Meloni in missione da Trump per conto dell’Ue: “Fase complessa, serve lucidità”

La trattativa è delicata e sarà fatta per conto dell’Unione europea. A poche ore dalla sua partenza per Washington, dove domani Donald Trump la attende alla Casa Bianca, Giorgia Meloni sente la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Al centro del colloquio il nodo dei dazi che il tycoon americano ha annunciato anche per i prodotti provenienti dall’Unione europea e poi messo in pausa per 90 giorni.

L’incontro è un bilaterale, ma Roma e Bruxelles confermano che la premier parla in stretto contatto e per conto di tutta l’Ue. La Commissione non divulga nessuna “lettura specifica” della telefonata tra Meloni e von der Leyen, ma assicura che “i messaggi sono in linea con quanto detto nei giorni precedenti, hanno coordinato questa visita”. Di certo, il viaggio della premier italiana non è visto come una spaccatura all’interno dell’Unione: “Qualsiasi azione di contatto con l’amministrazione statunitense è più che benvenuta”, chiarisce la portavoce della Commissione Arianna Podestà, ricordando però che la competenza negoziale è soltanto di Bruxelles.

In questa fase tanto complessa quanto in rapida evoluzione è necessario ragionare con lucidità, lavorare con concretezza, lavorare con pragmatismo“, commenta Meloni in un videomessaggio inviato all’Assemblea Generale del Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano.

Ieri sera, sul tema, la presidente del Consiglio ha convocato un vertice di governo con i vice Antonio Tajani e Matteo Salvini e il ministro della Difesa Guido Crosetto.

Sul tavolo con Trump, ci sarà anche la possibilità di un aumento dei volumi di Gnl acquistati dagli Stati Uniti, grandi esportatori di gas. Lo scorso anno, ricorda il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto, l’Europa ha acquistato la metà del Gnl da Washington: “L’interesse c’è”, conferma, ribadendo però che “il negoziato con le controparti è condotto dalla Commissione Europea, con il supporto e sotto il controllo degli Stati membri”.

E anche se per il momento la Casa Bianca sembra respingere la proposta dell’Ue per i dazi zero sull’industria, l’obiettivo del governo resta quello di “riunificare” l’Occidente, ridurre le tensioni e aprire la strada a una grande area di libero scambio tra Nord America, Stati Uniti, Canada, Messico e Unione europea. Perché, mentre davanti allo spettro dei dazi l’Italia ha guardato a Est per rafforzare i rapporti commerciali sulla via del Cotone con l’India, con i Paesi del Golfo e con il Giappone, ora la guerra commerciale si profila soprattutto su due blocchi: Washington e Pechino.

Trump chiede al mondo di isolare la Cina, per avere dei dazi più leggeri. Il faro italiano però, garantisce il governo, è puntato sull’area atlantica. “Quando c’è la tempesta, l’Italia guarda i valori fondamentali della nostra civiltà e manteniamo salda la bussola che va verso Occidente”, spiega il ministro delle Imprese, Adolfo Urso. “Altri invece – punta il dito – perdono il senso di marcia, o di navigazione, e finiscono a Oriente”. Poi la denuncia si fa più esplicita: “Sono preoccupato dalle reazioni che si possono innescare, come l’invasione anomala di prodotti nel nostro continente. Su questo, abbiamo già sollecitato nelle forme dovute la Commissione Ue per predisporre le misure di salvaguardia a fronte della strategia Usa per arginare i prodotti cinesi”. L’inquilino di Palazzo Piacentini si dice certo che la missione di Meloni a Washington possa facilitare confronto Usa-Ue : “La strada maestra è il dialogo, la nostra proposta strategica è un’area atlantica di libero scambio in modo da creare, quando ci saranno le condizioni, il più grande bacino commerciale del pianeta”, scandisce.

La presidente del Consiglio resterà a Washington solo una manciata di ore. Già domani sera ripartirà per Roma, dove venerdì la attende l’incontro con il vice di Trump, J.D. Vance.

Baci & abbracci di Trump aspettando l’incontro con Meloni

Baci & abbracci, firmato Donald Trump. Baci al suo fondoschiena e abbracci mortali a chi gli si avvicina troppo o troppo poco, dipende dallo stato emozionale del giorno. L’ultima deriva della guerra dei dazi che sta sconvolgendo il mondo è tracimata anche nel lessico dei ‘peggiori bar di Caracas’ e avvicina, sotto il profilo della lucidità, l’attuale presidente al suo predecessore. Non che ci stupisca il turpiloquio, perché la new society si sta abituando anche a molto di peggio, piuttosto sorprende che al di là dell’Oceano, nella lussuosa stanza dello Studio Ovale, si sia smarrito un certo standing istituzionale da parte dell’uomo più potente del Pianeta che guida la nazione più potente del Pianeta, eccetera eccetera. Là dove si sono accomodati George Washington e Thomas Jefferson, Abramo Lincoln e Theodore Roosevelt, fino Ronald Reagan e Barack Obama, ora è domiciliato il Tycoon che si diverte a capovolge le regole del bon ton dopo aver sconvolto quelle commerciali. Insomma, un comportamento più da fast food della Georgia che da inquilino della Casa Bianca.

La prossima settimana, il 17 (alla faccia della scaramanzia), la premier Giorgia Meloni sarà a colloquio bilaterale con il presidente americano, nel delicato tentativo di strappare qualcosa di diverso per l’Europa e per l’Italia, investita del carico di responsabilità da Ursula von der Leyen e da una parte della Ue. Non tutta, infatti, solo una parte. Perché l’Ungheria si è defilata proprio oggi dall’avvio delle contromisure, confermando che ‘questa’ Europa così come è strutturata non ha ragione di esistere perché non esiste nemmeno in una situazione di massima allerta.

L’appuntamento di Washington sarà nodale ma non sarà un giudizio universale, cioè un dentro o fuori, proprio perché tra i 27 c’è una parcellizzazione di posizioni che non giova alla tenuta del Vecchio Continente, anche se ieri – sempre in tema di nuovo lessico – qualcuno in Commissione ha parlato di “bazooka sul tavolo”. Ma minacciare un americano – o gli americani – con le armi è abbastanza rischioso, là dove persino i bambini girano con la pistola di ordinanza in ‘saccoccia’. Però da questo meeting in terra statunitense, che anticipa di poche ore quello del vice presidente JD Vance a Roma, qualcosa deve emergere, anche perché il crollo dei mercati azionari e il tracollo di gas e petrolio, stanno facendo alzare il livello di tensione internazionale.

La premier sa che ci si aspetta molto dalla sua missione americana, anche in chiave nazionale, dove la maggioranza non sempre è stata allineata sulla strategia da adottare e dove l’opposizione sta pronta a impallinarla, non proprio con un bazooka ma per lo meno con un fucile da caccia.

Nelle varie letture di questa congiuntura squassante a livello mondiale c’è chi si è spinto come Arthur Leffer, stratega di Ronald Reagan, a ipotizzare lo scoppio di una guerra se i dazi saranno mantenuti per un anno. Dazi Usa e controdazi europei e controdazi cinesi. E chissà chi altro. Trump assicura di non essere matto e di riportare l’America allo splendore di una volta, mentre il suo (ex?) amico Elon Musk bolla come ‘cretino’ Navarro, lo stratega dei dazi, e comincia a prendere le distanze. Lui come altri. Perché qualche fessurina comincia a comparire qua e là. Vedremo come si comporterà The Donald, giovedì prossimo. Ogni previsione rischia di essere sballata ma che almeno i saluti con la nostra presidente del Consiglio si limitino a una stretta di mano. Tuttalpiù a un bacio. Sulla guancia.

Oggi è il giorno dei dazi di Trump, l’annuncio alle 22. L’Ue si prepara a “risposta forte”

E’ il giorno dei dazi commerciali del 25%, che saranno formalmente annunciati dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, questa sera alle 22. Le imposte riguarderanno alcuni beni Made in Europe importati nell’altra sponda dell’Atlantico. Per ora, acciaio, alluminio, automobili e componenti per auto, ma Bruxelles si aspetta che anche i semiconduttori, i prodotti farmaceutici e il legname finiscano sotto la scure del tycoon. Che, quasi ad aggiungere la beffa al danno, ha affermato: “Saremo molto gentili“, promettendo una “rinascita” dell’America e definendo, ancora una volta, il 2 aprile come “il giorno della liberazione” per gli Usa.

Intanto, però, nel Vecchio Continente, l’Unione europea non sembra vedere segnali di gentilezza dall’alleato storico e prova, piuttosto, a prepararsi a rispondere ai colpi. “Pensiamo che questo confronto non sia nell’interesse di nessuno“, ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nell’aula plenaria dell’Eurocamera a Strasburgo. “Staremmo tutti meglio se potessimo trovare una soluzione costruttiva”, ma “allo stesso tempo, devo essere chiara: l’Europa non ha iniziato questo confronto. Non vogliamo necessariamente reagire, ma abbiamo un piano forte per farlo se necessario“, ha scandito. La risposta Ue si affila su tre pilastri: il negoziato con Washington, l’apertura ad accordi commerciali con altri Paesi, il potenziamento del Mercato unico. “Affronteremo questi negoziati da una posizione di forza – dal commercio alla tecnologia alle dimensioni del nostro mercato -, ma questa forza si basa anche sulla nostra prontezza ad adottare contromisure ferme, se necessarie. Tutti gli strumenti sono sul tavolo“, ha precisato la presidente.

E a tal proposito, nel dibattito, ha alzato il tiro il tedesco Manfred Weber, capo del Partito popolare europeo (Ppe) – famiglia politica di cui von der Leyen fa parte – sottolineando che se l’Ue ha “un surplus sui prodotti”, “gli Usa ne hanno uno sui servizi digitali” e “quindi se Trump si concentra sui beni europei, noi dobbiamo concentrarci sui servizi americani” dato che “i giganti digitali pagano poco alla nostra infrastruttura digitale, da cui traggono così tanto vantaggio“.

Bruxelles sa anche, come le ha insegnato la crisi energetica scatenata dalla guerra di aggressione della Russia all’Ucraina, che è preferibile guardarsi attorno e non fermarsi a una sola relazione economica. “Continueremo a diversificare il nostro commercio con altri partner“, ha specificato von der Leyen. “L’Europa ha già accordi commerciali in essere con 76 Paesi. E ora stiamo ampliando questa rete”, ha affermato citando quelli con Mercosur, Messico e Svizzera, la prima Clean Trade and Investment Partnership con il Sudafrica, l’obiettivo di chiudere con l’India entro l’anno e l’impegno in trattative con Indonesia e Thailandia. E, infine, “raddoppieremo gli sforzi sul nostro Mercato unico” perché “ci sono troppi ostacoli che bloccano le nostre imprese” e l’ex premier italiano “Mario Draghi ha ragione quando dice: ‘Le alte barriere interne sono molto più dannose per la crescita di qualsiasi tariffa’”. L’Unione cerca ancora un dialogo con gli Usa per una “soluzione negoziata” e si prepara a rispondere. Così come altri Paesi hanno già annunciato di fare. “Non ha iniziato l’Europa questo confronto”, ha ripetuto due volte von der Leyen. E forse anche un altro elemento inizia a essere più sentito: il pianeta è grande. “La crescita arriva dal Mercato Unico, ma anche dagli accordi commerciali. Dunque finalizziamoli”, ha ricordato Weber. “Quello con il Mercosur sta diventando un simbolo della nostra preparazione ad impegnarci con il resto del mondo”, “sta diventando un accordo anti-Trump”, ha sottolineato.

Dazi, Ue pronta a rispondere al ‘fuoco amico’ Usa sulle auto. Ma negoziato va avanti

Ferma, proporzionata, solida, ben calibrata e tempestiva. Così il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill, descive la risposta che l’Unione europea darà ai dazi del 25% annunciati dal presidente Usa, Donald Trump, sulle importazioni oltre Oceano di automobili. Una reazione dai tempi di dispiegamento ancora incerti – “non posso parlare di tempistiche perché non sappiamo quali saranno queste misure future”  – ma a cui l’Ue si sta preparando: “Posso assicurare che sarà ferma, proporzionata, tempestiva, solida, ben calibrata e che otterrà l’impatto previsto”, scandisce Gill nella conferenza stampa quotidiana dell’esecutivo Ue.

La presidente Ursula von der Leyen si è detta “rammaricata” della decisione Usa, ricordando che l’industria automobilistica “è un motore di innovazione, competitività e posti di lavoro di alta qualità, attraverso catene di fornitura profondamente integrate su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Le tariffe, ha ricordato, “sono dannose per le imprese e per i consumatori, sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea“. La strategia, ha spiegato von der Leyen, è quella di “continuare a cercare soluzioni negoziate, salvaguardando al contempo i propri interessi economici” e, allo stesso tempo, “proteggere i nostri lavoratori, le nostre imprese e i nostri consumatori in tutta l’Unione europea”.

La postura che Bruxelles vuole tenere è sulla preparazione al peggio, da un lato, e sulla ricerca di una soluzione negoziata dall’altro. “Il punto non è se siamo sorpresi o meno“, ma “se siamo preparati o meno, e qui la risposta è sempre sì: siamo preparati a salvaguardare i nostri interessi economici” contro “qualsiasi misura ingiusta e controproducente da parte degli Stati Uniti”. In tale contesto, però, la “priorità è trovare una soluzione negoziata, che funzioni per entrambe le parti”, nonostante il fatto che Bruxelles debba certificare che la spedizione di questa settimana a Washington del commissario al Commercio, Maros Sefcovic, “non ha prodotto alcun risultato negoziato che volevamo”, ma “ha offerto un’opportunità molto importante per noi di rafforzare i rapporti con la nuova Amministrazione statunitense”. Quindi, “i contatti tra l’Unione europea e l’amministrazione statunitense continuano e speriamo certamente che portino al tipo di risultati di cui stiamo parlando piuttosto che il contrario”, spiega Gill.

E, nel frattempo, l’Unione si guarda attorno: “Ovviamente stiamo parlando con alleati e partner globali in tutto il mondo di queste tariffe radicali e dannose annunciate dagli Stati Uniti perché danneggiano tutti, non solo Ue e Usa”. Oltre a non sbilanciarsi sui tempi, per ora Palazzo Berlaymont è riservato anche sulla lista dei prodotti su cui imporre contromisure da proporre agli Stati membri. “Prima di tutto posso dire che non vogliamo dover imporre contromisure sulle importazioni statunitensi nell’Ue” perché “crediamo sia un atto di autolesionismo economico da parte degli Stati Uniti”. Ma “ci prepariamo” e “l’elenco finale dei prodotti su cui proporre ai nostri Stati membri di imporre contromisure sarà ben selezionato per creare il massimo impatto nei confronti degli Stati Uniti e per ridurre al minimo l’impatto qui sulla nostra economia europea”.

Di fatto, la priorità dell’Ue resta, ancora, il dialogo. “Il primo aprile non accadrà nulla, perché la Commissione ha preso la decisione di allineare i tempi delle nostre due serie di contromisure”, ricorda Gill. Dal primo aprile avrebbero dovuto tornare in funzione le contromisure Ue del 2018 e del 2020 che erano state sospese. Ma “abbiamo sostanzialmente esteso quella sospensione affinché sia allineata con il nostro secondo elenco di contromisure su cui ci siamo consultati con le principali parti interessate” e che “presto useremo come base per l’elenco da proporre ai nostri Paesi”, illustra. “Abbiamo allineato le tempistiche per trovare in modo più efficiente il giusto equilibrio di prodotti” e per avere “più tempo per negoziare con gli americani”, perché “questa è la nostra massima priorità“, ricorda Gill. E in più, se il negoziato dovesse andare a vuoto, “questo approccio ricalibrato massimizza la nostra capacità di fornire la risposta più ferma e proporzionata possibile ai dazi americani”.

Meloni: L’Europa di Ventotene non è la mia. E’ bufera alla Camera

Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia”. Alla fine del suo intervento alla Camera, in una mattinata piuttosto tesa, Giorgia Meloni legge alcuni passaggi del manifesto di Ventotene, ne prende le distanze e nell’Aula si scatena l’inferno. Le opposizioni fischiano, urlano “vergogna”, i banchi diventano ring, a destra si applaude, a sinistra si grida. La seduta viene sospesa due volte.

Le frasi del testo scritto nel 1941 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi richiamano a una rivoluzione europea “socialista“, in cui “la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”. Ogni frase scandita tra sguardi e pause. “Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente – prosegue la premier leggendo il testo -. Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni”. Tra gli scranni risuona l’ira delle opposizioni, Meloni si interrompe, il presidente della Camera Lorenzo Fontana richiama all’ordine, tutto viene spostato di qualche ora, al primo pomeriggio, per rimettere in ordine le idee e il bon ton istituzionale.

E comunque, prima della bufera, in sede di replica, la premier accarezza già l’argomento dell’Europa, che deve occuparsi di “meno cose” e “meglio”. Meloni si prepara al Consiglio europeo di domani bollando come un errore la “pretesa” di affidare a Bruxelles “qualsiasi materia di riferimento”, comprese quelle sulle quali gli stati nazionali sarebbero un valore aggiunto. La prima ministra cerca una via d’uscita per rispondere ai dazi di Donald Trump senza apparire debole o suddita di certe dinamiche.

Ma se, a cascata, l’ombrello della difesa degli Stati Uniti dovesse chiudersi definitivamente per il Vecchio Continente, non ci troverebbe ancora pronti. Per questo, l’invito è quello di riflettere su una risposta che non danneggi noi, prima che gli americani. “Non c’è dubbio che per noi siano un problema”, ribadisce. L’Italia è una nazione esportatrice, la quarta al mondo. Al momento, c’è un surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti nei beni e gli Stati Uniti hanno nei nostri confronti un surplus commerciale nei servizi. Potrebbe essere una carta da giocare per cercare una soluzione che eviti una guerra commerciale.

Sulla difesa, il punto è capire come pagare gli 800 miliardi per il Piano proposto da Ursula von der Leyen. L’Italia ha chiesto e ottenuto lo scorporo delle spese della difesa dal calcolo del patto di stabilità. Ma Meloni va oltre e domanda l’intervento dei privati. “Non possiamo non porre il problema che l’intero piano si basa quasi completamente sul debito nazionale degli Stati”, chiosa in Aula. E’ la ragione per la quale con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sta elaborando una proposta che ricalca quello che accade attualmente con InvestEU: “garanzie europee per gli investimenti privati”.

I fondi di Coesione, in Italia, non saranno toccati, garantisce. Resta da chiarire cosa si intenda per spese di difesa. Per questo il governo ha posto la questione: “Io penso che Rearm Europe confonda i cittadini”, sottolinea. La maggioranza sull’investimento nelle armi è spaccata. Oggi da Bruxelles lo stesso Matteo Salvini lancia un avvertimento chiaro alla premier: “Giorgia Meloni ha mandato per difendere l’interesse nazionale italiano, punto. Non penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda all’interesse nazionale italiano, e neanche all’interesse dei cittadini europei”, mette in chiaro. Ma la presidente del Consiglio allarga il perimetro del dominio della sicurezza, “molto più ampio del banale acquisto di armi”, spiega. “Nel tempo in cui viviamo – ripete – riguarda le materie prime critiche, riguarda le infrastrutture strategiche, riguarda la cyber sicurezza, riguarda la difesa dei confini, riguarda la lotta ai trafficanti, riguarda la lotta al terrorismo, sono spesso materie che non si fanno, che non si affrontano comprando armi. Quando mi occupo di cyber sicurezza non lo faccio con le armi, lo faccio per esempio con l’intelligenza artificiale”.

Meloni cambia cliché: meno passionaria e più ‘istituzionale’ per mettere insieme Ue e Trump

Nel suo passaggio al Senato dopo due mesi e rotti di silenzio, in attesa di presentarsi alla Camera, Giorgia Meloni ha in qualche modo cambiato il suo cliché. Non ha usato toni perentori, non ha quasi mai alzato la voce, è stata molto dialogante, si è prodigata per far capire “ai colleghi” che sbarcherà a Bruxelles per trovare un punto di caduta che non trasformi gli Stati Uniti in nemici e non riduca l’Europa a una comparsa. Il feeling con Trump e i buoni rapporti con von der Leyen, lei nel mezzo la ‘semplificatrice’ di una situazione complessa e delicassima.

Insomma, una premier assolutamente ‘istituzionale’, che non ha parlato solo di Ucraina (Non è immaginabile costruire garanzie di sicurezza efficaci e durature dividendo l’Europa e gli Usa. E’ giusto che l’Europa si attrezzi per svolgere la propria parte, ma è folle pensare che oggi possa fare da sola senza la Nato”) e di Difesa (L’Italia non intende distogliere un solo euro dal fondo di Coesione, spero che almeno su questo saremo tutti d’accordo) ma ha cominciato dalla competitività (“Non è una parola astratta”) per lanciarsi sulla desertificazione industriale, per planare successivamente sulla decarbonizzazione (che deve essere sostenibile per imprese e cittadini), per sfiorare il costo fuori controllo dell’energia elettrica fino ad atterrare sui dazi (ai quali non bisogna rispondere con altri dazi, serve reciproco rispetto) e sull’Europa che a rischio di regole e regolamenti rischia di non farcela. Argomenti prevedibili, così come i contenuti.

Meloni ha espresso le posizioni del suo governo mentre Ursula von der Leyen raccontava in Danimarca come la sua Ue debba attrezzarsi per non finire schiacciata stile sandwich da Stati Uniti e Russia e poco dopo che Mario Draghi, sempre in Senato, aveva toccato gli stessi temi con l’autorevolezza che lo accompagnala. In sintesi, l’ex presidente del Consiglio ha detto che la Difesa comune è un passaggio obbligato, che gli 800 miliardi previsti per riarmare l’Europa non basteranno, che il Rapporto sulla competitività non è obsoleto e va attuato con urgenza, che la questione energetica è prioritaria, dal disaccoppiamento di gas fino al costo delle bollette. In fondo, si finisce per andare sbattere sempre lì e da lì bisogna trovare la migliore via d’uscita.

La premier non ha cercato una sponda in Senato, questo no, ma è stata abbastanza accondiscendente quando ha sostenuto che l’etichetta di Rearm al piano di von der Leyen è inaccettabile e dunque va cambiata perché è necessaria la Difesa comune ma “senza tagliare sanità e sociale”. Un refrain già sentito su un’altra sponda.

La rovesciata di Ursula: tra guerra e dazi ha messo fuori gioco il Green Deal

Presi come sono dalla guerra dei dazi e dal tentativo di pace tra Russia e Ucraina, è finito nel dimenticatoio quello che fino a qualche mese fa era il Green Deal, ovvero il cavallo di battaglia della prima amministrazione von der Leyen. Non se ne parla più e quando lo si fa, tanto a Bruxelles quanto a Strasburgo, per tacere di Roma, lo si fa con l’angoscia che accompagna chi deve affrontare i disagi del rattoppo di errori compiuti nel passato. Roba del tipo: noi ve l’avevamo detto e adesso…

Giusto per salvare la faccia, si è chiacchierato nelle settimane scorse del Clean Industrial Deal, una versione edulcorata e rivisitata del Green Deal: trattasi però di dichiarazione di intenti, nulla di formale o di strutturato. Insomma, nulla di concreto. Esattamente il contrario di ciò che, invece, avrebbe bisogno l’industria europea per riprendere a pedalare dopo un periodo non proprio agevolissimo. La sensazione che basti la parola ‘deal’ per fare a storcere il naso e aggrottare le ciglia monta come la panna, eppure con sensazioni e imprescindibili necessità dobbiamo fare pace.

In questa Unione che ha nella burocrazia la sua stella polare e che per codice genetico regolamenta anche i passaggi alla toilette, di ambiente si parla ormai pochissimo in Commissione, dove von der Leyen  ha altre impellenze da risolvere , e in Parlamento, dove arrivare a una sintesi di 27 modi di pensare diversi è un esercizio quasi fideistico: adesso sono prioritarie le strategie del riarmo e la Difesa comune di fronte alle minacce di Putin e alla politica imprevedibile di Trump, oltre alla tenuta commerciale che non è più solidissima. Ottocento (800) miliardi pronta cassa, e chissene se si sfora il bilancio, il Patto si stabilità è per l’appunto un patto e come tale suscettibile di modifiche.

Verrebbe da dire: c’era una volta Frans Timmermans e la sua ideologia estrema, c’erano anche minuscoli funzionari a libro paga della Ue che ne seguivano beceramente la strada pensando al proprio benessere e non a quello della collettività, c’erano obiettivi così ambiziosi da raggiungere in un lasso di tempo così circoscritto da generare panico. Ora, sia chiaro, in pochi rimpiangono Timmermans e la sua ‘era geologica verde’, ma come spesso accade si è passati da tutto/troppo a niente. Ed è un ‘niente’ che invece va affrontato.

Manca equilibrio, difetta il buonsenso, spesso anche chi non dovrebbe si lascia travolgere dalla ‘pancia’. Mentre Trump abbandona l’accordo di Parigi e la Cop rischia di diventare una inutile passerella di avanspettacolo, l’estate si avvicina e ci sono forti segnali di siccità, i meteorologi mettono in guardia da fenomeni atmosferici estremi, la temperatura del pianeta aumenta. Sono dati di fatto di fronte ai quali nessuno, a qualunque latitudine, può rimanere cieco e sordo. E che il rumore deflagrante delle bombe o lo stridore della recessione Usa deve cancellare.

L’Ue risponde agli Usa: dazi sui prodotti per 26 miliardi. Trump: “Vinceremo noi”

Bruxelles risponde di primo mattino a Washington. Nel giorno di entrata in vigore dei dazi Usa del 25% su acciaio e alluminio, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, annuncia “misure pesanti ma proporzionate”. Da oggi rientrano non solo in vigore le tariffe imposte dalla prima amministrazione Trump nel 2018, su diversi tipi di prodotti semilavorati e finiti, come tubi in acciaio, filo metallico e fogli di stagno, ma anche su altri prodotti derivati come articoli per la casa, pentole o infissi e diversi macchinari, alcuni elettrodomestici o mobili. Interesseranno un totale di 26 miliardi di euro delle esportazioni europee, circa il 5% del totale dell’export Ue negli Usa.

La Commissione Ue, intanto, calcola che gli importatori americani pagheranno fino a 6 miliardi di euro la mossa di Trump. E per fonti Ue, i dazi Usa “non sono intelligenti” perché “danneggeranno davvero la loro economia”.

Due gli elementi di risposta, duque: la reimposizione delle misure di riequilibrio del 2018 e del 2020 – che erano state sospese fino al 31 marzo prossimo e che ora rientreranno automaticamente in vigore dal primo aprile – e un nuovo pacchetto di misure aggiuntive che colpiranno circa 18 miliardi di euro di beni e che saranno poi applicate con le misure reimposte dal 2018. Per il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, però, “non basta difendersi sul piano commerciale, occorre una nuova politica industriale che restituisca competitività alle nostre imprese. Occorre agire, non solo reagire”. Per definire i prodotti del nuovo pacchetto, la Commissione ha avviato oggi le consultazioni di due settimane con le parti interessate dell’Ue.

Si mira a beni industriali e agricoli: da quelli in acciaio e alluminio ai tessili, dalla pelletteria agli elettrodomestici, dagli utensili per la casa alle materie plastiche e i prodotti in legno; dal pollame al manzo, da alcuni frutti di mare alle noci, dalle uova ai latticini, dallo zucchero alle verdure. Come spiegato da fonti Ue, la Commissione sta “cercando di colpire gli Stati Uniti in settori importanti per loro – ma che non costeranno tanto all’Ue” – e in particolare i beni rilevanti per gli Stati a maggioranza repubblicana. I Paesi Ue saranno invitati, poi, ad approvare le misure proposte prima della loro adozione e partenza previste per metà aprile. Ma se Bruxelles, da un lato, restituisce il favore all’alleato d’oltreoceano, allo stesso tempo prova a tenere aperto il dialogo. Precisa che “le misure possono essere revocate in ogni momento qualora si trovi una soluzione” e von der Leyen conferma al commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, l’incarico di “riprendere i colloqui” e aggiunge: “Rimarremo sempre aperti al negoziato”. Stesso messaggio del presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, secondo cui si deve “evitare un’escalation” e la situazione richiede “dialogo e negoziazione“. Non la pensa allo stesso modo Washington, secondo cui l’Ue è “fuori contatto con la realtà” e le sue “azioni punitive non tengono conto degli imperativi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e internazionale”. Non solo. In un incontro con il premier irlandese, Micheal Martin, Donald Trump dichiara: “Vinceremo noi questa battaglia finanziaria”. Lo scorso 10 febbraio, Washington aveva annunciato l’aumento dei dazi sulle importazioni di acciaio, alluminio e prodotti derivati dall’Ue. Da quel giorno, è partito il dialogo tra le due parti che ha visto anche Sefcovic volare negli Usa per provare a “evitare il dolore inutile” della guerra commerciale. Ma, proprio lunedì scorso, Sefcovic aveva annunciato che l’amministrazione Usa “non sembra impegnata a trovare un accordo” con l’Ue.

Auto elettrica

Elettriche, flessibilità sulle multe e revisione emissioni Co2: l’Ue svela il Piano Auto

Innovazione e digitalizzazione, mobilità pulita, competitività e resilienza della catena di fornitura, competenze, parità di condizioni. Sono i punti del Piano d’azione della Commissione europea per l’automotive scaturito dalle 5 settimane di Dialogo strategico di Bruxelles col settore.

Di fatto, la Commissione conferma le anticipazioni di lunedì della presidente Ursula von der Leyen sulla flessibilità sulle multe per il 2025 e sulla neutralità tecnologica e, poi, cala l’asso annunciando, come auspicato dall’Italia, di anticipare dal 2026 alla seconda parte del 2025 la revisione del regolamento sulle emissioni di Co2. Il cambiamento di tempi, però, non toccherà lo stop per il 2035 alle immatricolazioni di auto a motore endotermico. “Ci atteniamo ai target”, ma “valuteremo la possibilità di nuove o altre tecnologie” perché “per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2035 avremmo bisogno di un approccio tecnologicamente neutro“, ha dichiarato in conferenza stampa il commissario Ue ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, che ha redatto il Piano d’azione.

Dunque, nella revisione “saranno presi in considerazione gli e-fuels”, come già annunciato, ma esamineranno “altre tecnologie” considerate utili ad arrivare agli obiettivi del 2035. E, con il principio della neutralità tecnologica, si riapre la partita per i biofuels cari all’Italia. Il Piano Ue per l’automotive stabilisce “iniziative di punta in cinque aree rivoluzionarie“, per Tzitzikostas, e l’Unione ha “i fondi per trasformare l’ambizione in realtà“.

Ed ecco le cifre: alle tecnologie e alla mobilità pulite fino a 50 miliardi di euro nell’ambito di InvestEu; alla produzione di batterie 1,8 miliardi di euro dal Fondo per l’innovazione; per veicoli e batterie connessi e autonomi 1 miliardo di euro da Horizon Europe; a punti di ricarica, con focus sui camion 570 milioni di euro nell’ambito dell’Alternative Fuels Infrastructure Facility. E ci saranno poi finanziamenti per lo sviluppo delle competenze, inclusi 90 milioni di euro da Erasmus+ per la formazione della forza lavoro, e finanziamenti aggiuntivi per le Pmi.

Più nel dettaglio, sull’innovazione e alla digitalizzazione, il Piano lancia una Alleanza europea per i veicoli connessi e autonomi, che riunirà gli stakeholder automobilistici europei per sviluppare i veicoli di prossima generazione e contribuire a sviluppare il software condiviso e l’hardware digitale necessari. Sulla mobilità pulita, Bruxelles introduce – oltre all’anticipo a fine 2025 della revisione – la flessibilità sulle multe per il mancato raggiungimento degli obiettivi di Co2 del 2025, permettendo ai produttori di conformarsi calcolando la media delle loro prestazioni su un periodo di tre anni (2025-2027) e non più su uno. Sul fronte della domanda, la Commissione punta ad incoraggiare gli Stati membri a intraprendere azioni per rendere più ecologiche le vetture aziendali (pari al 60% delle nuove immatricolazioni) e prevede incentivi ai consumatori: agevolazioni fiscali, regole per taxi e servizi di car-sharing, azioni per le società di autonoleggio, programmi di leasing sociale e un’installazione più rapida di punti di ricarica. Infine, su competitività e resilienza della catena di fornitura, Bruxelles vuole concentrarsi sulle batterie – “L’Europa ha bisogno di una propria fornitura“, ha affermato Tzitzikostas – e valuta dei requisiti “europei” per batterie e componenti venduti nel vecchio continente. Sul fronte del lavoro, un Osservatorio per una transizione equa seguirà le tendenze occupazionali, mentre sulla dimensione internazionale, l’Ue continuerà “a perseguire accordi di libero scambio e partnership“.

Difesa, i 5 pilastri del piano ReArm Europe presentato da von der Leyen: vale 800 miliardi

Un piano composto da 5 punti e, sul piatto, 800 miliardi di euro.  ReArm Europe – annunciato oggi dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in una lettera inviata ai capi di Stato e di governo che giovedì si riuniranno a Bruxelles in una riunione informale del Consiglio europeo – punta ad aumentare la spesa per la difesa europea e lo fa con cinque grandi interventi.

Il primo è un nuovo strumento finanziario dell’Ue per sostenere gli Stati membri nel potenziamento delle loro capacità di difesa. Ai sensi dell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue (TfUe) verrà istituito un nuovo strumento Ue “con un massimo di 150 miliardi di euro” per fornire agli Stati membri prestiti garantiti dal bilancio Ue. I finanziamenti verrebbero destinati a settori di capacità “prioritari” sui quali “è necessaria” un’azione a livello europeo in linea con la Nato: difesa aerea e missilistica; sistemi di artiglieria; missili e munizioni; droni e sistemi anti-droni; facilitatori strategici e protezione delle infrastrutture critiche, anche in relazione allo spazio; mobilità militare; cyber, intelligenza artificiale e guerra elettronica. Questo nuovo strumento potrebbe essere potenziato da “acquisti congiunti” che, secondo Bruxelles, darebbero interoperabilità e prevedibilità, ridurrebbero i costi e creerebbero la scala necessaria per rafforzare la base industriale di difesa europea.

Il secondo pilastro è lo sblocco dell’uso dei finanziamenti pubblici nella difesa. “La Commissione proporrà di attivare in modo coordinato la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita. Ciò sosterrà gli sforzi dell’Ue per ottenere un rapido e significativo aumento della spesa per la difesa al fine di rispondere alla situazione di sicurezza e difesa senza precedenti. I prestiti erogati nell’ambito del nuovo strumento dell’Ue beneficerebbero della clausola di salvaguardia nazionale prevista dal Patto di stabilità e crescita“, ha precisato la presidente.

Terzo elemento: incentivare gli investimenti legati alla difesa nel bilancio dell’Ue. “La revisione intermedia dei programmi della politica di coesione è un’opportunità per aiutarvi a destinare maggiori fondi agli investimenti legati alla difesa“, ha evidenziato von der Leyen. Tra le opzioni per aumentare i finanziamenti al settore della difesa nei programmi c’è “l’eliminazione delle restrizioni esistenti al sostegno alle grandi imprese nel settore della difesa”; “l’aumento degli incentivi finanziari quali il prefinanziamento e il cofinanziamento”; “l’allentamento delle regole di concentrazione per i fondi investiti nella difesa”; “l’agevolazione del processo di trasferimenti volontari verso altri fondi dell’Ue con obiettivi di difesa”.

Il quarto pilastro è il contributo della Banca europea per gli Investimenti (Bei) che “ha un ruolo chiaro e decisivo” da svolgere. Qui, il piano d’azione per la sicurezza e la difesa del Gruppo Bei “è un primo passo importante e dobbiamo assicurarne la rapida attuazione“.

Infine, il quinto pilastro è la mobilitazione del capitale privato. “Incrementare i nostri investimenti pubblici è indispensabile. Ma non sarà sufficiente di per sé”, ha ribadito von der Leyen. “Dobbiamo garantire che i miliardi di risparmi degli europei siano investiti nei mercati all’interno dell’Ue” e, “per questo, completare l’Unione dei mercati dei capitali è assolutamente fondamentale” perché “potrebbe, da sola, attrarre centinaia di miliardi di investimenti aggiuntivi all’anno nell’economia europea, rafforzandone la competitività”. Perciò “presenteremo una comunicazione su un’Unione di Risparmio e Investimenti”, ha spiegato von der Leyen.