Usa, 12 Stati in rivolta contro Trump: “Dazi illegali, facciamo causa al governo”

“Il Congresso non ha concesso al presidente l’autorità di imporre queste tariffe, pertanto l’amministrazione ha violato la legge imponendole tramite ordini esecutivi, post sui social media e ordini delle agenzie”. Queste le parole con cui una coalizione di 12 Stati americani ha annunciato una causa legale contro l’amministrazione Trump per la nuova politica commerciale sui dazi, definita “illegale”. I governi statali sostengono che il presidente non abbia il potere di imporre arbitrariamente tariffe e che abbia in questo modo scavalcato il parlamento.

Già la California, il 16 aprile scorso, aveva annunciato di aver avviato una causa contro la Casa Bianca. Ora procedure legali analoghe sono state presentata in Arizona, Colorado, Connecticut, Delaware, Illinois, Maine, Minnesota, Nevada, New Mexico, New York, Oregon e Vermont: solo Nevada e Vermont non sono a guida democratica, bensì governati da repubblicani. I dazi emessi ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa) dall’amministrazione Trump “aumentano le tasse sulle importazioni da quasi tutti i paesi del mondo, compresi i più stretti alleati e partner commerciali degli Stati Uniti, e hanno già causato gravi danni economici”, spiega la nota diffusa tra gli altri dall’ufficio della procuratrice generale di New York, Letitia James. “Trump non ha il potere di aumentare le tariffe a suo piacimento, ma è esattamente ciò che ha fatto con questi dazi. Ha promesso che avrebbe abbassato i prezzi e alleggerito il costo della vita, ma questi dazi illegali avranno l’effetto esattamente opposto sulle famiglie americane. Se non venissero fermati porteranno a maggiore inflazione, disoccupazione e danni economici” ha ammonito James, membro del partito democratico e procuratrice generale di New York dal 2019.

Secondo quanto sottolineato dalla coalizione, “l’Ieepa al massimo consente al presidente di imporre dazi in risposta a minacce straordinarie o a un’emergenza specifica. Tuttavia da febbraio il presidente Trump ha imposto unilateralmente dazi doganali ingenti contro i partner commerciali più stretti dell’America. Questi dazi sono stati ampliati con una serie di annunci ad aprile, fino a coprire quasi tutti i paesi del mondo, compresi luoghi non coinvolti nel commercio internazionale, come le isole Heard e McDonald, che non hanno alcuna popolazione umana nota”. La causa è stata presentata alla Corte del commercio internazionale di New York (Us Court of International Trade) e chiede un’ordinanza che sospenda i dazi “e impedisca all’amministrazione Trump di applicarli o implementarli”. Nel documento la coalizione dei 12 Stati sostiene che “la legge non è stata concepita per consentire al presidente di imporre dazi unilaterali e indiscriminati a livello mondiale” e che l’amministrazione Trump “abbia abusato della propria autorità e violato la Costituzione e l’Administrative Procedure Act”.

Duro il commento della governatrice di New York, Kathy Hochul, secondo cui “le tariffe sconsiderate del presidente Trump hanno fatto schizzare alle stelle i costi per i consumatori e scatenato il caos economico in tutto il Paese. New York si sta mobilitando per contrastare il più grande aumento delle tasse federali nella storia americana. Con la procuratrice generale stiamo collaborando in questa causa per conto dei consumatori di New York, perché non possiamo permettere che il presidente Trump spinga il nostro Paese in recessione”.

La nota dell’ufficio della Procura generale di NY cita un rapporto del New York City Comptroller che ha stimato che anche una lieve recessione causata dalle tariffe porterebbe alla perdita di oltre 35.000 posti di lavoro nella sola città di New York e le agenzie statali potrebbero dover pagare “oltre 100 milioni di dollari di costi aggiuntivi a causa dell’aumento dei prezzi”. Le tariffe di ritorsione imposte dal Canada sulle centinaia di milioni di dollari di elettricità che New York importa ogni anno “causerebbero un’impennata delle bollette energetiche dei newyorkesi” e in tutto lo Stato, le piccole imprese che dipendono dalle importazioni “stanno già vacillando per la minaccia di prezzi più elevati e l’incertezza causata dalle politiche dell’amministrazione”.

Non è l’unica causa intentata contro l’amministrazione Trump ma si tratta della seconda (in ordine di tempo) che riguarda i dazi. La California, la scorsa settimana, aveva annunciato di aver avviato procedure legali per contestare l’autorità esecutiva di Trump di emanare dazi internazionali “senza l’approvazione del Congresso”. Lo stesso governatore democratico Gavin Newsom ha assunto un ruolo di primo piano in una delle 15 cause intentate contro il governo federale, segnalando un potenziale allontanamento dal suo approccio più riservato nei confronti del presidente. La California, che secondo l’ufficio del governatore ha registrato quasi 675 miliardi di dollari di scambi commerciali bilaterali lo scorso anno, rischierebbe di perdere miliardi di entrate statali a causa delle politiche tariffarie. Messico, Canada e Cina rappresentano i tre maggiori partner commerciali dello Stato. “I dazi illegali stanno creando il caos tra le famiglie, le imprese e l’economia della California, facendo salire i prezzi e minacciando posti di lavoro – aveva dichiarato Newsom -. Stiamo difendendo le famiglie americane che non possono permettersi che il caos continui”.

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Meloni vede Vance, ‘dialoga’ per Ue ma non può negoziare. Trump valuta incontro con Vdl

Washington-Bruxelles, via Roma. Per dirimere il nodo dei dazi, Giorgia Meloni continua a porsi da ponte tra Donald Trump e Ursula von der Leyen.

La premier, che ieri ha avuto il bilaterale col presidente americano alla Casa Bianca, oggi accoglie JD Vance a Palazzo Chigi. Prima e dopo, si tiene in contatto con la presidente della Commissione europea. “Come sapete abbiamo avuto un fantastico incontro ieri alla Casa Bianca a Washington e questa presenza è un’altra grande occasione per rafforzare la nostra cooperazione bilaterale“, spiega la prima ministra prima dell’incontro a porte chiuse. Due ore di colloquio con, a seguire, un pranzo di lavoro anche con i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani. E’ il vicepresidente a precisare che il confronto sui negoziati commerciali con Bruxelles sarebbe proseguito, per il momento, con Roma. La premier insomma dialoga per conto dell’Unione, ma non ha poteri negoziali. Nella dichiarazione congiunta sull’incontro con Trump diffusa dalla Casa Bianca, viene ribadito che il tycoon ha accettato l’invito in Italia, ma si sottolinea che un eventuale incontro con i vertici europei, in quella occasione, è ancora in valutazione. Nel documento, i due leader si dicono concordi ad “adoperarsi per garantire che il commercio tra gli Stati Uniti e l’Europa sia reciprocamente vantaggioso ed equo”.

Sull’Ucraina, Vance annuncia che nelle ultime 24 ore c’è stata una evoluzione. “Aggiornerò il primo ministro, pensiamo di avere alcune cose interessanti da riferire”, afferma, ribadendo quello che già ha comunicato ieri Trump: “Siamo ottimisti e speriamo di poter porre fine a questa guerra brutale“. Nella dichiarazione congiunta Meloni e Trump “sostengono pienamente” la leadership del presidente degli Stati Uniti nel negoziare un cessate il fuoco per “garantire una pace giusta e duratura“.

Tutti gli altri dossier sul tavolo parlano di un “rapporto privilegiato” tra i due Paesi e di una collaborazione sempre più stretta tra Roma e Washington sui più svariati fronti: dall’energia (l’Italia importerà più Gnl dagli Stati Uniti) alla sicurezza, passando per l’economia, lo spazio e la tecnologia. L’impegno di Trump è anche sulla valorizzazione del Piano Mattei:Valuteremo la possibilità di sfruttare il potenziale del Piano“, scrivono nella dichiarazione. E fanno riferimento all’Italia come “hub per il Mediterraneo e il Nord Africa” parlando di investimenti americani nell’intelligenza artificiale e nei servizi cloud in Italia per “massimizzare le opportunità della trasformazione digitale”.

Washington entra invece nello sviluppo dell’Imec, il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa che, si legge, “stimolerà lo sviluppo economico e l’integrazione dall’India, al Golfo, a Israele, all’Italia e fino agli Stati Uniti. Seguendo l’esempio del successo dell’approccio degli Accordi di Abramo del presidente Trump, gli Stati Uniti e l’Italia coopereranno su progetti infrastrutturali cruciali“.

Nel capitolo Difesa, si cita l’“impegno incondizionato nei confronti della Nato” e l’impegno a “garantire che la sicurezza nazionale e la difesa siano allineate e finanziate in modo da poter affrontare le sfide di oggi e, soprattutto, i rischi di domani”. Una collaborazione basata su una “catena di approvvigionamento transatlantica profonda ed estesa“, anche in materia di “attrezzature e tecnologie di difesa“, cioè di armi, “compresa la coproduzione e lo sviluppo congiunto“.

Avanti insieme anche in orbita, con le due missioni spaziali per Marte 2026 e 2028 e l’esplorazione della superficie lunare nelle future missioni Artemis. E con, anche se non viene citata Starlink, la protezione dei dati: “Mentre passiamo alle tecnologie del futuro e le innoviamo, come il 6G, l’intelligenza artificiale, l’informatica quantistica e le biotecnologie, ci impegniamo anche a esplorare opportunità per rafforzare le partnership in questi settori critici che proteggono i nostri dati da avversari che potrebbero sfruttarli“. Alla fine del colloquio, Trump torna a elogiare la prima ministra: “E’ stata grandiosa ieri, ama il suo Paese e l’impressione che ha lasciato su tutti è stata fantastica“, scrive su Truth. “Grazie, presidente“, risponde lei su X: “Continueremo a lavorare insieme per rafforzare il legame tra i nostri popoli e affrontare con determinazione le sfide globali”.

Ancora braccio di ferro Usa-Cina. Trump al mondo: “Isolare Pechino per dazi più leggeri”

Pechino e Washington continuano il braccio di ferro sui dazi, alimentando l’incertezza sull’esito di una guerra commerciale che potrebbe causare una crisi degli scambi nell’intero pianeta, avverte l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Intanto, Donald Trump continua a dettare la linea: secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, il presidente americano sta utilizzando le trattative sui dazi per mettere i partner commerciali al muro: per alleggerire le tariffe, la Casa Bianca chiede di isolare Pechino, limitando i legami economici con i cinesi.

Se gli Stati Uniti vogliono davvero risolvere il problema attraverso il dialogo e la negoziazione, devono smettere di minacciare, ricattare e litigare con la Cina sulla base”, afferma Lin Jian, un portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese. Solo ieri, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt aveva affermato che la palla è ora “nel campo di Pechino. Trump “ha chiaramente affermato ancora una volta di essere aperto a un accordo con la Cina. Ma è la Cina che ha bisogno di un accordo con gli Stati Uniti” e non il contrario, ha spiegato alla stampa.

Intanto dal presidente della Federal Reserve, Jerome H. Powell, non arrivano buone notizie per la Casa Bianca: “Nonostante l’aumento dell’incertezza e dei rischi negativi, l’economia statunitense è ancora in una posizione solida“, ma i dati finora disponibili sul Pil “suggeriscono che nel primo trimestre la crescita è rallentata rispetto al solido ritmo dello scorso anno” e “le indagini condotte presso le famiglie e le imprese segnalano un forte calo del sentiment e un’elevata incertezza sulle prospettive, soprattutto a causa delle preoccupazioni legate alla politica commerciale“. Ovvero i dazi che, spiega Powell, potrebbero portare a un aumento dell’inflazione e un rallentamento della crescita.

L’incertezza sul commercio mondiale potrebbe in ogni caso “avere gravi conseguenze negative”, soprattutto per le economie più vulnerabili, commenta il direttore generale dell’Omc, Ngozi Okonjo-Iweala.

La sospensione temporanea dei dazi statunitensi più importanti attenua la contrazione degli scambi, ma il calo del commercio mondiale di merci potrebbe raggiungere fino all’1,5% in volume nel 2025, a seconda della politica protezionistica di Donald Trump, secondo le previsioni annuali dell’OMC.

Ma anche la Banca Mondiale stima che la guerra commerciale lanciata dal presidente degli Stati Uniti sta portando a un aumento “dell’incertezzache causerà un rallentamento della crescita rispetto a quella di qualche mese fa, ha detto il presidente dell’istituzione, Ajay Banga.

Inoltre, il Fitch Ratings ha drasticamente rivisto al ribasso le previsioni sulla crescita mondiale “in risposta alla recente escalation della guerra commerciale globale”. L’aggiornamento speciale del Global Economic Outlook trimestrale riduce la crescita mondiale nel 2025 di 0,4 punti e la crescita di Cina e Stati Uniti di 0,5 punti percentuali rispetto al report di marzo. Si prevede quindi che la crescita mondiale scenderà al di sotto del 2% quest’anno; escludendo la pandemia, questo sarebbe il tasso di crescita globale più debole dal 2009. Entrando nel dettaglio, la crescita annua degli Stati Uniti rimarrà positiva all’1,2% per il 2025, ma rallenterà lentamente nel corso dell’anno, attestandosi ad appena lo 0,4% su base annua nel quarto trimestre del 2025. Si prevede che la crescita della Cina scenderà al di sotto del 4% sia quest’anno che il prossimo, mentre la crescita nell’eurozona rimarrà ben al di sotto dell’1%.

Le nuove frontiere aperte da Donald Trump, che prendono di mira alcuni minerali e oggetti elettronici, pesano sulle borse mondiali, con i titoli tecnologici che soffrono in particolare delle restrizioni sui chip imposte al gigante americano del settore Nvidia.

La Borsa di New York ha aperto in ribasso, con il Dow Jones in calo dello 0,35%, il Nasdaq in calo dell’1,92% e l’indice S&P 500 in calo dell’1,01%. In Europa, nonostante una giornata in rosso, i mercati hanno chiuso per lo più in positivo, Francoforte ha guadagnato lo 0,27%, Londra lo 0,32% e Milano lo 0,62%. Parigi è rimasta in equilibrio (-0,07%). I mercati asiatici hanno invece chiuso in ribasso, come la borsa di Tokyo (-1,01%).

La Cina, che mercoledì ha pubblicato una crescita economica del 5,4% nel primo trimestre del 2025, più forte del previsto, ha inoltre sospeso la ricezione di tutti gli aerei prodotti dalla statunitense Boeing. Una mossa denunciata dal presidente americano, che ha affermato sul suo network Truth Social che la Cina si era ritirata per aerei che erano comunque “coperti da impegni fermi”. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, Pechino ha anche chiesto alle compagnie aeree del paese “di interrompere qualsiasi acquisto di attrezzature e pezzi di ricambio per aerei da aziende americane”.

La Cina sembra anche determinata a colpire l’agricoltura americana: la federazione degli esportatori di carne americani ha confermato all’Afp che le licenze della maggior parte degli esportatori di carne bovina non sono state rinnovate da metà marzo.

Il presidente cinese Xi Jinping prosegue in Malesia il suo tour nel sud-est asiatico per cercare di organizzare una risposta coordinata ai dazi americani.

Washington ha imposto una tassa del 145% sui prodotti cinesi che entrano nel suo territorio, che si aggiungono a quelli esistenti prima del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, per un totale che può quindi raggiungere il 245%. Pechino ha risposto con una sovrattassa che ora raggiunge il 125% per i prodotti americani. Il presidente americano ha tuttavia mitigato le minacce, esentando computer, smartphone e altri prodotti elettronici, nonché i semiconduttori, la maggior parte dei quali proviene dalla Cina.

Per tutti gli altri paesi, i dazi reciproci superiori a una soglia minima del 10% sono stati sospesi per 90 giorni, aprendo la porta ai negoziati da parte del presidente americano.

Il presidente americano ha inoltre annunciato che prenderà parte ai negoziati previsti mercoledì a Washington con il ministro inviato dal Giappone, Ryosei Akazawa, per trovare un accordo sui dazi doganali.

Nelle discussioni che si annunciano, l’Unione Europea è “in posizione di forza”, ha assicurato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, alla rivista tedesca Die Zeit, perché “noi europei sappiamo esattamente cosa vogliamo e quali sono i nostri obiettivi”.

Un altro paese nel mirino di Trump, il Canada, ha fatto una concessione ai costruttori automobilistici: si tratterebbe di lasciar loro importare un certo numero di veicoli fabbricati negli Stati Uniti in cambio del loro impegno a mantenere la produzione in Canada, senza dazi doganali. Ottawa ha imposto dazi del 25% su questi prodotti come rappresaglia per il 25% imposto da Washington sulle automobili consegnate negli Stati Uniti.

Oltre alle automobili, Donald Trump ha anche imposto dazi del 25% su acciaio e alluminio. Potrebbe fare lo stesso con i semiconduttori e i prodotti farmaceutici nelle prossime settimane.

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Meloni in missione da Trump per conto dell’Ue: “Fase complessa, serve lucidità”

La trattativa è delicata e sarà fatta per conto dell’Unione europea. A poche ore dalla sua partenza per Washington, dove domani Donald Trump la attende alla Casa Bianca, Giorgia Meloni sente la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Al centro del colloquio il nodo dei dazi che il tycoon americano ha annunciato anche per i prodotti provenienti dall’Unione europea e poi messo in pausa per 90 giorni.

L’incontro è un bilaterale, ma Roma e Bruxelles confermano che la premier parla in stretto contatto e per conto di tutta l’Ue. La Commissione non divulga nessuna “lettura specifica” della telefonata tra Meloni e von der Leyen, ma assicura che “i messaggi sono in linea con quanto detto nei giorni precedenti, hanno coordinato questa visita”. Di certo, il viaggio della premier italiana non è visto come una spaccatura all’interno dell’Unione: “Qualsiasi azione di contatto con l’amministrazione statunitense è più che benvenuta”, chiarisce la portavoce della Commissione Arianna Podestà, ricordando però che la competenza negoziale è soltanto di Bruxelles.

In questa fase tanto complessa quanto in rapida evoluzione è necessario ragionare con lucidità, lavorare con concretezza, lavorare con pragmatismo“, commenta Meloni in un videomessaggio inviato all’Assemblea Generale del Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano.

Ieri sera, sul tema, la presidente del Consiglio ha convocato un vertice di governo con i vice Antonio Tajani e Matteo Salvini e il ministro della Difesa Guido Crosetto.

Sul tavolo con Trump, ci sarà anche la possibilità di un aumento dei volumi di Gnl acquistati dagli Stati Uniti, grandi esportatori di gas. Lo scorso anno, ricorda il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto, l’Europa ha acquistato la metà del Gnl da Washington: “L’interesse c’è”, conferma, ribadendo però che “il negoziato con le controparti è condotto dalla Commissione Europea, con il supporto e sotto il controllo degli Stati membri”.

E anche se per il momento la Casa Bianca sembra respingere la proposta dell’Ue per i dazi zero sull’industria, l’obiettivo del governo resta quello di “riunificare” l’Occidente, ridurre le tensioni e aprire la strada a una grande area di libero scambio tra Nord America, Stati Uniti, Canada, Messico e Unione europea. Perché, mentre davanti allo spettro dei dazi l’Italia ha guardato a Est per rafforzare i rapporti commerciali sulla via del Cotone con l’India, con i Paesi del Golfo e con il Giappone, ora la guerra commerciale si profila soprattutto su due blocchi: Washington e Pechino.

Trump chiede al mondo di isolare la Cina, per avere dei dazi più leggeri. Il faro italiano però, garantisce il governo, è puntato sull’area atlantica. “Quando c’è la tempesta, l’Italia guarda i valori fondamentali della nostra civiltà e manteniamo salda la bussola che va verso Occidente”, spiega il ministro delle Imprese, Adolfo Urso. “Altri invece – punta il dito – perdono il senso di marcia, o di navigazione, e finiscono a Oriente”. Poi la denuncia si fa più esplicita: “Sono preoccupato dalle reazioni che si possono innescare, come l’invasione anomala di prodotti nel nostro continente. Su questo, abbiamo già sollecitato nelle forme dovute la Commissione Ue per predisporre le misure di salvaguardia a fronte della strategia Usa per arginare i prodotti cinesi”. L’inquilino di Palazzo Piacentini si dice certo che la missione di Meloni a Washington possa facilitare confronto Usa-Ue : “La strada maestra è il dialogo, la nostra proposta strategica è un’area atlantica di libero scambio in modo da creare, quando ci saranno le condizioni, il più grande bacino commerciale del pianeta”, scandisce.

La presidente del Consiglio resterà a Washington solo una manciata di ore. Già domani sera ripartirà per Roma, dove venerdì la attende l’incontro con il vice di Trump, J.D. Vance.

Dazi, Meloni si prepara all’incontro con Trump: “So cosa cosa vado a difendere”

Dopo una sfilza di appuntamenti annullati per preparare al meglio il doppio bilaterale con i vertici degli Stati Uniti, Giorgia Meloni si concede una battuta durante la cerimonia di consegna dei Premi Leonardo a Roma. “Come potete immaginare, non sento alcuna pressione per i prossimi due giorni…”, dice sorridendo.

La premier vedrà il presidente Donald Trump a Washington il 17 aprile e il vice Jd Vance il giorno successivo, il 18 aprile, a Roma. L’ansia è plastica, ma la presidente del Consiglio è determinata. Il momento, ammette, è “difficile”, ma si dice “consapevole” di “quello che rappresento e di quello che sto difendendo”. “Abbiamo superato ostacoli ben peggiori”, ricorda, quasi a farsi forza. E promette: “Vedremo come andrà, ma faremo del nostro meglio”.

La incoraggiano le imprese: “Lei non è sola, gli imprenditori italiani e dell’Europa produttiva sono tutti con lei. Siamo fiduciosi nella missione che farà in questi giorni”, le assicura dal palco il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. L’industriale domanda “risposte concrete”, in un momento di incertezza come questo: “Speriamo e ci aspettiamo che il Presidente degli Stati Uniti nell’incontro con Meloni riesca a trovare una sintesi positiva per l’Europa”, fa sapere ai cronisti. Bene che la premier “vada a nome di tutta l’Europa”.

Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, rassicura le imprese, supportate dall’esecutivo con un “impegno politico”. “Il governo sta facendo di tutto per sostenerle a occupare spazi di mercato sempre più importanti, dialogando e cercando il confronto. Nessuna impresa deve sentirsi sola, le nostre ambasciate dovranno sempre più essere trampolino di lancio delle imprese nel mondo”, afferma Tajani. Solo il mese scorso, con le prime minacce del tycoon newyorkese, il governo ha presentato un Piano strategico per l’export, per allargare la cooperazione in nuovi mercati e rafforzare quelli in cui l’Italia è già presente. Il vicepremier torna da una missione in India e Giappone che aveva esattamente questo scopo.

L’inquilino della Farnesina invita a non farsi spaventare dalle difficoltà: “Il danno maggiore l’ha fatto il panico”, osserva, rivendicando: “Avevamo ragione a dire che dovevamo stare calmi, la calma è la virtù dei forti”. Guarda al viaggio della premier come a una “missione di pace commerciale”.

Meloni sarà a Washington “nello spirito europeo”, conferma il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, per “facilitare il negoziato in corso, consentendo a tutti di guardare ad una prospettiva positiva”.

A fine giornata, Meloni convoca a Palazzo Chigi un vertice di governo in vista della partenza. Alla riunione partecipano i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro della Difesa Guido Crosetto e il ministro degli Affari europei Tommaso Foti.

Anche se per il momento la Casa Bianca sembra respingere la proposta dell’Unione europea per i dazi zero sull’industria, la bussola del governo resta quella di riunificare l’Occidente, ridurre le tensioni e aprire la strada a una grande area di libero scambio tra Nord America, Stati Uniti, Canada, Messico e l’Unione europea. La missione è tutt’altro che semplice. Sulla fune, in punta di piedi, Meloni dovrà anche tentare di non spezzare gli equilibri già fragili di Bruxelles.

Trump medita il rinvio dei dazi sulle auto. La Cina blocca le consegne di nuovi aerei Boeing

Donald Trump sta valutando di esentare temporaneamente le case automobilistiche dai dazi per dare loro il tempo di adattare le proprie catene di approvvigionamento, per fare in modo “di trasferire le produzioni da Canada e Messico e altri Paesi negli Stati Uniti”. Resta la minaccia su chip e farmaci, su cui il presidente americano “ha una timeline, che è in un futuro non tanto lontano”.

Intanto, spuntano nuove tariffe sui pomodori messicani, tassati del 20,9%, mentre la Cina avvia pesanti misure di ritorsione, prima bloccando l’export di terre rare e poi ordinando alle sue compagnie aeree di non accettare ulteriori consegne di aerei Boeing.

Seul, invece, stanzia 4,9 miliardi in funzione anti dazi Usa sui microchip, citando la “crescente incertezza” che sta attraversando il settore chiave a causa delle nuove imposte. La Corea del Sud esporta gran parte della sua produzione negli Stati Uniti e i suoi settori cruciali dei semiconduttori e dell’automotive soffrirebbero notevolmente a causa dei dazi del 25% che il presidente Donald Trump minaccia di imporre.

Dal canto suo, l‘Europa “è pronta a un accordo giusto, inclusa la reciprocità attraverso zero tariffe sui beni industriali. Ma servirà un significativo sforzo da entrambe le parti”, ha detto il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic dopo un incontro con l’omologo americano Lutnick. Accordo che, secondo quanto riferisce Bloomberg, Trump è pronto a rispedire al mittente. “Sto valutando qualcosa per aiutare alcune case automobilistiche in questo” ha detto Trump ai giornalisti riuniti nello Studio Ovale. Il presidente ha affermato che i produttori di auto hanno bisogno di tempo per spostare la produzione da Canada, Messico e altri paesi. “Produrranno qui, ma serve un po’ di tempo“, ha spiegato. Un’apertura che ha portato le Borse europee a chiudere in rialzo. La Borsa di Parigi ha registrato +0,86%, Francoforte +1,43%, Londra +1,41% e Milano +2,39%.

La Cina, intanto, resta sempre il bersaglio preferito del repubblicano. La visita del presidente Xi Jinping nel Sudest Asiatico, cominciata in Vietnam, proseguita oggi in Malesia e che prevede come ultima tappa la Cambogia, è stata oggetto di pesanti critiche. La Cina e il Vietnam stanno cercando “di capire come fregare gli Stati Uniti d’America”, ha scritto Trump sul social Truth. Pechino, ha detto il presidente Usa, “è stata brutale con i nostri agricoltori” che “vengono sempre messi in prima linea con i nostri avversari, come la Cina, ogni volta che c’è una negoziazione commerciale o, in questo caso, una guerra commerciale”. Noi, ha aggiunto, “li proteggeremo”.

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Dazi, Trump non cede: “Presto anche su farmaci e semiconduttori”. Missione di Xi in Vietnam

Photo credit: AFP

Incoraggiati dall’annuncio di Washington di esenzioni per i prodotti ad alta tecnologia, i mercati finanziari hanno registrato andamenti positivi, nonostante Donald Trump abbia continuato a esercitare pressioni sui partner commerciali degli Stati Uniti, primo fra tutti la Cina. Il presidente americano ha avvertito che nessun Paese è “fuori pericolo” di fronte alla sua offensiva doganale, “soprattutto non la Cina che, di gran lunga, ci tratta peggio”, ha tuonato sul suo social network Truth. L’avvertimento arriva all’indomani dell’esenzione dai dazi – fino al 145% per la Cina – concessa dalle autorità statunitensi su prodotti high-tech, in primis smartphone e computer, e sui semiconduttori. Il leader americano dichiara però che annuncerà “entro la settimana” nuove sovrattasse sui semiconduttori che entrano negli Stati Uniti, che “saranno in vigore in un futuro non troppo lontano”. Stesso discorso per i prodotti farmaceutici: “Andremo a produrre i nostri farmaci e le nostre industrie farmaceutiche dovranno battere posti come la Cina”. Per questo “io ho una timeline, in un futuro non troppo distante”, ha confermato parlando ai giornalisti durante un bilaterale alla Casa Bianca con l’omologo di El Salvador, Nayib Bukele.  Per quanto riguarda gli smartphone e gli altri dispositivi elettronici, “saranno annunciati molto presto, ne discuteremo, ma parleremo anche con le aziende”, ha aggiunto il leader, senza entrare nei dettagli, a bordo dell’Air Force One. “Sai, bisogna mostrare una certa flessibilità” per “certi prodotti”, ha aggiunto. In precedenza, il suo segretario al Commercio, Howard Lutnick, aveva accennato alle imminenti tariffe settoriali sui semiconduttori, “probabilmente tra un mese o due”, nonché sui prodotti farmaceutici. “Non possiamo contare sulla Cina per i beni fondamentali di cui abbiamo bisogno. I nostri medicinali e semiconduttori devono essere prodotti in America”, ha dichiarato Lutnick in un’intervista ad ABC. Annunci americani in contrasto con quanto richiesto dalla Cina, in un momento in cui il conflitto commerciale innescato dagli Stati Uniti sta facendo impazzire i mercati finanziari, con azioni che vanno su e giù come montagne russe, prezzi dell’oro ai massimi e il mercato del debito americano sotto pressione. Se il Ministero del Commercio cinese ha riconosciuto il “piccolo passo” fatto da Washington con la sua posizione ammorbidita sui prodotti high-tech, “esortiamo gli Stati Uniti a fare un grande passo per correggere i loro errori, annullare completamente la cattiva pratica dei dazi reciproci e tornare sulla retta via del rispetto reciproco”, ha dichiarato domenica un portavoce in un comunicato. Il protezionismo “non porta da nessuna parte”, ripete il presidente cinese Xi Jinping, in un discorso riportato lunedì dall’agenzia ufficiale China News. “I nostri due Paesi devono salvaguardare fermamente il sistema commerciale multilaterale, la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento globali e un ambiente internazionale di apertura e cooperazione”, ha sottolineato il leader, che lunedì ha iniziato una visita in Vietnam, prima di dirigersi in Malesia e Cambogia, per rafforzare le relazioni commerciali del suo Paese. Durante un colloquio con il leader vietnamita To Lam il presidente cinese ha invitato il Vietnam ad unirsi alla Cina per “opporsi congiuntamente alle prepotenze”. “Dobbiamo rafforzare le nostre relazioni strategiche, opporci congiuntamente alle intimidazioni e mantenere la stabilità del sistema globale di libero scambio, nonché delle catene industriali e di approvvigionamento”, ha detto Xi . In questo contesto di tensione, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) ha leggermente rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita della domanda di petrolio per il 2025, citando in particolare i dazi doganali statunitensi, secondo il suo rapporto mensile pubblicato lunedì. Pur continuando a colpire la Cina nel corso della settimana, il miliardario newyorkese sembra aver concesso un po’ di tregua agli altri partner commerciali degli Stati Uniti, esentandoli mercoledì per 90 giorni dalle tasse doganali annunciate poco prima e aggiungendo loro solo il 10% di dazi doganali. In una prima critica all’offensiva doganale di Donald Trump, il giorno prima, Pechino si era posta a difesa dei paesi poveri rendendo pubblico un appello con il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) Ngozi Okonjo-Iweala, durante il quale la Cina aveva messo in guardia contro “i gravi danni” che questi dazi avrebbero causato ai paesi in via di sviluppo, “in particolare a quelli meno sviluppati”. Secondo il ministro del Commercio cinese Wang Wentao, “potrebbero persino scatenare una crisi umanitaria”. Nonostante queste forti tensioni commerciali tra le due principali potenze economiche mondiali, venerdì Trump ha dichiarato di essere “ottimista” su un accordo commerciale con Pechino. Secondo i dati di Pechino, gli Stati Uniti assorbono il 16,4% delle esportazioni cinesi totali, per un totale di scambi di 500 miliardi di dollari, con un ampio deficit per gli Stati Uniti.

Baci & abbracci di Trump aspettando l’incontro con Meloni

Baci & abbracci, firmato Donald Trump. Baci al suo fondoschiena e abbracci mortali a chi gli si avvicina troppo o troppo poco, dipende dallo stato emozionale del giorno. L’ultima deriva della guerra dei dazi che sta sconvolgendo il mondo è tracimata anche nel lessico dei ‘peggiori bar di Caracas’ e avvicina, sotto il profilo della lucidità, l’attuale presidente al suo predecessore. Non che ci stupisca il turpiloquio, perché la new society si sta abituando anche a molto di peggio, piuttosto sorprende che al di là dell’Oceano, nella lussuosa stanza dello Studio Ovale, si sia smarrito un certo standing istituzionale da parte dell’uomo più potente del Pianeta che guida la nazione più potente del Pianeta, eccetera eccetera. Là dove si sono accomodati George Washington e Thomas Jefferson, Abramo Lincoln e Theodore Roosevelt, fino Ronald Reagan e Barack Obama, ora è domiciliato il Tycoon che si diverte a capovolge le regole del bon ton dopo aver sconvolto quelle commerciali. Insomma, un comportamento più da fast food della Georgia che da inquilino della Casa Bianca.

La prossima settimana, il 17 (alla faccia della scaramanzia), la premier Giorgia Meloni sarà a colloquio bilaterale con il presidente americano, nel delicato tentativo di strappare qualcosa di diverso per l’Europa e per l’Italia, investita del carico di responsabilità da Ursula von der Leyen e da una parte della Ue. Non tutta, infatti, solo una parte. Perché l’Ungheria si è defilata proprio oggi dall’avvio delle contromisure, confermando che ‘questa’ Europa così come è strutturata non ha ragione di esistere perché non esiste nemmeno in una situazione di massima allerta.

L’appuntamento di Washington sarà nodale ma non sarà un giudizio universale, cioè un dentro o fuori, proprio perché tra i 27 c’è una parcellizzazione di posizioni che non giova alla tenuta del Vecchio Continente, anche se ieri – sempre in tema di nuovo lessico – qualcuno in Commissione ha parlato di “bazooka sul tavolo”. Ma minacciare un americano – o gli americani – con le armi è abbastanza rischioso, là dove persino i bambini girano con la pistola di ordinanza in ‘saccoccia’. Però da questo meeting in terra statunitense, che anticipa di poche ore quello del vice presidente JD Vance a Roma, qualcosa deve emergere, anche perché il crollo dei mercati azionari e il tracollo di gas e petrolio, stanno facendo alzare il livello di tensione internazionale.

La premier sa che ci si aspetta molto dalla sua missione americana, anche in chiave nazionale, dove la maggioranza non sempre è stata allineata sulla strategia da adottare e dove l’opposizione sta pronta a impallinarla, non proprio con un bazooka ma per lo meno con un fucile da caccia.

Nelle varie letture di questa congiuntura squassante a livello mondiale c’è chi si è spinto come Arthur Leffer, stratega di Ronald Reagan, a ipotizzare lo scoppio di una guerra se i dazi saranno mantenuti per un anno. Dazi Usa e controdazi europei e controdazi cinesi. E chissà chi altro. Trump assicura di non essere matto e di riportare l’America allo splendore di una volta, mentre il suo (ex?) amico Elon Musk bolla come ‘cretino’ Navarro, lo stratega dei dazi, e comincia a prendere le distanze. Lui come altri. Perché qualche fessurina comincia a comparire qua e là. Vedremo come si comporterà The Donald, giovedì prossimo. Ogni previsione rischia di essere sballata ma che almeno i saluti con la nostra presidente del Consiglio si limitino a una stretta di mano. Tuttalpiù a un bacio. Sulla guancia.

Trump rilancia il ‘meraviglioso’ carbone: stop a barriere normative

Il presidente Usa, Donald Trump, ha firmato alcuni decreti volti a “dare impulso” all’estrazione di carbone negli Stati Uniti, con l’obiettivo di “più che raddoppiare” la produzione interna di elettricità, in particolare per rispondere all’espansione dell’intelligenza artificiale. I testi che ha ratificato, circondato da minatori con in testa gli elmetti da cantiere, mirano ad eliminare le barriere normative all’estrazione del carbone e a sospendere le previste chiusure di numerose centrali che utilizzano questo combustibile fossile in tutto il paese.

“Porremo fine all’orientamento anti-carbone della precedente amministrazione”, ha detto il presidente americano, che ha dato istruzioni al Dipartimento di Giustizia di “identificare e combattere” le normative locali che ostacolerebbero il suo obiettivo. Donald Trump ha inoltre assicurato che “sarà possibile estrarre enormi quantità di minerali strategici e terre rare, di cui abbiamo bisogno per il settore tecnologico e dell’alta tecnologia, attraverso il processo di estrazione del carbone”.

L’obiettivo dei decreti, si legge nei documenti firmati da Trump, è “garantire la prosperità economica e la sicurezza nazionale dell’America, abbassare il costo della vita e far fronte all’aumento della domanda di energia elettrica da parte delle tecnologie emergenti”. Ecco perché “dobbiamo aumentare la produzione energetica nazionale, incluso il carbone”, che è “abbondante e conveniente e può essere utilizzato in qualsiasi condizione meteorologica”. Le “meravigliose” risorse Usa di questo combustibile fossile sono vaste e, spiega il presidente, hanno “un valore stimato attuale di trilioni di dollari”.

Entro 60 giorni i segretari degli Interni, dell’Agricoltura e dell’Energia dovranno presentare a Trump una relazione che identifichi le risorse e le riserve di carbone sui terreni federali e, nel caso di impedimenti all’estrazione, presentare politiche in grado di rimuoverli. I decreti firmati chiedono anche alle agenzie autorizzate a concedere prestiti, sovvenzioni o investimenti azionari di “adottare misure per revocare qualsiasi politica o regolamento che miri a scoraggiare o che scoraggi effettivamente gli investimenti nella produzione di carbone e nella generazione di energia elettrica da carbone”, come la Us Treasury Fossil Fuel Energy Guidance for Multilateral Development Banks del 2021, revocata dal Dipartimento del Tesoro.

La produzione di carbone, la fonte di energia fossile più inquinante, è diminuita drasticamente negli Stati Uniti negli ultimi quindici anni, passando da poco più di un miliardo di tonnellate nel 2008 a poco più di 520 milioni nel 2023, secondo i dati del governo. Due anni fa il carbone rappresentava solo poco più del 16% della produzione totale di elettricità, superato in particolare dalle energie rinnovabili (poco più del 21%). Conosciuto per le sue posizioni scettiche sul clima, Donald Trump, non appena tornato al potere il 20 gennaio, ha denunciato l’Accordo di Parigi sul clima e da allora ha iniziato a sostenere le energie fossili con la deregolamentazione. Più di un terzo dell’elettricità mondiale è prodotta con il carbone, un importante fattore di riscaldamento globale a causa delle emissioni di CO2 dovute alla sua combustione.

Dazi, Trump minaccia Cina: 50% tariffe in più. Casa Bianca: Fino a 104%

Photo credit: AFP

Si alza lo scontro commerciale a suon di dazi tra Stati Uniti e Cina. Da Washington Donald Trump ha minacciato di aumentare ulteriormente i dazi statunitensi sui prodotti cinesi se Pechino manterrà la sua risposta all’offensiva tariffaria. “Se la Cina non ritirerà il suo aumento del 34% [dei dazi doganali sui prodotti americani] (…) entro domani, 8 aprile, gli Stati Uniti imporranno dazi doganali aggiuntivi del 50% alla Cina, a partire dal 9 aprile”, ha affermato il presidente americano sulla sua piattaforma Truth Social. In precedenza, sempre Trump aveva criticato la Cina per “non aver tenuto conto dell’avvertimento (…) di non reagire” alla sua offensiva commerciale. “Il più grande approfittatore di tutti, la Cina, i cui mercati stanno crollando, ha appena aumentato le sue tariffe del 34%, in aggiunta alle sue tariffe ridicolmente alte a lungo termine (in più!), senza riconoscere il mio avvertimento ai paesi abusanti di non reagire”, aveva scritto sui social.

Da quando è tornato alla Casa Bianca a gennaio, Trump ha già imposto un ulteriore dazio del 20% sui prodotti cinesi, che dovrebbe salire al 54% il 9 aprile, dopo l’aumento del 34% annunciato la scorsa settimana. Interrogata dall’agenzia di stampa AFP, la Casa Bianca ha confermato che se Donald Trump mettesse in atto la sua nuova minaccia, la maggiorazione salirebbe al 104%.

Dal canto suo, Pechino in giornata aveva confermato la volontà di proteggerà le aziende americane restando “una terra sicura” per gli investimenti stranieri. La scorsa settimana Pechino aveva anche annunciato controlli sulle esportazioni di sette elementi di terre rare, tra cui il gadolinio, utilizzato in particolare nella risonanza magnetica per immagini, e l’ittrio, utilizzato nell’elettronica di consumo. “Le contromisure cinesi mirano non solo a proteggere fermamente i diritti e gli interessi legittimi delle imprese, comprese quelle statunitensi (in Cina)”, spiega Ling Ji, vice ministro cinese del Commercio. Ma queste tasse mirano anche a “riportare gli Stati Uniti sulla buona strada del sistema commerciale multilaterale”, ha detto a un gruppo di rappresentanti di aziende americane, secondo un comunicato pubblicato lunedì dal suo ministero.

I dazi doganali cinesi del 34% entreranno in vigore il 10 aprile. “La Cina è stata, è e rimarrà una terra ideale, sicura e piena di promesse per gli investitori stranieri”, sottolinea Ling Ji, rivolgendosi ai rappresentanti di diverse aziende americane, come la multinazionale del settore medico GE Healthcare o la casa automobilistica Tesla. “La radice del problema dei dazi doganali si trova negli Stati Uniti”, precisa il vice ministro. Poi invita le aziende americane in Cina “ad adottare misure concrete e a mantenere congiuntamente la stabilità delle catene di approvvigionamento globali, nonché a promuovere la cooperazione reciproca e risultati vantaggiosi per tutti“.

La Cina è la terza destinazione delle esportazioni statunitensi, con 144,6 miliardi di dollari di beni venduti nel 2024. Allo stesso tempo, il gigante asiatico ha venduto prodotti per 439,7 miliardi di dollari negli Stati Uniti. Le borse asiatiche sono crollate lunedì a causa dell’inflessibilità dell’inquilino della Casa Bianca e della replica di Pechino, alimentando il rischio di un’escalation distruttiva per l’economia mondiale. A Hong Kong, il gigante dell’e-commerce Alibaba è crollato del 12%, dopo la fine dell’esenzione doganale per i piccoli pacchi inviati negli Stati Uniti. Il suo rivale JD.com ha perso l’11%. Anche i fornitori e i subappaltatori di Apple, che produce i suoi smartphone in Asia, sono stati attaccati, come la taiwanese Foxconn (-10%). Parlando con i giornalisti sull’Air Force One, però, Trump spiega: “Abbiamo un deficit commerciale di 1.000 miliardi di dollari con la Cina. Perdiamo centinaia di miliardi di dollari all’anno a causa della Cina e, a meno che non risolviamo questo problema, non concluderò alcun accordo”. “Sono disposto a concludere un accordo con la Cina, ma devono risolvere questo surplus – insiste -. Abbiamo un enorme problema di deficit con la Cina… Voglio che venga risolto”

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