Accordo alla Cop29: 300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035 per i Paesi in via di sviluppo

Dopo tre notti in bianco e interminabili negoziati, fra sabato e domenica il presidente della 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici è riuscito a concludere un importante accordo sui finanziamenti per il clima in Azerbaigian. Ma troppo in fretta per alcuni. Nello stadio olimpico di Baku le scadenze continuavano a non essere rispettate, nella confusione dei negoziati coordinati dall’Azerbaigian. Ma all’improvviso, poco prima delle 3 di domenica mattina, il ministro dell’Ecologia del Paese, Moukhtar Babaïev, ha fatto passare rapidamente l’accordo, per consenso dei 195 membri dell’accordo di Parigi. Alcuni delegati si sono alzati per applaudire. Altri, in particolare dietro il leggio dell’Arabia Saudita, si sono accontentati di osservare educatamente. A quel punto sono iniziati i fuochi d’artificio. Mentre Cuba, India e Bolivia, persino la Svizzera e il Cile, hanno preso la parola per presentare le loro lamentele. La delegata indiana ha accusato pesantemente Babaïev di aver ignorato le sue obiezioni e di aver fatto adottare l’accordo per consenso nonostante la sua richiesta, una tattica che non è inedita in una Cop. L’importo approvato, 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per i Paesi in via di sviluppo, è “irrisorio”, ha denunciato Chandni Raina. “Tutto è stato orchestrato e siamo estremamente, estremamente delusi da questo incidente”, ha detto, mentre gli attivisti in fondo alla sala battevano sui loro tavoli in segno di sostegno. Impassibile, il presidente della Cop29 ha risposto: “Grazie per la sua dichiarazione”. La 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ha adottato una serie di decisioni, la principale delle quali prevede che i Paesi ricchi debbano finanziare 300 miliardi di dollari all’anno da qui al 2035 per sostenere la transizione energetica e l’adattamento ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. Ecco i punti principali dell’accordo.

300 MILIARDI DI DOLLARI. Questo era il punto più atteso del vertice: quanto dovranno fornire ai Paesi in via di sviluppo i 23 Paesi sviluppati e l’Unione Europea, indicati nel 1992 come responsabili storici del cambiamento climatico? “Almeno 300 miliardi di dollari all’anno da qui al 2035”, si legge nell’accordo di Baku, che stabilisce questo “nuovo obiettivo collettivo quantificato” in sostituzione del precedente di 100 miliardi all’anno. Si tratta della metà di quanto richiesto dai Paesi in via di sviluppo e di uno sforzo molto ridotto se si tiene conto dell’inflazione, hanno criticato le ONG. Secondo la formulazione del testo, “i Paesi sviluppati sono all’avanguardia” nel raggiungimento di questo importo, il che significa che altri possono partecipare. Il testo prevede che il contributo dei Paesi ricchi provenga dai loro fondi pubblici, integrati da investimenti privati da loro mobilitati o garantiti, o da “fonti alternative”, ossia da possibili tasse globali, ancora in fase di studio (sui grandi patrimoni, sull’aviazione o sui trasporti marittimi). Secondo l’accordo, questi 300 miliardi di dollari dovrebbero essere la leva necessaria per raggiungere un totale di 1.300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per i Paesi in via di sviluppo. Questa cifra corrisponde al loro fabbisogno di finanziamenti esterni, secondo le stime degli esperti della commissione Onu Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern.

NESSUN OBBLIGO PER LA CINA. I Paesi occidentali chiedevano di ampliare l’elenco dei Paesi responsabili dei finanziamenti per il clima, sostenendo che nel frattempo Cina, Singapore e gli Stati del Golfo si erano arricchiti. Ma la Cina in particolare ha tracciato una linea rossa: questa lista non deve essere toccata. L’accordo di Baku “invita” i Paesi non sviluppati a fornire contributi finanziari, ma questi rimarranno “volontari”, come esplicitamente stabilito. L’accordo contiene tuttavia una novità: d’ora in poi, i finanziamenti per il clima dei Paesi non sviluppati concessi attraverso le banche multilaterali di sviluppo potranno essere conteggiati ai fini dell’obiettivo dei 300 miliardi. Gli europei hanno accolto con favore questa novità.

CONCESSIONI AI PAESI PIU’ VULNERABILI. Sabato hanno sbattuto brevemente la porta, lamentando di non essere stati ascoltati né consultati, ma i 45 Paesi meno sviluppati (LDC) e il gruppo dei circa 40 piccoli Stati insulari sono stati infine convinti a non bloccare l’accordo. Volevano che una parte degli aiuti finanziari fosse esplicitamente riservata a loro, contro il parere di altri Paesi africani e sudamericani. Alla fine, l’accordo anticipa al 2030 l’obiettivo di triplicare i finanziamenti, essenzialmente pubblici, che saranno incanalati attraverso fondi multilaterali dove hanno la priorità. Per la Cop30 di Bélem, in Brasile, nel novembre 2025, è prevista anche una roadmap che produrrà un rapporto su come incrementare i finanziamenti per il clima. Tra le altre cose, fornirà una nuova opportunità per ottenere più denaro sotto forma di sovvenzioni, mentre oggi il 69% dei finanziamenti per il clima consiste in prestiti.

POCO SULL’ELIMINAZIONE DEI COMBUSTIBILI FOSSILI. Qualsiasi riferimento esplicito alla “transizione” dai combustibili fossili, il principale risultato della Cop28 di Dubai, è scomparso nella finalizzazione dei testi principali, riflettendo una “battaglia del diavolo” con i Paesi produttori, secondo un negoziatore europeo. Appare solo implicitamente nei richiami all’esistenza dell’accordo adottato l’anno scorso. Ma il testo, che avrebbe dovuto rafforzarne l’attuazione, non è stato definitivamente adottato alla chiusura della Cop29, dopo una lunga battaglia che lo aveva già ampiamente svuotato della sua sostanza. Una delle priorità dell’Unione Europea, osteggiata dall’Arabia Saudita, era quella di ottenere un monitoraggio annuale degli sforzi per abbandonare petrolio, gas e carbone: senza successo.

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La Cop è stata un flop, forse conviene cambiare format per il Brasile

Non è stata un successo, la Cop 29. E, onestamente, era facile immaginarlo. Pressappoco come le altre che l’hanno preceduta. Partito con la medaglietta di ‘Cop finanziaria’, l’appuntamento ‘verde’ più importante dell’anno ha registrato un rosario di defezioni importantissime (da Biden a Xi Jinping, da Macron a Lula, per finire con von der Leyen e con il premier australiano Anthony Albanese), distanze siderali tra la teoria e la pratica, cioè tra cosa si ipotizzava di raggiungere e gli accordi che sono stati messi su carta, una sostanziale insoddisfazione di fondo generata da uno scetticismo di base assai diffuso. Baku, insomma, non si è rivelato un punto di svolta e nemmeno un punto di raccolta fondi. Perché, in concreto, la bozza finale sui denari da investire di qui al 2035 ha scontentato tutti: i Paesi in via di sviluppo e quelli sviluppati. Con una superficialità quasi imbarazzante si è parlato per giorni di 1000-1300 miliardi all’anno da destinare per la finanza climatica, tralasciando il dettaglio che non ci sono soldi. E, non a caso, il contraddittorio si è acceso fino a diventare scontro.

C’era una volta il temerario Frans Timmermars, c’era John Kerry e c’erano i pasdaran del green, ora lo scenario si è impoverito e al di là di allarmi plastificati lanciati a macchia di leopardo sul cattivissimo stato di salute del Pianeta, all’atto pratico si tratta sempre e solo di chiacchiere, idee e progetti che rimangono appesi nell’aria inquinata. Perché si scontrano con interessi di campanile e mancanza di fondi. Del resto, se l’incipit della Cop è stata la dichiarazione del presidente Ilham Alyev sui combustibili fossili “come dono di Dio”, a cascata pareva complicato ipotizzare passi avanti. Anche la premier Giorgia Meloni, immergendosi nel realismo più assoluto, ha ricordato nel suo intervento in presenza – almeno la presidente del Consiglio in Azerbaigian è andata – che di gas e petrolio dovremo ancora campare per anni, senza trascurare però la tutela della Terra. E quindi? Quindi ‘adelante ma con juicio’, soprattutto avanti con il nucleare. Ma pure su questo tema non c’è unanimità di vedute.

Liofilizzando il concetto, la Cop29 non rimarrà scolpita nella memoria collettiva. In fondo, è nata male fin da subito, cioè in concomitanza con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, e si è incagliata nella recrudescenza dei conflitti e nelle ambasce finanziare degli Stati, America compresa. Appena eletto, il Tycoon ha annunciato che (ri)uscirà dagli accordi di Parigi e che riprenderà a trivellare in maniera forsennata per preservare gli interessi di patria. Non proprio un bello spot per i tavoli di discussione di Baku. Trump che, tra l’altro, all’ambiente ha designato un comprovato negazionista e sostenitore dei combustibili fossili, Christ Wright, giusto per fare capire a tutti quanto gli stia a cuore l’argomento.

Adesso l’orizzonte è quello della Cop 30 in Brasile. Lì il padrone di casa sarà Ignacio Lula da Silva che ha improntato la sua rielezione a presidente sulla salvaguardia dell’Amazzonia. Per evitare che anche le due settimane di Rio de Janeiro abbiano la consistenza di un pandoro, è indispensabile non ripetere Baku, Dubai, Sharm El Sheik. Alla ventinovesima edizione dell’appuntamento promosso dall’Onu, forse bisogna cambiare – come dire? – il format. Così è la fiera multietnica dell’inutilità, invece c’è bisogno di decarbonizzare, tutelare, coccolare il nostro Pianeta. Che non scoppia di salute. Magari è il caso di modificare approccio, di rovesciare la prospettiva visto che – ormai è conclamato – trovare un’intesa tra quasi 200 nazioni, ciascuna con ricadute diverse, è un esercizio impraticabile.

Cop29, sulla finanza la bozza della discordia. A Baku si cerca il compromesso

Unacceptable”, semplicemente inaccettabile. E’ la parola più ripetuta di oggi nello stadio di Baku, che ospita il decimo giorno di lavori della Cop29: serpeggia tra gli analisti, tuona in plenaria. La prima bozza sulla finanza climatica viene respinta da tutti. Perché non offre nessuna idea di compromesso tra i Paesi sviluppati e i Paesi in via di sviluppo, si limita a fotografare la situazione attuale. Il documento non indica una cifra precisa da stanziare o mobilitare e offre due scenari, che riflettono le posizioni dei due gruppi di Paesi.

La prima opzione è vicina ai ‘developing’, i paesi in via di sviluppo. Prevede che il nuovo obiettivo di finanza climatica, da stabilire alla conferenza annuale delle Nazioni Unite, si basi esclusivamente sui fondi dei Paesi sviluppati, che sono obbligati a contribuire secondo i testi delle Nazioni Unite, in virtù delle proprie responsabilità storiche sull’inquinamento. Secondo questa prima opzione, almeno mille miliardi di dollari all’anno devono essere forniti da fondi pubblici dei Paesi ricchi – essenzialmente Europa, Stati Uniti e Giappone – e da fondi privati associati, “nel periodo 2025-2035”, essenzialmente sotto forma di sovvenzioni piuttosto che di prestiti. Si tratta di un importo dieci volte superiore ai 100 miliardi che i Paesi ricchi si erano impegnati a fornire nel periodo 2020-2025, in parte solo sotto forma di sovvenzioni.

La seconda opzione è quella che accontenta il blocco dei Paesi sviluppati. Qui l’obiettivo finanziario sarebbe “un aumento dei finanziamenti globali per l’azione a favore del clima” di almeno mille miliardi di dollari all’anno da raggiungere “entro il 2035” a partire da almeno ‘100 milioni+’, cioè una cifra sicuramente superiore ai 100 milioni ma non si sa di quanto. In più, questa opzione includerebbe “tutte le fonti di finanziamento”, compresi i fondi pubblici di ogni Paese del mondo, i fondi privati e le nuove tasse globali, come quelle sull’aviazione o sul trasporto marittimo. Questa opzione evita di indicare una cifra per l’impegno dei Paesi ricchi, che fin dall’inizio del vertice hanno dichiarato di voler stabilire le modalità di erogazione e di monitoraggio dei fondi, prima di proporre una cifra.

Non c’è quindi un incontro a metà strada sulle due posizioni. Ecco perché le prime reazioni sono incandescenti. “Non intendo indorare la pillola. Il testo così com’è ora è chiaramente inaccettabile“, taglia corto il commissario europeo al Clima, Wopke Hoekstra. Lamenta innanzi tutto l’assenza dell’impegno a uscire dai fossili, che era stato preso a Dubai lo scorso anno: “Non possiamo accettare l’idea che, a quanto pare, per alcuni la precedente Cop non si è svolta”, afferma, ricordando che il programma dell’Ue non prevedeva solo di ribadire il consenso dell’unione, ma anche di rafforzarlo e renderlo operativo. E le nuove tasse che incrementerebbero il fondo clima, osserva, “vanno in realtà nella direzione opposta”. Sull’aspetto finanziario, per Hoekstra serve prima “un’infrastruttura migliore”, più chiarezza anche sui finanziamenti del settore pubblico per l’adattamento, sugli elementi da prendere in considerazione per arrivare a una cifra significativa. Quindi, insiste, “c’è molto lavoro da fare per la presidenza e per tutte le parti coinvolte”.

Anche il ministro italiano Gilberto Pichetto denuncia l’assenza di idee di compromesso nel primo documento: “Ci aspettiamo progressi“, scandisce, nella speranza di avere quanto prima una “proposta di mediazione”.

Il testo “non offre alcun progresso, nessun segnale sulle aspettative di piani nazionali ambiziosi, né uno spazio per discutere l’ambizione collettiva dei piani da presentare l’anno prossimo“, commenta Jennifer Morgan, inviata speciale della Germania per il clima, per cui questa “non può e non deve essere la nostra risposta alla sofferenza di milioni di persone nel mondo”. La Germania chiede messaggi chiari sui prossimi impegni climatici, riduzioni assolute delle emissioni a livello economico in linea con 1,5 gradi e il rinnovo dell’impegno a eliminare gradualmente tutti i sussidi ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o la transizione nel più breve tempo possibile. Il gruppo dei Paesi arabi fa sapere che rifiuterà qualsiasi testo che abbia come obiettivo i “combustibili fossili”. Lo mette in chiaro in plenaria il rappresentante, il saudita Albara Tawfiq, alla Conferenza ONU sul clima di Baku, nel penultimo giorno teorico della COP29. Sul piede di guerra i piccoli Paesi insulari, quelli più a rischio di scomparire con le conseguenze del cambiamento climatico. “Il tempo dei giochi politici è finito”, avverte il rappresentante, il samoano Cedric Schuster, a nome dell’alleanza Aosis, ribadendo che il mondo non può permettersi di andare in direzione opposta a quella dell’Accordo di Parigi.

Il rappresentante dei G77 (l’organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, formata da 134 paesi del mondo in via di sviluppo) ripete come un mantra da giorni ai ministri e alle delegazioni di non lasciare Baku “senza stabilire una cifra chiara” sulla finanza climatica. Spiega che i Paesi in via di sviluppo chiedono ai Paesi ricchi “almeno” 500 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti per il clima entro il 2030, per raggiungere mille miliardi con fondi pubblici, senza perdere di vista l’obiettivo di 1,3 trillions.

Molti elementi non sono “né soddisfacenti né accettabili” anche per la Cina. Il rappresentante Xia Yingxian, ribadisce intanto in plenaria il rifiuto di qualsiasi testo che obblighi la Cina a contribuire agli aiuti finanziari internazionali per i Paesi in via di sviluppo (mentre l’Europa e gli altri Paesi ricchi vorrebbero includere ufficialmente il denaro già fornito dalla Cina nel totale). Pechino invita “tutte le parti a incontrarsi a metà strada”, ponendosi come una potenza equilibratrice tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Il delegato suggerisce che il contributo obbligatorio dei Paesi sviluppati “sia ben superiore a 100 miliardi di dollari all’anno”.

Su tutti, l’appello di Antonio Guterres al compromesso: “Il tempo stringe“, esorta. Confessa di percepire “una certa propensione all’accordo“, pur ammettendo l’esistenza di differenze importanti. Chiede una “grande spinta per portare le discussioni oltre il traguardo” per realizzare un “pacchetto ambizioso ed equilibrato” su tutte le questioni in sospeso, con al centro un nuovo obiettivo finanziario. “Il fallimento non è un’opzione“, avverte. Quello che serve è chiaro, per il segretario dell’Onu: “Un accordo su un nuovo ambizioso obiettivo di finanziamento del clima a Baku“, da cui ripartire l’anno prossimo a Belem, in Amazzonia.

Occhi puntati sulla nuova bozza, che dovrebbe contemplare una sola opzione, un compromesso tra le parti. La sfida sarà, per gli analisti, fare in modo che il documento finale non sia un ‘fantadocumento’, che non parli di qualcosa che non esiste e che non passi l’idea che la Conferenza delle Parti possa partorire della carta straccia.

Cop29, Ferri (Acea): Riutilizzo delle acque reflue il futuro in agricoltura

La Dichiarazione sull’Acqua per l’Azione Climatica è tra gli impegni della Cop29 di Baku, in Azerbaigian e l’Italia sul dossier gioca un ruolo importante. Nella giornata dedicata all’alimentazione, all’agricoltura e all’acqua, Fabrizio Ferri, presidente esecutivo Acea International, spiega a Gea qual è il ruolo del gruppo nella spinta verso lo sviluppo delle infrastrutture e cosa aspettarci dalle sperimentazioni in corso nel settore. “Acea è il principale operatore nel settore idrico in Italia e il secondo in Europa. Serviamo 10 milioni di abitanti in 6 diverse regioni italiane. Lo stesso numero di abitanti lo serviamo anche all’estero, in America Latina, attraverso le nostre società in Honduras, Perù, Repubblica Dominicana”, ricorda. Nel settore idrico, spiega Ferri, è “indispensabile un piano di ammodernamento delle infrastrutture, visto che in Italia il 60% della rete ha più di 30 anni”. Da qui, il ruolo di Acea, nella gestione e nello sviluppo: “Abbiamo un know how all’avanguardia nella realizzazione di progetti di ingegneria nell’idrico – rivendica -. A breve partirà una delle opere più importanti in Italia dei prossimi anni, la realizzazione del secondo tronco dell’acquedotto Peschiera, uno dei più complessi e importanti d’Europa, gestito da Acea”.

Qual è il futuro della gestione sostenibile dell’acqua in agricoltura?

Il riutilizzo delle acque reflue trattate per applicazioni agricole è una soluzione importante per ridurre il consumo di risorse naturali e per contribuire all’apporto di nutrienti alle colture, in linea con i principi dell’economia circolare. Consideriamo che l’agricoltura rappresenta quasi il 60% del consumo totale di acqua in Italia. Acea ha già sviluppato diversi progetti per il riutilizzo delle acque reflue trattate e la gestione delle risorse idriche non convenzionali (NCW), puntando sull’innovazione tecnologica. In un momento in cui la disponibilità della risorsa sta diminuendo è necessario fare in modo che l’acqua venga riutilizzata più possibile, alleggerendo la pressione sulle fonti.

Quanto è importante il “lavoro di squadra”, le collaborazioni con altre realtà, come banche, fondi, centri di ricerca?

Il lavoro di squadra è imprescindibile. Molti territori non dispongono delle risorse finanziarie per investire in tecnologie avanzate come gli impianti di trattamento delle acque reflue. Spesso mancano anche le competenze tecniche necessarie. La collaborazione è necessaria per garantire che si sviluppino queste conoscenze specifiche che servono per mantenere con efficacia questi sistemi. Dall’altra parte, gli accordi con banche e fondi possono facilitare gli investimenti nel settore. Su questo ad esempio Acea e Intesa Sanpaolo hanno siglato un’intesa che metterà a disposizione 20 miliardi di Euro per supportare iniziative sulla gestione sostenibile dell’acqua.

Quanto è urgente adeguare le normative in materia, in Italia e in Europa?

È fondamentale un’evoluzione del quadro normativo, adottando un approccio più flessibile al riutilizzo delle acque reflue in agricoltura. Questo soprattutto perché l’incertezza normativa rappresenta una barriera per gli investimenti. Per massimizzare la quantità d’acqua che si può riutilizzare sarebbe opportuno anche pensare a processi di trattamento non standard, in modo da abbinare le qualità dell’acqua alle esigenze delle colture circostanti.

Acea siede nella cabina di regia del Piano Mattei come water expert. Quali dei tanti progetti per la gestione dell’acqua è indispensabile esportare in Africa?

Acea partecipa attivamente all’attuazione del Piano Mattei nel continente africano, un programma del Governo italiano che mira a favorire la cooperazione in 5 diversi pilastri, uno dei quali è l’acqua. L’obiettivo è quello di creare sinergie che consentano un approccio globale alla gestione sostenibile dell’acqua, agendo su progetti specifici, politiche locali, infrastrutture verdi ed educazione alla gestione dell’acqua.

Cop29, Pichetto: “Dal G20 nessun input, in questo momento evitiamo di parlare di cifre”

Al via a Baku, in Azerbaigian, la seconda giornata di lavori della seconda settimana della Cop29. Oggi il focus è sui temi cibo, agricoltura e acqua. La conferenza stampa della presidenza è attesa per le 13.15 locali (le 10.15 italiane).

Occhi puntati sul G20 di Rio, in Brasile, dove però i leader non hanno fatto progressi per sbloccare i negoziati sul clima di Baku, come aveva chiesto ieri la conferenza della parti. Gli sherpa non hanno nemmeno incluso nel loro comunicato l’impegno per “una giusta, ordinata ed equa transizione dai combustibili fossili nei sistemi energetici”, che era stato ottenuto nell’ultima COP a Dubai lo scorso anno.

Non è arrivato nessun input politico preciso dal G20 nell’aumentare i fondi per i paesi vulnerabili, anzi in questo momento noi evitiamo di parlare di cifre”, commenta il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, arrivato a Baku ieri sera. Si intrattiene con i giornalisti a margine dell’evento ‘Le tecnologie di Leonardo per supportare le transizioni climatiche e proteggere territori e comunità‘, nel padiglione italiano. “Abbiamo appena finito la riunione e l’impegno che abbiamo assunto è quello di non parlare di numeri, anche perché vogliamo legare i numeri alle misurazioni e alle mitigazioni”, fa sapere.

La situazione dei negoziati, ammette, è “ancora abbastanza difficoltosa”, riferisce. Il ministro fa riferimento al dossier Cina, che non vorrebbe rientrare direttamente tra i Paesi contributori, al nodo della mitigazione, cioè l’abbassamento delle emissioni, che molti Paesi, in particolare i Paesi via di sviluppo, non vogliono tenere in considerazione. E ancora, “sembrava a buon punto la trattativa che riguardava l’articolo 6 dell’accordo di Parigi con le misurazioni, ma questa notte nelle trattative tecniche c’è stata ancora qualche difficoltà“, informa.

Per allargare la platea dei donatori, la ricetta italiana è quella di coinvolgere i fondi multilaterali.Portando dentro i fondi multilaterali naturalmente si va ad allargare la base perché sono certamente per più della metà, per circa un 60% dei paesi del G7, ma per il 40% è molto più allargato, perché riguarda anche paesi che possono essere a questo punto contributori e fruitori“, ricorda Pichetto. Sarebbe un modo per far contribuire anche la Cina, presente in modo massiccio nei fondi asiatici: “La Cina rimarrebbe in una condizione di contributore ma anche di fruitore, questo è uno degli elementi“.

Un altro modo per dare più respiro al piano di finanza climatica è per il ministro italiano quello di considerarlo decennale e non attivare meccanismi vincolanti annuali. Però, mette in guardia, “siamo al primo giorno delle ministeriali, i nostri negoziatori cominciano adesso, vedremo“.

L’Italia conferma gli impegni sui fondi definiti finora: “Abbiamo ribadito quindi la disponibilità sul fondo clima, l’impegno sul loss and damage nel momento in cui verranno definite anche le modalità“, afferma Pichetto, ribadendo di avere la piena volontà di discutere un nuovo quadro finanziario, ma “che sia essere legato a un sistema di misurazione delle ricadute”.

Oggi il ministro interviene al dialogo ministeriale di Alto Livello sull’urgente necessità di aumentare gradualmente i finanziamenti per l’adattamento, poi, al Padiglione ucraino, partecipa all’evento di Alto Livello dedicato al punto ‘Sicurezza Ambientale’ della ‘Formula di Pace’ Ucraina. Alle 17.30 (14.30 italiane) il ministro è atteso al Padiglione Italiano per il Side Event organizzato dalla Fondazione Patto per la Decarbonizzazione del Trasporto Aereo (PACTA) sulle sfide del settore per la decarbonizzazione. Conclude la giornata l’evento di lancio del progetto ‘Giubileo e Ambiente’ sostenuto dal MASE in collaborazione in ISPRA e promosso da Earth Day Italia (Padiglione Mediterraneo, ore 18.30 – le 15.30 in Italia).

In programma per oggi un incontro bilaterale con Ugochi Daniels, vicedirettrice generale per le Operazioni dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Salta invece il bilaterale con Idit Silman, ministra della protezione ambientale d’Israele, che non ha potuto raggiungere Baku a causa dello spazio aereo che Ankara ha chiuso a Israele. Domani, mercoledì 20, il ministro tiene il bilaterale con Habib Abid, ministro dell’Ambiente della Tunisia, con Seyoum Mekonen, vice ministro di Stato per la Pianificazione e lo Sviluppo della Repubblica Federale Democratica d’Etiopia e con Svetlana Grinchuk, ministra della Protezione Ambientale e delle Risorse Naturali dell’Ucraina,

La Cop29 si appella al G20: “Leader diano segnale chiaro, senza non possiamo farcela”

In apertura della settimana che porterà alla chiusura dei lavori, si alza il grido d’aiuto della presidenza azera della Cop29 al G20 di Rio de Janeiro. I venti grandi “rappresentano l’85% del Pil globale e l’80% delle emissioni”, chiosa Mukhtav Babayev, ministro dell’Ecologia e delle risorse naturali, considerando il G20 “essenziale per compiere progressi su tutti i pilastri dell’Accordo di Parigi”, dalla finanza alla mitigazione e all’adattamento. “Non possiamo farcela senza di loro e il mondo aspetta di sentirli”, insiste, esortando il summit a inviare un segnale positivo dell’impegno ad affrontare la crisi climatica: “Vogliamo che forniscano mandati chiari per ottenere risultati alla COP29. Questa è la loro occasione per dimostrare la loro leadership”.
Il segretario esecutivo dell’United Nations Climate Change Conference, Simon Stiell, fa presente che i costi dell’adattamento al cambiamento climatico “salgono alle stelle per tutti, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo” e i loro costi potrebbero salire a “340 miliardi di dollari all’anno entro il 2030, fino a raggiungere i 565 miliardi di dollari all’anno entro il 2050″.
A Rio, anche il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres invita i Paesi del G20 a dare l’esempio e a trovare “compromessi” per salvare la conferenza sul clima. Che comunque non resta ferma. Dopo l’adozione del comma 4 dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, sulla finanza privata, oggi da Baku arriva anche l’adesione della conferenza al comma 8 dello stesso articolo, sugli “approcci non di mercato”, quindi sulla finanza pubblica.

Babayev però si dice preoccupato dalla lentezza dei negoziati: “Le parti non si stiano avvicinando l’una all’altra con sufficiente rapidità, è ora che si muovano più velocemente”, esorta, domandando un accordo “equo e ambizioso”.
L’obiettivo è quello di inserire nei documenti delle Nazioni Unite le modalità di finanziamento di circa 1.000 miliardi di dollari all’anno di aiuti al clima per i Paesi in via di sviluppo da qui al 2030. Denaro che sarà utilizzato per costruire centrali solari, investire nell’irrigazione e proteggere le città dalle inondazioni. Bisognerà capire se questa cifra dovrà essere solo pubblica o mobilitata, quanto sarà ampia la platea dei Paesi donatori e quali saranno le tempistiche indicate nel documento.

La cifra al 2030 è la stima del fabbisogno fatta dagli economisti Nicholas Stern e Amar Bhattacharya, su commissione dell’ONU. Secondo i testi delle Nazioni Unite, solo i Paesi sviluppati sarebbero obbligati a contribuire. Ma l’Europa spinge perché i Paesi emergenti, come la Cina, diano un segnale di disponibilità.
Il contesto internazionale non aiuta. Gli Stati Uniti di Joe Biden stanno cercando di guidare l’uscita dall’impasse, a due mesi dal ritorno al potere di Donald Trump. Domenica, il Presidente uscente ha fatto una visita simbolica in Amazzonia, chiedendo un’azione “per l’umanità”. Nonostante il momento geopolitico così complesso, da Baku il commissario europeo all’Ambiente, Wopke Hoekstra si mostra ottimista: “Credo davvero che possiamo e dobbiamo ottenere un buon risultato entro la fine di questa settimana”, scandisce, ricordando che la sfida da affrontare è “davvero politica”: “Quindi questa settimana, in questa sede, smorziamo il rumore di fondo e concentriamoci sui negoziati che ci attendono”.

Tre le richieste di fondo dell’Europa: il denaro vada ai Paesi realmente più bisognosi e più vulnerabili; aumentino le risorse private perché “la realtà è che non ci sarà mai abbastanza denaro pubblico da nessuna fonte” e i Paesi contribuiscano “in base alle loro emissioni e alla loro crescita economica”. Qui il riferimento chiaro, anche se non esplicito, è alla Cina. Quanto alla capacità di attrarre fondi privati, la ricetta è il carbon pricing: “A contribuire maggiormente è la determinazione del prezzo del carbonio e i mercati del carbonio. Per questo stiamo anche negoziando il completamento delle norme dell’Accordo di Parigi che regolano i mercati internazionali del carbonio”, fa sapere Hoekstra.

Da oggi, la Cop29 ospita i ministri dell’Ambiente, compreso Gilberto Pichetto Fratin, per l’Italia e che ribadisce l’importanza di essere presente al vertice: “La Cop29 è una delle tante tappe di un processo irreversibile in atto“, spiega a Gea il ministro, che torna sulla contingenza globale: “Usa e Ue stanno per cambiare governo, il governo tedesco è in crisi. L’uscita degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, se ci sarà, non cambierà le politiche americane in modo importante. Anche se alla Cop non sono presenti molti dei grandi leader, ci sono tante altre occasioni per vedersi. I Paesi Opec, che sono tra i maggiori emettitori, sono quelli che hanno i piani più ambiziosi“, ammette. Pichetto si dice convinto che sia “importante continuare anche a Baku ad agire con pazienza e determinazione per raggiungere, passo dopo passo, gli obiettivi della decarbonizzazione“.

La palla, per il momento, passa al Brasile, con un assist da Parigi, dove si discute anche della proposta di tagliare la spesa pubblica internazionale dei Paesi Ocse per progetti di combustibili fossili attraverso le agenzie di credito all’esportazione. Se approvata, la proposta prevede l’eliminazione di 40 miliardi di dollari dai nuovi investimenti in combustibili fossili.

Meloni a Baku: “Al momento no alternativa a fossili”. Pichetto: “Nodo contribuzioni”

L’Italia è in prima linea per raggiungere gli obiettivi climatici fissati a Dubai, ma al momento “non c’è alternativa ai combustibili fossili”. Giorgia Meloni non lancia il cuore oltre l’ostacolo dal palco della Cop29 di Baku, in Azerbaigian, dove fa una ‘toccata e fuga’ per intervenire in presenza, prima di riprendere l’aereo per Roma.

Dalla Cop la premier rilancia la necessità di adottare un approccio pragmatico e “non ideologico” per la decarbonizzazione, sfruttando tutte le tecnologie a disposizione. Anche per questo, gli sforzi di Roma si concentrano sulla fusione nucleare, che potrà fornire in futuro energia illimitata a una popolazione mondiale in continua espansione.

I negoziati non saranno semplici, ricorda in radio il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto. Quella di Baku è destinata a essere considerala una Cop delle assenze. Non ci saranno il presidente americano uscente Joe Biden, la presidente della Commissione europea Von der Leyen, il francese Macron, il cancelliere tedesco Scholz, il presidente cinese Xi Jinping, il presidente indiano Modi e il brasiliano Lula, nonostante riceva il testimone della prossima conferenza delle parti, che si terrà proprio in Brasile.
Per Pichetto, che sarà a Baku da lunedì 18, pesa non poco “il cambio al governo negli Stati Uniti“. Uno dei temi è determinare le regole per le contribuzioni sui Paesi in via di sviluppo, che al momento, ricorda, “è su base volontaria“. Essendo un meccanismo volontaristico, osserva, non è “completamente equilibrato“, in questi dieci giorni serviranno “confronti serrati” per arrivare al documento finale.

La premier richiama tutti alla cooperazione per raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030, “a partire dai maggiori emettitori” e avendo a disposizione un “supporto finanziario adeguato”. Si lavora per raggiungere nuovi obiettivi finanziari, un compromesso efficace, ma, insiste, “c’è bisogno di responsabilità condivise, c’è bisogno di superare le divisioni, le divergenze tra i paesi emergenti e quelli già sviluppati”.

Come tutte le altre Cop, il successo dipenderà dai governatori dei singoli Paesi: “Sappiamo che potremmo non trarre dei benefici personali dagli sforzi che stiamo facendo – ammette Meloni -, ma questa non è la cosa importante”. La leader italiana torna sul tema della maternità: “Io sono una madre e come madre nulla mi dà più soddisfazione di quando lavoro per delle politiche che permetteranno a mia figlia e alla sua generazione di vivere in un mondo migliore”, scandisce. E prende in prestito le parole del filosofo statunitense William James: “L’azione è quello che fa la differenza, perché lo farà”.

A Baku si apre la Cop29: occhi puntati sulla finanza climatica. E su Donald Trump

La 29esima conferenza delle Nazioni Unite sul clima si è aperta lunedì in Azerbaigian con un appello alla cooperazione globale, sei giorni dopo la rielezione di Donald Trump, in un momento in cui i Paesi in via di sviluppo chiedono centinaia di miliardi di dollari in aiuti. “È tempo di dimostrare che la cooperazione globale non è in stallo. È all’altezza del momento”, ha detto il capo delle Nazioni Unite per il clima Simon Stiell all’apertura della grande conferenza a Baku, sulle rive del Mar Caspio, senza mai menzionare il Paese il cui nome è sulla bocca di tutti qui: gli Stati Uniti.

LA FINANZA CLIMATICA. La principale posta in gioco di questa Cop, che durerà fino al 22 novembre, è stabilire l’ammontare degli aiuti climatici dei Paesi sviluppati ai Paesi in via di sviluppo, affinché questi ultimi possano svilupparsi senza carbone o petrolio e far fronte a un maggior numero di ondate di calore e inondazioni. I Paesi poveri chiedono che il nuovo impegno, attualmente pari a 116 miliardi di dollari l’anno (entro il 2022), sia di migliaia di miliardi l’anno. Ma gli occidentali considerano questo ordine di grandezza irrealistico per le loro finanze pubbliche. Il presidente della COP29 Moukhtar Babayev ha parlato di “centinaia di miliardi” nel suo discorso di apertura di lunedì, ma nessuno dei negoziatori ha svelato le proprie carte. I delegati hanno negoziato fino alle 4 di domenica notte. “La Cop29 è un momento di verità per l’Accordo di Parigi”, ha dichiarato Babayev, ministro dell’Ecologia dell’Azerbaigian ed ex dirigente della compagnia petrolifera nazionale Socar.

Secondo l’ONU, i partecipanti accreditati sono circa 51.000, un numero inferiore rispetto alla Cop28 dell’anno scorso a Dubai. Molte Ong criticano il fatto che la conferenza si tenga in un Paese che celebra il petrolio come “dono di Dio” e dove le autorità hanno arrestato e perseguito diversi attivisti ambientali.

L’INCOGNITA TRUMP. Basterà una sola firma perché Donald Trump, quando entrerà alla Casa Bianca il 20 gennaio, si unisca a Iran, Yemen e Libia per uscire dall’accordo adottato a Parigi nel 2015 dai Paesi del mondo. Questo accordo è la forza trainante che ha permesso di frenare la traiettoria del riscaldamento globale negli ultimi dieci anni a circa 3°C o meno entro il 2100, secondo i calcoli. Il testo impegna il mondo a limitare il riscaldamento globale a 2°C e a proseguire gli sforzi per limitarlo a 1,5°C, rispetto alla fine del XIX secolo. L’anno 2024, che sarà torrenziale per molti Paesi, sarà quasi certamente a questo livello. Se ciò continuerà a lungo termine, il limite climatico sarà considerato raggiunto.

I GRANDI ASSENTI. Gli europei giurano che raddoppieranno gli sforzi per compensare il ritiro degli Stati Uniti, ma pochi di loro saranno a Baku. Non parteciperanno il presidente francese, Emmanuel Macron, e quello brasiliano Lula, così come il cancelliere tedesco Olaf Scholz, impegnato a gestire la crisi di governo e, ovviamente, il presidente russo Vladimir Putin. Ma, soprattutto, non parteciperà la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen“impegnata – fanno sapere da Bruxelles – nella fase di transizione tra l’uscente e l’entrante esecutivo Ue”. Un’assenza, la sua, che da più parti viene vista come il tentativo di tirare il freno a mano sulle politiche climatiche e ambientali del Vecchio continente e, più in generale, sulle ambizioni del Green Deal.

LA DELEGAZIONE EUROPEA. Della delegazione Ue, invece, faranno parte il commissario per l’azione per il clima Wopke Hoekstra, la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, (14 e 15 novembre) e quella per per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Iliana Ivanova (12 novembre). Il primo ministro britannico Keir Starmer e lo spagnolo Pedro Sánchez, invece, dovrebbero partecipare al vertice dei leader del 12-13 novembre, così come la premier Giorgia Meloni, il cui intervento dovrebbe svolgersi mercoledì 13.

LA DELEGAZIONE ITALIANA. La delegazione italiana sarà guidata dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin e il padiglione del nostro Paese ospiterà decine di eventi organizzati dai ministeri (oltre al Mase ci sarà anche quello degli Esteri), da Ice, enti e istituzioni di ricerca, associazioni di categoria, fondazioni, ong e imprese.

 

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A Baku si apre la Cop29: finanza climatica focus della Conferenza. Assenti von der Leyen e Macron

Defezioni, ong sul piede di guerra, accuse di corruzione e, nemmeno troppo sullo sfondo, due conflitti, quello in Ucraina e quello in Medioriente. Senza dimenticare che il 2024 è già l’anno più caldo della storia e che con l’elezione di Donald Trump gli Stati Uniti potrebbero nuovamente abbandonare gli accordi internazionali sul clima. Parte sottotono, ma con un’agenda fitta, la Cop29, che si apre lunedì 11 novembre a Baku (Azerbaigian) e si chiuderà il 22.

La Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici chiama a raccolta 197 Paesi più l’Unione europea e punta su due pilastri paralleli, cioè l’ambizione e l’azione, con l’obiettivo di ottenere riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni per mantenere le temperature sotto controllo e rimanere al di sotto della soglia di 1,5°C, così come previsto dall’Accordo di Parigi. In mezzo ci sono le politiche climatiche nazionali, il tema energetico – in particolare legato ai combustibili fossili e al ‘phasing out’- e quello della finanza, che con molta probabilità sarà il nodo cruciale del vertice. E, ancora, agricoltura, salute, industria, biodiversità, oceani.

IL PROGRAMMA DELLA CONFERENZA. La cerimonia ufficiale di apertura della Cop29 si terrà l’11 novembre, mentre martedì 12 si svolgerà il Vertice dei leader mondiali sull’azione per il clima. Il giorno successivo, il 13, sarà dedicato al tema della finanza, degli investimenti e del commercio e venerdì 14 a quello dell’energia, della pace, della ripresa e della resilienza. Sabato 16, invece, saranno la scienza, la tecnologia, l’innovazione e la digitalizzazione il focus dei colloqui, a cui seguiranno, lunedì 17, i temi del capitale umano, dei bambini e giovani, della salute e dell’istruzione. Cibo, agricoltura e acqua domineranno i dialoghi di martedì 19 e, il giorno successivo, cioè mercoledì 20, il tema sarà quello dell’urbanizzazione, del turismo e dei trasporti. Infine, giovedì 21 il tema principale sarà quello della biodiversità, delle popolazioni indigene, degli oceani e zone costiere. La Conferenza si chiuderà il 22 e, almeno sulla carta, dovrà portare alla conferma degli obiettivi energetici globali concordati lo scorso anno a Dubai per abbandonare i combustibili fossili, triplicare gli investimenti nelle rinnovabili e raddoppiare le misure di efficienza energetica entro il 2030.

FINANZA CLIMATICA AL CENTRO. Ma non solo. La parola chiave sarà NCQG, cioè ‘Nuovo Obiettivo Quantificato Collettivo’ che sostituirà quello adottato nel 2009 e raggiunto nel 2022, che chiedeva ai Paesi ricchi di fornire 100 miliardi di dollari all’anno per aiutare i Paesi in via di sviluppo a limitare le emissioni di gas serra e ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Questa cifra comprende finanziamenti pubblici bilaterali e multilaterali, crediti all’esportazione e finanziamenti privati. In sostanza, quindi, si tratterà di mettere sul piatto più risorse, molte più risorse e i negoziati si concentreranno sullo sblocco dei trilioni di dollari necessari ai Paesi in via di sviluppo per affrontare la crisi climatica. Quanto uscirà dalle tasche dei Paesi più ricchi sarà il vero banco di prova della Cop.

I GRANDI ASSENTI. Nonostante la posta in gioco sia altissima, a pochi giorni dall’apertura le annunciate defezioni stanno già facendo sentire il loro peso. Non saranno a Baku il presidente francese, Emmanuel Macron, e quello brasiliano Lula, così come il cancelliere tedesco Olaf Scholz, impegnato a gestire la crisi di governo e, ovviamente, il presidente russo Vladimir Putin. Ma, soprattutto, non parteciperà la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, “impegnata – fanno sapere da Bruxelles – nella fase di transizione tra l’uscente e l’entrante esecutivo Ue”. Un’assenza, la sua, che da più parti viene vista come il tentativo di tirare il freno a mano sulle politiche climatiche e ambientali del Vecchio continente e, più in generale, sulle ambizioni del Green Deal.

LA DELEGAZIONE EUROPEA. Della delegazione Ue, invece, faranno parte il commissario per l’azione per il clima Wopke Hoekstra, la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, (14 e 15 novembre) e quella per per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù, Iliana Ivanova (12 novembre). Il primo ministro britannico Keir Starmer e lo spagnolo Pedro Sánchez, invece, dovrebbero partecipare al vertice dei leader del 12-13 novembre, così come la premier Giorgia Meloni, il cui intervento dovrebbe svolgersi mercoledì 13.

LA DELEGAZIONE ITALIANA. La delegazione italiana sarà guidata dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin e il padiglione del nostro Paese ospiterà decine di eventi organizzati dai ministeri (oltre al Mase ci sarà anche quello degli Esteri), da Ice, enti e istituzioni di ricerca, associazioni di categoria, fondazioni, ong e imprese.

Nucleare, Pichetto conferma dialogo su newco. Meloni: “Fissione ponte per fusione”

Il Gruppo Mondiale per l’Energia da Fusione si riunisce per la prima volta a Roma, alla Farnesina, su iniziativa dell’Italia e dell’Aiea. Il governo punta tutto sull’atomo, tanto che a Roma proseguono le trattative per una newco tra Enel, Ansaldo e Leonardo che si occupi di produrre mini-centrali di nuova generazione. Gilberto Pichetto lo conferma, ma non si sbilancia: “C’è una interlocuzione, ma non ancora un punto di convergenza sui soggetti che possono partecipare. Quello che possiamo dire è che il soggetto dovrebbe avere un ruolo importante nel sistema“, spiega in conferenza stampa.

Pichetto incontra la stampa con il direttore dell’Aiea, Rafael Grossi, in una pausa dei lavori del gruppo, che riunisce i più importanti rappresentanti dei settori pubblico e privato, dell’industria, del mondo accademico, degli enti di ricerca e della società civile.
Lo scopo è quello stimolare una collaborazione incentrata sulla ricerca, sullo sviluppo e sulle applicazioni dell’energia da fusione, per accelerare la transizione dell’energia da fusione dall’attuale fase di ricerca a quella dello sviluppo commerciale.

Con la ‘Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile‘, istituita dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, si è già avviato un percorso per valutare l’opportunità di riprendere l’utilizzo dell’energia nucleare in Italia, sia a breve-medio termine tramite le nuove tecnologie da fissione nucleare, sia a medio-lungo termine con l’energia da fusione, per raggiungere gli obiettivi di de-carbonizzazione al 2050 e per accrescere la sicurezza e la sostenibilità degli approvvigionamenti di energia.

Proprio la fissione di quarta generazione può fare da ponte “dall’idrocarburo alla futura fusione“, prospetta Giorgia Meloni, in un messaggio inviato al tavolo e letto dal sottosegretario Alfredo Mantovano. La premier non partecipa in presenza, bloccata da un’influenza, ma ribadisce l’importanza della tecnologia per il governo: “L’Italia – rivendica – resta il più nucleare tra i Paesi non nucleari“. Si colloca all’ottavo posto in Europa per numero di addetti, circa 40.000, “è un punto di riferimento della catena di approvvigionamento internazionale, dispone di un’expertise tecnologica di altissimo livello, il sistema universitario forma un numero importante di ingegneri, di fisici nucleari apprezzati a livello internazionale, le realtà d’eccellenza si distinguono per ambiziosi progetti di ricerca e di sviluppo“, spiega la presidente del Consiglio. Se lo scopo è quello di portare avanti una transizione energetica “sostenibile e non ideologica“, per farlo, garantisce Meloni, saranno usate “tutte le tecnologie, quelle già in uso, quelle che stiamo sperimentando, quelle che dobbiamo ancora scoprire“.

I tempi per la fusione dipenderanno da quanto ingenti saranno gli investimenti, ma Grossi azzarda prospettive molto ottimistiche: “Siamo in un momento in cui il processo passa dalla fase di pura ricerca alla dimostrazione e poi alla commercializzazione. Credo 5-10 anni, ma si vedrà, all’orizzonte si intravede un risultato possibile e a portata di mano“, afferma.

Al momento, gli investimenti di Stato si concentrano tramite Enea su Euratom e Iter. “Siamo sull’ordine dei centinaia di milioni, non oltre“, fa sapere Pichetto. Si cercherà di coinvolgere massicciamente i privati e la speranza è che gli incentivi non serviranno, “che la competitività porti a una condizione tale per cui non sarà necessario intervenire con integrazioni pubbliche sul sistema“, spiega.

Il tema energetico è diventato fondamentale per l’intera Europa. L’iniziativa voluta dall’Italia avviene in un “momento critico“, osserva la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, riferendosi alle alluvioni che hanno colpito la Spagna, “segnali di qualcosa che non va nel pianeta, di una crisi climatica in corso“, risultato “dell’uso scriteriato dei fossili“. Al tempo stesso però, ammette, “il mondo ha bisogno di sempre più energia”. E’ necessario quindi che questa sia “sicura e pulita“, come quella “rivoluzionaria” che potrà offrire la fusione.

La Commissione per il momento ha inserito il nucleare nella tassonomia delle attività economiche sostenibili, “cosa che schiude anche importanti prospettive, cioè il nucleare non è inquinante“, scandisce il padrone di casa, Antonio Tajani, aprendo i lavori dell’evento inaugurale, a livello ministeriale, del Gruppo. La lotta contro il cambiamento climatico, afferma, va fatta “con intelligenza, con scelte pragmatiche“. E la scelta del nucleare, insiste, va in questa direzione, perché “riesce a conciliare crescita, politica industriale e ambiente“, perché ribadisce il vicepremier: “Non è detto che la lotta al cambiamento climatico e la politica industriale siano due cose inconciliabili, anzi sono scelte che si possono conciliare benissimo“.

Il tema sarà protagonista della Cop29, che si apre la prossima settimana a Baku, dall’11 al 22 novembre. “L’energia nucleare svolge un ruolo fondamentale, come la capacità di essere pulita, che utilizza una quantità minima di risorse e a basse emissioni di carbonio“, chiosa il ministro dell’Energia dell’Azerbaigian Parviz Shahbazov. Le nuove sfide sono quelle di “rafforzare le norme per una corretta gestione delle scorie radioattive, il sostegno finanziario e l’aumento della fiducia del pubblico“. Il Paese, storico produttore di idrocarburi, punta a cambiare passo sulla la decarbonizzazione: “Siamo mettendo in pratica progetti su larga scala per portare le rinnovabili nel Paese al 35%. Siamo capofila nella transizione energetica nella Regione avendo creato dei corridoi energetici. La priorità – sostiene – è diventare un Paese a crescita verde“. Per questo, gli “smr possono essere un grande sostegno“.