Il comparto moda in crisi: Urso presenta pacchetto interventi

La moda è una delle punte di diamante del Made in Italy e, per evitare che la crisi congiunturale e gli sforzi per la doppia transizione si trasformino in zavorre, il Mimit corre ai ripari. Nel tavolo di settore al ministero, Adolfo Urso presenta il suo piano: un pacchetto di interventi che va dalla moratoria sui debiti, alla cassa integrazione, passando per una sanatoria sui crediti R&S e la promozione all’estero, con il sostegno all’economia circolare.

Al tavolo con il ministro, i rappresentanti dei dicasteri del Lavoro, dell’Economia, della Cultura, degli Affari Esteri, dell’Ambiente e Sicurezza Energetica. Ma anche esponenti della filiera, associazioni d’impresa e del mondo economico, rappresentanti sindacali e degli Enti locali. Questo perché al centro ci sono le principali sfide di settore, dal calo dei volumi produttivi, alla contrazione dei consumi e le incognite geopolitiche. Tutti vanno coinvolti e ascoltati.

Ci siamo impegnati ad assicurare insieme all’Abi la rimodulazione dei prestiti bancari, a garantire alle imprese del settore l’utilizzo a pieno delle risorse per gli ammortizzatori sociali e a introdurre una misura saldo e stralcio in merito all’annosa questione dei crediti di imposta“, informa Urso, ricordando il lavoro, insieme al ministero degli Esteri e all’Istituto del Commercio Estero, per promuovere sui mercati internazionali il settore della Moda e con i decreti attuativi al ddl Made in Italy stiamo sostenendo l’economia circolare.

Nello specifico, in tema di accesso al credito, su richiesta del Mimit è stata inviata una circolare esplicativa da parte dell’Abi agli istituti bancari con disposizioni per la ricalendarizzazione dei finanziamenti garantiti da Sace, Simest e Medicredito ottenuti dalle imprese durante la fase covid e a seguito della crisi per il conflitto ucraino.

Rispetto alle criticità emerse in relazione all’applicazione del Credito di Imposta R&S nel periodo 2015/2019 nel settore della Moda, si stanno studiando delle proposte normative. A riguardo, Urso ha sottolineato la volontà del Governo, in particolare del Mimit e del Mef, di individuare una soluzione alla problematica attraverso un apposito strumento normativo che potrebbe prevedere un ‘saldo e stralcio’, formula che consentirebbe a chi ha utilizzato questa misura di poter evitare ricorsi di natura legale.

Nella legge sul Made in Italy, poi, (il cui decreto attuativo è in fase di concertazione), si punta alla valorizzazione della filiera delle fibre tessili naturali e provenienti da processi da riciclo in cui si prevedono misure incentivanti a favore del comparto e per il settore conciario.

In materia di transizione, il ministero sta monitorando il Regolamento Ecodesign, entrato in vigore da poche settimane, che introduce requisiti minimi di ecoprogettazione per ogni tipologia di prodotto. E’ stata avviata un’interlocuzione con il Mef per realizzare uno strumento agevolativo tramite voucher già nella prossima Legge di Bilancio. Alla ripresa della pausa estiva il Ministero invierà un questionato alle imprese del settore per capire il quadro dei fabbisogni e delle necessità produttive derivanti dall’applicazione di questo regolamento al fine di sviluppare misure attuative.

Infine, in materia di ammortizzatori sociali, Urso ha precisato che sono state avviate interlocuzioni con il Ministero del Lavoro per venire incontro alle realtà in difficoltà. Alle imprese manifatturiere con più di 15 dipendenti viene data la possibilità di utilizzare a pieno le risorse per la cassa integrazione ordinaria (con poi possibile estensione a regime straordinario). Mentre per quelle con meno di 15 dipendenti, lo strumento utilizzato sarà erogato da un fondo gestito dalle associazioni artigiane che assicura una copertura di sei mesi.

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Gozzi: “Germania in crisi, serve alleanza industriale con Italia e Francia”

È in atto un declino industriale ed economico della Germania?

Se sì, esso può essere l’esempio di ciò che potrebbe succedere in tutta l’Europa industriale nei prossimi anni?

La Germania, che è la più grande economia europea, per il quarto trimestre consecutivo ha mostrato una crescita negativa e conferma quindi di essere in recessione (Ricordiamo che gli economisti definiscono un’economia in recessione quella che per tre trimestri consecutivi ha avuto un PIL negativo). Sia il Fondo Monetario Internazionale che l’OCDE si aspettano che, tra le più importanti economie mondiali, la tedesca sia quella che quest’anno andrà peggio.

Molti fanno notare che il problema viene da lontano. Infatti secondo diversi centri di ricerca la Germania negli ultimi tre anni è cresciuta poco e nei prossimi cinque potrebbe crescere meno degli USA, della Gran Bretagna, della Francia, della Spagna e della stessa Italia.

C’è nel Paese un malessere diffuso, testimoniato da una raffica di sondaggi che mostrano come sia le aziende che i consumatori tedeschi siano profondamente scettici sul futuro.

L’idea che mi sono fatto parlando con amici tedeschi è che, forse per la prima volta dal dopoguerra, in Germania c’è una grande confusione e una visione non chiara sulla prospettiva.

Nonostante ci sia chi, nel mondo politico e delle imprese, si sforza di definire l’attuale recessione come ‘tecnica’ e congiunturale, e quindi di minimizzarne gli aspetti strutturali, si ha la sensazione che in Germania sia in corso un’inversione fondamentale delle sorti economiche del Paese, una rottura del modello che per 20 anni ha visto crescere e prosperare l’economia tedesca.

Questa situazione fa tremare l’Europa, portando ancora più scompiglio nel già polarizzato panorama politico continentale.

Ma quale era il modello che è entrato in crisi?

Dopo i giganteschi problemi della riunificazione che avevano fatto definire la Germania come il ‘malato d’Europa’ tre elementi fondamentali avevano guidato la rinascita tedesca:

  • coraggiose riforme del mercato del lavoro, che avevano liberato tutto il potenziale industriale del Paese;
  • energia a basso prezzo grazie ai rapporti privilegiati con la Russia per le importazioni di gas;
  • gigantesche esportazioni di macchinari e di automobili in Cina.

Tutto ciò ha garantito un lungo periodo di crescita e di prosperità. Ma oggi le cose sono profondamente cambiate. E i tratti di un repentino cambiamento economico-industriale, geostrategico e demografico hanno colpito la Germania, prospettando quel che potrebbe avvenire nel resto d’Europa nei prossimi dieci anni.

Si tratta di un cocktail tossico di invecchiamento della popolazione e di grave mancanza di forza lavoro, di alti costi energetici e di estremismi ideologici nella transizione e nella lotta al climate change (che hanno portato ad esempio a chiudere le centrali nucleari tedesche senza chiarire cosa le sostituirà nella produzione di energia elettrica, dato che le rinnovabili non sono sufficienti), di grave carenza negli investimenti pubblici in infrastrutture, causata dall’ossessione del pareggio di bilancio.

Con riferimento alla situazione demografica, all’invecchiamento della popolazione e alla mancanza di mano d’opera specie qualificata, 2 milioni di lavoratori andranno in pensione nei prossimi 5 anni, e la denatalità non consente di rimpiazzare le uscite lavorative.

Con il pensionamento di una generazione di baby boomer nei prossimi anni la Germania si sta avviando ad un vero e proprio precipizio demografico che lascerà le sue aziende senza ingegneri, scienziati e senza gli altri lavoratori qualificati di cui queste hanno bisogno per rimanere competitive sul mercato. Nei prossimi 15 anni circa il 30% della forza lavoro tedesca raggiungerà l’età della pensione.

Già oggi i due quinti dei datori di lavoro affermano di avere difficoltà a trovare lavoratori qualificati. Il Land di Berlino non riesce a coprire la metà dei suoi posti vacanti con personale qualificato.

E ciò nonostante la Germania abbia gestito negli ultimi anni in maniera intelligente ed efficiente grandi flussi migratori come ad esempio quelli derivanti dalla tragedia siriana.

Con riferimento all’energia la Germania, dato il suo alto livello di dipendenza dal gas russo, è stata, insieme all’Austria, il Paese più colpito dalle conseguenze dell’invasione della Russia in Ucraina. Bloccando le forniture di gas naturale alla Germania, il Cremlino ha di fatto eliminato il perno del modello commerciale del Paese che si basava sul facile accesso all’energia a basso costo. Sebbene i prezzi all’ingrosso del gas si siano recentemente stabilizzati, essi sono ancora circa più del doppio rispetto a prima della crisi; ciò crea grandi problemi a tutti i settori industriali energivori, che infatti verranno sostenuti con una tariffa sussidiata.

Alcuni analisti ipotizzano che con la chiusura di tutte le centrali nucleari e di tutte le centrali a carbone all’orizzonte del 2030 alla Germania mancheranno 150 Giga (150 mila Mw!!!!) di potenza elettrica installata. Anche se la previsione pare eccessiva, il gap energetico in prospettiva si preannuncia gigantesco e certamente non compensabile con le sole rinnovabili. Il Governo tedesco, e le forze politiche che lo sostengono, spesso divise su tutto e lontane anni luce dalla disciplina e dal senso di responsabilità che per decenni ha caratterizzato la politica tedesca, sembrano incapaci di rispondere a questi interrogativi. Nello stesso tempo AFD (Alternative für Deutschland), un partito populista di estrema destra che ipotizza l’uscita della Germania dall’Unione Europea e un’intesa privilegiata con Russia e Cina, veleggia nei sondaggi intorno al 20% dei consensi.

Tutto quanto detto sopra pone grandi problemi prospettici all’economia e all’industria tedesca, che è la prima d’Europa.

In particolare alcune caratteristiche del sistema industriale tedesco ci appaiono come altrettanti elementi di debolezza.

I segmenti industriali più importanti della Germania, dai prodotti chimici alle automobili, ai macchinari sono radicati in tecnologie del secolo scorso; sebbene il Paese abbia prosperato per decenni sfruttando la sua leadership in questi prodotti, molti di essi stanno diventando obsoleti o semplicemente troppo costosi per essere prodotti in Germania.

Nelle nuove tecnologie il Paese è molto più indietro degli Stati Uniti d’America, della Cina e della stessa Francia. Se si fa eccezione per SAP (il grande produttore mondiale di software) il settore tecnologico tedesco è ben poca cosa.

Il sistema industriale tedesco ha un’impronta carbonica molto maggiore di quelli della Francia o dell’Italia (La siderurgia tedesca, ad esempio, produce più del 60% dell’acciaio dal carbone, mentre l’Italia l’80% lo fa con i forni elettrici. Una tonnellata d’acciaio prodotta con il carbone emette 10 volte più CO2 di una tonnellata di acciaio prodotta con il forno elettrico).

Il sistema industriale tedesco è molto più concentrato e meno diversificato di quello italiano ad esempio e, quindi, è intrinsecamente più rigido e meno adattivo.

Inoltre, esso sta perdendo complessivamente in competitività per l’erosione causata dagli alti e crescenti costi del lavoro, dall’alto livello fiscale, da una burocrazia asfissiante, da un significativo ritardo nella digitalizzazione delle produzioni e dei servizi.

Questo fa si che colossi dell’industria tedesca come BASFLinde, e la stessa Volkswagen decidano sempre più spesso di fare tutti gli investimenti per il loro futuro fuori dalla Germania, in particolare negli Usa e in Cina.

Simbolica della crisi prospettica dell’industria tedesca è proprio la vicenda dell’auto. L’industria automobilistica ha sostenuto le fortune della Germania per più di un secolo, e il futuro economico del Paese dipende in larga misura dalla capacità del settore – che rappresenta quasi un quarto della produzione manifatturiera nazionale – di mantenere la sua posizione nel segmento del lusso in un mondo dominato dai veicoli elettrici.

Le grandi case automobilistiche tedesche da un lato non hanno avuto il coraggio o la forza di difendere la loro leadership mondiale sui motori endotermici, mentre dall’altro sono arrivate in ritardo nello sviluppo dei veicoli elettrici. E così l’anno scorso i produttori cinesi hanno realizzato circa il 60% degli oltre 10 milioni di auto completamente elettriche vendute al mondo.

Volkswagen che ha dominato il mercato automobilistico cinese per decenni (la Cina è il più grande mercato automobilistico del mondo e rappresenta quasi il 40% del fatturato di Volkswagen), nel primo trimestre di questo anno ha perso il primato a favore di BYD, un produttore cinese.

Un recente studio di Allianz ha previsto che, se le tendenze attuali si confermano con i produttori cinesi che aumentano la loro quota di mercato sia in Cina che in Europa, le case automobilistiche e i fornitori europei potrebbero vedere i loro profitti ridursi di decine di miliardi di euro entro il 2030, con le aziende tedesche a farne le spese.

È molto probabile che presto saranno le grandi case automobilistiche cinesi a costruire i loro stabilimenti in Europa.

L’erosione del nucleo industriale tedesco avrà un impatto sostanziale sul resto dell’Unione Europea. La Germania non è soltanto il più grande attore industriale europeo; funziona come il mozzo di una ruota, collegando le diverse economie della regione come il più grande partner commerciale e investitore per molte di esse.

L’Italia è da sempre un partner fondamentale della Germania. Lo scorso anno le esportazioni italiane in Germania hanno raggiunto gli 80 miliardi di euro rappresentando quasi il 20% del totale dell’export italiano. Vi sono provincie come Brescia e Bergamo estremamente connesse con la Germania (Brescia ha realizzato 4,5 miliardi di export in Germania l’anno scorso, soprattutto nei settori metallurgico, della meccanica, delle macchine).

La crisi dell’economia tedesca non può che preoccupare grandemente anche noi e le nostre catene di subfornitura.

Il tema di una cooperazione ancora più forte dei tre grandi Paesi industriali d’Europa, Germania, Italia e Francia, è all’ordine del giorno per riportare urgentemente i temi dell’industria al centro dell’Agenda europea. Questo è il compito delle organizzazioni industriali in vista delle elezioni europee del 2024.

Il 28 e il 29 settembre a Berlino Confindustria, BDI (la Confindustria tedesca) e MEDEF (la Confindustria francese) si vedranno per parlare di questo.

Presidenza Ue tenta compromesso: price cap gas a 220 euro

Un accordo politico sul tetto al prezzo del gas al prossimo Consiglio straordinario dell’energia del 13 dicembre. Difficile, ma non impossibile. E la presidenza della Repubblica ceca di turno al Consiglio Ue fino al 31 dicembre tenta il tutto per tutto e prova a far convergere gli animi divisi dei 27 con una nuova bozza di compromesso (datata 5 dicembre) che abbassa entrambi i criteri di attivazione (i ‘trigger’) del tetto: il ‘cap’ si attiverebbe quando il prezzo del gas supera i 220 euro per 5 giorni (l’ultima bozza di compromesso parlava di una soglia di 264 euro per 5 giorni) e quando la differenza del prezzo del mercato Ttf e il prezzo di riferimento del Gnl supera i 35 euro per 5 giorni (la precedente bozza parlava di 58 euro).

La seconda bozza fatta circolare tra le capitali è un nuovo tentativo di avvicinare le posizioni a livello tecnico (nelle riunioni tra ambasciatori) prima del confronto politico della prossima settimana al Consiglio energia del 13 dicembre. Il meccanismo di correzione del mercato proposto dalla Commissione europea lo scorso 22 novembre, anche detto ‘tetto al prezzo del gas’, si attiverebbe a due condizioni: quando la soglia di prezzo va oltre i 275 euro per 14 giorni consecutivi, nell’arco delle quali lo spread fra i mercati Ttf e Gnl devono superare i 58 euro per 10 giorni di scambi. Così come concepito dalla Commissione europea, il meccanismo è di difficile applicazione e su ammissione della Commissione stessa non si sarebbe attivato neanche durante i picchi di prezzo registrati in agosto, vicini ai 350 euro.

Nei giorni scorsi, l’Italia si è fatta promotrice insieme al Belgio, Grecia, Polonia, Slovenia, Lituania e Malta di un documento tecnico fatto circolare con proposte alternative, chiedendo un meccanismo di correzione dei prezzi che fosse dinamico al 75%, esteso alle transazioni fuori borsa. Una proposta di tetto tutto dinamico è stata avanzata anche dalla Spagna, in un documento separato e solo ieri anche i Paesi Bassi (che insieme alla Germania è il Paese che ha frenato di più a livello europeo sul price cap) hanno presentato un documento informale (non-paper) sul meccanismo di correzione del mercato, proponendo nella sostanza un tetto solo sul gas necessario a riempire gli stoccaggi europei (una quota limitata rispetto ai volumi di gas complessivamente acquistati).

La presidenza di Praga cerca di andare incontro a sensibilità diverse e oltre ad abbassare la soglia di attivazione del cap per renderlo effettivamente applicabile, ha proposto una serie di altre modifiche per rafforzare il ruolo degli Stati membri e introdurre riferimenti più espliciti alla dinamicità del prezzo (visto che la maggior parte degli Stati è favorevole a un cap dinamico). La bozza di compromesso di Praga estende il price cap non solo ai derivati del mese prima sul mercato olandese TTF ma anche a tutti gli altri derivati con scadenza fino a tre mesi. Sui derivati il limite di prezzo diventa un “limite di offerta dinamica“.

Quanto ai procedimenti per sospendere o disattivare il meccanismo di correzione del mercato, la Commissione Ue ha previsto che il meccanismo possa essere sospeso o disattivato a seconda dei casi attraverso due procedimenti diversi: può essere disattivato automaticamente quando la seconda condizione di attivazione (ovvero la differenza tra il prezzo TTF e il prezzo di riferimento del GNL) viene meno per dieci giorni; oppure, la Commissione europea propone che possa essere solo sospeso (dietro decisione della Commissione stessa) “quando ci sono rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Unione”. Sulla sospensione, Praga suggerisce che la Commissione possa sospendere il meccanismo attraverso una decisione di esecuzione, che prevede la consultazione con gli Stati membri; mentre sulla disattivazione, Praga propone che il meccanismo sia disattivato “dopo un mese, se il limite di offerta dinamica è inferiore a [220] euro per un certo periodo“, si legge nella bozza di cui GEA ha preso visione.

Non è chiaro se la proposta di mediazione di Praga sarà sufficiente a trovare la quadra politica. Ci “sono discussioni molto difficili tra gli Stati membri Ue, su cosa fare per evitare i prezzi così elevati che abbiamo sperimentato in agosto”, ha ammesso la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson, riferendo di “opinioni diverse sui rischi” del meccanismo. Ad ogni modo, per Paesi come l’Italia la questione energetica “ha bisogno di essere affrontata immediatamente e riguarda il tema di come fermare i costi della speculazione. La proposta della Commissione non mi pare sufficiente, perciò continuiamo a lavorare“, ha detto la premier Giorgia Meloni, a margine del Vertice dei leader Ue-Balcani Occidentali a Tirana.

A quanto si apprende, è stata convocata per sabato 10 dicembre anche una riunione straordinaria degli ambasciatori al Coreper per discutere di tetto al prezzo del gas e spianare la strada a un accordo la prossima settimana. Un accordo che – essendo da raggiungere in un Consiglio straordinario – non potrà essere formalizzato dai ministri, ma dovrà essere seguito da procedura scritta (a livello di ambasciatori Ue) oppure formalizzato al prossimo Consiglio energia ordinario in programma il 19 dicembre. La proposta della Commissione fa leva sull’articolo 122 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dunque prevede l’approvazione a maggioranza qualificata degli Stati membri al Consiglio (quando il 55% degli Stati membri vota a favore, ovvero 15 paesi su 27; e quando gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue).

Non c’è più diesel e tra due mesi scatta l’embargo russo

“È certamente la più grande crisi del diesel che abbia mai visto”, ha detto a Bloomberg Dario Scaffardi, ex amministratore delegato della raffineria Saras. C’è chi parla di tempesta perfetta, di scorte in esaurimento proprio a ridosso del generale inverno, di prezzi che saliranno alle stelle. Intanto trasportatori e cittadini comuni stanno notando che da mesi ormai il prezzo del gasolio al distributore è superiore a quello della benzina. La guerra in Ucraina è stata la miccia, ma la polvere da sparo era già presente sul mercato. La pandemia e i suoi lockdown avevano distrutto la domanda di diesel, costringendo le raffinerie soprattutto americane a chiudere alcuni impianti, dato che erano sempre meno redditizie. Una scelta dettata anche dalla transizione energetica, che lentamente aveva già ridotto gli investimenti. Bloomberg ricorda che dal 2020, la capacità di raffinazione degli Stati Uniti si è ridotta di oltre un milione di barili al giorno. Il boom della domanda post Covid ha così messo a nudo la scarsità di gasolio, almeno nel mondo occidentale.
Le scorte di diesel negli Stati Uniti sono precipitate al livello più basso dal 1982, quando il governo ha iniziato a comunicare i dati sul carburante. E le forniture per questo periodo dell’anno sono ai livelli più bassi di sempre. Mark Finley, ricercatore di energia presso il Baker Institute of Public Policy della Rice University, ha spiegato a Bloomberg che i prezzi elevati del gasolio potrebbero costare all’economia statunitense 100 miliardi di dollari. Secondo l’Energy Information Administration, gli Stati Uniti hanno ora solo 25 giorni di fornitura di diesel, il minimo dal 2008. E mentre le scorte sono ai minimi storici, la media mobile di quattro settimane dei distillati forniti – un indicatore della domanda – è aumentata al livello stagionale più alto dal 2007.
La sete di diesel americana sta mettendo in difficoltà anche l’Europa. Come rivela Cnbc i grandi commercianti stanno dirottando le petroliere dal Vecchio Continente agli Stati Uniti perché il prezzo del diesel statunitense è ora più alto che da noi e quindi possono realizzare un profitto maggiore.  Secondo MarineTraffic, la petroliera Thundercat, originariamente destinata ai Paesi Bassi dopo essere stata caricata in Medio Oriente con circa 650mila barili (l’equivalente di 27 milioni di galloni) di gasolio, è andata a New York. Un’altra nave cisterna, Proteus Jessica, caricata nell’area di Singapore con una fornitura di gasolio simile, si è diretta anch’essa verso la Grande Mela.
L’imminente divieto del greggio russo verso l’Europa potrebbe peggiorare la situazione.  Per non parlare dell’embargo di febbraio sui derivati del petrolio di Mosca. “La Ue deve sostituire in media 2 milioni di tonnellate di diesel importato dalla Russia”, ha affermato alla Cnbc il capo analista marittimo di Bimco (Baltic and International Maritime Council), Niels Rasmussen: “Inoltre, l’Agenzia internazionale dell’energia ha stimato che la domanda dell’Ue di prodotti raffinati aumenterà di 300mila-500mila barili al giorno durante l’inverno per soddisfare la domanda di riscaldamento”.
In tutto questo il governo italiano sta provando a risolvere il problema della raffineria di Priolo, di proprietà della russa Lukoil. Il tempo a disposizione è sempre meno. Il prezzo del diesel sale sempre di più.

Stanziati 9,1 miliardi per caro bollette. Meloni: “Risposta a imprese e famiglie”

“Con il decreto energia stanziamo i primi 9,1 miliardi di euro destinati prevalentemente a dare una immediata risposta a famiglie e imprese per fronteggiare l’aumento del costo delle bollette in parte fino a fine anno ma anche inserendo nuove norme”. Così la premier Giorgia Meloni in conferenza stampa a Palazzo Chigi, all’indomani del suo quarto Consiglio dei ministri, durante quale il governo si è ancora una volta occupato della grande emergenza energia, varando il  ‘Dl Aiuti Quater’.

Poco più di nove miliardi, quindi, provenienti dall’extragettito fiscale autorizzato dal Parlamento per finanziare interventi contro il caro energia. Passa anche la modifica al Superbonus, che scende dal 110% al 90% a partire dal 1° gennaio 2023. I benefit aziendali potranno essere esentasse e nel 2022 si alza il tetto dell’esenzione fiscale dei cosiddetti ‘fringe benefit’ aziendali fino a 3mila euro.

Nel decreto, per contribuire al rafforzamento della sicurezza degli approvvigionamenti di gas naturale è previsto un finanziamento a copertura delle spese sostenute dal Gse. E’ stato prorogato dal 31 dicembre 2022 al 31 marzo 2023 il termine entro il quale il Gse potrà cedere a prezzi calmierati il gas naturale ed è previsto l’aumento delle quantità estratte da coltivazioni esistenti in zone di mare così come l’autorizzazione di nuove concessioni tra le 9 e le 12 miglia.

Dopo aver incontrato i sindacati, mercoledì 9 novembre, la premier incontrerà a Palazzo Chigi, oggi, venerdì 11 novembre, a partire dalle 12, gli industriali. Il mondo dell’industria poterà le sue proposte e avanzerà le sue richieste per tamponare la crisi che strozza le imprese, arginare i costi dell’energia e far recuperare potere d’acquisto delle famiglie.

La Bce avverte: “Aiuti per le bollette solo ai vulnerabili”. Ma serve ridurre i consumi

Per limitare il rischio di alimentare l’inflazione, “le misure di bilancio volte a proteggere l’economia dall’impatto degli elevati prezzi energetici dovrebbero essere temporanee e indirizzate alle categorie più vulnerabili”. Lo scrive la Bce nel bollettino economico. I responsabili delle politiche economiche, inoltre “dovrebbero incentivare la riduzione dei consumi energetici e rafforzare l’offerta di energia” e, allo stesso tempo, “i governi dovrebbero perseguire politiche di bilancio che riflettono il loro impegno ad abbassare gradualmente gli elevati rapporti fra debito pubblico e Pil”.

Per la Banca centrale europea, le politiche strutturali dovrebbero essere concepite “per incrementare il potenziale di crescita e la capacità produttiva dell’area dell’euro e per rafforzarne la tenuta, contribuendo alla riduzione delle pressioni sui prezzi a medio termine”. Ecco allora che “la tempestiva attuazione dei piani di investimento e di riforma strutturale nell’ambito del programma Next Generation EU fornirà un contributo importante al conseguimento di questi obiettivi”.

L’inflazione dei beni energetici e alimentari sta avendo pesanti effetti soprattutto sulle famiglie a basso reddito, più vulnerabili alle variazioni dei prezzi “in quanto destinano una quota più elevata della propria spesa totale per consumi a beni essenziali quali i prodotti alimentari, l’elettricità, il gas e il riscaldamento, tendono a risparmiare meno e sono più soggette a vincoli di liquidità”. I governi dell’area dell’euro hanno adottato misure per attutire l’impatto della recente inflazione sulle famiglie, “ma finora tutte le fasce di reddito percepiscono tali misure come insufficienti, soprattutto le famiglie meno benestanti”. Ciò suggerisce, avverte la Bce, “che vi siano margini di miglioramento nel modo in cui le misure di sostegno si rivolgono alle famiglie con redditi contenuti”.

Complessivamente, nel secondo trimestre del 2022 l’attività economica mondiale “ha subito una contrazione e i dati ricavati dalle indagini indicano che la dinamica moderata della crescita si protrarrà nel breve periodo. Sebbene si riscontrino alcune circostanze positive per l’economia mondiale, legate all’ulteriore allentamento delle pressioni sulle catene di approvvigionamento derivante dai miglioramenti osservati nell’offerta e dalla flessione della domanda, persistono i rischi al ribasso”. Rischi che, spiega la Bce, “sono associati al contesto di perdurante incertezza geopolitica, in particolare alle potenziali turbative connesse all’ingiustificata guerra mossa dalla Russia all’Ucraina e a un possibile peggioramento degli andamenti del coronavirus (COVID-19) nel corso dell’autunno e dell’inverno. Nonostante l’attenuazione delle pressioni sulla filiera produttiva, la dinamica dell’interscambio mondiale resta moderata in un contesto caratterizzato da un peggioramento delle prospettive economiche internazionali”.

 

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Gas meno caro: cala del 12,9% il prezzo delle bollette nel mercato tutelato

Dopo mesi di passione c’è un primo calo delle bollette del gas. Almeno nel mercato tutelato. L’Arera, l’autorità per l’energia, ha deciso che i consumi di metano di ottobre costeranno il 12,9% in meno rispetto alle tariffe del terzo trimestre 2022. Tecnicamente, si legge nel comunicato diffuso da Arera, “in base al nuovo metodo di calcolo introdotto a luglio da Arera, la componente del prezzo del gas a copertura dei costi di approvvigionamento (CMEMm), applicata ai clienti ancora in tutela, viene aggiornata come media mensile del prezzo sul mercato all’ingrosso italiano (il PSV day ahead) e pubblicata entro i primi 2 giorni lavorativi del mese successivo a quello di riferimento. Per il mese di ottobre il prezzo della materia prima gas (CMEMm), per i clienti con contratti in condizioni di tutela, è quindi fissato in 78,05 €/MWh, pari alla media dei prezzi rilevati quotidianamente durante tutto il mese appena trascorso”.

D’altronde il prezzo del gas è calato drasticamente negli ultimi mesi, soprattutto ad ottobre. Basti pensare che lo scorso mese la media del prezzo scambiato in Italia, con consegna giornaliera, ha avuto una media di 80,7 euro/MWh, contro un 232,658 medio di agosto e 187,17 di settembre. E il prezzo che esce dalla borsa del Gme è diventato, dopo appunto la riforma della bolletta decisa dall’Arera a metà estate, il nuovo punto di riferimento per stabilire le tariffe del mercato tutelato, ovvero di pochi milioni di famiglie e piccole imprese, che fanno comunque tendenza anche nel mercato libero. Basta Ttf olandese, anche se pure l’indice dei Paesi Bassi si è più che dimezzato negli ultimi due mesi. E basta tariffe trimestrali.

Per tutelare operatori che rischiavano di finire gambe all’aria, l’Arera – l’authority per l’energia – aveva stabilito che le bollette del gas sarebbero state mensili, il cui costo sarebbe stato fissato ex ante ovvero all’inizio del mese successivo. Per questo oggi l’ente presieduto da Stefano Besseghini ha stabilito i costi di ottobre. Magari per il cliente cambierà poco, dipende dal mercato, però gli operatori potranno adeguare subito le bollette in caso di oscillazioni tali da costringerli ad alzare bandiera bianca: ad esempio, se compravano a 300, con le tariffe trimestrali sarebbero stati costretti magari a inviare il bollettino a 100, mentre con calcoli mensili i famosi 300 possono subito essere trasferiti al cliente. Ora, specifica Arera, “per chi avesse ricevuto, nelle scorse settimane, una bolletta con il valore in acconto della componente CMEMm, il ricalcolo sarà effettuato nella prima bolletta utile con il valore effettivo (più basso) pubblicato oggi. Lo stesso valore CMEMm dovrà essere usato dai venditori per fatturare, a titolo di acconto, i consumi del mese di novembre nelle bollette inframensili”.

Via libera al dl Aiuti ter: 14 miliardi per famiglie e imprese contro il caro energia

Altri 14 miliardi per combattere il caro energia. Con il decreto Aiuti ter approvato venerdì 16 settembre in Consiglio dei ministri sale a 60 miliardi il conto complessivo delle risorse messe in campo dal governo Draghi per far fronte alla nuova, stringente emergenza che sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese italiane. Confermato il bonus una tantum ai lavoratori, che riceveranno 150 euro a fronte di uno stipendio di 1.538 euro nella busta paga di novembre, anche autonomi oltre ai nuclei beneficiari del reddito di cittadinanza: nel complesso una platea di 22 milioni di cittadini. Rinnovata fino al quarto trimestre dell’anno anche la misura del credito di imposta: fino al 30 settembre al 25% per le imprese energivore, al 15% per le altre con consumo maggiore di 16,5 megawatt, mentre per ottobre e novembre la soglia sale al 25% per le aziende energivore e gasivore e al 40% per tutte quelle che consumano gas. “L’insieme degli interventi supera ampiamente un eventuale scostamento di bilancio di 30 miliardi“, dice Mario Draghi al termine del Cdm. Togliendosi anche qualche sassolino dalle scarpe: “A meno che non si pensi di farne uno ogni mese, le risposte all’emergenza sono state date“.

Il nuovo dl Aiuti, inoltre, stanzia circa 190 milioni di euro per il sostegno alle aziende agricole, con interventi per la riduzione dei costi del gasolio agricolo, dei trasporti e dell’alimentazione delle serre; rimpingua con altri 100 milioni il fondo per il Trasporto pubblico locale; elargisce contributi alle scuole paritarie per fronteggiare il costo dei rincari di energia; mette a disposizione 50 milioni in favore dello sport e 40 milioni per cinema, teatri e luoghi della cultura. Accolta anche la norma che prevede fondi da destinare al Terzo settore per le bollette. Nel testo ci sono, poi, 400 milioni per il Servizio sanitario nazionale, suddiviso tra Regioni e Province autonome per far fronte ai rincari nel settore ospedaliero, comprese le Rsa e le strutture private. Non restano fuori nemmeno gli enti locali, ai quali vanno 200 milioni di euro: 160 ai Comuni e 40 a Città metropolitane e Province. Il taglio delle accise sui carburanti viene, invece, prorogato fino alla fine del mese di ottobre, così come nel provvedimento è inserita la garanzia statale sui prestiti alle imprese in crisi di liquidità per il caro bollette, con accordi da sviluppare con le banche per offrire i prestiti al tasso più basso, in linea con il Btp.

Un altro passaggio importante è quello che riguarda il rigassificatore di Piombino. Tema su cui lo stesso Draghi si sofferma con toni decisi: “Il provvedimento prevede tempi rapidi e certi di installazione“, perché l’impianto galleggiante “è essenziale, è una questione di sicurezza nazionale“. Concetto ribadito anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, accanto al premier in conferenza stampa, assieme al ministro dell’Economia, Daniele Franco, e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli. “Sono proprio i territori a rendersi conto di quanto è cruciale la loro scelta, e a conti fatti non credo che si prendano la responsabilità di mettere a rischio la sicurezza energetica nazionale – sottolinea il responsabile del Mite -. Troveremo sicuramente un punto di arrivo, perché la posta in gioco è molto seria“. Ma non fa drammi se i tempi di installazione e avviamento dovessero dilatarsi di qualche settimana: “L’ipotesi è che fosse operativo a inizio del 2023, si sono persi un paio di mesi per i fatti che tutti conoscono, che poi si sono ripercossi sul piano che aveva fatto Snam per mettere la macchina. Non credo, però, che sia un problema preoccupante se avverrà a gennaio o ad aprile“.

Cingolani, chiamato in causa anche sul livello degli stoccaggi di gas, fornisce un particolare in più. Anzi, una novità: “Sulle quantità il lavoro governo ha messo in sicurezza l’Italia: siamo all’86,6%, l’obiettivo è arrivare al 90 entro fine ottobre“. Ma “ho firmato una lettera che dà incarico a Snam di andare un po’ oltre: se arrivassimo al 92-93% sarebbe meglio“. Restando in tema, in Cdm arriva il via libera a proseguire nella realizzazione di sei impianti eolici: 4 in Puglia, 1 in Sardegna e 1 in Basilicata. In questo modo viene superata la soglia dei 2.185 megawatt autorizzati dal governo, mentre nel complesso sono 45 gli impianti a cui è stato concesso il disco verde e altri 14 lo avranno successivamente. “Contiamo di autorizzarli nelle settimane che restano“, spiega Draghi. Per il capo del governo la “diversificazione energetica dal gas russo e verso le rinnovabili è essenziale per sopravvivere, purtroppo – aggiunge, facendo riferimento alle alluvioni nelle Marchelo vediamo concretamente con quanto è accaduto negli ultimi due giorni”. Dunque, “la lotta ai cambiamenti climatici è fondamentale“.

Con il decreto Aiuti ter dovrebbe esaurirsi anche la spinta propulsiva del governo uscente. Il 25 settembre si riapriranno le urne e a ottobre dovrebbe esserci il nuovo esecutivo. Che non sarà guidato da Draghi, o almeno così assicura il diretto interessato, al pari dei suoi ministri, Franco e Cingolani. Ma un consiglio a chi verrà dopo di lui lo lascia, implicitamente: “E’ importante che ci siano crescita ed equilibrio, occorre che il Pnrr, e gli investimenti associati al Piano, continuino; che le riforme, sia quelle che fanno parte del Pnrr sia quelle che non ne fanno parte, continuino. Quello è l’ambiente favorevole alla crescita. I governi possono al massimo creare e mantenere un ambiente favorevole alla crescita“. Un promemoria prezioso, per chiunque verrà.

Rinnovabili o nucleare? Ambiente al centro della campagna elettorale

Sul palco dell’assemblea di Coldiretti, giovedì 28 luglio, va in scena la prima, vera anteprima della campagna elettorale. A Palazzo Rospigliosi sfilano quasi tutti i leader: da Enrico Letta a Matteo Salvini, da Luigi Di Maio a Carlo Calenda, Giuseppe Conte e Antonio Tajani. Mancano solo Matteo Renzi e Giorgia Meloni, ma Francesco Lollobrigida fa comunque le veci del leader FdI. C’è anche Stefano Patuanelli, l’attuale ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, al quale la sala tributa un lungo applauso di ringraziamento che non lo lascia ‘indifferente’: “Si scaldano i cuori dei banchieri centrali, figuriamoci quelli degli ingegneri“, se la cava con una battuta che riprende quella di Mario Draghi alla Camera a poche ore dalle dimissioni. Il responsabile del Mipaaf elenca i risultati ottenuti in questi anni di collaborazione con i coltivatori diretti e si toglie pure qualche sassolino dalle scarpe. Con Calenda soprattutto, al quale lancia un messaggio: “L’agricoltura 4.0 è già una realtà e posso dire di averla fatto io, grazie alla legge di Bilancio 2019 quando ero al Mise. Se qualcuno ha il suo numero lo avvisi“.

Il suo collega di governo, ma ex di partito, Luigi Di Maio, sottolinea che l’esecutivo, seppur dimissionario, lavora a misure importanti “per abbassare ulteriormente il costo dei carburanti e delle bollette elettriche” e “sulla riduzione o azzeramento dell’Iva sui beni di prima necessità“. Perché oltre la politica c’è la vita di tutti i giorni: “Il prezzo del gas si determina ad Amsterdam, per ridurlo abbiamo bisogno del price cap, è un negoziato che cercheremo di portare ancora avanti ai tavoli internazionali. Le speculazioni hanno raggiunto livelli inimmaginabili“. Il ministro degli Esteri parla anche della strategia di approvvigionamento energetico, sottolineando che “il nemico delle rinnovabili non sono le big oil, ma la burocrazia“. Peraltro, a suo avviso, in una fase di emergenza come quella che viviamo, con il rischio che la Russia chiuda i rubinetti da un giorno all’altro, “dobbiamo utilizzare tutto ciò che possiamo per permettere agli italiani di non restare al buio e alle fabbriche di continuare a funzionare“, anche le cosiddette trivelle. Che poi è un ritorno alla produzione nazionale di gas.

Picchia duro, invece, Antonio Tajani. Il coordinatore di Forza Italia assicura che in Europa “combatteremo una battaglia fermissima a difesa del Made in Italy sul Nutriscore, notando che c’è “una bella differenza con il Nutrinform“. E’ “una questione di tutela della salute del cittadino italiano ed europeo“. Tajani, però, ne ha anche per il mondo ambientalista: “La proposta di Silvio Berlusconi di un milione di alberi in più è concreta, non pseudo-ambientalismo, fondamentalismo alla Greta Thunberg, abbiamo già la nostra religione, non abbiamo bisogno che ce la venga a imporre la nuova ‘papessa’ dell’ambientalismo“.

Per Enrico Letta, invece, “stiamo conoscendo cosa vuol dire una campagna elettorale che si apre in una condizione ambientale che ci obbliga di cambiare toni e contenuti“. Roghi, siccità e caldo soffocante, a detta del segretario Pd, “ci indicano la grande priorità e il grande tema: la salvaguardia dell’ambiente, del nostro territorio deve essere il cuore di tutto“. Infatti il leader dem mette tutti sull’avviso: “Se non siamo in grado, subito, di fare un piano invasi serio sarà un disastro. Il nostro Paese butta il 40% di acqua“.

Il leader della Lega, Matteo Salvini, poi, annuncia che in caso di vittoria del centrodestra alle prossime elezioni sarà istituito un ministero dell’Agroalimentare ad hoc. Ma allo stesso tempo rilancia un tema che, da anni, spacca in due il dibattito pubblico e politico: “Abbiamo bisogno di dighe, viadotti, energia nucleare pulita e sicura“. Ribadendo che alle urne ci sarà il confronto (o forse scontro) tra due concezioni diametralmente opposte: “Baderemo ai contenuti più che alle polemiche. La Lega è per il nucleare, la sinistra no. La Lega è per il terzo valico e la Gronda di Genova, la sinistra no“.

Sul palco della Coldiretti sale anche Conte. L’ex premier lancia messaggi al miele ai coltivatori diretti: “La nostra agenda economica è stata sempre attenta alle vostre esigenze” e “voi siete dei patrioti“. Il presidente del M5S affronta anche il tema della siccità, notando che “paghiamo la mancanza pluridecennale di una seria programmazione nella gestione delle risorse idriche” e dunque “dobbiamo lavorare sugli invasi, ammodernare quelli esistenti e rendere più efficiente la rete idrica promuovendo un uso responsabile dell’acqua“. Tocca anche il tema dei rincari dell’energia, ma lancia una stoccata all’Europa, perché a suo modo di vedere il rinvio a ottobre della discussione sul tetto massimo al prezzo del gas “non è un bicchiere mezzo pieno, è tutto vuoto. Non possiamo accontentarci, servono risultati“. Il clima di campagna elettorale è già rovente, e non solo per le temperature record.

Crisi, Draghi alle Camere: siccità e gas le incognite. Taglio accise fino al 21/8

Una vigilia diversa dalle altre per Mario Draghi. Il premier, rientrato lunedì sera, in anticipo, dall’Algeria, passa al lavoro nel suo ufficio il giorno prima di quello che potrebbe essere il ‘redde rationem’ con un pezzo della sua maggioranza. Sente al telefono il presidente ucraino, Volodimir Zelensky, al quale ribadisce “pieno sostegno e solidarietà” del governo per Kiev, ma già di buon mattino ha il primo, importante, impegno della sua agenda di martedì 19 luglio, con una visita al Quirinale per un incontro con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Vis a vis che, viene poi chiarito, rientra nelle consuete interlocuzioni tra le due alte cariche dello Stato, in particolar modo nell’attuale, delicata fase politica. Senza contare che il premier deve riferire al capo dello Stato della sua missione ad Algeri, dove il governo e le principali aziende di Stato hanno firmato 15 intese con il governo algerino. Mentre il dialogo è in corso arriva anche la notizia della firma all’intesa tra Eni, Sonatrach, Oxy e TotalEnergies che consentirà di potenziare gli investimenti, aumentando le riserve di idrocarburi dei giacimenti presenti nei blocchi 404 e 208, nel prolifico bacino del Berkine, nell’Algeria orientale, prolungandone la vita produttiva per ulteriori 25 anni.

Musica per le orecchie di chi, in queste ore concitate, sta provando a tenere insieme l’esigenza di decidere se proseguire o meno l’esperienza di governo (a condizioni ben precise) con la necessità del Paese di non aggravare la crisi energetica, con gli stoccaggi ancora in corso e la totale incertezza sulle mosse della Russia, che resta ancora il principale fornitore di gas per l’Italia, anche se ora pure l’Unione europea riconosce che il fabbisogno del nostro Paese è sceso dal 40 al 25% in pochi mesi.

Gazprom continua a ribadire che difficilmente riprenderanno i flussi dal 21 luglio, nonostante l’annuncio dello stop di 10 giorni solo per una manutenzione degli impianti del gasdotto Nord Stream 1. Lo stesso colosso russo continua a chiudere accordi con altri Paesi, come l’Iran: l’ultimo con National Iranian Oil Company, per “lo sviluppo dei giacimenti petroliferi e di gas dell’Iran, operazioni di swap di gas naturale e di prodotti petroliferi, realizzazione di progetti di Gnl su larga e piccola scala, costruzione di gasdotti, cooperazione scientifica, tecnica e tecnologica“.

Tutti segnali che, di fatto, rientrano nella riflessione dell’ex Bce, che incassa nuovi appelli a restare in sella e, intanto, ‘sdoppierà’ le sue comunicazioni alle Camere. Draghi, infatti, oggi alle ore 9.30 sarà al Senato per pronunciare il suo discorso, poi – secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama – ci sarà un’interruzione fino alle 11, quando la seduta riprenderà fino alle repliche, previste per le 16.30 con votazioni sulla fiducia dalle 18.40 alle 19.30. Slitta, di conseguenza, l’appuntamento alla Camera, che alle 10.30 riceverà il discorso pronunciato in Senato, ma accoglierà il premier domani, giovedì 21 luglio, per la discussione generale dalle 9 alle 11.30, quando la capigruppo di Montecitorio prevede le repliche del capo del governo. A seguire si svolgeranno le dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari, poi dalle 13.45 alle 15.15 ci sarà il voto per appello nominale dei deputati.

Il problema politico resta la confusione che regna nella maggioranza. Il centrodestra chiede di andare avanti, ma senza Giuseppe Conte, i Cinquestelle e due ministri in particolare, Roberto Speranza (Salute) e Luciana Lamorgese (Interno), ritenuti ‘unfit’ al ruolo. A parte il capitolo M5S, che ancora non scoglie la riserva ma è dilaniato al suo interno tra chi vorrebbe confermare la fiducia all’ex Bce – come il capogruppo a Montecitorio, Davide Crippa, ma anche esponenti di primo piano come Angelo Tofalo, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro – e chi, invece, vorrebbe andare all’opposizione di Draghi. Sebbene questo potrebbe significare l’impossibilità di ricreare una coalizione di unità nazionale, dunque un nuovo esecutivo, provocando lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate.

Questo manderebbe in fumo il lavoro sul prossimo decreto Aiuti, nel quale dovrebbero trovare spazio anche risorse e misure contro il fenomeno devastante della siccità, oltre a nuovo ossigeno per famiglie e filiere produttive contro il rincaro dell’energia. La fine anticipata della legislatura rallenterebbe di molto anche la battaglia europea per il tetto massimo al prezzo del gas, problema con cui qualsiasi governo dovrà confrontarsi.

Prima di qualsiasi decisione, comunque, il governo mette almeno al sicuro la proroga fino al prossimo 21 agosto del taglio di 30 centesimi alle accise su benzina, diesel, gpl e metano per autotrazione. Il decreto interministeriale è stato firmato dai ministri dell’Economia, Daniele Franco, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e potrebbe avere effetti benefici a breve, magari sull’onda della riduzione dei prezzi registrata dall’osservatorio del Mite: benzina e gasolio, infatti, scendono sotto i 2 euro. Da oggi inizia una nuova partita, molto probabilmente quella decisiva.