Dazi, Ue pronta a rispondere al ‘fuoco amico’ Usa sulle auto. Ma negoziato va avanti

Ferma, proporzionata, solida, ben calibrata e tempestiva. Così il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill, descive la risposta che l’Unione europea darà ai dazi del 25% annunciati dal presidente Usa, Donald Trump, sulle importazioni oltre Oceano di automobili. Una reazione dai tempi di dispiegamento ancora incerti – “non posso parlare di tempistiche perché non sappiamo quali saranno queste misure future”  – ma a cui l’Ue si sta preparando: “Posso assicurare che sarà ferma, proporzionata, tempestiva, solida, ben calibrata e che otterrà l’impatto previsto”, scandisce Gill nella conferenza stampa quotidiana dell’esecutivo Ue.

La presidente Ursula von der Leyen si è detta “rammaricata” della decisione Usa, ricordando che l’industria automobilistica “è un motore di innovazione, competitività e posti di lavoro di alta qualità, attraverso catene di fornitura profondamente integrate su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Le tariffe, ha ricordato, “sono dannose per le imprese e per i consumatori, sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea“. La strategia, ha spiegato von der Leyen, è quella di “continuare a cercare soluzioni negoziate, salvaguardando al contempo i propri interessi economici” e, allo stesso tempo, “proteggere i nostri lavoratori, le nostre imprese e i nostri consumatori in tutta l’Unione europea”.

La postura che Bruxelles vuole tenere è sulla preparazione al peggio, da un lato, e sulla ricerca di una soluzione negoziata dall’altro. “Il punto non è se siamo sorpresi o meno“, ma “se siamo preparati o meno, e qui la risposta è sempre sì: siamo preparati a salvaguardare i nostri interessi economici” contro “qualsiasi misura ingiusta e controproducente da parte degli Stati Uniti”. In tale contesto, però, la “priorità è trovare una soluzione negoziata, che funzioni per entrambe le parti”, nonostante il fatto che Bruxelles debba certificare che la spedizione di questa settimana a Washington del commissario al Commercio, Maros Sefcovic, “non ha prodotto alcun risultato negoziato che volevamo”, ma “ha offerto un’opportunità molto importante per noi di rafforzare i rapporti con la nuova Amministrazione statunitense”. Quindi, “i contatti tra l’Unione europea e l’amministrazione statunitense continuano e speriamo certamente che portino al tipo di risultati di cui stiamo parlando piuttosto che il contrario”, spiega Gill.

E, nel frattempo, l’Unione si guarda attorno: “Ovviamente stiamo parlando con alleati e partner globali in tutto il mondo di queste tariffe radicali e dannose annunciate dagli Stati Uniti perché danneggiano tutti, non solo Ue e Usa”. Oltre a non sbilanciarsi sui tempi, per ora Palazzo Berlaymont è riservato anche sulla lista dei prodotti su cui imporre contromisure da proporre agli Stati membri. “Prima di tutto posso dire che non vogliamo dover imporre contromisure sulle importazioni statunitensi nell’Ue” perché “crediamo sia un atto di autolesionismo economico da parte degli Stati Uniti”. Ma “ci prepariamo” e “l’elenco finale dei prodotti su cui proporre ai nostri Stati membri di imporre contromisure sarà ben selezionato per creare il massimo impatto nei confronti degli Stati Uniti e per ridurre al minimo l’impatto qui sulla nostra economia europea”.

Di fatto, la priorità dell’Ue resta, ancora, il dialogo. “Il primo aprile non accadrà nulla, perché la Commissione ha preso la decisione di allineare i tempi delle nostre due serie di contromisure”, ricorda Gill. Dal primo aprile avrebbero dovuto tornare in funzione le contromisure Ue del 2018 e del 2020 che erano state sospese. Ma “abbiamo sostanzialmente esteso quella sospensione affinché sia allineata con il nostro secondo elenco di contromisure su cui ci siamo consultati con le principali parti interessate” e che “presto useremo come base per l’elenco da proporre ai nostri Paesi”, illustra. “Abbiamo allineato le tempistiche per trovare in modo più efficiente il giusto equilibrio di prodotti” e per avere “più tempo per negoziare con gli americani”, perché “questa è la nostra massima priorità“, ricorda Gill. E in più, se il negoziato dovesse andare a vuoto, “questo approccio ricalibrato massimizza la nostra capacità di fornire la risposta più ferma e proporzionata possibile ai dazi americani”.

Meloni: L’Europa di Ventotene non è la mia. E’ bufera alla Camera

Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia”. Alla fine del suo intervento alla Camera, in una mattinata piuttosto tesa, Giorgia Meloni legge alcuni passaggi del manifesto di Ventotene, ne prende le distanze e nell’Aula si scatena l’inferno. Le opposizioni fischiano, urlano “vergogna”, i banchi diventano ring, a destra si applaude, a sinistra si grida. La seduta viene sospesa due volte.

Le frasi del testo scritto nel 1941 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi richiamano a una rivoluzione europea “socialista“, in cui “la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”. Ogni frase scandita tra sguardi e pause. “Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente – prosegue la premier leggendo il testo -. Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni”. Tra gli scranni risuona l’ira delle opposizioni, Meloni si interrompe, il presidente della Camera Lorenzo Fontana richiama all’ordine, tutto viene spostato di qualche ora, al primo pomeriggio, per rimettere in ordine le idee e il bon ton istituzionale.

E comunque, prima della bufera, in sede di replica, la premier accarezza già l’argomento dell’Europa, che deve occuparsi di “meno cose” e “meglio”. Meloni si prepara al Consiglio europeo di domani bollando come un errore la “pretesa” di affidare a Bruxelles “qualsiasi materia di riferimento”, comprese quelle sulle quali gli stati nazionali sarebbero un valore aggiunto. La prima ministra cerca una via d’uscita per rispondere ai dazi di Donald Trump senza apparire debole o suddita di certe dinamiche.

Ma se, a cascata, l’ombrello della difesa degli Stati Uniti dovesse chiudersi definitivamente per il Vecchio Continente, non ci troverebbe ancora pronti. Per questo, l’invito è quello di riflettere su una risposta che non danneggi noi, prima che gli americani. “Non c’è dubbio che per noi siano un problema”, ribadisce. L’Italia è una nazione esportatrice, la quarta al mondo. Al momento, c’è un surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti nei beni e gli Stati Uniti hanno nei nostri confronti un surplus commerciale nei servizi. Potrebbe essere una carta da giocare per cercare una soluzione che eviti una guerra commerciale.

Sulla difesa, il punto è capire come pagare gli 800 miliardi per il Piano proposto da Ursula von der Leyen. L’Italia ha chiesto e ottenuto lo scorporo delle spese della difesa dal calcolo del patto di stabilità. Ma Meloni va oltre e domanda l’intervento dei privati. “Non possiamo non porre il problema che l’intero piano si basa quasi completamente sul debito nazionale degli Stati”, chiosa in Aula. E’ la ragione per la quale con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sta elaborando una proposta che ricalca quello che accade attualmente con InvestEU: “garanzie europee per gli investimenti privati”.

I fondi di Coesione, in Italia, non saranno toccati, garantisce. Resta da chiarire cosa si intenda per spese di difesa. Per questo il governo ha posto la questione: “Io penso che Rearm Europe confonda i cittadini”, sottolinea. La maggioranza sull’investimento nelle armi è spaccata. Oggi da Bruxelles lo stesso Matteo Salvini lancia un avvertimento chiaro alla premier: “Giorgia Meloni ha mandato per difendere l’interesse nazionale italiano, punto. Non penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda all’interesse nazionale italiano, e neanche all’interesse dei cittadini europei”, mette in chiaro. Ma la presidente del Consiglio allarga il perimetro del dominio della sicurezza, “molto più ampio del banale acquisto di armi”, spiega. “Nel tempo in cui viviamo – ripete – riguarda le materie prime critiche, riguarda le infrastrutture strategiche, riguarda la cyber sicurezza, riguarda la difesa dei confini, riguarda la lotta ai trafficanti, riguarda la lotta al terrorismo, sono spesso materie che non si fanno, che non si affrontano comprando armi. Quando mi occupo di cyber sicurezza non lo faccio con le armi, lo faccio per esempio con l’intelligenza artificiale”.

Meloni cambia cliché: meno passionaria e più ‘istituzionale’ per mettere insieme Ue e Trump

Nel suo passaggio al Senato dopo due mesi e rotti di silenzio, in attesa di presentarsi alla Camera, Giorgia Meloni ha in qualche modo cambiato il suo cliché. Non ha usato toni perentori, non ha quasi mai alzato la voce, è stata molto dialogante, si è prodigata per far capire “ai colleghi” che sbarcherà a Bruxelles per trovare un punto di caduta che non trasformi gli Stati Uniti in nemici e non riduca l’Europa a una comparsa. Il feeling con Trump e i buoni rapporti con von der Leyen, lei nel mezzo la ‘semplificatrice’ di una situazione complessa e delicassima.

Insomma, una premier assolutamente ‘istituzionale’, che non ha parlato solo di Ucraina (Non è immaginabile costruire garanzie di sicurezza efficaci e durature dividendo l’Europa e gli Usa. E’ giusto che l’Europa si attrezzi per svolgere la propria parte, ma è folle pensare che oggi possa fare da sola senza la Nato”) e di Difesa (L’Italia non intende distogliere un solo euro dal fondo di Coesione, spero che almeno su questo saremo tutti d’accordo) ma ha cominciato dalla competitività (“Non è una parola astratta”) per lanciarsi sulla desertificazione industriale, per planare successivamente sulla decarbonizzazione (che deve essere sostenibile per imprese e cittadini), per sfiorare il costo fuori controllo dell’energia elettrica fino ad atterrare sui dazi (ai quali non bisogna rispondere con altri dazi, serve reciproco rispetto) e sull’Europa che a rischio di regole e regolamenti rischia di non farcela. Argomenti prevedibili, così come i contenuti.

Meloni ha espresso le posizioni del suo governo mentre Ursula von der Leyen raccontava in Danimarca come la sua Ue debba attrezzarsi per non finire schiacciata stile sandwich da Stati Uniti e Russia e poco dopo che Mario Draghi, sempre in Senato, aveva toccato gli stessi temi con l’autorevolezza che lo accompagnala. In sintesi, l’ex presidente del Consiglio ha detto che la Difesa comune è un passaggio obbligato, che gli 800 miliardi previsti per riarmare l’Europa non basteranno, che il Rapporto sulla competitività non è obsoleto e va attuato con urgenza, che la questione energetica è prioritaria, dal disaccoppiamento di gas fino al costo delle bollette. In fondo, si finisce per andare sbattere sempre lì e da lì bisogna trovare la migliore via d’uscita.

La premier non ha cercato una sponda in Senato, questo no, ma è stata abbastanza accondiscendente quando ha sostenuto che l’etichetta di Rearm al piano di von der Leyen è inaccettabile e dunque va cambiata perché è necessaria la Difesa comune ma “senza tagliare sanità e sociale”. Un refrain già sentito su un’altra sponda.

La rovesciata di Ursula: tra guerra e dazi ha messo fuori gioco il Green Deal

Presi come sono dalla guerra dei dazi e dal tentativo di pace tra Russia e Ucraina, è finito nel dimenticatoio quello che fino a qualche mese fa era il Green Deal, ovvero il cavallo di battaglia della prima amministrazione von der Leyen. Non se ne parla più e quando lo si fa, tanto a Bruxelles quanto a Strasburgo, per tacere di Roma, lo si fa con l’angoscia che accompagna chi deve affrontare i disagi del rattoppo di errori compiuti nel passato. Roba del tipo: noi ve l’avevamo detto e adesso…

Giusto per salvare la faccia, si è chiacchierato nelle settimane scorse del Clean Industrial Deal, una versione edulcorata e rivisitata del Green Deal: trattasi però di dichiarazione di intenti, nulla di formale o di strutturato. Insomma, nulla di concreto. Esattamente il contrario di ciò che, invece, avrebbe bisogno l’industria europea per riprendere a pedalare dopo un periodo non proprio agevolissimo. La sensazione che basti la parola ‘deal’ per fare a storcere il naso e aggrottare le ciglia monta come la panna, eppure con sensazioni e imprescindibili necessità dobbiamo fare pace.

In questa Unione che ha nella burocrazia la sua stella polare e che per codice genetico regolamenta anche i passaggi alla toilette, di ambiente si parla ormai pochissimo in Commissione, dove von der Leyen  ha altre impellenze da risolvere , e in Parlamento, dove arrivare a una sintesi di 27 modi di pensare diversi è un esercizio quasi fideistico: adesso sono prioritarie le strategie del riarmo e la Difesa comune di fronte alle minacce di Putin e alla politica imprevedibile di Trump, oltre alla tenuta commerciale che non è più solidissima. Ottocento (800) miliardi pronta cassa, e chissene se si sfora il bilancio, il Patto si stabilità è per l’appunto un patto e come tale suscettibile di modifiche.

Verrebbe da dire: c’era una volta Frans Timmermans e la sua ideologia estrema, c’erano anche minuscoli funzionari a libro paga della Ue che ne seguivano beceramente la strada pensando al proprio benessere e non a quello della collettività, c’erano obiettivi così ambiziosi da raggiungere in un lasso di tempo così circoscritto da generare panico. Ora, sia chiaro, in pochi rimpiangono Timmermans e la sua ‘era geologica verde’, ma come spesso accade si è passati da tutto/troppo a niente. Ed è un ‘niente’ che invece va affrontato.

Manca equilibrio, difetta il buonsenso, spesso anche chi non dovrebbe si lascia travolgere dalla ‘pancia’. Mentre Trump abbandona l’accordo di Parigi e la Cop rischia di diventare una inutile passerella di avanspettacolo, l’estate si avvicina e ci sono forti segnali di siccità, i meteorologi mettono in guardia da fenomeni atmosferici estremi, la temperatura del pianeta aumenta. Sono dati di fatto di fronte ai quali nessuno, a qualunque latitudine, può rimanere cieco e sordo. E che il rumore deflagrante delle bombe o lo stridore della recessione Usa deve cancellare.

L’Ue risponde agli Usa: dazi sui prodotti per 26 miliardi. Trump: “Vinceremo noi”

Bruxelles risponde di primo mattino a Washington. Nel giorno di entrata in vigore dei dazi Usa del 25% su acciaio e alluminio, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, annuncia “misure pesanti ma proporzionate”. Da oggi rientrano non solo in vigore le tariffe imposte dalla prima amministrazione Trump nel 2018, su diversi tipi di prodotti semilavorati e finiti, come tubi in acciaio, filo metallico e fogli di stagno, ma anche su altri prodotti derivati come articoli per la casa, pentole o infissi e diversi macchinari, alcuni elettrodomestici o mobili. Interesseranno un totale di 26 miliardi di euro delle esportazioni europee, circa il 5% del totale dell’export Ue negli Usa.

La Commissione Ue, intanto, calcola che gli importatori americani pagheranno fino a 6 miliardi di euro la mossa di Trump. E per fonti Ue, i dazi Usa “non sono intelligenti” perché “danneggeranno davvero la loro economia”.

Due gli elementi di risposta, duque: la reimposizione delle misure di riequilibrio del 2018 e del 2020 – che erano state sospese fino al 31 marzo prossimo e che ora rientreranno automaticamente in vigore dal primo aprile – e un nuovo pacchetto di misure aggiuntive che colpiranno circa 18 miliardi di euro di beni e che saranno poi applicate con le misure reimposte dal 2018. Per il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, però, “non basta difendersi sul piano commerciale, occorre una nuova politica industriale che restituisca competitività alle nostre imprese. Occorre agire, non solo reagire”. Per definire i prodotti del nuovo pacchetto, la Commissione ha avviato oggi le consultazioni di due settimane con le parti interessate dell’Ue.

Si mira a beni industriali e agricoli: da quelli in acciaio e alluminio ai tessili, dalla pelletteria agli elettrodomestici, dagli utensili per la casa alle materie plastiche e i prodotti in legno; dal pollame al manzo, da alcuni frutti di mare alle noci, dalle uova ai latticini, dallo zucchero alle verdure. Come spiegato da fonti Ue, la Commissione sta “cercando di colpire gli Stati Uniti in settori importanti per loro – ma che non costeranno tanto all’Ue” – e in particolare i beni rilevanti per gli Stati a maggioranza repubblicana. I Paesi Ue saranno invitati, poi, ad approvare le misure proposte prima della loro adozione e partenza previste per metà aprile. Ma se Bruxelles, da un lato, restituisce il favore all’alleato d’oltreoceano, allo stesso tempo prova a tenere aperto il dialogo. Precisa che “le misure possono essere revocate in ogni momento qualora si trovi una soluzione” e von der Leyen conferma al commissario europeo per il Commercio, Maros Sefcovic, l’incarico di “riprendere i colloqui” e aggiunge: “Rimarremo sempre aperti al negoziato”. Stesso messaggio del presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, secondo cui si deve “evitare un’escalation” e la situazione richiede “dialogo e negoziazione“. Non la pensa allo stesso modo Washington, secondo cui l’Ue è “fuori contatto con la realtà” e le sue “azioni punitive non tengono conto degli imperativi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e internazionale”. Non solo. In un incontro con il premier irlandese, Micheal Martin, Donald Trump dichiara: “Vinceremo noi questa battaglia finanziaria”. Lo scorso 10 febbraio, Washington aveva annunciato l’aumento dei dazi sulle importazioni di acciaio, alluminio e prodotti derivati dall’Ue. Da quel giorno, è partito il dialogo tra le due parti che ha visto anche Sefcovic volare negli Usa per provare a “evitare il dolore inutile” della guerra commerciale. Ma, proprio lunedì scorso, Sefcovic aveva annunciato che l’amministrazione Usa “non sembra impegnata a trovare un accordo” con l’Ue.

Auto elettrica

Elettriche, flessibilità sulle multe e revisione emissioni Co2: l’Ue svela il Piano Auto

Innovazione e digitalizzazione, mobilità pulita, competitività e resilienza della catena di fornitura, competenze, parità di condizioni. Sono i punti del Piano d’azione della Commissione europea per l’automotive scaturito dalle 5 settimane di Dialogo strategico di Bruxelles col settore.

Di fatto, la Commissione conferma le anticipazioni di lunedì della presidente Ursula von der Leyen sulla flessibilità sulle multe per il 2025 e sulla neutralità tecnologica e, poi, cala l’asso annunciando, come auspicato dall’Italia, di anticipare dal 2026 alla seconda parte del 2025 la revisione del regolamento sulle emissioni di Co2. Il cambiamento di tempi, però, non toccherà lo stop per il 2035 alle immatricolazioni di auto a motore endotermico. “Ci atteniamo ai target”, ma “valuteremo la possibilità di nuove o altre tecnologie” perché “per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2035 avremmo bisogno di un approccio tecnologicamente neutro“, ha dichiarato in conferenza stampa il commissario Ue ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, che ha redatto il Piano d’azione.

Dunque, nella revisione “saranno presi in considerazione gli e-fuels”, come già annunciato, ma esamineranno “altre tecnologie” considerate utili ad arrivare agli obiettivi del 2035. E, con il principio della neutralità tecnologica, si riapre la partita per i biofuels cari all’Italia. Il Piano Ue per l’automotive stabilisce “iniziative di punta in cinque aree rivoluzionarie“, per Tzitzikostas, e l’Unione ha “i fondi per trasformare l’ambizione in realtà“.

Ed ecco le cifre: alle tecnologie e alla mobilità pulite fino a 50 miliardi di euro nell’ambito di InvestEu; alla produzione di batterie 1,8 miliardi di euro dal Fondo per l’innovazione; per veicoli e batterie connessi e autonomi 1 miliardo di euro da Horizon Europe; a punti di ricarica, con focus sui camion 570 milioni di euro nell’ambito dell’Alternative Fuels Infrastructure Facility. E ci saranno poi finanziamenti per lo sviluppo delle competenze, inclusi 90 milioni di euro da Erasmus+ per la formazione della forza lavoro, e finanziamenti aggiuntivi per le Pmi.

Più nel dettaglio, sull’innovazione e alla digitalizzazione, il Piano lancia una Alleanza europea per i veicoli connessi e autonomi, che riunirà gli stakeholder automobilistici europei per sviluppare i veicoli di prossima generazione e contribuire a sviluppare il software condiviso e l’hardware digitale necessari. Sulla mobilità pulita, Bruxelles introduce – oltre all’anticipo a fine 2025 della revisione – la flessibilità sulle multe per il mancato raggiungimento degli obiettivi di Co2 del 2025, permettendo ai produttori di conformarsi calcolando la media delle loro prestazioni su un periodo di tre anni (2025-2027) e non più su uno. Sul fronte della domanda, la Commissione punta ad incoraggiare gli Stati membri a intraprendere azioni per rendere più ecologiche le vetture aziendali (pari al 60% delle nuove immatricolazioni) e prevede incentivi ai consumatori: agevolazioni fiscali, regole per taxi e servizi di car-sharing, azioni per le società di autonoleggio, programmi di leasing sociale e un’installazione più rapida di punti di ricarica. Infine, su competitività e resilienza della catena di fornitura, Bruxelles vuole concentrarsi sulle batterie – “L’Europa ha bisogno di una propria fornitura“, ha affermato Tzitzikostas – e valuta dei requisiti “europei” per batterie e componenti venduti nel vecchio continente. Sul fronte del lavoro, un Osservatorio per una transizione equa seguirà le tendenze occupazionali, mentre sulla dimensione internazionale, l’Ue continuerà “a perseguire accordi di libero scambio e partnership“.

Difesa, i 5 pilastri del piano ReArm Europe presentato da von der Leyen: vale 800 miliardi

Un piano composto da 5 punti e, sul piatto, 800 miliardi di euro.  ReArm Europe – annunciato oggi dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in una lettera inviata ai capi di Stato e di governo che giovedì si riuniranno a Bruxelles in una riunione informale del Consiglio europeo – punta ad aumentare la spesa per la difesa europea e lo fa con cinque grandi interventi.

Il primo è un nuovo strumento finanziario dell’Ue per sostenere gli Stati membri nel potenziamento delle loro capacità di difesa. Ai sensi dell’articolo 122 del Trattato sul Funzionamento dell’Ue (TfUe) verrà istituito un nuovo strumento Ue “con un massimo di 150 miliardi di euro” per fornire agli Stati membri prestiti garantiti dal bilancio Ue. I finanziamenti verrebbero destinati a settori di capacità “prioritari” sui quali “è necessaria” un’azione a livello europeo in linea con la Nato: difesa aerea e missilistica; sistemi di artiglieria; missili e munizioni; droni e sistemi anti-droni; facilitatori strategici e protezione delle infrastrutture critiche, anche in relazione allo spazio; mobilità militare; cyber, intelligenza artificiale e guerra elettronica. Questo nuovo strumento potrebbe essere potenziato da “acquisti congiunti” che, secondo Bruxelles, darebbero interoperabilità e prevedibilità, ridurrebbero i costi e creerebbero la scala necessaria per rafforzare la base industriale di difesa europea.

Il secondo pilastro è lo sblocco dell’uso dei finanziamenti pubblici nella difesa. “La Commissione proporrà di attivare in modo coordinato la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita. Ciò sosterrà gli sforzi dell’Ue per ottenere un rapido e significativo aumento della spesa per la difesa al fine di rispondere alla situazione di sicurezza e difesa senza precedenti. I prestiti erogati nell’ambito del nuovo strumento dell’Ue beneficerebbero della clausola di salvaguardia nazionale prevista dal Patto di stabilità e crescita“, ha precisato la presidente.

Terzo elemento: incentivare gli investimenti legati alla difesa nel bilancio dell’Ue. “La revisione intermedia dei programmi della politica di coesione è un’opportunità per aiutarvi a destinare maggiori fondi agli investimenti legati alla difesa“, ha evidenziato von der Leyen. Tra le opzioni per aumentare i finanziamenti al settore della difesa nei programmi c’è “l’eliminazione delle restrizioni esistenti al sostegno alle grandi imprese nel settore della difesa”; “l’aumento degli incentivi finanziari quali il prefinanziamento e il cofinanziamento”; “l’allentamento delle regole di concentrazione per i fondi investiti nella difesa”; “l’agevolazione del processo di trasferimenti volontari verso altri fondi dell’Ue con obiettivi di difesa”.

Il quarto pilastro è il contributo della Banca europea per gli Investimenti (Bei) che “ha un ruolo chiaro e decisivo” da svolgere. Qui, il piano d’azione per la sicurezza e la difesa del Gruppo Bei “è un primo passo importante e dobbiamo assicurarne la rapida attuazione“.

Infine, il quinto pilastro è la mobilitazione del capitale privato. “Incrementare i nostri investimenti pubblici è indispensabile. Ma non sarà sufficiente di per sé”, ha ribadito von der Leyen. “Dobbiamo garantire che i miliardi di risparmi degli europei siano investiti nei mercati all’interno dell’Ue” e, “per questo, completare l’Unione dei mercati dei capitali è assolutamente fondamentale” perché “potrebbe, da sola, attrarre centinaia di miliardi di investimenti aggiuntivi all’anno nell’economia europea, rafforzandone la competitività”. Perciò “presenteremo una comunicazione su un’Unione di Risparmio e Investimenti”, ha spiegato von der Leyen.

Tajani

Dazi, Ue risponderà ma è aperta a dialogo con Usa. Tajani: “Noi buoni ambasciatori”

L’Unione europea risponderà ai dazi del presidente Usa, Donald Trump. Da giorni e a più livelli, Bruxelles sta sostenendo la stessa posizione e l’ultima a puntellarla è stata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che da Monaco, dal palco della Conferenza sulla Sicurezza, ha scandito: “Le guerre commerciali e tariffe punitive non hanno senso”. Un concetto ribadito anche dal vice premier, Antonio Tajani. In partenza per Monaco, il ministro degli Affari esteri ha evidenziato che “le guerre commerciali non portano vantaggio a nessuno” e che l’Italia, “in cui il 40% del Pil viene dall’export”, non ha “alcun interesse che ci siano”. Anzi, “dobbiamo scongiurarle”, ha aggiunto. “Vedremo il da farsi” e “tutte le decisioni le prenderemo come Unione europea”. Ma rimanendo aperti al dialogo con Washington e, qui, l’Italia può fare da ponte tra le due sponde dell’Atlantico: “È ovvio che bisogna trattare come Europa. Noi possiamo essere dei buoni ambasciatori dell’Ue”, ha affermato.

La volontà di dialogo c’è. A Monaco, von der Leyen ha osservato che “le tariffe agiscono come una tassa, stimolano l’inflazione” e “i più colpiti sono inevitabilmente i lavoratori, le aziende, i redditi bassi e le classi medie su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Inoltre, “le tariffe possono rapidamente influenzare le catene di fornitura transatlantiche essenziali”. A tutto ciò, che per l’Ue “non è un buon affare”, Bruxelles risponderà. Siamo uno dei mercati più grandi del mondo. Useremo i nostri strumenti per salvaguardare la nostra sicurezza economica e i nostri interessi e proteggeremo i nostri lavoratori, le nostre aziende e i consumatori a ogni svolta”, ha dichiarato la presidente della Commissione. Ma, “naturalmente, siamo pronti a trovare accordi che funzionino per tutti per lavorare insieme per renderci reciprocamente più prosperi e sicuri”, ha evidenziato.

E sul piano del dialogo si registra qualche movimento. Nella conferenza stampa quotidiana dell’esecutivo Ue, il portavoce al Commercio, Olof Gill, ha precisato che, “senza entrare nei dettagli di ciò che sarà o meno incluso nell’ambito dei colloqui tra l’Ue e gli Usa per trovare soluzioni ad alcune delle questioni commerciali”, ciò che si può dire è che “i contatti sono in corso: ci sono stati questa settimana a livello di responsabili politici e l’intenzione è di continuare a farlo nei giorni e nelle settimane a venire per trovare soluzioni reciprocamente vantaggiose”.

Un dialogo che appare complesso. L’Ue – che “mantiene alcune delle tariffe più basse al mondo” e ha “oltre il 70% delle importazioni che entrano a tariffa zero” nel suo mercato unico – considera la politica di Trump “un passo nella direzione sbagliata” e “non vede alcuna giustificazione per l’aumento delle tariffe statunitensi alle esportazioni” europee. Nella dichiarazione ufficiale di venerdì mattina l’esecutivo Ue ricorda che “per decenni l’Ue ha lavorato con partner commerciali come gli Stati Uniti per ridurre le tariffe e altre barriere commerciali in tutto il mondo, rafforzando questa apertura attraverso impegni vincolanti nel sistema commerciale basato su regole, impegni che gli Stati Uniti stanno ora minando”. Nelle righe ufficiali, Palazzo Berlaymont non fa accenno al dialogo, ma piuttosto specifica che “l’Ue reagirà fermamente e immediatamente”. Ma, prima ancora che ai dazi, sembra che Bruxelles si trovi a dover rispondere a una pratica politica ed economica che dice di non comprendere. Ed è da questo punto di partenza che dovrà dialogare.

Von der leyen

Von der Leyen: “Spese militari fuori dal patto di stabilità”. Crosetto: “Vittoria italiana”

Più spese per la difesa in Europa. Ursula von der Leyen propone di attivare la clausola di salvaguardia generale dal Patto di Stabilità, proprio come è accaduto negli anni del Covid, per permettere ai Paesi membri di avere più spazio di manovra per le proprie risorse. Un’autorizzazione ad aumentare il debito e sopravvivere in un momento eccezionale di crisi.

Una proposta analoga per affrontare gli investimenti green e non considerarli ai fini del debito è stata però respinta in passato. In altre parole: flessibilità concessa sulle armi, non sulla maxi-sfida della transizione. “Credo che ora siamo in un periodo di crisi che giustifica un approccio simile”, spiega la presidente della Commissione europea da Monaco di Baviera, assicurando che questo aumento di spesa dei singoli Stati sulla difesa sarà “controllato e condizionale”. Per un massiccio pacchetto, a ogni modo, servirà un “approccio europeo nel definire le nostre priorità di investimento“, sottolinea von der Leyen che, nella stessa ottica, promette un lavoro più intenso per accelerare il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione. “Abbiamo già fatto progressi significativi, ma ora è di nuovo il momento di spostare le montagne”, chiosa.

Bene l’approccio per il governo Meloni. L’Europa dovrà “essere protagonista” nel processo di pace in Ucraina, mette in chiaro Antonio Tajani, precisando che l’Unione “dovrà fare ancora di più per quanto riguarda la difesa”. Bisognerà, per l’esecutivo di Roma, aumentare la spesa a livello comunitario, ma anche a livello italiano per rispettare gli impegni con la Nato. L’obiettivo minimo è il 2%, ma, sottolinea il ministro degli Esteri, “sappiamo bene che la Nato poi chiederà ancora di più”. Von der Leyen sta “recependo le nostre proposte”, rivendica.

Di “grande vittoria politica e diplomatica dell’Italia e del governo Meloni” parla Guido Crosetto, che confessa: “L’annuncio della presidente von der Leyen è sempre stata una mia vera ossessione, la necessità di scorporare le spese della difesa dal Patto di Stabilità che impone, alla Ue, e da decenni, rigide regole e vincoli di bilancio per gli Stati che ne sono membri”. Sin dall’inizio del suo mandato, ricorda il ministero della Difesa, Crosetto ha sostenuto la necessità di escludere dal Patto di Stabilità gli investimenti in sicurezza e impedire che possano intaccare o indebolire le spese dei singoli Stati in salute, istruzione, welfare. E’ un primo passo, ma non basta, avverte il titolare della Difesa. L’Italia è “pronta a fare la sua parte”, garantisce, per un’Europa “più sicura e autorevole, ma anche più salda nei suoi principi democratici e di benessere collettivo per i suoi cittadini, nel nostro continente come nel mondo”.

Lo scorporo degli investimenti in Difesa, indica Palazzo Chigi, dovrà essere seguito anche dall’istituzione di strumenti finanziari comuni. “Il Governo italiano è pronto a lavorare costruttivamente con le istituzioni europee e con gli altri Stati membri per raggiungere insieme questi importanti obiettivi, a partire dalla prossima presentazione del Libro bianco della difesa dell’Ue”.

Von der Leyen lancia Fondo globale su transizione verde: “Più progetti e investimenti”

Mantenere lo slancio sulla transizione verso l’energia pulita, realizzare progetti di punta e sbloccare più investimenti. Sono gli obiettivi del nuovo Forum globale per la transizione green lanciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen insieme  al Direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia, Fatih Birol. “Alla COP28, il mondo si è unito dietro gli obiettivi di triplicare l’energia rinnovabile e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. La scadenza si avvicina rapidamente”, ha spiegato dal palco del World Economic Forum in corso a Davos. In generale, per von der Leyen, sull’energia pulita “non ci stiamo muovendo abbastanza velocemente. Si tratta anche di aumentare la produzione. Ogni regione deve essere in grado di produrre le tecnologie di cui ha bisogno”. Quindi si tratta di costruire reti, o aggiornarne 25 milioni di chilometri entro il 2030, di sviluppare la capacità di tenere accese le luci se il vento non soffia o il sole non splende. “Tutto questo richiede investimenti massicci e nessuna azienda, nessun paese e nessuna regione può farlo da sola. Dobbiamo lavorare insieme e dobbiamo agire ora”. Ed è per questo che è nato il Forum globale sulla transizione energetica.

Il Forum riunisce partner da tutto il mondo, dal Brasile, Canada e Repubblica Democratica del Congo, al Kenya, Perù, Sudafrica, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e molti altri, nonché aziende e investitori, con 3 obiettivi principali: in primo luogo, sostenere lo slancio dell’accordo energetico globale. “Questi obiettivi energetici globali devono trovare la loro strada nella prossima ondata di contributi determinati a livello nazionale, i famosi NDC – ha spiegato von der Leyen -. Dobbiamo trasformare le promesse collettive in progressi misurabili”. In Europa, ha ricordato, è stato aumentato l’ obiettivo di energia rinnovabile per il 2030 a oltre il 42%. Oggi siamo al 23%, quindi “ci aspetta molto lavoro buono e duro”.

Secondo obiettivo: trasformare tutto questo ​​progetti molto concreti. Ecco perché, sotto la guida della COP30 brasiliana, il Forum si concentrerà su iniziative di punta, ad esempio progetti che portano energia alle comunità svantaggiate o progetti che danno il via a nuove industrie pulite e aumentano l’energia pulita a livello globale. E infine, il Global Energy Transition Forum dovrebbe aiutare a sbloccare più investimenti. “Se vogliamo essere più veloci, abbiamo bisogno di più investimenti”, ha ribadito la presidente europea dicendosi “contenta” che il Regno Unito stia guidando questo cambiamento. L’Europa “intende mantenere la sua strada sull’energia pulita ed è pronta a lavorare con chi è interessato ad accelerare la transizione”. Anche perché, “è evidente che la transizione verso l’energia pulita sta avvenendo, e ci resterà”.

Solo l’anno scorso, la spesa globale per l’energia pulita ha raggiunto un record di 2 trilioni di dollari per ogni dollaro investito in combustibili fossili, mentre 2 dollari sono stati investiti in energia rinnovabile e nel settore energetico. Gli investimenti in energia pulita superano di 10 a 1 i combustibili fossili. Tutto questo non è solo una buona notizia per il pianeta, ha ricordato von der Leyen, ma “è anche una buona notizia per l’innovazione. È una buona notizia per l’indipendenza energetica”, è un bene “per la competitività economica” e, in ultimo, “riduce le bollette energetiche, quindi è un bene per le famiglie e le aziende“. Tuttavia, in questo percorso “nessuno può essere lasciato indietro“. Per questo, nel suo discorso, la presidente von der Leyen ha anche sottolineato la necessità di uno sforzo collettivo per aumentare la produzione di energia rinnovabile in Africa. “Nonostante detenga il 60% delle migliori risorse solari del mondo e punti ad aumentare la sua capacità di energia rinnovabile di cinque volte entro il 2030, il continente riceve attualmente meno del 2% degli investimenti globali in energia pulita“, ha ricordato.