auto elettriche

I numeri della mobilità elettrica nel mondo: 20 mln di auto, 280 mln di moto

Attualmente nel mondo circolano quasi 20 milioni di veicoli elettrici per passeggeri, 1,3 milioni di veicoli elettrici commerciali e oltre 280 milioni di ciclomotori, scooter e motocicli elettrici. E’ quanto emerge dalla quarta edizione di ‘100 Italian E-Mobility Stories 2023’ di Fondazione Symbola ed Enel. Stime recenti prevedono al 2030 una quota di mercato globale per le auto elettrificate superiore al 50%, trainato dalle tecnologie Bev (Battery Electric Vehicle).

I principali mercati sono la Cina e l’Europa; quest’ultima nel 2021 ha registrato un aumento del 65,7% delle immatricolazioni di auto elettriche o a bassissime emissioni (Ecv) rispetto al 2020 e ha visto a dicembre le vendite di auto elettriche sorpassare per la prima volta quelle dei veicoli diesel. La Germania si conferma il principale mercato europeo, con 682mila immatricolazioni, seguita da Regno Unito (306mila) e Francia (303mila). Il nostro Paese ha chiuso il 2021 con un aumento delle vendite di auto elettrificate (ibride ed elettriche) del 199% rispetto all’anno precedente, raggiungendo il 38,4% del totale immatricolato. Guardando alle immatricolazioni delle auto Bev da gennaio a ottobre 2022, il mercato italiano registra 39.400 unità, con la Fiat 500E ancora in cima alla top 5 delle Bev più vendute nel nostro Paese (5.585 unità ad ottobre 2022).

Urso: Legarsi a solo vettore elettrico per trasporto su gomma scelta rischiosa

Nel 2035 l’Europa sarà full electric. O almeno questo dice il pacchetto varato dall’Ue, che mette lo stop alla vendita dei veicoli con motore a combustione interna, dunque quelli con motori a scoppio, benzina e diesel. Un provvedimento che rischia seriamente di mettere in crisi un settore cruciale per l’economia italiana come l’automotive, ma non solo. Perché a cascata gli effetti si avvertirebbero anche sulla ricerca e produzione di carburanti green. Il tema è ancora molto sentito nel nostro Paese, GEA ne ha parlato con il ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso.

Ministro, non è un mistero che all’Italia (ma non solo) il ‘Fit for 55′ stia un po’ stretto. Chiedete flessibilità all’Europa, su quali punti sperate di convincere l’Ue a non essere così rigida?

“Siamo pienamente consapevoli e convinti della necessità di una transizione ecologica in linea con gli impegni in tema di clima e ambiente derivanti dagli Accordi di Parigi; riteniamo fondamentale tuttavia che l’Europa adotti un approccio non ideologico sul tema, che mantenga il principio cardine e di maggior efficienza della neutralità tecnologica per il raggiungimento degli sfidanti obiettivi di riduzione delle emissioni, lasciando spazio all’innovazione tecnologica e alla ricerca. Legarsi alla scelta del solo vettore elettrico per il trasporto su gomma è una scelta rischiosa, a maggior ragione se le materie prime e le componenti che servono per produrre le vetture sono concentrate in Paesi fuori dall’Unione europea. Per queste ragioni il Governo ha fortemente voluto che nell’approvazione del nuovo regolamento Co2 sulle emissioni per auto e veicoli leggeri venissero inseriti alcuni punti fondamentali: un riferimento ai combustibili neutri in termini di emissioni di CO2 (biodiesel, biometano) e la previsione che la Commissione presenti una proposta relativa all’immatricolazione di veicoli che funzionano esclusivamente con combustibili neutri in termini di emissioni di Co2; l’impegno da parte della Commissione ad elaborare, entro il 2025, una metodologia comune per valutare l’intero ciclo di vita delle emissioni di CO2 delle autovetture e dei furgoni immessi sul mercato dell’Ue, nonché dei combustibili e dell’energia consumati da tali veicoli; una clausola di revisione in base alla quale nel 2026 la Commissione valuterà in modo approfondito i progressi compiuti verso il conseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100%, nonché la necessità di rivedere tali obiettivi tenendo conto degli sviluppi tecnologici e dell’importanza di una transizione sostenibile e socialmente equa verso l’azzeramento delle emissioni”.

Accelerare il processo di elettrificazione delle auto quali rischi comporta per l’Automotive?

“Occorre avere il tempo necessario per accompagnare tutta la filiera automotive nel percorso di riconversione industriale, dai costruttori ai produttori di componentistica, agli assemblatori, ma anche al comparto di progettazione e design delle auto, per far sì che la necessaria transizione ecologica non crei danni al nostro tessuto industriale e sociale. Il rischio di un’accelerazione nel processo di elettrificazione del settore, non accompagnata da adeguate misure di sostegno, è quello di rinunciare al nostro know how, senza avere il tempo di diventare competitivi sul nuovo modello, impoverendo l’intera economia e andando incontro a pesanti ricadute occupazionali. È necessario avere il tempo per avviare progetti industriali di lungo termine”.

A dicembre aveva spiegato che l’auto elettrica è vista ancora come “bene di lusso” per l’inaccessibilità, in alcuni casi, dei costi. State studiando un pacchetto di incentivi?

“Per il triennio 2022-2024 sono previsti incentivi per l’acquisto di veicoli a basse emissioni di anidride carbonica attraverso il rifinanziamento dell’ecobonus per 1,9 miliardi di euro e a livello europeo siamo coinvolti su progetti Ipcei, in ambito idrogeno e batterie strettamente connesse al settore dei trasporti, per un totale di 2,7 miliardi di euro. In particolare, dal 10 gennaio sono riaperte le prenotazioni per l’incentivo all’acquisto di veicoli a basse emissioni, con una dotazione di 630 milioni di euro di cui 475 riservati ad autoveicoli, veicoli commerciali, motocicli e ciclomotori esclusivamente elettrici o ibridi plug–in”.

Che fine rischiano di fare i progressi, soprattutto italiani, nel campo della ricerca sui carburanti ‘green’?

“Per una efficace decarbonizzazione del settore trasporti è necessario prendere in considerazione un ventaglio di soluzioni ampio, tra le quali l’utilizzo di biocarburanti. Questi carburanti forniscono una soluzione a basse emissioni di carbonio per le tecnologie esistenti: dai veicoli leggeri agli autocarri pesanti fino al settore aeronautico, dove sono una delle opzioni più importanti, ad oggi per abbattere le emissioni. Il loro contributo è utile per il trasporto su strada a lungo raggio, dove biodiesel, olio vegetale idrogenato e biometano possono sostituire facilmente i combustibili diesel. Il nostro Paese è al quinto posto in Ue per l’utilizzo di biocarburanti dietro Germania, Francia, Spagna e Svezia, ma è primo per il consumo di biocarburanti avanzati, prodotti da rifiuti, residui e materie di origine non alimentare, ovvero quelli che avranno un ruolo sempre più fondamentale nella decarbonizzazione del vecchio continente, perché non in competizione con la filiera alimentare. Gli obiettivi nazionali per il 2030, inseriti nel Piano Nazionale Energia e Clima, prevedono una quota di rinnovabili nei trasporti del 22%, di cui il 38,6% da raggiungere proprio attraverso i biocarburanti. Sempre per favorire il ricorso e la diffusione dei biocarburanti, nel Pnrr sono stati stanziati 1,92 miliardi per lo sviluppo del biometano destinato anche al settore dei trasporti, con l’obiettivo di aumentare di 2,5 miliardi di metri cubi l’attuale produzione di biometano. C’è tutto lo spazio quindi per continuare a investire in ricerca e innovazione su questi carburanti e nella conversione del settore della raffinazione”.

L’Italia non è un Paese per bici: investe 100 volte di più su auto

L’Italia punta sugli spostamenti in auto anziché in bicicletta. Il nostro Paese, infatti, investe poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili cittadine ed extraurbane, contro i 98 miliardi di euro destinati al comparto automobilistico (considerando anche le infrastrutture). Il rapporto è, dunque, impietoso, nonostante sullo sfondo ci sia la sfida dell’Italia e dell’Ue di ridurre le proprie emissioni climalteranti del 55% entro il 2030. E lo è ancora di più, considerando che nel 2019 il settore dei trasporti è stato responsabile per il 30,7% delle emissioni totali di Co2, il 92,6% delle quali attribuibili proprio al trasporto stradale. A scattare questa fotografia è il rapporto ‘Clean Cities‘ pubblicato da FIAB, Kyoto Club, Legambiente e, appunto, Clean Cities.
La nostra analisi – spiega Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities – evidenzia che spendiamo tante, troppe delle nostre tasse per sovvenzionare l’uso dell’automobile privata, e pochi spiccioli per dare a tutti la possibilità di muoversi in bicicletta; inoltre, le nostre città sono ancora molto poco ciclabili eppure, per renderle tali, basterebbe investire poco più di tre miliardi di euro, tanto quanto stiamo spendendo ogni tre mesi per abbassare i prezzi di diesel e benzina“.

Per la realizzazione del dossier, le organizzazioni – dati Istat alla mano – hanno analizzato i chilometri di corsie o piste ciclabili per 10mila abitanti al 2020 e i chilometri aggiuntivi previsti dal Piano urbano mobilità sostenibile e biciplan. È emerso che le città italiane hanno una media di 2,8 km di ciclabili per diecimila abitanti, con grandi disparità territoriali: da zero km in molti capoluoghi del centro-sud ai 12-15km di Modena, Ferrara, Reggio Emilia. Molte città sono quindi fanalino di coda nel contesto europeo, anche se alcune risultano ciclabili quanto Helsinki (20km/10.000 abitanti), Amsterdam (14km/10.000 abitanti) e Copenaghen (8km/10.000 abitanti). Tra il 2015 e il 2020, le ciclabili urbane sono aumentate, (+18% nei capoluoghi di provincia e +30% nei capoluoghi di città metropolitana), ma la crescita si è concentrata quasi esclusivamente nei centri urbani che già avevano un livello di infrastrutture ciclabili superiore alla media.
Raffaele Di Marcello, consigliere di presidenza e responsabile Centro studi nazionale Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), fa notare che “la situazione infrastrutturale delle nostre città, per quanto riguarda i percorsi ciclabili, è ancora da migliorare. Le poche piste, spesso non collegate tra loro, insieme con la mancanza di una visione che metta insieme pianificazione urbanistica e mobilità sostenibile rendono difficile, quando non impossibile, utilizzare la bicicletta come mezzo alternativo all’automobile“.

Secondo l’analisi, per colmare il gap con il resto d’Europa e consentire un robusto spostamento modale, alle città italiane servirebbero 16mila km di ciclabili in più (rispetto al 2020), per un totale di 21mila km al 2030. Da una stima prudenziale del fabbisogno economico, l’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, pari a 500 milioni di euro all’anno, ovvero appena il 3,5% di quanto già stanziato per il comparto auto e le infrastrutture connesse, “ma molto di più di quanto predisposto fino ad ora per la ciclabilità“.
Insieme al dossier le quattro organizzazioni hanno lanciato la petizione ‘Vogliamo città sostenibili’. Obiettivo: raggiungere 5mila firme per chiedere al Governo e al Parlamento di prevedere un programma di investimenti di 500 milioni di euro all’anno da qui al 2030.

Thierry Breton, European Commissioner for Internal Market

L’Ue lancia i nuovi standard Euro 7: limiti per auto e mezzi pesanti

Ambiente, clima, sostenibilità, salute e Green Deal. Le nuove iniziative della Commissione per una mobilità pulita su strada intendono rispondere a più sfide contemporaneamente. Si rimette mano al sistema di eco-compatibilità delle quattro-ruote di ogni categoria, istituendo una nuova classe, l’Euro 7, per meglio coniugare gli sforzi di una transizione sostenibile con tutte le iniziative intraprese sin qui per migliorare vita dei cittadini e lotta all’inquinamento. Obiettivo: abbattere le emissioni di ossido di azoto (NOx) e particolato (Pm2,5) su tutte le strade e autostrade dell’Unione europea.

La nuova proposta di regolamento non si concentra sulla CO2, principale gas a effetto serra, ma sul resto. L’inquinamento atmosferico derivante dai gas di scarico dei veicoli è responsabile per il 39% delle emissioni nocive di ossidi di azoto (NOx) nell’Ue e del 47% delle stesse emissioni nelle sue sole aree urbane, nonché del 10% delle emissioni di particolato (Pm2,5) di tutta l’Unione. Si stima che solo nel 2018 l’esposizione cronica all’inquinamento atmosferico da polveri sottili e ossidi di azoto dal traffico stradale sia stata responsabile di oltre 70mila morti premature tra i cittadini europei. Da qui la proposta dell’esecutivo comunitario, che mentre spinge per l’elettrificazione della mobilità su gomma, dall’altra preme per veicoli tradizionali ancora più puliti. Rispetto all’attuale classe più ecologica di veicoli (Euro 6), vale a dire tutte le immatricolazioni dal 2015 in poi, l’obiettivo è ridurre, entro il 2035, del 35% le emissioni di NOx per auto e veicoli commerciali leggeri (automobili e furgoni), e fino al 56% per autobus e veicoli commerciali pesanti (camion e autoarticolati). Sempre entro il 2035 si fissa una riduzione del 13% delle emissioni di polveri sottili rilasciate dal tubo di scappamento di auto e furgoni, e del 39% per bus e camion. Questo per ciò che riguarda i sistemi di scarico e i tubi di scappamento. Mentre per quanto riguarda il sistema di frenata, la Commissione prevede una riduzione fino al 27% di polveri sottili per automobili e veicoli commerciali leggeri.

La data dell’avvio della nuova rivoluzione è differenziata: 1 luglio 2025 per veicoli leggeri e 1 luglio 2027 per veicoli pesanti. Questi i momenti che la Commissione vorrebbe per l’entrata in vigore della nuova categoria di veicoli ‘Euro 7’, nell’auspicio che Parlamento e Consiglio non stravolgano questa tabella di marcia come pure l’obiettivo dichiarato. Bruxelles non vuole imporre troppi oneri ai costruttori, tanto che gli obiettivi di riduzione “dovrebbero essere ottenute con le tecnologie esistenti”. Per questo, sostiene il commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, “ritengo che la nostra proposta sia equilibrata”, oltre che necessaria “per proteggere il nostro clima”. E’ un tassello ulteriore di una strategia a dodici stelle di ampio respiro. “Oltre a monitorare e sostenere l’elettrificazione della flotta, ora stiamo affrontando le emissioni che aggravano l’inquinamento atmosferico e influiscono sulla nostra salute”. Una linea confermata anche da Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea responsabile per il Green Deal. “I nostri standard sulle emissioni di CO2 e le norme Euro 7 lavorano di pari passo per assicurarci di ottenere più veicoli puliti e convenienti sulle strade europee”.

L’industria del settore però storce la bocca. L’Associazione dei costruttori europei d’automobili (Acea) ritiene che “la proposta rischia di rallentare il passaggio al trasporto a emissioni zero”. A detta di Oliver Zipse, presidente di Acea e amministratore delegato di Bmw, “il vantaggio ambientale della proposta della Commissione è molto limitato, mentre aumenta notevolmente il costo dei veicoli”.

L’esecutivo comunitario non nasconde che sulla scia delle nuove proposte si prevede “un moderato impatto” sui costi delle auto, stimato tra i 90 e 150 euro, e sul costo di autobus e camion, stimato a circa 2.600 euro. Allo stesso tempo, però, prevede ritorni per l’industria. Da una parte, il passaggio a nuovi testi più moderni e digitali “si tradurrà in una diminuzione dei costi di conformità e degli oneri amministrativi per l’industria automobilistica”. Dall’altra parte ci sono opportunità di mercato, in particolare sul fronte dell’esportazione, visto che “diversi paesi al di fuori dell’Ue, come Australia, Brasile, Cina o India, tendono a basare le proprie regole sulle norme sulle emissioni dell’euro”.

Anche sui test, però, Acea ha qualcosa da dire. Perché la nuova proposta introduce nuove modalità di misurazione delle performance di scarico. “Ci si concentra su condizioni di guida estreme che non hanno quasi alcuna rilevanza nella vita reale”, sostiene l’ad dell’associazione dei produttori di quattro ruote. Una visione che va a sbattere contro quella di Bruxelles. “Avremo test delle emissioni più precisi che riflettano le condizioni di guida reali”, sostiene Timmermans. L’Euro 7 rischia dunque di riprodurre scontri e divisioni politiche tutte europee, come già avvenuto per la messa al bando dei motori tradizionali dal 2035.

Stellantis

Stellantis, 100% auto elettriche in Europa entro il 2030

Il 100% di vendite di auto elettriche in Europa entro il 2030 e il 50% negli Stati Uniti, raddoppiando il fatturato ed espandendosi nel mercato dei software e in quello cinese. E’ l’obiettivo di Stellantis presentato nel piano strategico per il prossimo decennio ‘Dare Forward 2030’. Il gruppo nato dalla fusione di Peugeot-Citroën e Fiat-Chrysler vuole anche dimezzare le sue emissioni di carbonio entro il 2030 rispetto al 2021 e di ridurle del 90% entro il 2038. Il gruppo parla di un bilancio “zero carbonio” con un massimo del 10% di compensazione.
Stellantis prevede inoltre di lanciare 75 modelli elettrici entro il 2030 per i suoi marchi Peugeot, Opel, Fiat, Alfa Romeo e Maserati, ha detto il CEO Carlos Tavares durante la presentazione del piano strategico ad Amsterdam, dove il gruppo ha sede. In modo molto simbolico, Stellantis ha presentato il primo SUV 100% elettrico Jeep, che dovrebbe essere messo in vendita all’inizio del 2023. Diffuse anche le immagini del primo pick-up elettrico del marchio Ram 1500, previsto per il mercato americano nel 2023.
Molti produttori hanno annunciato la fine dei motori a combustione nei prossimi anni e la Commissione europea ha proposto come deadline l’anno 2035, ma Stellantis è uno dei primi colossi automobilistici a prendere un impegno così forte per l’elettrificazione della sua offerta.
Ancora qualche settimana, invece, per la firma dell’accordo per la realizzazione della Gigafactory di Termoli, ha annunciato Tavares. Il CEO di Stellantis ha confermato che l’intesa per il polo della produzione di batterie in provincia di Campobasso è in dirittura d’arrivo: il governo ha messo sul piatto 370 milioni di euro, l’investimento complessivo, a cui partecipano TotalEnergies e Daimler, dovrebbe aggirarsi intorno ai 2,5 miliardi.