Auto, ok al decreto sugli Euro5: rinviato il blocco a ottobre 2024

L’obiettivo “più importante” da raggiungere, nel più breve tempo possibile, era quello di scongiurare il blocco dei veicoli Diesel Euro5 in Piemonte a partire dal 15 di settembre. “Ci siamo riusciti ma la soluzione non era semplice e il risultato per nulla scontato“, rivendica il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri del decreto legge che rimanda al 1 ottobre del 2024 il blocco delle vetture diesel Euro5 in 76 comuni del Piemonte.

È il risultato delle interlocuzioni avute nelle settimane scorse tra i ministeri competenti e le Regioni del bacino padano, principalmente con il Piemonte, che a seguito delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 2020 e del 2022, aveva dovuto introdurre dal prossimo 15 settembre la limitazione della circolazione dei veicoli Euro5 nei comuni con popolazione al di sopra del 10 mila abitanti“, spiega. Il Governo è intervenuto con lo strumento del Decreto per “scongiurare una crisi sociale ed economica di famiglie e imprese“, smorza le polemiche. E tira in ballo anche l’importanza degli impegni assunti con l’Unione europea che “primi su tutti vanno incontro anche alla tutela della salute dei cittadini”.

Il decreto che gli uffici del ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica hanno predisposto prevede la revisione e l’aggiornamento dei Piani sulla qualità dell’aria da parte delle Regioni che nel 2017 avevano firmato l’Accordo di Programma, al fine di riesaminare i contenuti dei provvedimenti adottati alla luce dei risultati già conseguiti di riduzione delle emissioni inquinanti.

Dal 2017, però, ricorda Pichetto in conferenza stampa, “il quadro è completamente cambiato, siamo intervenuti con decreto, vista l’urgenza“.

Nelle more degli esiti di tali valutazioni, le misure di limitazione della circolazione di veicoli di categoria diesel Euro 5, possono essere attuate esclusivamente a far data dal 1° ottobre 2024 e in via prioritaria nei comuni superiori ai 30mila abitanti, dotati di un’adeguata rete di trasporto pubblico locale e dove ci sono valori inquinanti alti che possono incidere sulla tutela della salute. E ancora, la facoltà che viene meno e che diventa un obbligo a partire dal 1° ottobre 2025, sempre nei comuni con le caratteristiche appena citate. Il provvedimento si è reso necessario, scandisce il ministro, anche perché “il passaggio all’elettrico non è completo. Le colonnine sono un provvedimento di questo governo, non sono installate completamente e dopo il Covid, con il problema dei chip, non sono stati consegnati moltissimi veicoli elettrici“.

Nella redazione del decreto si è quindi tenuto conto delle criticità legate all’indisponibilità dei materiali necessari alla produzione di batterie di veicoli elettrici, in grado da assicurare una tempestiva sostituzione dei veicoli Euro 5 e, assicura Pichetto, “abbiamo verificato che la tempistica proposta, non confliggesse con gli obiettivi del Pacchetto Ue For 55%“.

Maltempo, Figliuolo sblocca 289 milioni. Bonaccini: “Con scelte governo persi 3 mesi”

Una parte d’Italia tiene il fiato sospeso sperando che il ciclone ‘Poppea‘ non provochi danni gravi. Ma nelle stesse ore un pezzo del Paese aspetta di ricostruire la propria normalità dopo le alluvioni dello scorso mese di maggio. Dalla furia di vento e pioggia ne uscirono molto colpiti i territori della Romagna, ma anche parte di Toscana e Marche. In tre mesi non si è mai placata nemmeno la polemica su risorse, ristori e indennizzi, nonostante lo stanziamento di oltre 4 miliardi del governo a pochi giorni dagli eventi. Soldi che, ancora oggi, secondo quanto lamenta il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, cittadini e imprese hanno visto solo in piccola parte. “Il governo ha separato la gestione dell’emergenza da quella della ricostruzione, e ciò ha fatto perdere mesi inutilmente“, lancia il ‘j’accuse’ dalle colonne del ‘Fatto quotidiano’.

Per il governatore “dopo oltre tre mesi le risorse stanziate non sono ancora arrivate, segno che il governo ha scelto una procedura al momento poco efficace, come avevamo paventato dall’inizio“. Si tratterebbe di fondi per “opere già realizzate in somma urgenza e non ancora pagate o di cantieri che non partono perché non c’è copertura finanziaria“. Inoltre – è l’allarme di Bonaccini – “una parte consistente dei soldi previsti dal primo decreto rischia di non poter essere spesa per la Romagna, se non viene messa nella disponibilità di Figliuolo“, il generale di corpo d’armata nominato commissario straordinario per la ricostruzione dal governo Meloni. All’esecutivo, poi, il governatore ribadisce il messaggio: “Imprese e cittadini non stanno ricevendo gli indennizzi e non sanno neanche come rendicontare i danni“.

Il commissario, che oggi a Bologna incontrerà i componenti del Patto per il lavoro e per il clima assieme a Bonaccini, intanto ha firmato e inviato a Emilia-Romagna e Marche l’ordinanza con la quale vengono fornite le indicazioni per procedere al finanziamento degli interventi realizzati e da ultimare in regime di somma urgenza per far fronte all’emergenza provocata dagli eventi alluvionali del maggio scorso. La cifra ammonta a 289 milioni di euro e sarà efficace con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per consentire “sin da subito a tutti i soggetti attuatori interessati di procedere alle richieste di erogazione dei finanziamenti, che dovranno essere inoltrate alla struttura commissariale per i successivi ristori“, comunica una nota.

Nel frattempo, anche ‘Poppea’ lascia strascichi su intere zone del Paese e sulle produzioni. Ad esempio, in Salento Coldiretti Puglia conta tra il 30% e il 40% di danni provocati ai nuovi impianti di ulivi resistenti alla Xylella dalla grandinata dei giorni scorsi a Ugento, Torre Mozze, Acquarica, Presicce, Salve e altri comuni limitrofi. Zone dove, da gennaio ad oggi, “si sono già abbattuti 19 eventi estremi tra tornado, nubifragi, tempeste di fulmini e grandinate“. Risalendo lo Stivale, non va meglio alla Lombardia, perché “ammontano a oltre 235 milioni di euro i danni subiti dall’agricoltura a causa degli eventi atmosferici che hanno colpito il territorio tra luglio e agosto“, sottolinea la Regione. Nel dettaglio, le province maggiormente colpite sono quelle di Mantova (62,8 milioni), Cremona (57,4 milioni) e Brescia (56,2 milioni). Ma ingenti sono i danni anche nei territori di Milano (26,7 milioni), Bergamo (12,9 milioni) e Lodi (8,9 milioni) e in difficoltà sono finite pure aziende agricole in provincia di Monza e Brianza (3,7 milioni), Varese (3,3 milioni) e Como (2,4 milioni). Mentre disagi limitati sono segnalati da Sondrio (534mila euro), Pavia (111mila) e Lecco (35mila).

Il Governo dichiara lo stato di emergenza per i territori colpiti dal maltempo: oltre 34 milioni

Il ciclone ‘Poppea’ inizia a fare danni in Italia, sommandosi ai danni causati dalle alluvioni del maggio scorso. Per questo motivo, nel Consiglio dei ministri di ieri pomeriggio, dopo la relazione del ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, il governo delibera lo stato di emergenza per 12 mesi per gli eventi meteorologici verificatisi tra maggio ed agosto 2023. Alla Regione Lombardia vanno 9,43 milioni di euro, al Veneto 8,3 milioni e al Friuli-Venezia Giulia 7,7 milioni. Stato di emergenza anche per i territori delle province di Teramo, Pescara e Chieti, in Abruzzo (4,1 milioni), di Cuneo, in Piemonte (650mila euro), e per le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì Cesena, in Emilia Romagna (4,5 milioni). “Abbiamo accolto le istanze avanzate dai presidenti delle Regioni così gravemente colpite – commenta Musumeci -. Le risorse, quantificate dopo i sopralluoghi dei tecnici del dipartimento di Protezione civile nazionale e di quelli regionali, servono – spiega il ministro, ringraziando anche la Protezione civile e il personale tecnico – a far fronte alle esigenze più immediate ed ai fabbisogni più urgenti: dal soccorso e l’assistenza alla popolazione al ripristino dei servizi pubblici“.

L’ondata di maltempo, arrivata in queste ore sul nostro Paese, sta contrastando il caldo di ‘Nerone’, provocando pioggia, vento e grandine in diverse zone del territorio. In alcuni casi provocando frane, smottamenti e interruzioni di strade e infrastrutture per il trasporto. E’ soprattutto il Nord a essere preso di mira dalla furia di vento e pioggia, ma anche al Sud la situazione è sotto monitoraggio continuo, anche se per il rischio incendi, come sta accadendo ancora una volta in Sicilia, anche se il presidente della Regione, Renato Schifani, rassicura sul fatto che i roghi nel Messinese siano sotto controllo, sebbene resti “alta” l’attenzione.

Le prime notizie sul maltempo mettono comunque in allarme anche Roma. “Come governo in queste ore siamo in continuo contatto con i governatori regionali e con gli amministratori locali delle Regioni del centro-nord, le più colpite finora da questa emergenza maltempo che sta portando ad allagamenti, frane e smottamenti, e a interruzioni delle strade o di tratti ferroviari, in particolare in Lombardia e in Piemonte“, spiega in una nota e attraverso i suoi canali sociale il ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli. Che “essendo un bergamasco di nascita e ormai un mezzo cuneese di adozione, dunque sia un lombardo che un piemontese acquisito“, spiega, esprime “tutta la mia solidarietà e vicinanza ai miei corregionali, ai tanti cittadini che hanno avuto abitazioni o capannoni scoperchiati o danneggiati dalla pioggia e dal vento e ovviamente a tutto il comparto degli agricoltori e degli allevatori“. L’esponente della Lega ribadisce che l’esecutivo è pronto “a fornire ogni tipo di aiuto necessario: intanto come sempre in questi casi un ringraziamento di cuore va a tutti i soccorritori e volontari impegnati in queste ore ad aiutare le popolazioni colpite“.

Le parole di Calderoli, però, non bastano. Dalle opposizioni è la voce critica di Angelo Bonelli ad alzarsi: “Assistiamo con profonda preoccupazione alla drammatica escalation degli incendi che stanno devastando il nostro territorio e parallelamente è preoccupante il silenzio di Giorgia Meloni di fronte a questa crisi climatica che sta mettendo in ginocchio il nord con gli eventi meteo estremi e il sud con gli incendi“, accusa il co-portavoce di Europa Verde e deputato dell’Alleanza Verdi Sinistra. Che invita a “proteggere il nostro patrimonio ambientale e culturale da questa minaccia crescente” con “investimenti per fronteggiare la crisi climatica“. Perché “contemporaneamente in molte parti d’Italia si reclama lo stato di calamità a causa degli eventi estremi: trombe d’aria, allagamenti, danni a case e imprese ormai sono all’ordine del giorno“, dunque “è evidente – sottolinea il parlamentare ambientalista – che occorra un intervento immediato e deciso per rafforzare il nostro sistema di difesa dagli incendi e dagli eventi estremi“.

Preoccupazione che sembra condividere anche il Wwf. “Frane, smottamenti, alluvioni, è questa la rappresentazione di una situazione italiana che da straordinaria sta diventando ordinaria“, sottolinea l’associazione in una nota. “Gli eventi atmosferici estremi non sono più un’eccezione, ma quasi la normalità: si susseguono con una frequenza tale che non si fa in tempo a dichiarare uno stato di emergenza che subito arriva la richiesta per dichiararne uno nuovo. Un trend pericoloso e drammatico a cui dovremmo abituarci, trovandosi l’Italia proprio al centro del Mediterraneo, una delle regioni del Pianeta più minacciate dalla crisi climatica. Eppure – ammonisce il Wwf -, il nostro Paese continua a non mettere al primo posto dell’agenda politica i temi del contrasto alla crisi climatica e dell’adattamento ai cambiamenti già in corso“.

L’attenzione resta comunque alta, soprattutto in Centro Italia, che nei mesi scorsi è stata colpita duramente dalle alluvioni. Sorvegliati speciali sono Emilia-Romagna, Toscana e Marche, ma l’allerta è attiva in quasi tutta la penisola e da Roma il monitoraggio della situazione resta costante.

Sbloccata terza rata Pnrr. Governo: Tutti i 35 miliardi nel 2023

L’accordo c’è. Il governo raggiunge l’intesa con la Commissione europea per lo sblocco della terza rata del Pnrr: l’obiettivo quantitativo dei 7.500 posti letto per studenti universitari, che dovevano essere aggiunti a quelli esistenti entro la fine del 2022, diventa un target qualitativo. In questo modo, sarà soltanto necessario che siano avviate le procedure per creare complessivamente 60mila posti letto universitari in più entro la fine del 2026. In più, l’obiettivo diventa una milestone della quarta rata.

Le modifiche “non avranno alcun impatto sull’importo complessivo dei pagamenti che l’Italia riceverà nel 2023 con la terza e la quarta rata“, assicura Palazzo Chigi. Parliamo, complessivamente, di 35 miliardi di euro.

La terza rata prevede quindi ora 54 obiettivi per 18,5 miliardi di euro invece che 55 obiettivi per 19 miliardi, mentre la quarta avrà 28 obiettivi per 16,5 miliardi invece dei precedenti 27 per 16 miliardi. Slittano 500 mila euro, ma il totale dei 35 miliardi previsto nel 2023 resta invariato e sarà incassato per intero.

Con la decisione della Cabina di Regia, il Governo potrà quindi presentare formalmente la proposta di modifica della quarta rata alla Commissione europea. La proposta sarà esaminata dalla Commissione, poi dal Consiglio dell’Unione europea insieme alle altre 10 proposte di modifica della quarta rata già esaminate dalla Cabina di Regia e presentate l’11 luglio.

Un lavoro di cesello durato mesi, una “sfida di particolare complessità“, confessano fonti di governo, perché la terza rata, rispetto alle due precedenti, prevedeva non solo un maggiore numero di obiettivi da raggiungere ma, soprattutto, un sensibile aumento dei target quantitativi “sui quali, quando i numeri sono elevati, la Commissione svolge attività di sampling“, puntualizzano le fonti.

In particolare, mentre la prima rata prevedeva 51 obiettivi, la seconda rata ne prevedeva 45, la terza 55 di cui 39 milestone e 16 target.

La terza rata, inoltre, includeva alcune riforme “particolarmente complesse“. La principale ha riguardato la legge concorrenza, considerata “tra le più complesse e articolate sia del Pnrr nazionale sia di tutte le riforme previste dai Piani nazionali di ripresa e resilienza nell’Unione europea, coinvolgendo numerosi settori (dai servizi pubblici locali alle concessioni portuali, dalla vigilanza sui prodotti immessi nel mercato a energia elettrica e gas)“, trapela da Palazzo Chigi.

A fronte di queste sfide, chi ha lavorato rivendica un “intenso lavoro di completamento della fase attuativa, in costante contatto con gli uffici della Commissione europea. Tale attività è stata accompagnata da quella rendicontazione funzionale ai controlli da parte della Commissione“.

Pichetto: “Centrali a carbone al minimo, ho firmato l’atto di indirizzo”

Ho firmato l’atto di indirizzo a Terna, coinvolgendo Arera, che prevede una riduzione al minimo delle centrali a carbone e anche la cessazione dell’utilizzo di olio combustibile“. Lo annuncia il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, a margine dell’assemblea di Cida. “Questo determina un passaggio verso il nuovo, verso una prospettiva, speriamo, totale del carbone, con gradualità – continua -. Al momento vengono tenute al minimo per ragioni di sicurezza, perché il quadro internazionale è ancora tale che non sappiamo quale potrà essere il futuro sul fronte energetico“, spiega. “Il nostro stoccaggio ha raggiunto un livello ottimo, siamo ben oltre l’80%, quindi ci sono tutte le condizioni per passare gradualmente all’abbandono del carbone. Poi il passaggio successivo sarà il petrolio“, conclude.

L’Italia mette al minimo le centrali a carbone, primo passo verso lo spegnimento totale

L’Italia si avvia verso il phase out dal carbone. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha infatti firmato l’atto di indirizzo a Terna, all’Autorità di Regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) e al Gestore servizi energetici (Gse) per la rimodulazione della produzione di energia elettrica da carbone, olio combustibile, bioliquidi sostenibili e biomasse solide, invertendo quindi l’atto dello scorso 31 marzo, che aveva l’obiettivo di ottimizzare l’utilizzo dei combustibili diversi dal gas al fine di generare un risparmio di questa materia prima strategica si è ravvisata l’opportunità di rimodulare il piano di massimizzazione del carbone.

Ho firmato l’atto di indirizzo a Terna, coinvolgendo Arera, che prevede una riduzione al minimo delle centrali a carbone e anche la cessazione dell’utilizzo di olio combustibile“, annuncia il ministro, a margine dell’assemblea di Cida. Spiegando che “questo determina un passaggio verso il nuovo, verso una prospettiva, speriamo, di abbandono poi totale del carbone, naturalmente con gradualità“, continua Pichetto, specificando che “al momento vengono tenute al minimo per ragioni di sicurezza, perché il quadro internazionale è ancora tale che non sappiamo quale potrà essere il futuro sul fronte energetico.

Nel frattempo, però, “le politiche di diversificazione messe in atto dal Governo – aggiunge il ministro – ci hanno consentito di raggiungere in anticipo l’obiettivo di risparmiare 700 milioni di metri cubi di gas entro il 30 settembre del 2023. Gli stoccaggi riempiti all’82% già a fine giugno e la maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili – conclude Pichetto – ci hanno consentito di attivare queste nuove disposizioni che riescono a tenere insieme due dei grandi obiettivi: velocizzare la decarbonizzazione garantendo la sicurezza energetica del nostro Paese”.

L’ultimo saluto a Berlusconi, oggi i funerali di Stato al Duomo di Milano

Lutto nazionale, lavori parlamentari sospesi e funerali di Stato. La notizia della morte di Silvio Berlusconi ha fatto il giro del mondo, mentre l’Italia inizia a prendere le misure con la scomparsa di uno dei suoi assoluti protagonisti. Oggi alle 15 in Duomo, a Milano, ci saranno il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, la premier, Giorgia Meloni, l’intera squadra di governo, oltre al commissario, Paolo Gentiloni, in rappresentanza della Commissione Ue, diversi esponenti della politica, del mondo dell’imprenditoria, della società civile e capi di Stato a rendere l’ultimo omaggio all’ex presidente del Consiglio.

Ci saranno anche tanti cittadini, non solo militanti di Forza Italia o del centrodestra, ragione per cui si va verso l’istallazione di maxischermi per assistere anche al di fuori della cattedrale alla funzione che sarà celebrata dall’Arcivescovo del capoluogo lombardo, monsignor Mario Delpini.

Il cordoglio è ampio, anche se non mancano le polemiche sulle iniziative decise per commemorare il Cavaliere. Non tutti, ad esempio, hanno scelto di issare le bandiere a mezz’asta, come hanno fatto invece le sedi istituzionali di Montecitorio, Senato, Palazzo Chigi e di diversi enti locali tra Regioni e Comuni. L’opinione pubblica si divide anche sulla decisione di Camera e Senato di riprendere i lavori dopo il giorno di lutto nazionale.

A Palazzo Madama, inoltre, martedì 20 giugno si terrà la commemorazione in aula di Berlusconi, a partire dalle ore 15, mentre la Conferenza dei capigruppo di Montecitorio, pur anticipando l’intenzione di fare altrettanto la prossima settimana, non ha ancora stabilito una data precisa.

Anche l’Europa ricorda Berlusconi. Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, istituzione comunitaria di cui il Cav ha fatto parte in questa legislatura, dal 2019 al 2022, annuncia che per i funerali di Stato e il giorno di lutto nazionale dichiarati nel nostro Paese “la bandiera italiana sventolerà a mezz’asta anche davanti alle sedi” di Bruxelles e Strasburgo. Alla commemorazione organizzata dai deputati del Partito popolare europeo, Metsola ha ricordato l’ex premier come “un combattente che ha fondato e guidato il centrodestra Italiano. Padre, imprenditore, eurodeputato, presidente del Consiglio e senatore. Protagonista della politica per generazioni, ha contribuito a passaggi cruciali della storia europea e della Repubblica italiana. Siamo qui per piangere l’uomo che ha lasciato un segno e non sarà dimenticato“.

Maltempo, Meloni: “Tavolo permanente”. Non c’è commissario, coordinamento a Musumeci

I risultati che gli amministratori portano a casa da Palazzo Chigi sono due: il tavolo sull’emergenza sarà permanente e l’impegno del governo per il 100% degli indennizzi a famiglie e imprese. La nomina del commissario straordinario per la ricostruzione, invece, slitta ancora. E’ questo il bilancio dell’incontro convocato dal governo con i rappresentanti istituzionali dei territori colpiti dalle alluvioni. Aperto dalla premier, Giorgia Meloni, che accoglie subito la proposta di lasciare la cabina di confronto aperta e operativa, ma comunica che fino alla nomina del commissario sarà il ministro per la Protezione civile e le politiche del Mare, Nello Musumeci, a svolgere il ruolo di riferimento dell’esecutivo. Allo stesso tavolo sono seduti diversi ministri (oltre al sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano), a partire dai vicepresidenti del Consiglio, Antonio Tajani e Matteo Salvini, che ascoltano con attenzione. Qualche rumors descrive addirittura il leader della Lega “amareggiato” ma la smentita non tarda, con una nota del Mit: “Nessuna scintilla tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni al tavolo per l’Emilia-Romagna, contrariamente a quanto riportato da alcuni media”.

Anzi, da Porta Pia il messaggio che passa è totalmente differente: “La riunione di oggi ha ribadito la compattezza dell’esecutivo e la totale collaborazione con gli amministratori emiliano-romagnoli”. A Palazzo Chigi c’era il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, con i colleghi della Toscana, Eugenio Giani, e delle Marche, Francesco Acquaroli, oltre ai presidenti delle Province di Forlì-Cesena, Enzo Lattuca, di Ravenna, Michele de Pascale, di Rimini, Jamil Sadegholvaad, di Pesaro-Urbino, Giuseppe Paolini, del sindaco metropolitano di Bologna, Matteo Lepore, e dei sindaco di Forlì, Gian Luca Zattini, e Firenze, Dario Nardella. Anche loro non perdono uno scambio, soprattutto quando è Musumeci a prendere la parola, perché spiega che non sarà materialmente possibile dialogare con tutti i sindaci, quindi la sua convinzione è che “in questo momento le Province devono diventare l’ente di coordinamento dell’area vasta” e a loro, infatti, affida “la prima pianificazione e ricognizione delle cose che servono”. Intanto, “da domani sarà attiva la misura ristori del ministero degli Esteri che ha predisposto aiuti per 700 milioni di euro”.

Nel corso della riunione si è parlato ancora dei danni subiti dai vari territori, anche se è Bonaccini, ai microfoni di ‘Oggi è un altro giorno’ (Rai1) a spiegare che “più del 90% del totale riguarderà l’Emilia-Romagna, purtroppo”, nonostante Toscana e Marche abbiano avuto “diversi comuni disastrati, con alcune centinaia di milioni di euro di danni”. A proposito di risorse, resta il nodo su quelle stanziate dal decreto Alluvioni: “Abbiamo i dirigenti della Regione che stanno lavorando sul dl uscito da pochi giorni – aggiunge ancora Bonaccini -, per verificare esattamente la capienza di risorse in ogni voce di spesa. Non so dire in questo momento se i fondi sono 1,5 miliardi, 1,6 o 2,2 miliardi. Sono comunque parecchie risorse, anche se non sufficienti perché, ad esempio, solo per le strade comunali e provinciali, circa 800 tra interrotte e distrutte, ci vorrà oltre 1 miliardo”.

Piccola postilla anche sul commissario, ruolo per il quale si era parlato anche del generale Francesco Paolo Figliuolo: “Decidano quello che vogliono, noi abbiamo chiesto solo che lo facciano in tempi brevi”. Circostanza ribadita anche nella nota vergata da Lattuca e de Pascale, al termine dell’incontro col governo. Mentre il governatore delle Marche ribadisce “l’importanza di agire in maniera organica, superando una visione troppo parcellizzata nell’affrontare le emergenze e mettere in sicurezza il territorio, anche rispetto alla scelta del commissario”.

E oltre alle risorse, Acquaroli sottolinea la necessità “di giungere ad un tentativo di semplificazione, volta ad una manutenzione più agevole di argini ed alvei al fine di limitare l’impatto delle precipitazioni sul reticolo idrografico e sull’intero assetto idrogeologico del nostro territorio”. Intanto, “da domani sarà attiva la misura ristori del ministero degli Esteri che ha predisposto aiuti per 700 milioni di euro” ricorda Tajani via Twitter.

Ma dalle opposizioni il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli, continua a chiedere spiegazioni a Meloni e al governo sul fatto che “in conferenza stampa dichiarava che il Cdm aveva destinato 2,1 miliardi di euro alle zone alluvionate, invece dal testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale mancano oltre 500 milioni. Tra l’altro – continua –, le risorse sono state realizzate tagliando gli ammortizzatori sociali del lavoro, le risorse del Reddito di cittadinanza e il bonus sociale per riscaldamento”.

Maltempo, oggi Cdm: Governo al lavoro su decreto. Ipotesi fino a 100 milioni in aiuti

Arrivano in Consiglio dei ministri le prime misure per affrontare l’emergenza nei territori colpiti dalle alluvioni. Dopo aver toccato con mano, di ritorno in anticipo dal G7 di Hiroshima, la furia delle piogge che si sono abbattute sull’Emilia-Romagna, la premier, Giorgia Meloni, è al lavoro per mettere su carta gli interventi più urgenti per un territorio drammaticamente colpito dal maltempo. Oltre alla sospensione di bollette e termini per tributi e contributi, dovrebbero essere stanziati circa 50 milioni per le spese legate ai soccorsi. Non è escluso, secondo quanto trapela da ambienti parlamentari di maggioranza, che la cifra possa raddoppiare nelle prossime ore, toccando quota 100 milioni. Ovviamente, si tratterebbe di un primissimo stanziamento, cui dovranno seguirne altri, dopo un’attenta valutazione dei danni, anche se per il momento “è ancora abbastanza impossibile fare una stima”, per dirla con le parole del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto.

Al momento, secondo un primo giro di ricognizione delle varie associazioni di categoria, il conto si aggirerebbe sui 5 miliardi di euro. Un colpo durissimo per l’economia del territorio, ma anche dell’intero Paese. Ecco perché si invocherà quasi sicuramente l’aiuto dell’Europa. “Presenteremo un primo pacchetto di sostegno all’interno del decreto emergenza – spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, da Bruxelles – che prevederà, mi auguro, la sospensione dei mutui, la rateizzazione degli oneri fiscali e soprattutto l’attivazione del fondo di garanzia che a nostro avviso deve essere il massimo che ci è consentito dalle norme europee sugli aiuti di Stato“. Anche perché “ci sono i fondi dell’Ue già attivati in altri casi simili ed è giusto che anche in questo caso l’Italia possa accedervi“, visto che si parla di “una delle regioni più produttive del Paese, che deve essere messa in condizioni da subito di riprendere a sostenere produzione e lavoro e quindi anche l’economia nazionale”.

Oggi sarà ancora allerta rossa sul territorio, anche se “di tipo diverso rispetto alla precedente, perché è basato sul fatto che il territorio è abbastanza inondato, di conseguenza c’è la certezza assoluta che la terra non è in grado di assorbire nulla”, spiega Pichetto. Ricordando che a Palazzo Chigi, dopo il Cdm, ci sarà anche una riunione con il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, per fare il punto sugli interventi da mettere in campo. Che dovranno tenere conto anche dell’allarme lanciato da Michele de Pascale, sindaco e presidente sia della Provincia di Ravenna che dell’Upi: “Abbiamo chilometri di strade provinciali distrutte; frane, smottamenti, fiumi di fango, hanno completamente cancellato interi tratti, isolando comunità e territori. Sono danni per oltre 1 miliardo” che andranno contati nella fase di ricostruzione.

Mentre il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, punta i riflettori su un tema collaterale, perché “in queste giornate in cui l’Italia è colpita da una tragedia come quella che coinvolge l’Emilia-Romagna e parzialmente le Marche, dobbiamo ribadire un concetto che forse sta sfuggendo a chi vive di ideologie: allevatori e agricoltori non sono nemici del territorio e dell’ambiente, anzi. Dove manca la manutenzione del territorio di allevatori e agricoltori”. Perché “il dissesto idrogeologico – continua – è più grave e rispetto a eventi come alluvioni, le concause dell’aggravarsi degli effetti sono da ricercare nel loro abbandono di zone che per millenni hanno manutenuto“.

Il governo, assicura il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sta comunque facendo “tutto ciò che è nelle nostre possibilità per aiutare le popolazioni” colpite dalle alluvioni, “compresa la richiesta di ottenere il fondo di solidarietà da parte dell’Unione europea, come accaduto con il terremoto dell’Aquila“. Il vicepremier sottolinea che l’Italia ha ottenuto “anche grande disponibilità da tanti paesi dell’Ue attraverso l’attivazione del meccanismo di protezione civile dell’Ue, ma anche da Paesi, come la Svizzera, che sono fuori dal sistema europeo“. Tajani oggi pomeriggio sarà in missione a Forlì, in agenda c’è una riunione presso il Comitato operativo comunale sulla situazione di emergenza e a seguire l’incontro con il sindaco, Gian Luca Zattini, i rappresentanti del mondo imprenditoriale, associativo e camerale delle province di Forlì-Cesena, Rimini e Ravenna, cui parteciperanno anche i vertici di Ice, Sace, Simest e Cdp. Segnali importanti per un territorio che, mentre spala con i soccorritori per liberare case, strade e capannoni, vuole già iniziare a vedere la luce della ricostruzione in fondo al tunnel del dramma.

Giorgia Meloni/Afp

Il Governo italiano conferma gli obiettivi, ma chiede transizione soft

Decarbonizzazione, croce e delizia per la politica italiana. Automotive, etichettatura dei vini, carburanti, edilizia green: sono solo gli ultimi esempi, in ordine cronologico, di quale sia il livello dei negoziati del nostro Paese in Europa. La transizione ecologica, non è un mistero, in passato ha colto di sorpresa – per usare un eufemismo – le nostre istituzioni, che hanno dovuto imbastire programmi per la riconversione delle imprese in tempi record. Il risultato, però, è più che lodevole visto che finora stiamo rispettando le tabelle di marcia, sebbene siano ancora attive le centrali a carbone presenti sul territorio nazionale. A causa, soprattutto, dell’emergenza energetica che si è aperta da inizio 2022 e acuita dopo l’aggressione russa in Ucraina.

Effetti collaterali, che comunque non fermano il percorso. La linea tracciata dal governo di Giorgia Meloni è quella di incentivare anche la produzione di energia da fonti rinnovabili, obiettivo chiarito dalla stessa premier alla Cop27. E ribadito in più occasioni dal ministro dell’Ambiente e sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che infatti si è espresso con queste parole: “La partita è quella della decarbonizzazione”, perché “ci troviamo nella più grande area europea per presenza di polveri sottili che costa la salute di 20 milioni di abitanti di pianura padana. Per questo la sfida nazionale ed europea è legata al discorso della decarbonizzazione, che il paese deve compiere e che impegnerà per anni i governi a venire”.

Il discorso, proprio in questo punto, si incrocia con i dossier aperti in Europa. In particolare con quello legato all’automotive. A Bruxelles è passata la norma che impone lo stop ai motori endotermici, sia benzina che diesel, per passare al full electric dal 2035. Una decisione molto contestata da Roma, che vede a rischio gli obiettivi di neutralità tecnologica, con la Cina che potrebbe diventare il player globale più forte sulla componentistica e le materie prime per la produzione delle batterie. Pichetto è “convinto che il percorso di decarbonizzazione passi dall’autoveicolo e quindi che l’autostrada sia l’elettrico”, ma “quello che l’Italia non ammette è che sia la scelta di qualcuno. L’obiettivo deve essere togliere le emissioni, nessuno lo mette in discussione. E la sfida è quella della razionalità”.

Servono i biocarburanti per una transizione più soft, ma soprattutto per non mandare all’aria un settore e una filiera d’eccellenza per l’economia del Paese. Peraltro, colossi come Eni da tempo hanno investito su questo ramo. Anche somme ingenti, peraltro, con programmi che toccano l’area del Mediterraneo, senza toccare la produzione alimentare, come ha chiarito il ceo, Claudio Descalzi. Tutti fattori che l’esecutivo sta spingendo nel dialogo europeo, senza mai scostarsi dagli obiettivi prioritari: ridurre le emissioni almeno al 55% entro il 2030 e net zero entro il 2050. Perché su questo si gioca il futuro del Vecchio continente, dell’Italia e anche della politica.