Crolla l’industria in Italia. Opposizioni: “Urso si dimetta”. Il ministro: “Crisi in tutta Ue”

Crolla la produzione industriale in Italia. A dicembre 2024 l’Istat stima una perdita del 3,1% rispetto a novembre, del 7,1% su base annua. Nella media del quarto trimestre il livello della produzione si riduce dell’1,2% rispetto ai tre mesi precedenti, quando le stime erano solo per un -0,1% mensile dopo il +0,3% congiunturale di novembre.

Nel 2024, spiega l’istituto commentando i dati, la dinamica tendenziale dell’indice corretto per gli effetti di calendario è stata negativa per tutti i mesi, con cali in tutti i trimestri. Solamente per l’energia c’è un incremento nel complesso e, nell’ambito della manifattura, solo le industrie alimentari, bevande e tabacco sono in crescita rispetto all’anno precedente, mentre le flessioni più marcate si rilevano per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori e fabbricazione di mezzi di trasporto.

Una catastrofe secondo le opposizioni, che chiedono la testa del ministro delle Imprese e del Made in Italy. “La crisi della produzione industriale non è italiana, ma europea, a partire da Paesi come la Germania“, si difende Alfonso Urso. L’idea è quella di rafforzare la posizione italiana come seconda industria manifatturiera europea, anche perché, osserva, “la Germania ha problemi strutturali maggiori dei nostri“.

Intanto però i parlamentari del Movimento 5 Stelle ricordano i 42 miliardi di ricavi “bruciati” nel 2024, oltre al “calo eclatante” della produzione. Si tratta del 23esimo mese in fila di “crollo inesorabile” che per i pentastellati è ascrivibile in toto alla “inesistente politica industriale del governo Meloni“. I deputati M5S domandano le dimissioni del titolare del Mimit, accusando la premier di aver affidato un ministero chiave a “una figura assolutamente inadeguata“.
Di “desertificazione industriale” in Italia parla il responsabile Economia nella segreteria nazionale del Pd, Antonio Misiani, un “disastro” di fronte al quale qualunque governo correrebbe ai ripari. Nell’ultima legge di bilancio, denuncia l’esponente Dem, è stato “drasticamente tagliato non solo il fondo automotive (-75%) ma l’insieme delle risorse stanziate per le politiche industriali, che passeranno dai 5,8 miliardi del 2024 a 3,9 miliardi nel 2025 fino a 1,2 miliardi nel 2027“. Il parlamentare chiede che il governo riferisca in Parlamento per spiegare all’Italia cosa ha intenzione di fare.
L’Italia “non è il Paese delle meraviglie come vuoi farci credere“, tuona il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli, rivolgendosi alla premier: “E’ il Paese in cui la produzione industriale cala a picco, in cui il caro energia mette in ginocchio le famiglie italiane e la disoccupazione giovanile aumenta. Basta propaganda, Giorgia Meloni, comincia a raccontare il Paese reale“.

Terra dei Fuochi, Bonelli: “Ispra delegittimata, così precipitiamo nel baratro”

Dobbiamo constatare che c’è l’ennesima condanna della Cedu nei confronti dell’Italia, in particolar modo sulle questioni ambientali che attengono i diritti dei cittadini“. Il leader di Avs, Angelo Bonelli non sembra sorpreso della condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia, per non aver protetto i suoi cittadini dallo scarico di rifiuti tossici da parte di gruppi criminali nella ‘Terra dei Fuochi‘. Condanne di questo tipo erano già avvenute in passato, osserva intercettato da Gea alla Camera dei Deputati. Il deputato ecologista si riferisce, in particolare, all’Ilva: “L’inquinamento di Taranto è la conferma che purtroppo, non solo con questo governo, la questione degli interventi per bonificare le aree, per garantire il diritto alla salute e all’ambiente è estremamente dimenticato e non è un elemento centrale nell’azione politica del governo“, rileva.

La Cedu ha concesso due anni per mettere in atto una strategia correttiva. Basteranno?

Non lo so se si riuscirà a fare in due anni quello che non si è riuscito a fare in decenni. Il punto però è che lì c’è una situazione cronica, strutturale, di malaffare, di comportamenti illegali. I fuochi hanno continuato ad esserci, sappiamo da dove vengono: da un sottobosco di attività commerciali illegali, gestite da gruppi anche illegali e criminali e su questo non si è mai intervenuto alla radice del problema. C’è tutto un sistema economico e commerciale che ruota intorno alle illegalità. Penso che debba esserci la capacità di affrontarle con nettezza e con radicalità per estirpare queste attività e consegnarle a quell’economia sana che rispetta le regole. E’ chiaro che ci sono le bonifiche da fare, ma se si bonifica e poi i fuochi continuano a esserci avremo sempre quella diossina che si sviluppa e poi ricade sui terreni.

Sarebbe il caso di fare un’operazione sul modello Caivano, con lo Stato presente sul territorio e un monitoraggio sistematico?

Sì, ma anche Caivano ha rappresentato uno spot propagandistico, tranne il fatto che, per esempio, una palestra è stata riconsegnata alla collettività. Detto questo però lì c’è un problema che è proprio insito nel malfunzionamento della prevenzione nel nostro Paese. Sono stati depotenziati gli istituti di controllo e di prevenzione dell’inquinamento e dei controlli ambientali. L’Ispra, che è l’organismo che dovrebbe anche svolgere questa funzione e che coadiuva le agenzie regionali di protezione dell’ambiente è stato delegittimato dal punto di vista scientifico e ha continue bordate da parte di questo governo. Tutti quegli organismi che dovrebbero controllare e assicurare poi conseguentemente alla giustizia chi compie atti illegali sono stati delegittimati. In questo modo non si vince nessuna sfida, ecco perché il problema è capire che oggi noi abbiamo necessità di potenziali istituti di controllo e prevenzione, anche di repressione, e di avviare quelle bonifiche, ma solo se non c’è una sistematicità. Se invece tutto diventa solo il comunicato stampa del ministro di turno, la terra di fuochi sarà sempre sotto il controllo di organizzazioni più o meno criminali che pensano che inquinare sia del tutto lecito perché poi tanto ne traggono profitto.

L’ultima bordata agli organismi scientifici è stata data non tenendo conto del parere sul rischio sismico del Ponte sullo Stretto di Messina?

Noi stiamo vivendo una fase molto delicata nel nostro Paese per quanto attiene le politiche ambientali. La delegittimazione degli organismi scientifici significa il via libera allo sfondamento, al deturpamento dell’ambiente, al degrado. I pareri espressi dall’Ispra sulla questione del Ponte non sono stati minimamente considerati, a partire da quello sismico ma anche da quello delle zone di incidenza ambientale, dei siti di importanza comunitaria. Ma penso anche ad esempio a quello che sta accadendo con la modifica sulla legge dell’attività venatoria della deputata Bruzzone, che sta mettendo all’angolo l’Ispra perché non è gradita, i suoi pareri non sono graditi. E’ come quando noi andiamo dal medico che ci dice che dobbiamo fare delle analisi, non ci piace quello che ci dice e poi dopo ci ammaliamo. Non può funzionare così, così rischiamo di andare nel baratro molto rapidamente.

Green Deal, Meloni: “Effetti disastrosi sull’industria”. Avs-M5S: “La crisi è colpa sua”

L’approccio “ideologico” delle politiche ambientali europee ha effetti “disastrosi” sull’industria, perché “inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è un suicidio, ed è una strada che noi non intendiamo seguire“. Ancora una volta, Giorgia Meloni denuncia le conseguenze del Green Deal, che derubrica a un “errore del passato” da non ripetere.

In un messaggio inviato per il decennale dell’Associazione italiana Pressure equipment, che rappresenta i produttori italiani che operano nel settore degli apparecchi in pressione, ricorda che il suo esecutivo, fin dall’insediamento, lavora per mettere le imprese e i lavoratori “nelle condizioni di esprimere al massimo il loro potenziale, non creando difficoltà e ostacoli”.
La ricetta del governo per la transizione ecologica parte dal principio di neutralità tecnologica: “Abbiamo bisogno di tutte le tecnologie che ci permettono di trasformare l’economia da lineare a circolare, e tutte le tecnologie utili alla transizione devono essere prese in considerazione“, spiega la premier.

Non parla solo di rinnovabili, ma anche di gas, biocarburanti, idrogeno, cattura dell’anidride carbonica e, non ultima, la “grande prospettiva” che arriva dalla possibilità di produrre, in un futuro che definisce “non troppo lontano“, energia dal nucleare da fusione. “L’Italia è la Patria di Enrico Fermi, e su questo fronte non è seconda a nessuno, grazie all’expertise tecnologico di cui disponiamo, alla nostra formazione accademica superiore e all’attività di ricerca e sviluppo, portata avanti dai nostri centri d’eccellenza e dal nostro sistema produttivo“, rivendica, considerando la fusione un “obiettivo nel quale possiamo e dobbiamo credere“.

Parole che non piacciono alle opposizioni. “E’ la presidente Meloni che porta al suicidio la nostra economia non il Green deal“, tuona Angelo Bonelli, che grida alla “miopia” e alla “totale mancanza di visione” di fronte all’emergenza climatica in atto. Le “lobby del fossile – denuncia – si ostinano a mantenere lo status quo“. Intanto, ricorda Bonelli, la devastazione degli eventi meteo estremi legati alla crisi climatica e ai danni economici e sociali, ogni anno costano all’Italia 300 euro per abitante “un record in Europa“.

Meloni “frigna“, accusano i parlamentari delle commissioni Attività Produttive di Senato e Camera del Movimento 5 Stelle, ma “la crisi è colpa del suo immobilismo”: “Con i patrioti alla gricia, del resto, è sempre colpa di qualcun altro”, scrivono. Certi “piagnistei“, sostengono, “cominciano a stancare, in primis agli imprenditori italiani, i quali sanno benissimo che anche quest’anno in manovra rimarranno all’asciutto“. I pentastellati definiscono Transizione 5.0 un “reticolo informe di ostacoli burocratici, creato ad hoc per far sì che le imprese rinuncino a priori a investire su sé stesse“. E parlano del “down” in cui sta sprofondando il settore delle costruzioni, dall’eliminazione del Superbonus: “Dopo due anni di becera e fasulla narrazione sui bonus edilizi, presto Meloni si accorgerà che la paralisi dell’edilizia porterà con sé nell’abisso tanti altri segmenti industriali“, osservano i parlamentari, chiedendo che si eviti un “impresicidio di massa“.

Scintille governo-E-R. Musumeci: Come hanno speso mezzo miliardo? Priolo: Ministro specula

La polemica politica s’infila nelle crepe della disperazione e della paura. Si fa spazio, fino a prenderselo tutto, anche quello della cronaca nera. Succede così che con i campi, le case, le aziende dell’Emilia Romagna allagate ancora una volta, anche con due dispersi, aleggia lo spettro della campagna elettorale.

Non mi faccio trascinare dalle polemiche“, chiarisce il ministro della protezione civile, Nello Musumeci. Ma la butta lì: “Qualcuno vorrebbe alimentarle, magari sotto la spinta emotiva delle Regionali“. Organizza a Palazzo Chigi una conferenza stampa con il viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Galeazzo Bignami, per assicurare la collaborazione del governo, dirsi pronto a portare in consiglio dei ministri la richiesta di stato d’emergenza (quando e se verrà presentata dalla Regione) e puntualizzare che la prevenzione è di competenza regionale. L’Emilia Romagna, in 10 anni, ha ricevuto dai governi che si sono avvicendati oltre mezzo miliardo di euro: “Quello che accade è frutto di ciò che abbiamo o non abbiamo fatto e se non attrezzi il territorio, poi l’alluvione arriva. Con oltre mezzo miliardo, penso abbiano messo in sicurezza una parte del territorio, ci si dica quale, per poter programmare i nuovi interventi“, aggiunge.

Musumeci ricorda che secondo i dati dell’Ispra l’Emilia Romagna è tra le regioni che maggiormente hanno consumato suolo negli ultimi decenni e che cementificare significa “facilitare l’effetto ruscellamento quando piove abbondantemente, perché l’acqua non viene assorbita“. Il ministro non intende incolpare il commissario Francesco Paolo Figliuolo, che va avanti “con grande senso di responsabilità“. Non tutto il denaro a sua disposizione è stato speso e questo non perché non ci sia stata programmazione, ma perché “dall’altra parte non sono state definite le richieste di chi e come si deve intervenire, i piani speciali li redige il commissario, ma li realizza l’ente Regione“, insiste.

Parole agghiaccianti per la presidente ad interim, Irene Priolo, che chiede a Figliuolo di dissociarsi dalle dichiarazioni di Musumeci. Trova insolito che si faccia una conferenza stampa per evidenziare i problemi di una gestione quando l’emergenza è in corso e per individuare in modo “poco istituzionale” le responsabilità attribuendole a enti locali e Regioni, dimenticandosi che “noi stessi stiamo continuando a gestire cantieri e interventi e che il Governo ha fatto la scelta gestire per il tramite del commissario Figliuolo l’emergenza del 2023″, denuncia. Mentre si tenta di salvare vite umane, quella conferenza stampa “l’ho ritenuta speculazione politica“, tuona, dicendosi “molto stupita“.

Di “sciacallaggio politico” parla la segretaria del Pd Elly Schlein, mentre gli amministratori dell’Emilia-Romagna, sottolinea, “hanno passato la notte a gestire l’emergenza, organizzare soccorsi e sostenere la popolazione“. Ricorda la visita di Giorgia Meloni un anno fa nei territori alluvionati della Romagna come “una inutile passerella, con gli stivali nel fango a promettere 100% di ristori a famiglie e imprese che non sono mai arrivati”. Mancano le risorse, insiste la segretaria, i poteri sono stati concentrati su un commissario che ha la struttura a Roma, e “adesso scaricano responsabilità e problemi sugli amministratori locali. Prima ancora che ridicolo è indecente“, chiosa.

Per il deputato di Avs Angelo Bonelli la conferenza di Musumeci sancisce il fallimento del governo, perché chiarisce che il piano sul dissesto idrogeologico è “fermo da cinque mesi al Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica in attesa di via libera“. Affermazione che se confermata “sarebbe gravissima“: “Il rimpallo di responsabilità con Pichetto Fratin, mentre l’Emilia Romagna è sott’acqua, è inaccettabile e imbarazzante“, scandisce, affermando che oggi Musumeci “si è posto all’opposizione del suo stesso governo“.

siccità

Siccità, Sicilia allo stremo. Salvini: “In campo ogni azione utile”. Opposizioni protestano

Il caldo non accenna a dare tregua, soprattutto al Sud. La Sicilia, piegata da 12 mesi di siccità severa, è allo stremo: i bacini e i laghi sono del tutto prosciugati, gli agricoltori estirpano i vigneti e iniziano ad abbattere gli animali. I cittadini ricevono l’acqua razionata e tra Agrigento e Caltanissetta è stata a lungo non potabile. Il dramma finisce oggi in prima pagina anche sul New York Times.

Paradossalmente, molta acqua dolce degli invasi viene gettata in mare perché mancano i collaudi delle dighe. I parlamentari di Alleanza Verdi Sinistra hanno organizzato un flash mob davanti a Palazzo Chigi per denunciare “l’inerzia” del governo: “Perché non interviene?“, chiede Angelo Bonelli. “Hanno deciso di fare in velocità il Ponte sullo Stretto di Messina ma hanno dimenticato quali sono i veri problemi del Paese, a partire dalla crisi climatica“, chiosa. Il leader ecologista chiede a Giorgia Meloni un incontro per parlare delle proposte di Avs.

Il Partito Democratico interroga il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini durante il Question Time della Camera e chiede che nell’isola intervenga la protezione civile nazionale. Basta “cabine di regia e tavoli tecnici“, tuona Giuseppe Provenzano, membro della segreteria. I dem chiedono risposte immediate: “Non c’è più tempo – afferma -. Ora il tema è mettere in sicurezza intere comunità“.
Ma mentre una comunità ha sete, denuncia il Pd, “qualcuno forse ride e fa affari“. Il riferimento è a una speculazione senza regole sui pozzi e le autobotti privati, “per non parlare di quelli abusivi“. La proposta è di requisire questi pozzi e garantire una distribuzione equa. “Invece di buttare i soldi dell’FSC in mille rivoli, si concentrino sulle dighe, sulle reti, e si facciano partire i lavori con urgenza. Le risorse stanziate non bastano e non c’è più tempo. Se la Protezione civile siciliana non ce la fa, intervenga la Protezione civile nazionale. Dovrebbe esserci un ministro competente, se non ricordo male, persino siciliano”, ironizza Provenzano, chiedendo che il governo sostituisca la Regione “se non è capace, perché si stanno calpestando i diritti fondamentali e la dignità di intere comunità”.

Salvini sostiene non avere nulla da rimproverarsi, ricorda di aver istituito non solo la cabina di regia e il tavolo tecnico, ma di aver anche trovato i finanziamenti “dopo anni di attesa“. La siccità in Sicilia “rappresenta un’emergenza nazionale per la quale stiamo mettendo in campo ogni azione utile a superare criticità emerse ed evidenti“, garantisce.

Il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza il 6 maggio scorso per la durata di 12 mesi, stanziando per le prime urgenze 20 milioni di euro. Il 7 giugno è stato poi approvato il piano degli interventi delle misure redatto dal Presidente della Regione, che prevede 52 interventi infrastrutturali per nuovi pozzi e 86 interventi per la manutenzione e l’acquisizione di autobotti. Il Ministero ha poi concluso la fase istruttoria per il piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico. Del 29 maggio è il primo stralcio di programmazione finanziato con circa 950 milioni di euro di risorse del Mit, il 10% di questo stralcio riguarderà 7 interventi per 92 milioni di euro su un totale di 75 opere idriche finanziate in tutta Italia. La seduta della conferenza delle Regioni prevista per giovedì dovrebbe dare l’intesa. Il commissario straordinario nazionale, Nicola Dell’Acqua, proporrà un piano di azioni e interventi urgenti che “dovranno avere un periodo di attuazione di breve previsione o termine vista l’emergenza“, sottolinea il ministro, ribadendo che “per l’intero governo e l’intero Parlamento, a prescindere dai colori politici, l’emergenza siciliana è una delle priorità su cui tutti lavorano“.

Green Deal, Bonelli: Su obiettivi von der Leyen ha cambiato idea per farsi rieleggere

“Dove è stato applicato il Green Deal? Il Green Deal non ha avuto nessun tipo di applicazione. Noi abbiamo degli obiettivi climatici, voluti anche dal von der Leyen, che poi ha cambiato idea per farsi rieleggere. Stiamo parlando di alcuni problemi, come i pesticidi, messo da parte per fare un favore all’agroindustria. Questo è il punto. La norma del 4% dei terreni messo a riposo è nella Pac, che non abbiamo mica votato noi, l’ha votata anche Fdi. C’è un livello incredibile di mistificazione della realtà a proprio uso che prescinde dai contenuti. Il Green Deal va applicato, investendo sulle rinnovabili, facendo una legge sullo stop del consumo di suolo, facendo una politica di efficientamento delle case. Nella prossima finanziaria ci sarà un taglio di 12-13 miliardi di euro sulla spesa pubblica. Perché dobbiamo tagliare la sanità, trasporto pubblico, quando in questo paese 62 persone hanno un patrimonio di 230 miliardi di dollari? Qualcuno che ha tanto, può dare qualcosa al proprio Paese?”. Così l’esponente di Avs, Angelo Bonelli, intervenendo al Gea Talk.

Avs, Bonelli: Candidatura di Salis è battaglia per democrazia

“La scelta della candidatura di Ilaria Salis? C’era una donna da 16 mesi in detenzione preventiva a cui sono stati negati diritti fondamentali, una vergogna totale. Di fronte a questa barbarie, che si aggiunge alla barbarie di un governo, quello di Orban, già condannato più volte per violazione dei diritti umani, la vediamo come una battaglia per la democrazia”. Così l’esponente di Avs, Angelo Bonelli, intervenendo al Gea Talk.

Ponte Stretto, aperta inchiesta. Salvini: Giudici e sinistra non mi fermeranno

Dopo un esposto presentato da Angelo Bonelli, Elly Schlein e Nicola Fratoianni lo scorso 1 febbraio, la procura di Roma apre un fascicolo sul Ponte sullo Stretto di Messina. I parlamentari chiedono di indagare sull’iter che ha portato a rimettere in piedi la società Stretto di Messina e a far rivivere i contratti della vecchia gara fatta nel 2008 dal governo Berlusconi e vinta dal gruppo Eurolink.

Nell’esposto, si parla di incontri precedenti al decreto Ponte approvato in Consiglio dei ministri: tra Salvini, Lunardi (autore della gara vinta da Eurolink) e Pietro Salini (a capo della cordata), per discutere il decreto; tra Lunardi e Prestininzi (responsabile del comitato scientifico del Ponte sullo Stretto).

Finché mi fate fare il ministro vado in ufficio per fare le opere pubbliche che servono al Paese. Non saranno la sinistra, qualche giudice o qualche giornalista di sinistra a fermarmi o mettermi paura“, tuona il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, dalla chiusura della campagna elettorale in Sardegna. Il Ponte sullo Stretto, insiste poi in tv, “è un diritto di milioni di italiani a viaggiare più velocemente e inquinare di meno“. E, secondo le stime della società, scandisce, “creerà 120mila posti di lavoro in tutta Italia, compreso l’indotto”.
“Il Pd e la sinistra sono contro le opere pubbliche, il lavoro e lo sviluppo del Paese“, gli fanno eco fonti della Lega. “Si dimostrano nemici dell’Italia“, chiosano e promettono che non si faranno “fermare” dalle “loro minacce“: “Continuiamo a lavorare per sbloccare e completare tutte le opere ferme da troppo tempo“.

Il Ponte non è un diritto, ma solo una “esigenza politica” del vicepremier, per Bonelli. L’esponente di Alleanza Verdi Sinistra è convinto che l’opera sottragga agli italiani 12 miliardi di euro, che potrebbero servire, sottolinea, “per finanziare le vere infrastrutture socialmente utili“, per di più riattivando una gara, ricorda, “vecchia di 12 anni con un progetto che non aveva il via libera per la valutazione di impatto ambientale, cosa che non sarebbe stata consentita a nessun imprenditore italiano“.

I documenti per verificare e analizzare la relazione sul progetto Ponte e l’atto negoziale tra società Stretto di Messina e consorzio Eurolink sono stati negati ai parlamentari che ne hanno fatto richiesta: “Come può un ministro essere credibile quando dichiara che il Ponte creerà 140 mila posti di lavoro, per cambiare poi i numeri settimane dopo e sostenere che saranno 40 mila, mentre la società Stretto di Messina parla di soli 4.300 posti?“, chiede l’ambientalista.

Fratoianni registra “troppo nervosismo” nella reazione di Salvini all’apertura dell’inchiesta. “Abbiamo chiesto una cosa semplice e sacrosanta“, si difende, chiedendo piena trasparenza su una “grande, gigantesca opera“. Il segretario nazionale di Sinistra Italiana la ritiene “perfettamente inutile, un enorme spreco di risorse pubbliche“, ma, ribadisce, “pretendiamo che chi la vuole fare garantisca la piena trasparenza delle procedure“.

FI vuole nuova Agenzia nucleare. Avs: “Blitz a spese italiani”

Riportare in vita l’Agenzia per il nucleare, trasformando l’Istituto per la sicurezza in Autorità. E’ la proposta di Forza Italia che con Luca Squeri presenta un emendamento al Dl Energia per, spiega il primo firmatario, “rilanciare” la fonte nucleare nel Paese.

Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, l’ha già inserita nel Pniec e prevista nel mix dei prossimi anni. L’obiettivo è puntare sulla nuova generazione dei piccoli reattori modulari, che non arriveranno in Italia prima di 10-15 anni e intanto il Mase raccoglie le autocandidature per ospitare il deposito unico dei rifiuti. Nel progetto del ministro, la proprietà degli Smr sarebbe dei privati, lo Stato manterrebbe un ruolo di regolatore, ma non investirebbe risorse economiche.

Senza l’apporto dell’energia nucleare non riusciremo mai a centrare l’obiettivo europeo della decarbonizzazione al 2050”, osserva Squeri.
L’Agenzia era stata istituita dal governo Berlusconi IV nel 2009, ma mai diventata operativa fu abolita dal governo Monti nel 2011. Il nuovo istituto, nel piano di Forza Italia, avrebbe il compito di occuparsi delle autorizzazioni. “Abbiamo bisogno di un’Autorità che certifichi tutto il processo. Siamo convinti che l’Italia sia pronta per questo passaggio, l’opinione pubblica sul nucleare è cambiata”, è sicuro.

I due referendum con cui gli italiani hanno detto ‘No’ all’energia nucleare sono infatti arrivati dopo due incidenti storici. Il primo, nel 1987 arrivava un anno dopo la catastrofe di Chernobyl, il secondo, nel 2011, dopo il disastro di Fukushima. Oggi la tecnologia è andata avanti e incidenti simili sarebbero rari.

Ma c’è chi è convinto che l’energia nucleare sia ancora troppo pericolosa e soprattutto troppo dispendiosa. “Questa decisione è arretrata e ignora il futuro e la modernizzazione energetica dell’Italia. E’ una scelta che impone costi elevati a carico di famiglie, imprese e Stato”, evidenzia Angelo Bonelli di alleanza Verdi Sinistra. Parla di “ingenti investimenti pubblici” e “lunghi tempi di realizzazione”, ricordando i casi della centrale di Flamanville in Normandia e Hinkley Point nel Regno Unito, dove il costo del Megawattora è, denuncia, “esorbitantemente alto”.
Questi costi insostenibili, è convinto Bonelli, “graveranno sulle famiglie e sulle imprese italiane“. La proposta Squeri, sostiene, “è priva dell’obiettivo che il governo dovrebbe darsi ovvero quello di un piano energetico chiaro e definito“.

Ex Ilva, salta tavolo governo-Mittal: No aumento capitale e Stato al 66%

Il tavolo tra governo e Arcelor Mittal sul futuro ex Ilva di Taranto salta. La delegazione dell’esecutivo (i ministri dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, degli Affari Ue e Pnrr, Raffaele Fitto, delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, del Lavoro, Elvira Calderone, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano) propone ai vertici dell’azienda un aumento di capitale sociale pari a 320 milioni di euro e un aumento della partecipazione pubblica al 66%. ArcelorMittal, però, alza il muro e si dichiara indisponibile a qualunque impegno finanziario e di investimento, anche come socio di minoranza. Palazzo Chigi incarica Invitalia di “assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale” e convoca i sindacati il pomeriggio di giovedì 11 gennaio.

Un esito che “conferma quello che Fim, Fiom e Uilm hanno denunciato e per cui hanno mobilitato le lavoratrici e i lavoratori“, rivendicano le parti sociali, che ribadiscono la “necessità” di un controllo pubblico, data la “mancanza di volontà” del socio privato di voler investire risorse. I sindacati giudicano l’indisponibilità di Mittal “gravissima“, soprattutto di fronte alla situazione in cui versano i lavoratori e gli stabilimenti. Un atteggiamento che, denunciano, “conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese“. L’attesa, dall’incontro di giovedì, avvertono i segretari Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella, è che si arrivi a una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e si garantisca il “controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale“.

Se per il senatore di FdI, Matteo Gelmetti, il governo fa “finalmente politica industriale” e per il presidente dei senatori Dem Francesco Boccia mette in atto oggi “quello che il Pd chiedeva da tempo“, il risultato, per Angelo Bonelli di AVS, è lo “schiaffo di una multinazionale in faccia allo Stato italiano“. Nulla di imprevisto, ricorda: “Il suo modo di agire era noto nel mondo ancor prima che fosse scelta per rilevare lo stabilimento ex Ilva“. Lo Stato, è il timore, va incontro a una “esposizione economica di centinaia e centinaia di milioni di euro” che rischierà di dover versare ad Arcerol-Mittal, ed é a suo avviso “quello che la multinazionale ha sempre avuto in testa in questo contenzioso legale, che si sta delineando in tutta la sua drammaticità“.