, ora si dicono responsabili e aperti ad una possibile collaborazione, in base al programma che sarà delineato.

Quello che è certo è che la costituzione dei gruppi politici sta prendendo avvio in queste ore, mentre già lunedì prossimo i capi di Stato e di governo si incontreranno informalmente a cena, a Bruxelles, per provare a trovare la quadra sui nomi apicali della prossima legislatura Ue.

Europee, la gioia di von der Leyen: “Ppe garantisce ancora stabilità”

Il centro pro-europeista ha tenuto ed è con quel centro che dobbiamo andare avanti a lavorare”. Lo ha dichiarato la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, nel corso della notte elettorale all’Eurocamera a Bruxelles. Un concetto che, sottolineato anche dalla presidente della Commissione e candidata di punta al bis per il Partito popolare europeo (Ppe), Ursula von der Leyen, è stato il leitmotiv della serata, insieme al richiamo alla responsabilità e all’apertura dei Verdi ad intervenire per dare stabilità alla maggioranza.

La notte si è conclusa con le ultime proiezioni del Parlamento europeo, alle 3 del mattino, che davano il Ppe come primo partito dell’Aula con 184 seggi. La crescita del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr) e di Identità e democrazia (Id), invece, non è riuscita a portare una delle due formazioni alla terza posizione nella lista dei partiti più nutriti nell’aula, scansando via i liberali di Renew Europe e sparigliando le carte della maggioranza Ursula. Alla fine, popolari, socialisti e liberali tengono e mantengono la maggioranza numerica, con 403 deputati.

“Oggi è una buona giornata per il Ppe, abbiamo vinto le elezioni, siamo il partito più forte, siamo l’ancora della stabilità e il voto ha riconosciuto la nostra leadership nei passati 5 anni”, ha dichiarato von der Leyen poco prima di mezzanotte dal palco allestito nell’aula plenaria, usata come grande sala stampa. “Queste elezioni ci danno due messaggi: il primo è che la maggioranza rimane nel centro per una Europa forte e questo è cruciale per la stabilità. In altre parole, il centro tiene. Ma è anche vero che gli estremi a destra e a sinistra hanno ottenuto sostegno e perciò il risultato ottenuto comporta grandi responsabilità per i partiti al centro”, ha continuato. “Magari su singoli punti abbiamo divergenze, ma abbiamo tutti interesse nella stabilità e vogliamo una Europa forte ed efficace”, ha aggiunto von der Leyen. “Da domani contatteremo le grandi famiglie politiche della piattaforma, cioè S&d e Renew Europe, con cui abbiamo lavorato bene nei passati 5 anni. Ci basiamo su relazioni costruttive già avviate. Ho sempre detto di voler costruire una ampia maggioranza per una Europa forte e ho dimostrato nel primo mandato cosa può raggiungere un’Europa forte. Il mio obiettivo è continuare su questa strada con gli europeisti, a favore dell’Ucraina e dello stato di diritto. Da domani questo lavoro continua”, ha specificato von der Leyen. E rispetto alla sua corsa per il bis a Palazzo Berlaymont ha aggiunto: “So che c’è del duro lavoro davanti a me. Sono felice di affrontare questo lavoro, ma sono decisamente fiduciosa per quanto riguarda la mia corsa per il secondo mandato. Di sicuro si tratta di una scelta che è dei capi di Stato e di governo, ma sono fiduciosa di poter ottenere il sostegno al Consiglio europeo”, ha evidenziato. “Guardando al Parlamento, invece, per prima cosa contatteremo quelli con cui abbiamo lavorato bene, S&d e Re. E’ il primo passo, poi si parlerà dei successivi”, ha precisato a chi chiedeva se fosse disponibile a far entrare i Verdi nella maggioranza.

Sì perché l’altro punto da sottolineare della notte elettorale è l’apertura dei Verdi alla cooperazione con von der Leyen. “Come Verdi siamo amareggiati per i numeri, soprattutto per le perdite in Francia e Germania. Ma siamo felici che ci siano stati diversi risultati e che ci saranno nuovi ingressi”, ha dichiarato dal palco uno dei due candidati dei Verdi alla guida della Commissione, Bas Eickhout. “I Verdi avranno un ruolo costruttivo e responsabile. Le sfide europee sono troppo grandi per fare giochetti politici. Se guardate alle sfide, il futuro delle politiche climatiche, della sicurezza e della democrazia europea, è molto chiaro che abbiamo bisogno di una maggioranza stabile in questa aula per dare risposte ai cittadini e noi Verdi siamo pronti ad assumerci questa responsabilità. Ovviamente sulla base del programma potenziale, ma siamo pronti”, ha sottolineato. Poco prima di lui, il capo gruppo dei Verdi, Philippe Lamberts, era stato anche più preciso precisato: “Se vogliamo che la terra continui ad essere abitabile per gli umani, il Green deal deve potenziarsi e se vogliamo che la società sia più sicura per tutti le forze democratiche devono unirsi come mai prima. Per noi è importante il programma, non la persona. Per noi è fondamentale l’approfondimento del Green deal e il rafforzamento della democrazia europea. E spero che ciò sia al centro di quanto von der Leyen intenderà raggiungere, se il Consiglio la presenterà per il secondo mandato. E abbiamo bisogno di vedere l’impegno per sostenerla”.

Infine, i socialisti che, con il candidato di punta Nicolas Schmit, si confermano pronti alla maggioranza con Ppe, ma senza Ecr o Id. “Siamo aperti a una forte cooperazione con tutte le forze democratiche di questo Parlamento. Come secondo gruppo che mantiene più o meno il numero dei suoi membri in questo Parlamento, siamo pronti a negoziare un accordo per i prossimi anni per rendere l’Europa più forte, più democratica, più sociale, più forte economicamente e più sicura. Sono molto contento di vedere che le forze democratiche sembrano trovare il loro modo per unirsi e lavorare insieme. Quindi non c’è possibilità per noi socialdemocratici di cooperare con quanti vogliano smantellare e indebolire quest’Europa costruita in molti decenni”, ha sottolineato Schmit.

Green Deal tra (belle) promesse elettorali e (brusca) realtà

Ce l’hanno tutti con ‘questo’ green deal, pur ammettendo che la decarbonizzazione è un passaggio ineludibile per il futuro. E per il presente. Ce l’hanno tutti con le politiche verdi “ideologiche e antindustriali” portate avanti dall’Europa negli ultimi anni – alcune però votate dagli europarlamentari italiani in scadenza di mandato: conviene ricordarlo, non sia mai… – dagli inquilini di Bruxelles e Strasburgo. Ce l’hanno così tutti che tutti, ma proprio tutti, pubblicizzano (sotto elezioni) la necessità di un cambiamento nel segno del buonsenso e della fattibilità. Ecco, i candidati alle elezioni dell’8e 9 giugno in questo sembrano davvero compatti, allineati e abbastanza coperti. A destra e a sinistra, come al centro. Bisogna fare qualcosa per il clima, giusto, però non come è stato fatto fino adesso.

E allora la domanda che sorge spontanea è questa: come, allora? Perché se è facile e anche giusto mettere in evidenza cosa non ha funzionato nel Green Deal pensato da Ursula von der Leyen e da Frans Timmermans (ei fu), è più difficile ma indispensabile indicare quali sono le altre vie per raggiungere quei target considerati obbligatori dagli esperti. E qui, però, la situazione si fa più complicata, dal momento che alle intenzioni vanno poi applicate le azioni. E, insomma, la messa a terra di cosa viene promesso appare abbastanza nebulosa. Ad esempio, il claim di trasformare il Green Deal in un Good Deal è a presa rapida come la colla, ma in concreto cosa significa? Spesso ci siamo sentiti raccontare che non è questione di norme ma di tempi nell’applicazione delle stesse. Sintetizzando, l’idea è buona o quasi però la fretta rende tutto irrealizzabile. Lo stop ai motori endotermici? Non dal 2035 ma più avanti. Le case green? Non a emissioni zero dal 2030 o dal 2033 (a seconda delle classi di appartenenza) ma con più calma. E gli imballaggi? E la nuova Pac? E il Nutriscore?

Riflessioni che si accompagnano, anzi si dilatano con il megafono degli industriali, preoccupati che la Nuova Europa non attui politiche adeguate di sostegno per le imprese e che in tema di Green Deal non venga creato un fondo per la transizione, anche digitale. Il riferimento è sempre a due colossi, gli Stati Uniti e la Cina, che dispongono di risorse enormi, sicuramente superiori a quelle della Ue e che poco alla volta stanno esercitando una pressione che nel medio termine rischia di diventare insostenibile. Anche perché certe sensibilità né Usa né Cina le hanno, in considerazione che l’Europa produce l’8 per cento del gas serra mondiale.

Quindi, è semplicissimo: più soldi, tanti più soldi, più tempo, molto più tempo. Questo almeno in campagna elettorale…

Tra luci e ombre l’ultimo atto del Parlamento Ue è sul Green Deal

Il Parlamento europeo il 25 aprile saluta baracca e burattini dopo cinque anni di lavoro non proprio facili. Al netto degli errori che sono stati commessi, va dato atto a Ursula von der Leyen a Roberta Metsola (e prima di lei al compianto David Sassoli) e a Charles Michel di essere incappati nel periodo peggiore degli ultimi decenni: una pandemia, due guerre e mezza non sono poca roba da gestire e, soprattutto, sono ostacoli lungo la via di una ricostruzione dell’Europa.

Si poteva fare meglio? Sì. Si poteva fare peggio? Anche. L’accusa che viene rivolta con maggiore insistenza a Commissione e Parlamento è di aver radicalizzato la lotta al cambiamento climatico e il contrasto al riscaldamento del pianeta. Il Green Deal, partito da presupposti nobilissimi, è andato in crisi quando è diventato la summa di provvedimenti estremi, poco in linea con la realtà di un’economia in crisi. Fatto salvo il concetto che la transizione ecologica è ineludibile, accettata la conseguenza che abbia costi molto alti da sostenere, il tutto si è inceppato quando da Frans Timmermans in giù è diventata una questione ideologica. E si è acceso lo scontro con governi e aziende: l’auto elettrica, le case green, il packaging, fino alla nuova Pac sono diventati motivi di scontro e non più di confronto. La marcia dei trattori su Bruxelles è un po’ il simbolo di un disagio latente, che ha finito per coinvolgere la pancia del popolo.

Uno studio di Copernicus racconta che l’Europa si è ‘inquinata’ più degli altri continenti. Persino più di Cina e India, che non sono proprio sensibilissime sull’argomento: e le varie Cop di questi anni ne sono la prova provata. Sarà per questo che gli ultimi atti dell’attuale Parlamento Ue saranno dedicati alla votazioni di quattro provvedimenti legati al Green Deal, per fare in modo che chi subentrerà ( o continuerà) dopo le elezioni dell’8-9 giugno abbia una base dalla quale partire. Si tratta del regolamento Ecodesign (Espr) e delle direttive Corporate social due diligence (Csddd), Ambient air quality and cleaner air for Europe e Packaging and packaging waste. Vedremo cosa ne uscirà, nella speranza che a vincere sia sempre il buonsenso.