Dazi, le stime di Trump lasciano gli economisti sbalorditi: “Non hanno alcun senso”

Un calcolo che rientra nell’ambito dell’astrologia? Gli economisti di tutto il mondo sembrano sbalorditi dalla formula scelta dall’amministrazione Trump per valutare i dazi doganali imposti dagli Stati Uniti al resto del mondo. “Questo è per l’economia ciò che il creazionismo è per la biologia e l’astrologia per l’astronomia”, ha scherzato l’ex Segretario al Tesoro Larry Summers su X. Il presidente Donald Trump ha annunciato mercoledì una serie di dazi doganali senza precedenti sulle importazioni statunitensi, che vanno da un minimo del 10% per tutti, al 50% per un paese povero come il Lesotho.

A sostegno della sua decisione, il capo della Casa Bianca ha presentato un grafico a due colonne, che elenca a sinistra i dazi applicati secondo lui alle esportazioni statunitensi dai partner commerciali di Washington, e a destra i nuovi dazi che saranno imposti dagli Stati Uniti a partire da sabato a ciascun paese. Per “gentilezza”, come ha spiegato Trump, i nuovi dazi doganali saranno circa la metà di quelli praticati da Washington nei confronti dei paesi stranieri. Ad esempio, la Casa Bianca ha calcolato che l’Unione europea tassa le importazioni statunitensi al 39%. In risposta, gli Stati Uniti intendono quindi tassare le esportazioni dell’UE al 20%. Il problema è che il calcolo non corrisponde alle statistiche dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Secondo quest’ultima, l’UE applica in media un dazio doganale dell’1,7%, molto lontano dal 39% avanzato da Donald Trump.

Per quanto riguarda la Cina, secondo la Casa Bianca, applicherebbe una tassa del 67% sui prodotti americani. Ma nel 2024, secondo la WTO, essa applicava una tariffa doganale media del 4,9%. Per il suo calcolo, la Casa Bianca afferma di aver preso in considerazione altre barriere commerciali oltre ai semplici dazi doganali, citando in particolare le norme ambientali o la manipolazione dei tassi di cambio. Ma è difficile capire come queste barriere non tariffarie possano essere tradotte in cifre.

Il rappresentante americano per il commercio ha pubblicato una formula con molteplici variabili espresse in caratteri greci. L’amministrazione Trump ha diviso la bilancia commerciale (la differenza tra importazioni ed esportazioni) per il valore delle importazioni, indipendentemente dal paese. Una formula che non tiene conto delle specificità dei legami commerciali. “La formula si basa sul valore relativo del surplus commerciale con gli Stati Uniti”, confermano gli economisti della Deutsche Bank. “Questo approccio è talmente pieno di errori che è difficile capire da dove iniziare”, ha scritto sul suo blog il premio Nobel per l’economia Paul Krugman, sottolineando che i calcoli tengono conto solo dei beni scambiati, tralasciando i servizi. Alla fine, questo metodo è “stupido”, ha concluso. Applicando la formula pubblicata dall’amministrazione alle statistiche americane del 2024, l’AFP ha ottenuto le cifre presentate dal presidente americano. I nuovi dazi doganali annunciati per ogni paese corrispondono a questo risultato, diviso per due. Se la formula dà meno del 10%, o in caso di surplus commerciale, gli Stati Uniti applicano uniformemente un tasso minimo del 10%. È il caso di oltre un centinaio di paesi o territori, tra cui il Regno Unito e l’Australia. Per un motivo sconosciuto, solo l’Afghanistan, tassato solo al 10%, non corrisponde a questo calcolo, dato che Kabul ha un ampio surplus commerciale con gli americani. “È ormai evidente che l’amministrazione Trump non ha utilizzato i dati doganali per calcolare i dazi reciproci”, afferma Larry Summers. “Questa politica tariffaria non ha alcun senso, anche se si crede nel protezionismo”.

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Dazi, Meloni convoca vertice a Chigi. Poi spiega: “Non è catastrofe che tutti raccontano”

Nei palazzi di Roma, il ‘Liberation day’ after è frenetico. Dopo l’annuncio dei dazi di Donald Trump ai Paesi europei, Giorgia Meloni deve correre ai ripari. La premier annulla tutti gli impegni in agenda e convoca d’urgenza i ministri competenti a studiare una strategia per proteggere il Made in Italy da effetti potenzialmente devastanti. “Penso che la scelta degli Stati Uniti sia sbagliata, non favorisce né l’economia europea né quella americana, ma non dobbiamo alimentare l’allarmismo che sto sentendo in queste ore“, spiega in serata, in un’intervista al Tg1. “Non smetteremo di esportare negli Stati Uniti“, garantisce, pur ammettendo che “ovviamente abbiamo un altro problema da risolvere, ma non è la catastrofe che alcuni stanno raccontando“. Il ruolo dell’Italia è “portare gli interessi italiani, particolarmente in Europa“, ribadisce. Perché mentre si tratta con gli americani, osserva, “ci sono molte cose che possiamo fare per rimuovere i dazi che l’Unione europea si è autoimposta“. E sostiene che “forse una revisione del Patto di stabilità a questo punto sarebbe necessaria“.

A Palazzo Chigi arrivano il vice Matteo Salvini, con i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese), Tommaso Foti (Rapporti europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura). In videocollegamento da Bruxelles c’è l’altro vicepremier, Antonio Tajani, reduce da un nuovo confronto con il commissario al Commercio Maros Sefcovic.

Nell’incontro europeo, fa sapere la Farnesina, “i due hanno convenuto sulla necessità di mantenere un approccio fermo ma basato sul dialogo, volto ad evitare un’ulteriore escalation sul fronte commerciale”. Il piano prevede la diversificazione dei mercati dell’export. Solo per l’Italia, gli Stati Uniti valgono il 10%. Si guarda dunque a nuovi accordi commerciali con Paesi terzi, come i Paesi del Mercosur, l’India (dove Tajani andrà tra qualche giorno) e altre economie emergenti chiave nell’Indo-Pacifico, in Africa e nel Golfo. Ieri, il ministro degli Esteri ha annunciato anche la nomina del nuovo inviato speciale dell’Italia nell’Imec (il corridoio India-Medio Oriente-Europa) Francesco Maria Talò. Al Commissario, il ministro consegna la strategia per l’export italiano lanciata a Villa Madama qualche giorno fa per rafforzare la presenza delle imprese italiane in tutti i mercati in crescita. “Il mio disegno sarebbe quello di avere un mercato unico transatlantico, zero tariffe di qua e zero tariffe di là, quello sarebbe il modo migliore per sviluppare il commercio e rinforzare la posizione dell’Occidente“, confessa il titolare della Farnesina, che affida a Sefcovic la lista dei prodotti italiani su cui bisognerebbe intervenire per essere tutelati (“compreso il whisky e tutta la produzione vinicola”), nella trattativa che ci sarà all’interno dell’Ue in vista della decisione del Consiglio di lunedì in Lussemburgo. “Ci sono cibi – riferisce -, settori che riguardano il settore della gioielleria, le pietre preziose”. Insomma, “una lunga lista di una trentina di punti“.

Mentre il ministro degli Esteri è in riunione col commissario europeo, da Roma il leader del Carroccio però fa trasmettere una nota in cui continua a difendere la strategia di Trump e ad attaccare l’Europa: “Nelle ultime ore Matteo Salvini si è confrontato con il gruppo economico della Lega, ribadendo che se gli Stati Uniti hanno deciso di tutelare le proprie imprese, è necessario che l’Italia continui a difendere con determinazione il proprio interesse nazionale anche alla luce dei troppi limiti dell’Europa“, scrive il partito. Che nel tardo pomeriggio firma un’altra nota, più diretta ancora verso l’Ue: “Prima di pensare a guerre commerciali o contro-dazi che sarebbero un suicidio, l’Unione europea tagli burocrazia, vincoli e regole europee che soffocano le imprese italiane, azzerando il Green deal e il tutto elettrico“.

A riportare le intenzioni del governo dopo il vertice, però, è Urso rispondendo a un’interrogazione durante il question time al Senato. “Noi guidiamo il fronte delle riforme in Europa“, rivendica, elencando una serie di richieste del governo a Bruxelles. L’immediata sospensione delle regole del Green Deal che “hanno portato al collasso il settore delle auto“; un immediato “shock di deregulation” che liberi da lacci e lacciuoli le imprese; l’introduzione del principio del “Buy European“, speculare al Buy American; la preferenza in ogni appalto pubblico del Made in Europe; la finalizzazione di accordi di libero scambio con altre aree del mondo per mercati alternativi; una politica industriale come delineata nei documenti sulla revisione del Cbam. Questo è un pacchetto d’azione che proteggerebbe il tessuto imprenditoriale europeo senza entrare in scontro aperto con gli Stati Uniti. Perché, spiega l’inquilino di Palazzo Piacentini, “rispondere ai dazi su beni con altri dazi su beni aggrava l’impatto sull’economia europea“. Secondo la Bce i dazi americani avrebbero un impatto dello 0,3% sulla nostra crescita e le eventuali contromisure aggraverebbero l’impatto allo 0,5. Ma, avverte Urso: “Secondo altri istituti, l’effetto moltiplicatore negativo sarebbe ancora peggiore”. La prima regola, quindi, è “non farci altro male da soli innescando un’escalation di ritorsioni che scatenerebbe una devastante guerra commerciale“, spiega il ministro a Palazzo Madama. Occorre reagire “in modo intelligente, mantenendo la calma per valutare le conseguenze dirette e indirette e quindi la migliore risposta, tenendo anche conto che le misure americane differiscono in modo sostanziali: sarebbero pari al 20% per i beni europei ma ben maggiori per altri Paesi, in alcuni casi oltre il 50%”, scandisce. Nei prossimi giorni, il ministro incontrerà le associazioni di impresa per valutare con loro le possibili contromisure da prendere.

Domanda cautela anche Foti: “Dobbiamo capire se dietro questa iniziativa vi è una volontà di andare fino in fondo o di cercare, nazione per nazione, di riequilibrare una bilancia commerciale che nel caso degli Stati Uniti è pesantemente deficitaria rispetto a quanto viene esportato“, afferma. La prima risposta, ribadisce, la deve dare l’Unione europea e “certo non bisogna dare delle risposte di pancia”. In generale, per Foti, “più che scendere in una polemica serve fermezza e idee chiare su come si vuole agire, cioè la reazione deve esserci ma non deve essere una reazione di pancia, deve essere una reazione che suggerisce anche al nostro interlocutore americano che è meglio sedersi a un tavolo”.

Dazi, Meloni: “Dialogo, ma non escludere risposta adeguata”. Mattarella: “Ue sia compatta”

Col passare delle ore la tensione è sempre più palpabile. I dazi spaventano i mercati e rendono anche la risposta politica molto complicata. Il governo italiano ha scelto la via della prudenza, ripetendo con quasi tutti i suoi ministri l’invito a mantenere aperto il dialogo, ma ora la premier comprende che è arrivato il momento di prendere posizione. “Resto convinta che si debba lavorare per scongiurare una guerra commerciale” dice Giorgia Meloni, sottolineando che questo “non esclude di immaginare risposte adeguate a proteggere le nostre produzioni”.

La presidente del Consiglio lancia anche un messaggio (indiretto) agli storici alleati Usa: “Bisogna ricordare che sono il secondo mercato di destinazione, con un export salito del 17%: l’introduzione di nuovi dazi avrebbe risvolti pesanti e penso che sarebbe un’ingiustizia per gli americani”. Il tema è al centro delle agende delle varie cancellerie europee.

Lo dimostra il fatto che sia stato discusso anche nell’incontro al Quirinale tra il capo dello Stato, Sergio Mattarella, e il presidente della Repubblica di Estonia, Alar Karis, in visita ufficiale in Italia. Mattarella definisce l’inasprimento delle tariffe sulle importazioni un “errore profondo”, ma allo stesso tempo auspica “una risposta compatta, serena, determinata” da parte dell’Europa. Che lo scenario stia cambiando rapidamente lo si capisce anche dai toni usati dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Il quadro è particolarmente complesso, la sfida dei dazi mette alla prova i rapporti commerciali”, dice in aula alla Camera durante il question time. Il vicepremier domani sarà a Bruxelles, dove in programma c’è anche un incontro con il commissario Commissario Ue al commercio, Maros Sefcovic: “Dobbiamo avere un approccio pragmatico e dialogante mantenendo la schiena dritta. Se sarà necessario – spiega – dovremo avere una decisione che comporti reazioni a livello europeo” e con tempi decisamente diversi rispetto a quelli cui l’Ue ci ha abituato in questi anni: “Non si deve andare alle calende greche”, avverte Tajani. Che, assicura, discuterà di dazi con il vicepresidente Usa, JD Vance, durante la visita che farà in Italia dal 18 al 20 aprile prossimi.

Un suggerimento sulla contromossa più utile per rispondere alle scelte dell’Amministrazione Trump arriva dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “Alla Commissione Ue chiediamo di cogliere le nuove opportunità sui mercati globali, piuttosto che pensare solo a reagire ai dazi con altri dazi: cosa che aggraverebbe il peso per l’Europa”. L’idea è puntare su “accordi bilaterali di libero scambio” sulla scorta di quelli sottoscritti in passato con Cile, Canada, Corea del Sud e Mercosur, verso aree “di maggiore crescita che abbiamo definito e indicato: Messico, Indo-Pacifico, India, Malesia, Indonesia, Vietnam e Giappone”. Resta sulla strada della prudenza, invece, Tommaso Foti: “Meno alziamo i toni sotto il profilo delle parole e meglio è, la reazione non deve essere di pancia ma di ragione”, ammonisce il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione.

Nel governo c’è anche chi, come Francesco Lollobrigida, scommette che l’Italia non ne uscirà ridimensionata sui mercati. Di sicuro non quello agroalimentare: “L’apprensione di questi giorni non ci deve far dimenticare i record raggiunti in questi anni. L’Italia è una superpotenza in questo settore e saprà vincere qualunque sfida”, rasserena il ministro dell’Agricoltura. Anche se Coldiretti chiede di “fare prevalere il buonsenso ed evitare a tutti i costi un’escalation della guerra commerciale che avrebbe effetti disastrosi sulle economie europee e statunitense – avverte il presidente, Ettore Prandini – , dove i primi ad essere penalizzati sarebbero i cittadini e gli agricoltori di entrambe le sponde dell’Atlantico”. Mentre Confagricoltura chiede all’Europa una risposta “unita e allineata con la medesima strategia” per proteggere un export da circa 70 miliardi di euro. E la Cia-Agricoltori italiani teme che dazi al 25% “ridurrebbe fortemente la competitività delle eccellenze del Made in Italy”. Un danno che Uninimpresa stima complessivamente in 2 miliardi circa. In questo quadro si inserisce pure lo scontro politico. Perché le opposizioni accusano il governo di troppo immobilismo. Il Pd si schiera sulle posizioni di Mattarella: “I dazi americani sono un errore profondo – sostiene la vicepresidente dem, Chiara Gribaudo -. Trovo inquietanti gli effetti che ricadranno sulla nostra economia, ma è altrettanto inquietante il sovranismo di chi appoggia l’amministrazione Trump, lasciando l’Italia e l’Europa in questa situazione”. Per la Cinquestelle Chiara Appendino “Meloni minimizza”, quindi “è complice del disastro che sta facendo non tutelando le nostre imprese”. Dura anche Avs, che lancia la campagna ‘Trump tax’. Per Iv, invece, le differenti posizioni nella maggioranza di governo lasciano l’Italia “appesa”, mentre Azione non boccia la scelta della premier di dialogare con Washington, purché in accordo con l’Ue.

JOHN ELKANN

Colloquio Elkann-Trump alla Casa Bianca: focus su competitività in Usa

Oltre 75mila dipendenti per un fatturato annuo di 63,5 miliardi di euro e consegne pari a circa 1,4 milioni di veicoli. Il mondo Stellantis negli Usa è una fetta importante delle attività del gruppo e, in futuro, potrebbe esserlo ancora di più. Il presidente John Elkann ha incontrato, infatti, Donald Trump alla Casa Bianca e, come riportato dai media Usa e confermato da fonti del gruppo, il presidente degli Stati Uniti ha annunciato di voler ripristinare standard meno rigidi sulle emissioni delle auto. Una visione, quella del repubblicano, distante dagli obiettivi dell’Unione europea che, pur concedendo una flessibilità – si passa da uno a tre anni nella valutazione della conformità – obbligherà i costruttori ad adeguarsi a rigide norme per ridurre l’impronta di CO2. In caso contrario, le multe saranno decisamente salate. Norme, aveva spiegato pochi giorni fa il presidente Stellantis, “dure e contradditorie”, intorno alle quali “stiamo discutendo approfonditamente con la Commissione europea per capire quale sarà la direzione da seguire per quanto riguarda il 2035 e oltre”.

Elkann ha partecipato all’incontro con Trump in qualità di responsabile di uno dei maggiori produttori automobilistici degli Usa, con l’obiettivo di proseguire il dialogo con il presidente e la sua amministrazione in questo momento cruciale per il futuro dell’industria automobilistica statunitense. Secondo quanto si apprende, tra i temi dell’incontro ci sarebbe stato anche quello relativo alla competitività del sistema automotive nordamericano, su cui Elkann si era espresso la scorsa settimana in una call con gli analisti, oltre all’accessibilità economica dei prodotti fabbricati negli Stati Uniti e per le implicazioni sulla domanda. Il presidente di Stellantis avrebbe ribadito la necessità di una maggiore chiarezza. La stessa che chiedono tutti i produttori di auto, soprattutto in vista dei dazi del 25% su tutti i veicoli non prodotti negli Stati Uniti a partire dal 3 aprile. “In termini di tariffe – aveva detto Elkann nel nel corso della presentazione dei risultati finanziari del 2024 – abbiamo sostenuto con forza la politica del presidente Trump di rilanciare la produzione americana e abbiamo annunciato ingenti investimenti statunitensi nelle prime 100 ore della sua nuova amministrazione”. Il colloquio Elkann-Trump, infatti, non è il primo tra i due da quando il tycoon si è insediato alla Casa Bianca. Poco prima della cerimonia, il presidente di Stellantis aveva incontrato il repubblicano e diversi funzionari dell’amministrazione Usa.

Trump: “Per pace nel mondo, Groenlandia deve andare agli Usa”. Vance sull’isola

Donald Trump non arretra sulla Groenlandia e rilancia: “E’ molto importante, per la sicurezza internazionale. Ne sbbiamo bisogno non per la pace per gli Stati Uniti, ma per la pace nel mondo”. Intanto il suo vice JD Vance è atterrato sull’isola per visitare l’unica base militare americana nel territorio, a Pituffik, un viaggio vissuto come una provocazione in Danimarca. “Il presidente è davvero interessato alla sicurezza dell’Artico, come tutti sapete, e questo argomento diventerà sempre più importante nei prossimi decenni”, commenta al suo arrivo.

Di fronte alla persistente bramosia degli americani, danesi e groenlandesi, sostenuti dall’Unione Europea, inaspriscono i toni. La prima ministra danese Mette Frederiksen denuncia “l’inaccettabile pressione” esercitata dagli Stati Uniti dopo l’annuncio, all’inizio della settimana, dell’arrivo senza invito di una delegazione statunitense che alla fine ha rivisto i suoi piani. “Venire in visita quando non c’è un governo in carica non è considerato un segno di rispetto verso un alleato”, afferma il primo ministro della Groenlandia Jens Frederik Nielsen. Nielsen presenta anche il nuovo governo di coalizione della Groenlandia, costituito per “far fronte alle forti pressioni esterne”. All’inizio di febbraio, il Segretario di Stato americano per l’America del Nord, John F. Kelly, aveva dichiarato che “la Danimarca non sta facendo il suo lavoro in Groenlandia e non è un buon alleato”. La signora Frederiksen ha prontamente replicato che la Danimarca è da tempo un fedele alleato degli Stati Uniti, combattendo al loro fianco “da molti decenni”, anche in Iraq e in Afghanistan.

La base americana di Pituffik costituisce un avamposto della difesa missilistica americana, in particolare contro la Russia, poiché la traiettoria più breve dei missili provenienti dalla Russia verso gli Stati Uniti passa attraverso la Groenlandia. Pituffik, che fino al 2023 si chiamava Thule Air Base, è servita da postazione di allerta contro eventuali attacchi dell’URSS durante il periodo della guerra fredda e rimane un anello essenziale dello scudo antimissile americano. È anche un luogo strategico per la sorveglianza dell’emisfero settentrionale e la difesa dell’immensa isola artica, che, secondo l’amministrazione americana, i danesi hanno trascurato. In questo contesto, il presidente russo Vladimir Putin ha giudicato “serio” il progetto di Donald Trump di assumere il controllo della Groenlandia e ha affermato di essere preoccupato che l’Artico si trasformi in “un trampolino di lancio per eventuali conflitti”. Secondo Marc Jacobsen, docente presso il Royal Danish Defence College, JD Vance “ha ragione nel dire che (la Danimarca) non ha risposto ai desideri americani di una maggiore presenza, ma abbiamo adottato misure per soddisfare questo desiderio”. A gennaio, Copenaghen ha annunciato che avrebbe stanziato quasi due miliardi di euro per rafforzare la sua presenza nell’Artico e nel Nord Atlantico. La brama di Trump per il territorio di ghiaccio, che affascina per le sue ipotetiche risorse minerarie e fossili e la sua importanza geostrategica, è vista come un deterrente per i suoi abitanti e la sua classe politica, così come per la potenza tutelare danese. Gli Stati Uniti “sanno che la Groenlandia non è in vendita. Sanno che la Groenlandia non vuole far parte degli Stati Uniti. Questo è stato loro comunicato in modo inequivocabile, sia direttamente che pubblicamente”, ha ribadito mercoledì Mette Frederiksen. Venerdì, re Frederik X di Danimarca ha rilasciato una dichiarazione rara, ricordando il suo attaccamento al territorio. “Non ci devono essere dubbi sul mio amore per la Groenlandia, e il mio legame con il popolo groenlandese è intatto“, ha detto a TV2.

Se i principali partiti groenlandesi sono favorevoli all’indipendenza del territorio a più o meno lungo termine, nessuno sostiene l’idea di un’annessione agli Stati Uniti. Secondo un sondaggio pubblicato alla fine di gennaio, anche la popolazione, in maggioranza Inuit, rifiuta ogni prospettiva di diventare americana. Il governo uscente ha ricordato di non aver “inviato alcun invito per visite, sia private che ufficiali”. Il viaggio lampo del figlio del presidente americano, Donald Trump Jr, il 7 gennaio, era già stato vissuto come una provocazione.

Non solo Trump: il grande problema della Groenlandia è lo scioglimento dei ghiacci

Photo credit: AFP

 

Da un lato c’è Donald Trump, che vuole “averla a tutti i costi“, dall’altro c’è il clima che cambia. La Groenlandia non se la passa certo bene in questo periodo e nel futuro potrebbe andare ancora peggio. Secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), questo territorio ha perso circa 55 gigatonnellate di ghiaccio e neve tra l’autunno 2023 e l’autunno 2024, seguendo un trend negativo per per il 28° anno consecutivo.

Secondo gli scienziati, dal 1992, l‘isola ha perso più di 5 trilioni di tonnellate di ghiaccio. La calotta glaciale della Groenlandia contiene circa l’8% dell’acqua dolce del pianeta e la sua acqua di fusione potrebbe contribuire in modo significativo all’innalzamento del livello del mare, modificando la circolazione oceanica e gli ecosistemi di tutto il mondo. Il suo ruolo, quindi, è determinante anche dal punto ambientale e non solo geopolitico. La maggior parte della perdita di massa è dovuta a grossi pezzi che si staccano dai ghiacciai e allo scioglimento del ghiaccio superficiale e della neve. Anche la sublimazione – il processo per cui i solidi si trasformano in gas senza prima trasformarsi in liquidi – può avere un ruolo. Studi precedenti hanno suggerito che in alcune parti della Groenlandia circa il 30% della neve superficiale estiva potrebbe sublimare in vapore acqueo. Dove vada a finire questa sostanza, però, non è chiaro. Potrebbero ricadere sotto forma di neve o ricondensarsi in superficie in un secondo momento o, ancora, abbandonare completamente il sistema idrico della Groenlandia. Per provare a capire quale potrà essere il destino ambientale dell’isola, un gruppo di ricercatori ricercatori ha raccolto misurazioni dettagliate del vapore acqueo sopra la superficie della calotta glaciale della Groenlandia.

La ricerca, aiutata da un drone progettato su misura, potrebbe aiutare gli scienziati a migliorare i calcoli della perdita di ghiaccio nelle regioni polari in rapido riscaldamento. “Nei prossimi anni saremo in grado di capire come l’acqua ‘entra ed esce’ dalla Groenlandia”, spiega il primo autore Kevin Rozmiarek, dottorando presso l’Institute of Arctic and Alpine Research (INSTAAR) della CU Boulder.”‘Essendo un importante serbatoio di acqua dolce, dobbiamo capire come cambierà l’ambiente della Groenlandia in futuro”. I risultati sono stati pubblicati il 14 marzo su JGR Atmospheres. La raccolta di campioni d’aria nell’Artico è un’operazione costosa e tecnicamente impegnativa, perché tradizionalmente comporta il volo di un aereo fino al centro di una calotta glaciale in condizioni meteorologiche avverse e il trasporto di campioni d’aria al laboratorio. Rozmiarek e il suo team hanno superato le difficoltà caricando l’attrezzatura per il campionamento dell’aria su un grande drone con un’apertura alare di 3 metri. Durante l’estate del 2022, il team ha fatto volare il drone 104 volte dal campo del progetto East Greenland Ice-Core, gestito dall’Università di Copenhagen, nell’interno dell’isola. Il drone ha raccolto campioni d’aria a diverse altezze, fino a quasi 1500 metri dal suolo. Il team mirava a esaminare il tipo di atomi di idrogeno e ossigeno nel vapore acqueo dell’aria. Le molecole d’acqua provenienti da fonti diverse contengono combinazioni distinte di idrogeno e ossigeno.

Gli scienziati chiamano queste variazioni isotopi. “Gli isotopi sono le impronte digitali dell’acqua. Seguendo queste impronte digitali, possiamo risalire alla fonte da cui proviene il vapore acqueo”, spiega Rozmiarek. Quando il team ha confrontato le misurazioni effettuate con il drone con una simulazione al computer esistente che modella il ciclo dell’acqua nell’Artico, ha scoperto che l’IA sottostimava la quantità di precipitazioni che cadevano sulla Groenlandia. “È davvero importante essere in grado di prevedere il più accuratamente possibile cosa accadrà alla Groenlandia in un mondo che si sta riscaldando”, dice Rozmiarek. ‘Abbiamo dimostrato quanto siano utili i dati sugli isotopi del vapore acqueo migliorando con successo un modello esistente’. Circa 125.000 anni fa, quando la Terra era più calda rispetto ai livelli preindustriali, la Groenlandia era coperta da una calotta glaciale significativamente più piccola e il livello del mare era di ben 6 metri più alto di oggi. Con il continuo riscaldamento del pianeta, la calotta glaciale della Groenlandia potrebbe subire cambiamenti drammatici e persino ridursi alle dimensioni di allora. La calotta glaciale della Groenlandia contiene un’enorme quantità di acqua dolce e, se questa acqua dovesse lasciare il sistema, potrebbe portare a un aumento significativo del livello globale del mare. Le Nazioni Unite hanno stimato che l’innalzamento del livello del mare causato dai cambiamenti climatici ha attualmente un impatto su un miliardo di persone in tutto il mondo.

Meloni si schiera: su critiche a Ue ha ragione Vance. E Salvini vara missione in Usa

In uno dei momenti più tesi tra le due sponde dell’Atlantico, Giorgia Meloni rilascia la sua prima intervista a una testata straniera, il Financial Times, e si schiera. Non apertamente, ma confessa di condividere l’attacco del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance all’Unione, per aver abbandonato il suo impegno a favore della libertà di parola e della democrazia: “Lo dico da anni, l’Europa si è un po’ persa“, commenta.

Torna a difendere, tra gli ultimi in Ue, Donald Trump. Le critiche del tycoon al vecchio continente non sono rivolte al popolo, spiega, ma alla sua “classe dirigente e all’idea che invece di leggere la realtà e trovare il modo di dare risposte alle persone, si possa imporre la propria ideologia alle persone“. L’Italia, per la presidente del Consiglio, non deve essere obbligata a “scegliere” tra Stati Uniti ed Europa, sarebbe “infantile” e “superficiale“. Non solo Trump non è un avversario, chiosa, ma è il “primo alleato” dell’Italia.

Mentre la Commissione europea si prepara a reagire ai dazi imposti dal presidente americano, Meloni invita l’unione alla calma. “A volte ho l’impressione che rispondiamo semplicemente d’istinto. Su questi argomenti devi dire, ‘State calmi, ragazzi. Pensiamoci’“, spiega, ricordando che “ci sono grandi differenze sui singoli beni” e chiedendo di “lavorare per trovare una buona soluzione comune“.

Tra Trump che lavora per la pace e l’asse Macron-Von der Leyen che parlano di guerra e armi, non abbiamo dubbi da che parte stare“, le fa eco Matteo Salvini, che torna però a ‘scavalcare’ presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, annunciando una missione con le imprese italiane per rafforzare la partnership con gli Stati Uniti, “come da dialogo con J.D. Vance“, che gli è già costato un round di scontri con Antonio Tajani.

Il chiarimento tra i tre, Meloni-Tajani e Salvini, si è rotto dopo 48 ore”, osserva il leader di Avs, Angelo Bonelli: “Salvini scommette sull’esenzione dai dazi per l’Italia da parte di Trump e su questo vuole arrivare prima della Meloni per commissariare Tajani“, afferma, denunciando di aver “venduto la dignità del popolo italiano e quindi europeo a chi ci ha definiti parassiti. È un governo in cui ognuno va per conto proprio“.

Per il Partito democratico, la presidente del Consiglio ha la “sindrome di Stoccolma“: “Sembra prigioniera, incapace di distinguere tra chi attacca e chi si difende”, scrive il capogruppo democratico nella commissione Bilancio della Camera, Ubaldo Pagano. “Ha scelto di indossare il cappellino Maga, ammainando di fatto da palazzo Chigi la bandiera italiana e quella europea“, denuncia la segretaria Elly Schlein. E’ agli italiani, sostiene Schlein, che Giorgia Meloni “dovrà spiegare perché ha scelto Trump come ‘primo alleato’, quando il prossimo 2 aprile entreranno in vigore i dazi Usa del 25% sulle nostre merci, sulle nostre eccellenze, che pagheranno le imprese, i lavoratori e le famiglie italiane. Giorgia Meloni vada dire a loro ‘state calmi, ragazzi, ragioniamoci‘”.

Meloni “doveva e poteva diventare la Merkel europea, trasformandosi in leader conservatrice moderna, ma rompe con l’Europa sul tema fondamentale della difesa europea e si ritrova ad essere una modesta Orban al femminile“, scrive sui social il vicepresidente di Italia Viva Enrico Borghi. A questo punto, insiste, “va detto con chiarezza che l’Italia non può sottrarsi da una iniziativa europea nel campo della sicurezza, della pace e della stabilità internazionale“.

Dazi, Ue pronta a rispondere al ‘fuoco amico’ Usa sulle auto. Ma negoziato va avanti

Ferma, proporzionata, solida, ben calibrata e tempestiva. Così il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill, descive la risposta che l’Unione europea darà ai dazi del 25% annunciati dal presidente Usa, Donald Trump, sulle importazioni oltre Oceano di automobili. Una reazione dai tempi di dispiegamento ancora incerti – “non posso parlare di tempistiche perché non sappiamo quali saranno queste misure future”  – ma a cui l’Ue si sta preparando: “Posso assicurare che sarà ferma, proporzionata, tempestiva, solida, ben calibrata e che otterrà l’impatto previsto”, scandisce Gill nella conferenza stampa quotidiana dell’esecutivo Ue.

La presidente Ursula von der Leyen si è detta “rammaricata” della decisione Usa, ricordando che l’industria automobilistica “è un motore di innovazione, competitività e posti di lavoro di alta qualità, attraverso catene di fornitura profondamente integrate su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Le tariffe, ha ricordato, “sono dannose per le imprese e per i consumatori, sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea“. La strategia, ha spiegato von der Leyen, è quella di “continuare a cercare soluzioni negoziate, salvaguardando al contempo i propri interessi economici” e, allo stesso tempo, “proteggere i nostri lavoratori, le nostre imprese e i nostri consumatori in tutta l’Unione europea”.

La postura che Bruxelles vuole tenere è sulla preparazione al peggio, da un lato, e sulla ricerca di una soluzione negoziata dall’altro. “Il punto non è se siamo sorpresi o meno“, ma “se siamo preparati o meno, e qui la risposta è sempre sì: siamo preparati a salvaguardare i nostri interessi economici” contro “qualsiasi misura ingiusta e controproducente da parte degli Stati Uniti”. In tale contesto, però, la “priorità è trovare una soluzione negoziata, che funzioni per entrambe le parti”, nonostante il fatto che Bruxelles debba certificare che la spedizione di questa settimana a Washington del commissario al Commercio, Maros Sefcovic, “non ha prodotto alcun risultato negoziato che volevamo”, ma “ha offerto un’opportunità molto importante per noi di rafforzare i rapporti con la nuova Amministrazione statunitense”. Quindi, “i contatti tra l’Unione europea e l’amministrazione statunitense continuano e speriamo certamente che portino al tipo di risultati di cui stiamo parlando piuttosto che il contrario”, spiega Gill.

E, nel frattempo, l’Unione si guarda attorno: “Ovviamente stiamo parlando con alleati e partner globali in tutto il mondo di queste tariffe radicali e dannose annunciate dagli Stati Uniti perché danneggiano tutti, non solo Ue e Usa”. Oltre a non sbilanciarsi sui tempi, per ora Palazzo Berlaymont è riservato anche sulla lista dei prodotti su cui imporre contromisure da proporre agli Stati membri. “Prima di tutto posso dire che non vogliamo dover imporre contromisure sulle importazioni statunitensi nell’Ue” perché “crediamo sia un atto di autolesionismo economico da parte degli Stati Uniti”. Ma “ci prepariamo” e “l’elenco finale dei prodotti su cui proporre ai nostri Stati membri di imporre contromisure sarà ben selezionato per creare il massimo impatto nei confronti degli Stati Uniti e per ridurre al minimo l’impatto qui sulla nostra economia europea”.

Di fatto, la priorità dell’Ue resta, ancora, il dialogo. “Il primo aprile non accadrà nulla, perché la Commissione ha preso la decisione di allineare i tempi delle nostre due serie di contromisure”, ricorda Gill. Dal primo aprile avrebbero dovuto tornare in funzione le contromisure Ue del 2018 e del 2020 che erano state sospese. Ma “abbiamo sostanzialmente esteso quella sospensione affinché sia allineata con il nostro secondo elenco di contromisure su cui ci siamo consultati con le principali parti interessate” e che “presto useremo come base per l’elenco da proporre ai nostri Paesi”, illustra. “Abbiamo allineato le tempistiche per trovare in modo più efficiente il giusto equilibrio di prodotti” e per avere “più tempo per negoziare con gli americani”, perché “questa è la nostra massima priorità“, ricorda Gill. E in più, se il negoziato dovesse andare a vuoto, “questo approccio ricalibrato massimizza la nostra capacità di fornire la risposta più ferma e proporzionata possibile ai dazi americani”.

Ucraina, Usa: C’è l’accordo con Kiev e Mosca per il cessate il fuoco nel Mar Nero

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Russia e Ucraina hanno accettato il cessate il fuoco nel Mar Nero e Washington si dice pronta ad aiutare Mosca a esportare i suoi prodotti agricoli e i suoi fertilizzanti sui mercati mondiali. I due Paesi hanno accettato di “garantire la sicurezza della navigazione, eliminare l’uso della forza e impedire l’uso di navi commerciali per scopi militari nel Mar Nero”, spiega la Casa Bianca in due comunicati separati, che riportano i confronti avuti negli ultimi giorni con ucraini e russi in Arabia Saudita.

Kiev si impegna ad “attuare” le dichiarazioni di Washington, “buone misure” secondo il presidente Volodymyr Zelensky. I due Paesi concordano sulla possibilità di coinvolgere Paesi “terzi” nella supervisione di una tregua. Per quanto riguarda l’Ucraina, gli Stati Uniti si impegnano a “sostenere gli sforzi per lo scambio di prigionieri, la liberazione di civili e il ritorno dei bambini ucraini sfollati con la forza”.

La Russia invece può contare sul sostegno della Casa Bianca per “ripristinare l’accesso della Russia al mercato mondiale per le esportazioni di prodotti agricoli e fertilizzanti, ridurre i costi di assicurazione marittima e migliorare l’accesso ai porti e ai sistemi di pagamento per queste transazioni”. Mosca aveva posto come condizione per questo accordo sul Mar Nero un allentamento delle restrizioni sulle sue esportazioni agricole.

Durante i colloqui, gli Stati Uniti hanno “ripetuto che il presidente Donald Trump vuole assolutamente porre fine alle uccisioni da entrambe le parti”. Washington “continuerà a organizzare negoziati tra le due parti per trovare una soluzione pacifica”, si legge in un paragrafo identico in entrambi i comunicati. L’amministrazione americana esprime anche la sua “riconoscenza” al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

Il ministro della Difesa ucraino, Rostem Umerov, domanda di organizzare “ulteriori consultazioni tecniche” per regolare i “dettagli” degli accordi annunciati dalla Casa Bianca. E avverte che “qualsiasi movimento” di navi da guerra russe nel Mar Nero al largo dell’Ucraina costituirà una “violazione” dell’accordo di cessazione delle ostilità. Un accordo sul grano nel Mar Nero aveva permesso all’Ucraina, dal luglio 2022 al luglio 2023, di esportare il suo grano, vitale per l’alimentazione mondiale, nonostante la presenza della flotta russa nella zona. La Russia, a sua volta grande esportatore di grano e fertilizzanti, si è poi ritirata unilateralmente, accusando gli occidentali di non rispettare gli impegni presi per allentare le sanzioni sulle esportazioni russe. Oggi il Cremlino ha fatto sapere che “analizzerà” l’esito di queste discussioni, se i “contatti” con gli americani continueranno, anche se non è stata fissata alcuna “data concreta” per un nuovo incontro, ha aggiunto il portavoce Dmitri Peskov. Secondo l’agenzia statale Ria Novosti, la delegazione russa ha lasciato l’Arabia Saudita.

Kiev intanto accusa la Russia di prendere tempo per sfruttare il suo vantaggio sul fronte. Uno dei negoziatori russi, Grigori Karassine, considera il dialogo con gli americani “intenso, non facile, ma molto utile”. Durante queste discussioni, in cui Karassine ha rappresentato la Russia insieme a Sergei Besseda, un dirigente dei servizi segreti russi, “sono stati affrontati molti problemi”, riferisce. “Siamo lontani dall’aver risolto tutto ma mi sembra che una conversazione del genere sia molto opportuna”, afferma Karassine. Questa mattina a Riyad si è tenuto un nuovo incontro tra le delegazioni ucraina e americana. Questi colloqui, da domenica, non hanno portato a una tregua, nemmeno parziale, o a un consenso su una tregua su alcuni attacchi aerei. Trump era riuscito a ottenere un accordo di Kiev per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni. Ma Vladimir Putin ha elencato numerose richieste e ha precisato di voler limitare una tregua ai soli attacchi alle infrastrutture energetiche. Il presidente americano si è mostrato indulgente nei confronti della Russia, anche se nelle ultime settimane ha accennato alla possibilità di nuove sanzioni. Putin però avanza sul campo nonostante le pesanti perdite e non sembra avere fretta di concludere un accordo, soprattutto perché le forze ucraine controllano ancora il territorio nella regione russa di Kursk. Nonostante i dialoghi, i combattimenti continuano. Ieri, un attacco russo ha causato 101 feriti, tra cui 23 bambini, a Sumy, nel nord-est dell’Ucraina e l’esercito russo ha annunciato di aver conquistato due località, nel sud e nell’est.

Meloni: “Per difesa no chiusura su prestiti ma valutiamo. Ventotene? Sconvolta dalla sinistra”

Dopo il primo giorno di Consiglio europeo, Giorgia Meloni rivendica già due vittorie dell’Italia: la neutralità tecnologica inserita nelle capitolo industria delle conclusioni (“una lunga battaglia italiana”) e, nella competitività, il riferimento alla proposta italiana legata ad InvestEU per il piano della difesa, per aggiungere un’iniziativa che possa mettere garanzie europee sugli investimenti privati. Non è una “chiusura totale” sui prestiti, assicura la premier, ma una scelta da valutare.

Meloni ricorda che l’Unione europea non ha una competenza esclusiva sulla difesa, quindi la materia è in capo agli Stati nazionali. Quello che l’Ue può fare è mettere a disposizione un ventaglio di strumenti, poi saranno i Paesi membri a valutare se e quali di questi strumenti utilizzare: “Alcuni dettagli sono ancora in discussione e finché non abbiamo chiarezza non capiamo neanche l’impatto che hanno”, spiega. Di sicuro, la difesa è una materia da rafforzare, in Italia come in Europa, per la presidente del Consiglio, per “contare di più”: “Il punto è che se chiedi a qualcun altro di difenderti poi rischi anche che sia qualcun altro a decidere per te e io credo che l’Italia debba decidere per se stessa e credo che anche l’Europa, quando ritiene, debba decidere e questo passa anche dalla sicurezza”, insiste.

“Lucida” per Meloni la scelta dell’Unione di rinviare di qualche giorno la reazione sui dazi di Trump. Se ne occuperà personalmente, tornando alla Casa Bianca, fa sapere, anche se non comunica una data. La premier richiama ancora una volta alla “prudenza” nella risposta, e cita le preoccupazioni di Christine Lagarde: i dazi producono una spinta inflattiva che può portare all’aumento dei tassi della Banca centrale europea, se aumentano i tassi la crescita si comprime. “Lagarde ha dato un dato che secondo me è molto interessante – ricorda -. Parlava di una stima di possibile contrazione della crescita in Europa con i dazi dello 0,3%, che arriverebbero 0,5% se noi rispondessimo. E quindi si conferma che dobbiamo fare attenzione al tipo di risposta da dare”.

“Sconvolta” si dice invece dalla bagarre in Aula alla Camera sul manifesto di Ventotene. La prima ministra considera quella delle opposizioni una reazione “totalmente spropositata”. Continua a dissociarsi dai passaggi del documento di Spinelli e Rossi, quando “sostengono che il popolo non è in grado di autodeterminarsi e che quindi va educato e non ascoltato”. Un’analisi “purtroppo abbastanza strutturata nella sinistra anche di oggi e ne abbiamo avuti moltissimi esempi”, chiosa, citando alcuni editoriali di Eugenio Scalfari, dove “spiegava che l’unica forma di democrazia è l’oligarchia”. E’ un concetto che non condivide, ribadisce. Ma accusa: “Sono arrivati sotto i banchi del governo con insulti e ingiurie”. La sinistra “sta perdendo il senso della misura, penso che stia uscendo fuori un’anima illiberale e nostalgica”, l’affondo. Poi rivendica: “Io non ho difficoltà a confrontarmi con le idee degli altri, ma sono molto convinta delle mie e penso che questa sia la base della democrazia e quindi il problema ce l’hanno altri”.