Cop27/Imago

Cop27, nessun Paese rispetta i target per la soglia di 1,5°C

Nessuno Stato ha raggiunto le prestazioni necessarie a fronteggiare la crisi climatica e a contenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia critica di 1,5°C. E’ quanto emerge dal Climate Change Performance Index 2023, il rapporto sulla performance climatica dei principali Paesi del Pianeta, redatto da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente per l’Italia presentato alla Cop27, che prende in considerazione 59 nazioni più l’Unione Europea nel suo complesso, rappresentanti ben il 90% delle emissioni climalteranti del globo. L’Italia è sostanzialmente in stallo nel contrasto alla crisi climatica: il Belpaese guadagna, infatti, appena una posizione rispetto allo scorso anno – è 29esimo anziché 30esimo – rimanendo ancorato al centro della classifica. A pesare sul risultato italiano, si evidenzia nel report, sono principalmente il rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e una politica climatica ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza. Le performance analizzate nel rapporto annuale, presentato oggi alla Cop27 di Sharm el Sheikh, hanno come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030 e vengono misurate attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), basato per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.

Restano vuote, anche quest’anno, le prime tre posizioni della classifica. In cima alla classifica i Paesi scandinavi che continuano a guidare la corsa verso emissioni zero, nonostante la crisi energetica. Danimarca e Svezia, nello specifico, si posizionano rispettivamente al quarto e quinto posto, soprattutto grazie al loro impegno per l’abbandono delle fonti fossili e nello sviluppo delle rinnovabili. Le seguono Cile, Marocco e India che rafforzano l’azione climatica, nonostante le loro difficili situazioni economiche. In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Iran, Arabia Saudita e Kazakistan. La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola al 51° posto perdendo ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno: nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le emissioni cinesi continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del sistema produttivo. Un gradino più in basso, al 52° posto, si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale che però guadagna tre posizioni rispetto allo scorso anno: un risultato attribuibile alla nuova politica climatica ed energetica dell’Amministrazione Biden che inizia a dare i suoi primi frutti, grazie al considerevole sostegno finanziario all’azione climatica previsto dall’Inflation Reduction Act.

Tra i Paesi del G20, solo India (8), Regno Unito (11) e Germania (16) si posizionano nella parte alta della classifica, mentre l’Unione Europea sale di tre gradini rispetto allo scorso anno, raggiungendo il 19esimo posto grazie a nove Paesi posizionati nella parte alta della classifica, frenata però dalle pessime performance di Ungheria e Polonia che continuano a essere fanalino di coda.

C’è speranza per le bollette: prezzo del gas torna ai livelli di fine giugno

L’intensificarsi del conflitto in Ucraina rovina la discesa del prezzo del gas al mercato di Amsterdam. Lunedì mattina il Ttf, il principale indicatore della quotazione del metano in Europa, aveva iniziato le contrattazioni confermando il calo delle ultime settimane scendendo sotto i 150 euro/MWh, un valore che non si vedeva da fine giugno. A influire sul calo del valore del gas, come sottolinea Ole Hansen su Twitter (commoditiy strategist di Saxo Bank), ci sono i “forti arrivi di Gnl, il clima autunnale mite e la distruzione della domanda. La capacità di shock della Russia si è notevolmente ridotta con flussi in calo del 78% su base annua”. In effetti le importazioni di carichi di Gnl in Europa nord-occidentale hanno raggiunto il livello più alto in questo periodo dell’anno dal 2016, secondo Bloomberg. Inoltre le temperature non dovrebbero essere fresche, nella maggior parte dell’Europa, nelle prossime due settimane, suggeriscono i modelli citati da Oilprice.com, il che allevierebbe la pressione rialzista sulla domanda di gas per riscaldamento ed elettricità. A proposito di elettricità, la leggera ripresa della produzione nucleare in Francia sta aiutando la fornitura ai Paesi vicini, frenando così una parte della domanda di gas per la corrente.

I livelli di ieri mattina sono stati quelli, appunto, di tre mesi fa, quando l’Arera – l’authority per l’energia – stabilì lultimo rialzo delle bollette del gas. La stessa Arera, a fine settembre, ipotizzava un +70% per il metano a novembre. Però se il prezzo rimanesse a questi livelli o inferiori potrebbero esserci speranze di aumenti inferiori. La struttura della bolletta del gas è cambiata: sarà mensile e le tariffe verranno stabilite ex post, nel senso che il prezzo del consumo di ottobre sarà deciso a novembre calcolato sulla base della media aritmetica delle quotazioni di ogni singolo giorno sul mercato di riferimento, che sia il Ttf o il Psv. Già, ultima questione benché non secondaria. Le nostre bollette non si baseranno più sul Ttf, ma sull’italiano Psv, che generalmente quota un 20 euro in meno rispetto al titolo olandese.

La speranza di una frenata del caro-bollette sbatte però con la guerra in Ucraina. I lavoratori russi si bloccano e Kiev comunica che dovrà rallentare se non bloccare l’export di energia elettrica. Questo annuncio ha fatto così sobbalzare il prezzo del Ttf, che poi però è tornato a scendere chiudendo a 159 euro/MWh, in rialzo di “soli” due punti percentuali nei confronti di venerdì. Dall’Ucraina passa anche il gasdotto che porta metano fino all’Italia, a quantità ridotte ma fondamentali per garantire l’equilibrio raggiunto – a colpi di acquisti a prezzi elevatissimi sul mercato spot olandese – riempendo gli stoccaggi in vista dell’inverno.

L’apertura della Germania a un fondo europeo, sul modello pandemico del Sure, apre tuttavia la strada a bollette meno pesanti in futuro. Da capire il valore dell’eurobond che sarebbe emesso per finanziare prestiti agli Stati. La trattativa fra governi pare appena cominciata.

Bicicletta

Italia ‘green’ nell’Ue dove cresce la voglia di bicicletta

Agli europei la bicicletta piace sempre di più. Che si tratti di quella tradizionale o di quella elettrica, non fa differenza. La domanda interna cresce, trainando l’industria del settore e le importazioni, soprattutto da Cambogia, Taiwan e Cina. I dati Eurostat mostrano un’Europa sempre più votata alla mobilità sostenibile, che conferma l’attenzione dei cittadini alle questioni climatico-ambientali. Nel 2021 l’Ue ha comprato dai Paesi terzi più modelli della due ruote ecologica di quanti ne abbia venduti. Ne sono state esportate 1.487.700 di quelle tradizionali, a fronte di 5.743.700 importate. Un flusso commerciale che si traduce in 433 milioni di euro di export , e poco più di un miliardo di euro di import (1,046 miliardi) . Un ‘deficit’ di oltre 500 milioni. Rispetto al 2020, un aumento delle importazioni pari al 17%, a fronte di esportazioni cresciute del 16%.

Analoghe le dinamiche per le biciclette con pedalata assistita, i modelli elettrici di nuova generazione. Lo scorso anno la domanda estera per i prodotti ‘made in Eu’ (315.800 unità) è risultata praticamente un terzo della domanda europea per i vari ‘made in’ extra-europei (1.148.600 modelli). Anche qui saldo commerciale penalizzante per l’Unione europea: 488 milioni di euro di ricavi a fronte di 849 milioni di euro di acquisti. In nome della sostenibilità, dunque, l’Ue è fin qui disposta a peggiorare la propria bilancia. Uno sforzo economico-commerciale ripagato dalle ricadute positive in termini di sostenibilità. “La bicicletta promuove la salute e il benessere personale”, sottolinea l’istituto di statistica europeo nel presentare i numeri. L’utilizzo della bici, che sia quella classica o quella moderna, “è economico e, nella misura in cui può sostituire l’uso dell’auto privata, aiuta a ridurre l’inquinamento atmosferico”.

Gli europei, dati alla mano, sembrano prenderne coscienza sempre di più. Questa voglia di nuovi stili di vita permette all’Italia di svolgere un ruolo da protagonista nel comparto. Nel 2021 la produzione dell’Unione europea ha registrato un incremento del’11% rispetto ai modelli usciti da fabbriche e stabilimenti nel 2020. Sono state immesse sul mercato 13,5 milioni di nuovi veicoli ecologici. Un mini ‘boom’ trainato anche dalle imprese tricolore. L’Italia risulta il terzo produttore europeo delle due ruote ecologiche , con 1,9 milioni di esemplari tutti nuovi. Meglio solo Portogallo (2,9 milioni) e Romania (2,5 milioni) . Dallo Stivale un contributo significativo alla trasformazione green dell’Ue.

foca monaca

Torna la foca monaca al largo dell’isola di Capraia, non si vedeva da decenni

Toh, chi si rivede: la foca monaca. Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ha certificato il ritorno del mammifero, a rischio estinzione, nelle acque del Tirreno intorno all’isola di Capraia (Livorno). Non lo si vedeva da decenni in questo specchio di mare.

Da oltre un anno, da quando è stato avvistato l’esemplare – hanno spiegato gli scienziati del’Ispra -, è in atto il monitoraggio della grotta dell’isola di Capraia (arcipelago toscano) scelto come dimora da una foca monaca. L’attività di verifica e monitoraggio ha coinvolto il Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, l’Ispra, il Comune di Capraia e la Capitaneria di Porto. La foca monaca mancava dalle acque del Tirreno centrale dagli anni Sessanta e il suo ritorno ha un enorme valore per quanto riguarda la tutela della biodiversità marina. Sino ad oggi della foca monaca esistevano immagini solo di pochi secondi effettuate con riprese occasionali a filo d’acqua. Per la prima volta si riesce a vedere l’animale all’interno della sua ‘tana’ in fase di riposo nonché nei movimenti di entrata e uscita dall’acqua. Secondo una prima stima dovrebbe trattarsi di un esemplare adulto“.

La foca monaca è una specie classificata dalla Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura) come specie minacciata di estinzione, ha nuclei riproduttivi accertati nel Mar Mediterraneo orientale principalmente in Grecia e Turchia e recentemente anche lungo le coste dell’isola di Cipro. La specie è rigorosamente protetta ai sensi della Direttiva europea Habitat ed è inclusa anche nelle principali convenzioni internazionali per la tutela della fauna e dell’ambiente (firmate e ratificate in Italia e nella maggior parte dei paesi del bacino Mediterraneo) e rappresenta il più raro mammifero marino in Europa. La foca è considerata una delle specie più minacciate del pianeta, con un contingente complessivo attuale stimato in circa settecento esemplari ripartiti tra il bacino Mediterraneo e le vicine coste dell’oceano Atlantico.

L’ultimo avvistamento di foca monaca validato da Ispra nell’Arcipelago Toscano, prima di quello di Capraia del 2020, era stato nel 2009 a Giglio Campese. Il 24 maggio 2020 un pescatore locale ha segnalato l’avvistamento di un esemplare osservato e filmato durante la sua attività di pesca. Il 9 giugno 2020 un turista, racconta di aver avvistato la foca facendo un video con il cellulare, in cui si osserva il profilo parziale di emersione dell’esemplare. A questi sono seguite altre segnalazioni di avvistamenti, privi di documentazione fotografica ma riportati dettagliatamente, avvenuti nel corso dell’estate 2020 intorno all’isola di Capraia ed un video di un esemplare osservato dai Carabinieri Forestali nell’autunno 2020 nelle acque costiere dell’isola di Pianosa.

Da subito sono stati attivati sopralluoghi e monitoraggi nell’ambito dei quali Ispra ha osservato un esemplare e raccolto evidenza di materiale biologico all’interno di una grotta dell’isola di Capraia. A partire dal 24 giugno 2020 un’ordinanza del Parco nazionale ha vietato l’accesso, in ogni forma e con ogni mezzo, nella zona, già classificata come zona B, compresa tra Punta delle Cote a nord e la Baia a sud di Punta delle Cote, nella costa occidentale dell’Isola di Capraia. Subito dopo sono state posizionate apposite telecamere di sorveglianza ed è stata allertata la Capitaneria di Porto (Direzione Marittima di Livorno) per le necessarie operazioni di presidio.

Queste immagini sono una conferma straordinaria – ha detto Giampiero Sammuri, presidente di Federparchie ripagano dell’impegno profuso negli ultimi anni. Ritengo che questo sia il risultato anche della sensibilità dei Capraiesi (con in testa l’Amministrazione comunale retta dalla sindaca Marida Bessi), della tempestività dei provvedimenti di salvaguardia adottati e dell’attivazione della vigilanza con le telecamere e con il controllo garantito dalla Capitaneria di Porto. Le immagini realizzate sono emozionanti e ringrazio le ricercatrici di Ispra per la professionalità e la passione che stanno mettendo in questo progetto che risulta essere uno dei più importanti tra i tanti condotti dal Parco Nazionale nel campo della conservazione della biodiversità. Sono certo che – anche grazie al prezioso supporto da parte di Blue Marine Foundation – avremo modo di implementare le conoscenze relative agli habitat di interesse per questa vulnerabile specie di mammifero marino e realizzare una sempre più efficace opera di sensibilizzazione sulla necessaria tutela del nostro mare“.

Le immagini ottenute in questi giorni – commentano le ricercatrici Ispra Giulia Mo e Sabrina Agnesiconfermano la valenza dell’areale del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano quale area di frequentazione della specie nonché dell’importanza delle misure spaziali di protezione e gestione offerte dal sistema dei parchi e delle aree marine protette italiane. L’allestimento di una estesa rete di monitoraggio in grado di fornire documentazione video-fotografica, come quella raccolta in questi giorni, permette di descrivere la presenza ed il grado di frequentazione di esemplari di foca monaca e di valutare l’andamento dello stato di conservazione della specie nei mari italiani nello spazio e nel tempo. Inoltre, questo sistema di raccolta dati viene condotta con protocolli e metodologie non invasive, sia in fase di installazione che di operatività, che non recano disturbo agli esemplari durante la loro permanenza in grotta. Questi primi risultati non sarebbero stati possibili senza l’efficace intervento dell’Ente Parco e delle istituzioni territoriali coinvolte per il suo tramite, che oggi partecipano a questa conferenza stampa e che ringraziamo“.

gas stoccaggio

Gli stoccaggi gas in Italia sono a livello del 2021 e -11% sul 2020

Da Cernobbio, qualche giorno fa, il commissario europeo agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, affermava che la Ue “è pronta allo stop del gas”, dato che sono “aumentati gli stoccaggi. Nelle ultime settimane infatti le scorte sono cresciute, una corsa agli acquisti su spinta degli Stati che ha anche contribuito all’impennata dei prezzi sulla borsa di Amsterdam. Per cui all’8 settembre, in base ai dati dell’Aggregated Gas Storage Inventory (Agsi), gli stoccaggi della Ue sono pieni all’82,77%. Nel dettaglio la Germania è all’86,95%, la Francia al 94%, la Spagna all’85,96% e l’Italia all’84,46%, sopra dunque la media europea ma sotto quella dei principali Stati dell’Unione. Se però confrontiamo il dato degli stoccaggi con quelli dell’8 settembre di due anni fa, anno pandemico per eccellenza, notiamo che le scorte in realtà erano addirittura superiori a quelle attuali, quando il prezzo del gas era di appena 14-15 euro per megawattora.

L’8 settembre del 2020, sempre secondo i dati Agsi, la percentuale di riempimento degli stoccaggi nella Ue era al 92,4%. La Germania si posizionava al 93,78%, la Francia al 95,89%, la Spagna al 93% e l’Italia addirittura 95,26 per cento. Rispetto a due anni fa, il nostro Paese è sotto di un 11% circa insomma.
E l’8 settembre 2021? Effettivamente, come sostiene Gentiloni, la situazione è nettamente migliorata a livello Ue. Un anno fa le scorte di gas dell’intera Unione erano piene al 69,5%. La Germania addirittura si fermava al 61,6%. Meglio la Spagna col suo 72,4%. La Francia invece era già all’86% e l’Italia stava all’83%, quindi più o meno in linea con il tasso di riempimento attuale. Un anno fa il prezzo del gas era intanto già raddoppiato rispetto al 2020, essendo salito a 30 euro/MWh.

Il confronto però nasconde una insidia non proprio trascurabile: mentre nel 2020 e nel 2021 il flusso di gas dalla Russia era blindato, adesso gli approvvigionamenti sono crollati (vedi Tarvisio) o addirittura spariti, basti considerare che il North Stream che alimenta la Germania è bloccato a tempo indeterminato. Per cui, nonostante proclami e annunci roboanti, siamo nella stessa condizione di un anno fa a livello di stoccaggi, solo che ci arriva meno gas. Tuttavia i consumi di metano, almeno in Italia, sono scesi di pochissimi punti percentuali negli ultimi mesi e il piano di contenimento dei consumi annunciato dal ministro Cingolani prevede risparmi per 8 miliardi di metri cubi circa fino a fine marzo. Per compensare il taglio di forniture dalla Russia, grazie agli accordi stretti dal governo, stanno aumentando i flussi da Algeria e Azerbaigian (via Tap), tuttavia rimane un gap di una quindicina di miliardi di metri cubi che non potranno essere coperti da un extra proveniente dagli stoccaggi, visto che sono gli stessi o addirittura inferiori rispetto agli scorsi anni.

inquinamento plastica

Italia rimandata all’esame Ue sull’attuazione delle norme ambientali

Due passi avanti e tre indietro. L’Italia viene rimandata all’esame dell’attuazione delle norme ambientali negli Stati membri presentato dalla Commissione europea, che ha definito le tendenze comuni sulla base delle 27 relazioni nazionali, con incluse le informazioni sulla protezione della qualità dell’aria e dell’acqua, la gestione dei rifiuti e la protezione della natura da parte dei 27 governi dell’Unione.

Come evidenziato dal rapporto specifico sull’Italia, il Paese mostra ancora gravi carenze su diversi dossier, come inquinamento, gestione dei rifiuti e siti naturali, mentre passi in avanti sono stati evidenziati sulla gestione idrica e sull’economia circolare. “Il riesame dell’attuazione ambientale di quest’anno è un invito all’azione“, ha spiegato il commissario europeo per l’Ambiente, gli Oceani e la Pesca, Virginijus Sinkevičius: “Se da un lato mostra i progressi compiuti in alcune aree rispetto al precedente riesame, dall’altro mi preoccupa il fatto che in altri settori il divario di attuazione si stia ancora ampliando, rendendoci tutti più vulnerabili all’inquinamento ambientale e ai rischi correlati“.

La bocciatura più grossa per l’Italia è quella sui rifiuti, per cui il Paese “continua a pagare multe per non-conformità alla normativa europea sulle acque reflue urbane, per le discariche irregolari e per la gestione dei rifiuti nella regione Campania“, sottolinea il rapporto, ma anche i nitrati nell’Italia settentrionale e l’acqua potabile nel Lazio rappresentano “importanti” problemi ambientali. Per quanto riguarda l’inquinamento, si registrano “sostanziali” superamenti dei valori-limite degli inquinanti atmosferici per il particolato fine e il biossido di azoto, soprattutto nella pianura Padana. L’esecutivo comunitario stima che nel 2019 siano stati causati circa 50 mila e oltre 10.500 decessi prematuri attribuibili rispettivamente al particolato fine e al biossido di azoto. Infine, per le aree marine devono ancora essere designati i siti Natura 2000 ed “è necessario migliorare” lo stato di conservazione di habitat e specie, la cui qualità di misurazione è “spesso insufficiente“.

I punti positivi riguardano invece l’adozione dei Piani di gestione dei bacini idrografici di terza generazione e i Piani di gestione del rischio di alluvioni di seconda generazione. Ma soprattutto “l’ambizioso Piano nazionale di recupero e resilienza” (Pnrr), che prevede “riforme-chiave in settori quali l’economia circolare, la gestione dei rifiuti con importanti investimenti nel riciclaggio e la governance dell’acqua“, ha messo nero su bianco la Commissione Ue.

maltempo

Italia divisa: forti temporali al Nord, molto caldo al Sud

Italia divisa in due con maltempo al Nord e parte del Centro e caldo africano al Sud. Per 48 ore una perturbazione atlantica porterà un sensibile peggioramento delle condizioni meteo su tutte le regioni del Nord e localmente al Centro, in particolare sul versante tirrenico ma con qualche acquazzone in transito anche verso le adriatiche. Al Sud, aldilà di qualche momento di instabilità tra Campania, Basilicata e Puglia, non si prevedono grandi scostamenti dalla fase calda e soleggiata degli ultimi giorni. La perturbazione atlantica è associata al Ciclone Peggy: questo ‘mostro’ di bassa pressione (per le dimensioni del diametro) ha stazionato una settimana sulle Isole Britanniche e, solo nelle ultime 24 ore, ha iniziato a spostarsi verso Est. Nel suo nuovo movimento causerà piogge e temporali intensi sull’Europa Centrale e, come detto, anche sull’Italia centro-settentrionale.

Andrea Garbinato, responsabile redazione del sito www.iLMeteo.it, avverte del pericolo di temporali anche intensi nelle prossime ore, con l’instabilità associata al calore accumulato negli ultimi giorni nei bassi strati. Come sempre, alla fine dell’estate avvengono i fenomeni più intensi a causa dell’energia in gioco: appena arrivano i primi impulsi freschi dal Nord Europa, lo scontro dell’aria calda ed umida con correnti di origine polare genera temporali violenti. Durante questi temporali di fine estate sono comuni grandine grossa e colpi di vento, i cosiddetti downbursts, venti orizzontali che a volte raggiungono i 100/150 km/h. In sintesi, le piogge e i temporali dapprima colpiranno il Nord-Ovest e la fascia tirrenica, poi si sposteranno anche sul comparto orientale italiano e localmente verso il meridione.

Venerdì avremo ancora instabilità soprattutto al Nord-Est e sulle regioni centrali; durante il weekend la ferita perturbata si sarà rimarginata quasi completamente: avremo prevalenza di sole ma non si escludono improvvisi temporali specie su Alpi, Prealpi centro-orientali e tutta la fascia appenninica centro-settentrionale. Il weekend resterà comunque il periodo migliore dei prossimi giorni: infatti fino a domani avremo maltempo, mentre dalla prossima settimana potrebbe nuovamente materializzarsi l’incubo nordafricano.

temporale

Tornano forti temporali con rischio grandine: sole nel week-end

Il meteo divide l’Europa: il settore nord-occidentale è colpito da giorni dal ciclone Peggy, mentre in Italia si vive una coda dell’estate con 37-38°C al sud e 33°C anche sulla Capitale; sull’Europa orientale invece sembra di essere già a novembre con massime di 10°C a Mosca e anomalie di -8/-9°C rispetto al clima del periodo, dalla Polonia all’Ucraina.
In questo contesto, il meteo italiano dei prossimi giorni sarà governato dalla ‘decisione pigra’ del ciclone irlandese (Peggy) di spostarsi verso Est: dopo quasi una settimana il minimo di bassa pressione muoverà molto lentamente verso la Danimarca, seguendo l’abbassamento della Corrente a Getto fino alle regioni alpine. La Corrente a Getto, cioè il vento a circa 10.000 metri di quota, favorirà dunque un sensibile peggioramento sul Nord Italia con temporali e rischio grandine. Avremo anche un’intensificazione del vento al suolo in particolare tra Liguria, Toscana e regioni appenniniche tra giovedì sera e venerdì. Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, conferma il passaggio di un sistema perturbato sul Nord Italia che marginalmente porterà un rapido peggioramento anche al Centro e, a luoghi, al Sud.

In sintesi, l’abbassamento di latitudine della Corrente a Getto ed il transito del Ciclone Peggy sul Nord Europa muoveranno la situazione meteo sul nostro Paese: sono attesi nelle prossime ore dei rovesci su Alpi e Prealpi in locale discesa verso le pianure adiacenti, il passaggio del fronte nella giornata di giovedì con temporali al Centro-Nord in spostamento da Ovest verso Est e vento a tratti teso; seguirà un graduale miglioramento da venerdì ma con una ventilazione occidentale a tratti ancora sostenuta.

E come sarà il weekend? Al momento la previsione indica un fine settimana in prevalenza soleggiato; ma come abbiamo visto, in questi ultimi giorni in alcune zone, anche il nostro Paese sta vivendo un mese di settembre tipico di una mezza stagione (cioè di una stagione di mezzo tra estate ed autunno): mezza stagione significa che all’improvviso potremo trovarci sotto un temporale sia sabato che domenica, ma come dice la parola stessa si tratterà di un fenomeno ‘temporale’, di breve durata. Il caldo all’estremo Sud invece non sarà temporale, sta durando da giorni e potrebbe vedere una nuova ed ulteriore intensificazione africana dalla prossima settimana: all’estremo Sud non sono arrivate ancora le mezze stagioni.

L’Italia ha pagato 8,6 mld a Putin da inizio guerra per gas e petrolio

Bloomberg scrive che l’economia russa rischia una forte crisi, Mosca invece fa sapere che quest’anno il Pil calerà di appena il 2,9%. La decisione di Mosca di interrompere il flusso del Nord Stream per alcuni osservatori sta a indicare che, senza export di metano, Putin vedrebbe ridurre drasticamente i propri introiti. Altri sostengono che le sanzioni stanno facendo male più all’Europa che alla Russia. Chi ha provato a fare luce sui numeri è il Center for Research on Energy and Clean Air (Crea), un think tank indipendente finlandese, secondo il quale la Russia ha guadagnato 158 miliardi di euro di entrate dalle esportazioni di combustibili fossili nei primi sei mesi di guerra (dal 24 febbraio al 24 agosto), poco meno di un miliardo al giorno. E la Ue ne ha importato il 54%, per un valore di circa 85 miliardi di euro. Più precisamente le esportazioni di combustibili fossili hanno contribuito con circa 43 miliardi al bilancio federale russo dall’inizio dell’invasione, contribuendo a finanziare la stessa guerra in Ucraina, sottolinea il Crea.

La principale importatrice di combustibili fossili è stata appunto la Ue (85,1 miliardi di euro), seguita da Cina (34,9 miliardi), Turchia (10,7), India (6,6), Giappone (2,5 miliardi), Egitto (2,3) e Corea del Sud (2 miliardi di euro). A sua volta, all’interno della Ue, la parte del leone la fa la Germania con 19 miliardi di euro pagati a Mosca per importare principalmente gas e petrolio, poi segue l’Olanda (11,1 miliardi soprattutto per il petrolio) nonostante sia la base della borsa che fa impazzire il prezzo del gas e nonostante sia seduta su decine di miliardi di metri cubi inutilizzati a Groningen, al terzo posto l’Italia che in 180 giorni ha versato nelle casse di Putin 8,6 miliardi pari a circa 50 milioni al giorno per ricevere in cambio gas via Tarvisio (sempre meno), petrolio, derivanti dal petrolio e un po’ di carbone (materia prima sulla quale è scattato l’embargo a inizio agosto). In pratica il nostro Paese durante i sei mesi che hanno sconvolto il mondo ha versato più soldi a Putin dell’India, che recentemente ha confermato di non voler applicare sanzioni verso il Cremlino e di voler intensificare gli acquisti di metano e greggio da Mosca. Fuori dal podio europeo troviamo infine la Polonia (7,4 miliardi di euro di prodotti fossili importati), Francia (5,5 miliardi), Bulgaria (5,2), Belgio (4,5) e Spagna 3,3).

Tornando sull’Italia nei due mesi che hanno preceduto il blocco all’import di carbone russo, abbiamo continuato a comprarne in compagnia di Olanda, Polonia, Germania e Spagna. Più o meno gli stessi Paesi che nelle ultime settimane si sono convertiti al carbone sudafricano che parte dal Richards Bay Coal Terminal benché la domanda fosse già cresciuta del 40% da gennaio a maggio. A proposito di carbone, ieri il prezzo del Newcastle Coal ha toccato i massimi a 463 euro a tonnellata. Ad agosto, i ricavi e i volumi delle esportazioni di combustibili fossili della Russia sono leggermente rimbalzati dal minimo raggiunto a giugno, nonostante le esportazioni russe siano diminuite del 18% rispetto al livello record raggiunto all’inizio dell’invasione (febbraio-marzo). Infatti rispetto all’inizio dell’invasione, le riduzioni delle importazioni di combustibili fossili russi sono costate al Paese 170 milioni di euro al giorno in mancate entrate in luglio e agosto. Il calo complessivo dei volumi delle esportazioni è stato determinato da un calo delle esportazioni verso la Ue, che sono diminuite del 35%.

Da notare infine un dato: dopo l’Europa il più grande importatore dalla Russia è la Cina. E la spesa maggiore di Pechino è per il petrolio, per il quale ha investito circa 25 miliardi. Il gas? Pesa molto meno dell’import di carbone: un paio di miliardi per il metano, quasi 4 per il carbone. E pure l’India è affamata di petrolio e non di gas. Per cui sorge una domanda: se il gas russo non va in Europa, a chi lo venderà Mosca?

(Photo credits: Odd ANDERSEN / AFP)

Orsa morta in Trentino, l’esperto Ispra: “Convivenza uomo-animale è possibile”

Fa discutere la morte dell’orsa F43, deceduta la scorsa notte in val di Ledro in Trentino durante la fase di cattura svolta dalla Provincia autonoma di Trento. L’animale, nato nel 2018 e già controllato da un radio collare, ha perso la vita durante la sostituzione dell’attrezzatura che serviva per monitorare i suoi spostamenti. Dai primi accertamenti dell’equipe veterinaria è emerso che l’animale è deceduto a seguito della posizione assunta nella trappola a forma di tubo nel momento in cui l’anestetico ha fatto effetto.

L’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) ha già annunciato un’immediata richiesta di accesso agli atti per conoscere nel dettaglio quanto effettuato e accaduto. “Ci chiediamo ancora una volta – dichiara la delegata dell’Oipa di Trento, Ornella Dorigatti -, come sia possibile gestire così la presenza degli orsi, come sia possibile continuare a far morire animali selvatici in operazioni che richiedono competenza e accuratezza. La Provincia autonoma di Trento è ancora ben lontana dall’attuare una seria azione di prevenzione e una seria progettazione di azioni volte a una serena convivenza con la fauna selvatica. La procedura di cattura degli orsi mette a repentaglio la loro vita e ci chiediamo perché ci si ostini nel perseguitare questi meravigliosi animali“. “La necessità di monitorare in modo intensivo soggetti problematici e di cercare di modificarne il comportamentohanno invece riferito dalla Provincia di Trento – può comportare incidenti come quello occorso, dati i rischi intrinseci in operazioni delicate, condotte spesso in contesti e condizioni ambientali non facili“.

Ma la convivenza, nello stesso habitat, di uomini e animali, è possibile? Ne è convinto Piero Genovesi, responsabile del servizio coordinamento fauna dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) raggiunto da GEA. “Quello verificatosi in Trentino – spiega – è un tipo di criticità legato all’abituazione di questi animali. Cioè gli orsi stanno imparando sempre di più a stare vicino agli uomini, perché qui trovano fonti di cibo accessibili. Questo cambiamento delle abitudini degli animali rappresenta delle criticità per l’uomo, perché ad esempio gli orsi entrano sempre di più nei centri abitati, ma anche per gli animali stessi. Occorre quindi prevenire in loro comportamenti di confidenza e agire per modificarli“.

Per Genovesi è dunque importante “evitare che gli animali abbiano accesso a fonti di cibo umano realizzando ad esempio cassonetti a prova di orso o regolamentando il compost. Inoltre bisogna evitare assolutamente di dare loro da mangiare e intervenire per mettere in sicurezza gli apiari con recinzioni elettriche, dal momento che gli orsi sono ghiotti di miele. Nonostante gli sforzi fatti finora, gli animali nel tempo hanno manifestato sempre più vicinanza all’uomo, quindi bisogna proseguire con l’impegno a modificare i loro comportamenti“. È per questo infatti che nei territori in cui vivono, gli orsi più ‘affezionati’ all’uomo vengono catturati e dotati di radio collare. In questo modo si registrano i loro movimenti e si può intervenire tempestivamente per prendere provvedimenti.

Nel caso di F43, prosegue Genovesi, si tratta di “una femmina nata nel 2018, parente di altri orsi che avevano un comportamento di confidenza con l’uomo. Per questo nel 2021 le è stato applicato un radio collare. La corretta gestione di questi animali infatti richiede un radio marcaggio e un’anestesia. Come ogni anestesia, si pensi ad esempio all’uomo, questa rappresenta sempre un margine di rischio in animali selvatici. I protocolli sono sempre più consolidati, ma la morte in anestesia è un evento che si può verificare. È comunque anomalo e per questo andrà indagato“.

Infine un piccolo vademecum nel caso in cui ci si dovesse imbattere in un orso durante una passeggiata in montagna. “Mi è capitato un paio di settimane fa in Abruzzo – conclude Genovesi -, è un evento fortunato e bellissimo; l’importante è non farsi prendere dal panico e non cercare di avvicinare l’animale. Bisogna tenersi a debita distanza e se l’orso è vicino, allontanarsi con calma non dandogli mai le spalle, parlando a voce alta per fargli avvertire la nostra presenza. Ma in generale sono animali pacifici e inoffensivi che possono benissimo condividere gli stessi spazi vissuti dall’uomo“.