Piano Mattei, a Roma Forum con imprenditori e 5 accordi Cdp con banche africane

Non solo i governi, anche le imprese si confrontano sul Piano Mattei. Antonio Tajani apre le porte della Farnesina agli industriali africani, per un forum con Assafrica, Ice, 47 associazioni imprenditoriali del Continente provenienti da 21 Paesi, tra cui Senegal, Nigeria, Kenya, Niger e Costa d’Avorio.

Sono un grande sostenitore della nascita di società miste, soprattutto per quanto riguarda le materie prime, credo si possano raggiungere accordi win-win”, osserva Tajani, ribadendo le “potenzialità straordinarie” del Continente. “Vogliamo portare – ribadisce – sempre più Africa nelle nostre imprese”. Il ministro degli Esteri si dice convinto che si debba guardare oltre Mediterraneo “con lenti africane e non italiane”: “Siamo pronti a stringere la mano ai popoli africani, aspettando una compartecipazione italiana a iniziative economiche e non solo”, scandisce. Pensa al settore dello spazio, della salute, al comparto agricolo, scientifico e della ricerca. Il ministero e il governo lavorano a un pacchetto da 200 milioni di euro in misure speciali per l’Africa, per favorire partenariati commerciali, con il 20% a fondo perduto.

Il Piano Mattei è un “progetto visionario“, per il presidente dell’Ice, Matteo Zoppas, che ricorda che gli interscambi economici valgono 60 miliardi, 20 miliardi sono solo le esportazioni italiane in Africa. Confindustria condivide l’interesse che il Governo italiano rivolge all’Africa “promuovendo un modello innovativo che vada concretamente incontro ai bisogni di crescita economica di lungo periodo dei Paesi africani e che sia in linea con gli interessi di prosperità e sicurezza nazionali“, sottolinea la vice presidente degli industriali, con delega all’internazionalizzazione, Barbara Beltrame. L’attenzione al Continente africano di Confindustria ha visto la realizzazione di una rappresentanza internazionale, Confindustria Assafrica & Mediterraneo, in cui le imprese si confrontano, “sono sempre più attente e attive in Africa, nei settori traduzionali di interesse – Oil&Gas, minerario, infrastrutture e agroindustria – in settori innovativi, come le energie rinnovabili, l’economia circolare, l’efficienza energetica e il digitale”, aggiunge.

Durante il forum, Cassa Depositi e Prestiti sottoscrive cinque nuovi Memorandum of Understanding con le principali banche multilaterali di sviluppo africane: Africa Finance Corporation, Banque Ouest Africaine de Developpement, Development Bank of South Africa, Eastern and Southern African Trade and Development Bank e African Export-Import Bank. L’obiettivo è quello di contribuire alla creazione di opportunità di connessione e scambio fra le imprese italiane e quelle africane, di individuare possibili occasioni di co-finanziamento e sperimentare strumenti finanziari innovativi per generare impatti più ampi e duraturi nei Paesi africani. Con gli accordi, le parti si impegneranno a favorire l’interscambio tra imprese italiane e africane in settori strategici, come quello energetico, manifatturiero, della mobilità e dell’agroalimentare, anche incoraggiando la partecipazione della filiera produttiva italiana a bandi internazionali e trattative dirette per la fornitura di beni e servizi.

Confindustria, Orsini presidente designato: la sfida della doppia transizione

L’emiliano Emanuele Orsini è il presidente designato di Confindustria per il mandato 2024-2028. Cinquant’anni, l’imprenditore è vicepresidente uscente con delega al credito, amministratore delegato di Sistem Costruzioni e di Tino Prosciutti.

Una corsa iniziata da outsider, poi il passo indietro del presidente di Erg, Edoardo Garrone, a poche ore dalla riunione del consiglio generale in viale dell’Astronomia, a spianargli la strada. Su 187 aventi diritto, i presenti erano 173. Orsini ha incassato 147 preferenze, 17 le schede nulle e nove le bianche. L’unità tra gli industriali, dopo anni difficili per le imprese, sembra dunque ritrovata.
L’elezione effettiva si terrà il 23 maggio con il voto dell’assemblea e, intanto, il 18 aprile il consiglio generale dovrà esprimersi sul programma e sulla squadra dei vicepresidenti scelta da Orsini.

Dialogo, identità e dignità” sono le parole chiave scelte dal presidente designato, che all’uscita registra un clima positivo e alle telecamere assicura che lavorerà per convincere anche chi non l’ha votato. I temi prioritari, anticipa, saranno “competitività, energia e certezza del diritto”.

Garrone confessa sulle colonne della Stampa di non essersi sentito nelle condizioni di rappresentare gli interessi di tutte le imprese e di non aver intravisto la possibilità di costruire una “squadra forte e libera da condizionamenti esterni“. Per un grande imprenditore, sostiene, potrebbe essere demotivante candidarsi ed esporsi: “Quando sono sceso in campo ero convinto – e lo rimango ancora oggi – che fosse più importante garantire la governabilità di Confindustria rispetto al nome del presidente“, racconta. E usa parole dure contro il numero uno di Duferco, Antonio Gozzi: “Numeri alla mano, ha perso. Inoltre, con il suo comportamento ha fatto perdere anche Confindustria, quando ha contestato pubblicamente l’applicazione delle regole che sono alla base del nostro sistema associativo e del nostro codice etico“, denuncia.

Le congratulazioni per Orsini arrivano da tutto il mondo politico e associativo. Tra i primi a complimentarsi, sui social, c’è la premier Giorgia Meloni, che ringrazia il presidente uscente Carlo Bonomi per il “confronto avuto in questi anni” e ricorda come, per il suo Governo, lo Stato debba essere un alleato naturale delle imprese e degli imprenditori: “Come sempre – garantisce la presidente del Consiglio – non faremo mancare disponibilità e dialogo“.

Auguri anche dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto. Entrambi evidenziano l’impegno che ci vorrà nei prossimi anni per riaffermare la centralità delle imprese nella duplice transizione green e digitale. “E’ doveroso – sottolinea Pichetto – valorizzare un’imprenditoria che ha colto prima degli altri la necessità di investire su energie rinnovabili e filiere innovative, economia circolare e sostenibilità dei processi produttivi“. Occhi puntati sulle Europee di giugno anche per gli industriali: la sfida della sostenibilità si giocherà a partire da Bruxelles.

Europee, Confindustria a candidati: “Confrontiamoci, serve un Rinascimento industriale”

In vista delle elezioni europee di giugno, Confindustria chiede un confronto ai candidati. C’è “urgenza di politica industriale, ma sembra che il ceto politico non lo abbia ben chiaro“, avverte Carlo Bonomi ricordando che “la sfida di competitività lanciata da Cina e Usa impone di non perdere tempo“.

L’associazione degli industriali stila un documento e lancia le sue proposte per il futuro del Vecchio Continente, parlando della necessità di un ‘Rinascimento industriale’. Il momento è delicato, avverte il presidente di Confindustria, che ai media chiede: “Non permettiamo che questo importante passaggio democratico, davvero delicato, diventi una grande arma di distrazione di massa della politica”. La domanda è di tenere alto il dibattito sui temi europei e di “spiegare i contenuti di quello che siamo chiamati a fare in questo passaggio democratico, la sensazione è che i temi europei siano poco conosciuti”, osserva.

Il Parlamento europeo, ricorda Bonomi, “si appresta a prendere decisioni vitali per l’Unione”. E’ importante quindi che “si riappropri del proprio ruolo politico che a volte è stato sottratto dall’ingerenza della Commissione“, denuncia l’industriale. L’esempio è quello della Fit for 55: “Se guardiamo agli obiettivi di decarbonizzazione che ci siamo posti, Confindustria ha stimato che solo l’Italia ha bisogno di 1.120 miliardi di investimenti. L’unico strumento di finanza pubblica straordinaria che abbiamo è il Pnrr, che a seconda di come si voglia classificare su questi temi mette 65-70 miliardi, significa che famiglie e imprese dovranno investire oltre mille miliardi e questo, è chiaro, non è possibile“, afferma.

Nei mesi scorsi è stato consultato tutto il Sistema, sia a livello territoriale che settoriale, per contribuire alla definizione di un quadro organico di proposte per rendere l’Europa più competitiva.
Il documento si chiama ‘Fabbrica Europa’ ed è il risultato di questa consultazione capillare. Una serie di raccomandazioni per rimettere l’industria al centro dell’agenda europea, costruendo una politica industriale più forte, basata sulle tre declinazioni della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) e supportata da un “adeguato livello di investimenti”.

Prima delle elezioni europee il sistema di Confindustria organizzerà una serie di incontri, in tutte le circoscrizioni elettorali europee, per un confronto diretto con i candidati sui contenuti del documento. Sull’ambiente, la raccomandazione è di affiancare al Green Deal una politica industriale europea per restare al passo nella corsa globale alle tecnologie del futuro. “È importante adottare un approccio di neutralità tecnologica, e istituire fondi europei che supportino e integrino gli investimenti nelle varie tecnologie e fonti energetiche“, si legge.

Quanto alle politiche energetiche, si chiede di completare l’integrazione dei mercati dell’energia elettrica, creare un mercato unico del gas e sviluppare una strategia europea per l’energia nucleare. Il mercato elettrico, sottolinea Confindustria, dovrà “tendere ad una efficace integrazione delle fonti rinnovabili, disaccoppiandole dai mercati di breve termine e dal gas“. Parallelamente, per regolarizzare gli scambi crossborder di gas e tendere ad un sistema tariffario europeo armonizzato, è importante favorire la creazione di un mercato unico del gas naturale e di quelli rinnovabili. L’Europa dovrebbe inoltre “dotarsi di una strategia condivisa sul nucleare e dare agli Stati membri chiari indirizzi per la realizzazione di impianti innovativi, che possano in concreto contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione“, precisa ‘Fabbrica Europa’. Il nucleare sta riconquistando un ruolo importante e strategico nel mix energetico del futuro, con Paesi Ue ed extra-Ue che continueranno ad affidarsi a questa fonte energetica. Questa tecnologia, analizza Confindustria, può contribuire alla decarbonizzazione dell’economia Ue, affiancando la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili che ha bisogno anche di impianti programmabili ad emissioni zero accanto ai sistemi di accumulo. Nuove prospettive, sottolinea il documento, “potranno anche derivare dal nucleare di piccola taglia e, in futuro, dalla tecnologia della fusione“.

Riformare le regole ETS (Emission Trading Scheme) e rafforzare il CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) è un altro punto focale, assieme alla raccomandazione di promuovere l’economia circolare e la simbiosi industriale nei modelli di business. “Andrà definito e armonizzato un quadro regolatorio chiaro e completo che possa stimolare innovazioni per l’uso efficiente delle risorse produttive“.

Fondamentale è anche regolamentare l’intelligenza artificiale per rendere l’Ue il continente ideale dove investire in questa tecnologia: “L’applicazione dell’Artificial Intelligence Act e la futura legislazione in materia dovranno trovare una sintesi efficace tra gli interessi dei diversi settori economici per rendere l’Europa un importante attore nello sviluppo tecnologico e delle applicazioni legate all’IA“.

Confindustria, quattro candidati uniti sull’Europa e divisi sull’energia

Ora che sono stati svelati i programmi dei quattro candidati alla presidenza di Confindustria, a prescindere dall’esito delle elezioni del 4 aprile, affiorano alcune considerazioni. La prima, e tracimante, è che tutti – cioè Garrone, Gozzi, Orsini e Marenghi – vedono ‘ questa’ Europa inadatta a coniugare le esigenze della transizione ecologica con le necessità concrete dell’industria. Un fronte compatto, insomma. Per chiarirci, è l’Europa di Ursula von der Leyen (che però si ripropone per la presidenza della Commissione) e dell’ex vicepresidente Frans Timmermans, l’Europa delle auto elettriche e delle case green, degli imballaggi e dei pesticidi. Insomma, quell’Europa intransigente e irrealistica che ha rischiato di implodere e che non se la passa benissimo. Tutto giusto, ma come fare? Perché sarebbe illegittimo trascurare un dettaglio non proprio marginale legato a chi vincerà le elezioni, a quale maggioranza avrà il Parlamento, a che tipo di deriva prenderà la Commissione. Incidere a livello decisionale può diventare un esercizio facile o complicato, dipende dagli interlocutori…

Antonio Gozzi – gran capo di Duferco e presidente di Federacciai – ha frequentato Bruxelles per molti anni, conosce vantaggi, svantaggi e dinamiche spesso non lineari; ma anche gli altri hanno ‘saggiato’ cosa significhi confrontarsi con realtà profondamente diverse da quella italiana, in cui ogni Paese tira l’acqua al proprio mulino. E di mulini ce ne sono 27… Non si può fare a meno della Ue, ci mancherebbe, ma si devono gettare basi diverse per la gestione all’interno e all’esterno della stessa. Le strade per riuscirci, secondo i confindustriali, sono quelle del dialogo sotto traccia non dello scontro. Con una postilla: Cina, Usa, Russia e India non stanno a guardare come le stelle di Cronin. E l’Europa è già in ritardo.

La seconda considerazione riguarda l’industria – nello specifico il fattore energetico – e fa emergere una scomposizione ideologica frutto di una visione strategica differente e di tornaconti spiccioli, anche se va detto che l’obiettivo della decarbonizzazione è il fil rouge capace di legare ragionamenti opposti. Il gas fino a un anno fa metteva paura, adesso il prezzo è sotto controllo anche grazie alle temperature miti e agli stoccaggi. C’è chi ne vorrebbe congelare il prezzo per allinearsi al trend di alcuni Stati membri (la Germania), in maniera da consolidare la competitività industriale, c’è chi invita a battere strade alternative. Garrone, che ha dato vita alla trasformazione di Erg da raffineria a società dedita alla produzione di energia elettrica da fonti pulite, spinge per le rinnovabili, altri per il nucleare. Di sole e vento non si può campare, il nucleare rimane una soluzione non immediata, resta sempre il gas…

Bonomi a Ue: Transizioni sfida immane, senza fondi sovrani mercato unico si spezza

Photo credit: Confindustria (Instagram)

 

Le imprese non possono essere lasciate da sole ad affrontare le transizioni. Il monito sale dal presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Nell’assemblea annuale torna a ripetere che la transizione ambientale è “ineludibile“, ma “per realizzare obiettivi così ambiziosi in così poco tempo o si mettono a disposizione cifre importanti – come hanno fatto gli Stati Uniti e la Cina – o bisogna rivedere gli obiettivi“.

Oltre duemila gli invitati all’auditorium Parco della Musica di Roma, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni, per la sua ultima assemblea: l’imprenditore ha ancora nove mesi alla guida dell’associazione. C’è il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che mancava dalla kermesse degli industriali dall’ultima assemblea di Vincenzo Boccia. Tra le poltrone anche Marina Berlusconi, alla guida di Fininvest. In platea la squadra di governo quasi al completo, guidata da Giorgia Meloni: mancano il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini (impegnato a difendersi nel processo Open Arms a Palermo), il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (a Santiago de Compostela per l’Eurogruppo), il ministro della Protezione Civile, Nello Musumeci e la ministra del Lavoro, Elvira Calderone.

Bonomi parla di un tradimento dello “spirito dell’Unione Europea“, che prevedeva di poter affrontare queste rivoluzioni in neutralità tecnologica. L’espansione ingente del debito comune contratto a livello europeo, osserva, “non può reggere senza un’espansione del bilancio comune“. Che, nel 2023, a stento, è pari a 187 miliardi di euro.
Noi continueremo a batterci perché crescano le risorse e i progetti gestiti dall’Europa in senso cooperativo“, assicura. Ma se così non sarà, e se prevarrà il ritorno alle vie nazionali per affrontare “sfide così immani“, Bonomi ricorda le critiche avanzate al Green Deal non nascono da negazionismo climatico o da indifferenza ai suoi effetti. Il discorso è semplice: “La sostenibilità ambientale non può prescindere dalla sostenibilità economica e da quella sociale. L’Europa deve agire compatta“.

Tutte le nuove “penetranti” regolazioni, come il Fit for 55 o quelle per accrescere l’indipendenza dell’industria europea sulle materie prime (Net Zero Industrial Act e il Raw Material Act), sono state assunte dalla Commissione Ue, denuncia l’industriale, “senza una dotazione finanziaria comune; mentre, peraltro, la politica monetaria della Bce cambiava di segno e all’orizzonte appariva il rientro in vigore di un, sia pur modificato, Patto di Stabilità“. Una prospettiva allarmante: “Abbiamo tentato in tutti i modi – nei quotidiani dialoghi con le nostre omologhe associazioni tedesche e francesi, così come in BusinessEurope – di sottolineare il rischio che, senza fondi sovrani comuni europei, nei prossimi anni si spezzerà il mercato unico“, avverte. Ricorrere alle sole deroghe al divieto di aiuti di Stato per realizzare obiettivi così impegnativi, condizionandoli solo agli spazi di agibilità fiscale dei singoli Stati membri, “condannerà l’industria di molti paesi europei a perdere la gara. Ed è una minaccia serissima per l’Italia, il Paese della seconda manifattura europea“, ribadisce.
La verità, sostiene, è che le aziende italiane stanno affrontando la duplice transizione (ambientale e digitale) in condizioni “impari“, rispetto a chi può mobilitare, su scala continentale, risorse finanziarie imponenti e può contare su posizioni di monopolio in componenti fondamentali. Così, nella grande sfida internazionale alle sovvenzioni nazionali “l’Italia rischia di perdere se stessa, le sue eccellenze, il suo lavoro. Il lavoro, le imprese e l’industria italiana non lo vogliono né se lo meritano“, scandisce l’industriale. Quello che si chiede, è di potersi impegnare con “eguali opportunità, perché un mondo avanzato diviso per scalini di sovvenzioni nazionali è la negazione della nostra scelta europea e occidentale“.

Quanto all’impegno del governo per il rilancio del Paese, l’auspicio di Bonomi è che nella prossima legge di bilancio si renda strutturale il taglio delle tasse, “l’unico modo per rimettere i soldi nelle tasche dei cittadini“. Tre, suggerisce, dovrebbero essere le priorità: redditi delle famiglie con, appunto, il taglio strutturale del cuneo, spinta agli investimenti e riforme.

Anche il capo dello Stato, l’unico a intervenire pubblicamente in assemblea dopo Bonomi, stressa l’importanza del rispetto per l’ambiente e giudica controproducenti le scelte di chi non si preoccupa della salute o del Pianeta: “È anzitutto il tema della sicurezza sul lavoro che interpella, prima di ogni altra cosa, la coscienza di ciascuno. Democrazia è rispetto delle regole, a partire da quelle sul lavoro. Indipendentemente dall’ovvio rispetto delle norme, sarebbero incomprensibili imprese che – contro il loro interesse – non si curassero, nel processo produttivo, della salute dei propri dipendenti. Incomprensibili se non si curassero di eventuali danni provocati all’ambiente, in cui vivono e vivranno“, afferma nel suo, applauditissimo, discorso di saluto.

Parole “di grande valore etico“, per il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto: “Non può esistere attività economica che non contempli il rispetto delle persone e dell’ambiente“, fa eco, richiamando il nuovo articolo 41 della Costituzione.
Per il titolare del dicastero di viale Cristoforo Colombo, la ricerca di soluzioni di fronte ai problemi complessi della transizione ecologica non può subire i condizionamenti del “catastrofismo“, e neanche della “sottovalutazione“. Il Mase e il governo intero, garantisce, lavorano a creare tutte le condizioni perché l’ambiente sia “la bussola di ogni attività economica”.

Mattarella non può fare a meno di ammettere quanto le imprese abbiano sofferto negli ultimi anni, pur supportando la crescita del Paese. Le ringrazia per il coraggio e le loda per essersi fatte protagoniste di una “ripresa prodigiosa“, senza eguali nei G7. Ora però, dopo aver subito lo shock pandemico, quello energetico e del caro materie prime, così come la scarsità di microprocessori, tante realtà imprenditoriali sono state colpite dall‘alluvione.

Le avversità si manifestano su più fronti”, ammette. E solleva un interrogativo che interpella tutti: “La nostra comunità è adeguatamente resiliente? È sufficientemente desiderosa di futuro, di voler guardare avanti?“. L’appello è rivolto davvero a tutti: alle istituzioni, alle imprese e ai cittadini. La chiave è avere fiducia nel Paese e nel suo futuro. E, in questo quadro, “sapere di avere il mondo dell’impresa impegnato, con convinzione e con capacità, per il progresso dell’Italia – confessa -, è motivo di conforto e di grande apprezzamento“.

 

 

Meloni: “Sostenibilità, ma senza smantellare l’economia”. In arrivo il Piano Transizione 5.0

Transizione ecologica sì, ma “con criterio“. All’assemblea generale di Assolombarda, la premier Giorgia Meloni tranquillizza gli industriali e ribadisce che la strategia del governo è quella di puntare a una sostenibilità ambientale che cammini di pari passo con quella sociale ed economica: “Vogliamo difendere la natura, ma con l’uomo dentro – spiega -. Non si può ritenere che per avviare la transizione ecologica si possano smantellare la nostra economica e le nostre imprese”.

Il governo a Bruxelles è impegnato sul nuovo fronte della governance, la riforma del Patto di stabilità e crescita: “La sfida è sugli investimenti. Se l’Europa fa delle scelte strategiche, come transizione verde, digitale ma anche difesa, poi non si possono punire le nazioni che investono su questi temi con regole che non riconoscano il valore aggiunto di quegli investimenti“, afferma la premier. In altre parole, si tratta di scomputare le spese per gli investimenti dal calcolo del rapporto deficit/Pil.

Quanto ai soldi del Pnrr, “li metteremo a terra, costi quel che costi. Faremo tutto ciò che va fatto e metteremo tutti ai remi”, garantisce.

Mi è piaciuto sentire dalle parole del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: una narrazione diversa nei confronti dell’industria“, plaude il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Approva una visione di investimenti “con l’uomo al centro, che è quindi l’industria 5.0“.

Tra le prime misure che verranno finanziate con i fondi europei, per almeno 4 miliardi di euro, c’è proprio il Piano Transizione 5.0, per “avere un credito fiscale significativo, come quello che si aveva fino al 31 dicembre dello scorso anno per investimenti in green e digitale delle imprese. Fondamentale per incentivare le imprese a investire“, fa sapere il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.

E’ reduce da un trilaterale importante a Berlino con i ministri di Francia e Germania, Bruno Le Maire e Robert Habeck, sulle materie prime critiche: “Stiamo agendo in sede europea per la politica industriale“, afferma. Lo definisce l’inizio di un nuovo format, in cui Roma, Parigi e Berlino, “le tre grandi economie europee“, decideranno insieme sulle grandi sfide della politica economica e industriale del Continente e sui dossier all’esame delle istituzioni europee, sia per il settore dell’Automotive sia sugli altri dossier che hanno un impatto sul sistema industriale.
Il ministro delle Imprese porterà in Consiglio dei ministri prima della pausa estiva, nei primi giorni di agosto, anche il ddl sulla microelettronica, che “definirà il Piano Nazionale italiano in similitudine al chips act europeo per fare dell’Italia il paese ideale in cui investire sull’economia digitale e la tecnologia green“.

La politica sui semiconduttori “si inserisce in un piano più ampio che volto a rendere l’Italia competitiva in settori ad alto contenuto tecnologico“, conferma Meloni, che fa sapere di voler dare all’Hi-tech “particolare attenzione“, per attrarre nuove imprese dall’estero ed evitare fughe di quelle che operano in Italia.

L’inizio di agosto sarà anche il momento in cui Urso darà l’avvio ad altri due dossier fondamentali per la politica industriale italiana: il piano nazionale siderurgico per le principali acciaierie italiane (Terni, Piombino, Taranto in testa) e l’accordo con Stellantis sulla transizione per l’automotive. “Penso che nelle prossime settimane sia doveroso e possibile invertire la tendenza. Nello scorso anno in Italia si sono prodotte solo 473mila autovetture, quando 10 o 20 anni fa c’erano ben altri numeri – ricorda il ministro -. Il delta sul mercato interno è di un terzo di produzione nazionale e due terzi realizzate e importate dall’estero. In Francia siamo ai 2/3 di produzione interna, la Germania produce internamente il 119% delle auto. Questo delta italiano va assolutamente ridotto“. E nell’accordo con l’unica casa produttrice di auto in Italia, è convinto, lo spazio per “invertire la tendenza c’è“.

Bonomi: “Servono investimenti per la transizione 5.0, altrimenti economia rallenterà ancora”

“Per le imprese italiane la strada è ben chiara: noi abbiamo di fronte le transizioni che tutti conosciamo, cioè la sostenibilità, il green e il digitale. Dobbiamo mettere in campo un grande piano di investimenti Transizione 5.0, perché se vogliamo rimanere competitivi rispetto ai grandi poli che ci hanno lanciato una sfida mondiale – cioè Cina e Stati Uniti – noi come Europa, perché non è possibile pensarlo solo come Italia, dobbiamo mettere in campo dei fondi importanti, per stimolare gli investimenti delle imprese in questa direzione”. Lo ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ad Agorà, su Rai3. “L’industria è un asset strategico per il Paese – ha aggiunto – e se non riusciamo a comprenderlo rischiamo di farci veramente male”.

RALLENTA L’ECONOMIA. Questi mesi, ha ricordato, “hanno confermato quello che stavamo affermando dall’anno scorso e cioè che l’industria cerca di fare il possibile per reggere il Paese, ma se non c’è attenzione e stimoli agli investimenti, l’economia tenderà a rallentare e purtroppo i dati ci stanno confermando questa traiettoria”. Aprile è il quarto mese di fila in cui la produzione sta rallentando (-1,9% sul mese precedente e -7,2% si base annua) “e questo dimostra” che “se non vengono fatti gli investimenti in un momento in cui il commercio internazionale sta rallentando – e noi sappiamo che l’economia italiano si basa sull’export – inevitabilmente questi sono i numeri”.

TAGLIO STRUTTURALE DEL CUNEO FISCALE. “Confindustria – ha detto Bonomi – sta facendo una battaglia per il taglio del cuneo fiscale contributivo perché questo è un Paese in cui abbiamo più tasse sul lavoro e meno tasse sulle rendite finanziarie ed è inconcepibile. Dobbiamo mettere più soldi nelle tasche degli italiani, soprattutto quelli con redditi più bassi. E’ la battaglia di Confindustria che facciamo da anni. Mi sembra incredibile che nessuno ci sostenga su questa posizione”.

Il tema della produttività, ha ricordato il numero uno di Confindustria, “è evidente nei numeri. Se guardiamo negli ultimi 20 anni prima della pandemia, i salari in Italia sono aumentati di più che negli altri Paesi europei, in Italia del 19%, in Francia e Germania del 18%, in Spagna del 12%. Ma la produttività è aumentata del 17% – cioè meno di quella salariale – e negli Paesi è cresciuta di oltre il 43%. Questi numeri danno la dimensione della differenza con cui ci troviamo a dover competere”.

Da quando sono presidente io, Confidustria – ha ricordato Bonomiha chiesto il taglio contributivo sotto i redditi dei 35mila euro, 2/3 a favore del lavoratore, 1/3 a favore delle imprese. Ricordo che oggi il cuneo fiscale è pagato all’inverso, cioè 2/3 dalle imprese e 1/3 dal lavoratore. Ma ora è corretto dare più soldi a questa fascia di italiani, che è quella che soffre di più anche a causa dell’inflazione. Non si può, però, andare avanti con interventi una tantum: serve un taglio strutturale e consistente, che noi abbiamo stimato in 16 miliardi, che significa mettere in tasca a questa fascia di italiani 1200 euro in più, una mensilità in più per tutta la loro vita lavorativa”.

PNRR? SERVE OPERAZIONE VERITA’. Il presidente di Confindustria è tornato anche a parlare di Pnrr. “Oggi – ha detto – sento tutti dire che il Pnrr non va bene e che doveva essere modificato. Quando con il governo Conte si parlò di fare il Piano nazionale di ripresa e resilienza, Confindustria fu l’unica a dire che quel piano non convinceva, perché non erano chiari gli obiettivi. Noi ci stiamo indebitando in nome e per conto delle future generazioni senza pensare agli obiettivi finali, cioè le riforme – di cui non si parla – e creare Pil potenziale di crescita del Paese”.

“E cosa abbiamo fatto? Abbiamo aperto i cassetti dei ministeri – ha detto ad Agorà – abbiamo tirato fuori qualsiasi progetto che giaceva e lo abbiamo inserito nel Pnrr. Ma non è questo l’obiettivo. Poi c’è stato un grande cambiamento nell’economia: shock energetici, aumento del costo delle materie prime, che hanno reso impossibile la realizzazione di alcuni progetti”. Ecco allora che sul Pnrr “dobbiamo fare una grande operazione verità con il Paese: dire cosa possiamo realmente realizzare, cosa ci aspettiamo da questi progetti come contributo alla crescita del Paese. E quello che non siamo in grado a realizzare dobbiamo dire che onesta intellettuale che non ci interessa”. Perché se devo indebitare mio figlio per fare un progetto che non contribuisce alla crescita del Paese, non ha senso”.

Gay (Confindustria Piemonte): “Sì a decarbonizzazione, ma serve politica industriale che renda tempi raggiungibili”

Se sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione “siamo d’accordissimo”, è impossibile pensare di arrivarci “in maniera arbitraria, senza una politica industriale”. La visione di Marco Gay, presidente di Confindustria Piemonte, è molto chiara: pianificazione e strategia per riuscire a perseguire i target ESG senza mettere in difficoltà le eccellenze del territorio, tenendo conto delle ragioni economiche e sociali.

Sostenibilità ambientale, economica e sociale. Come possono sposarsi questi tre ambiti per non penalizzare le imprese italiane?

“Ambiente, impatto sociale e governance sono centrali per avere un effetto positivo nelle nostre aziende. Questo però deve sposarsi e crescere con le ragioni economiche e sociali. Quindi scelte arbitrarie come quelle fatte nella prima ora sull’endotermico non tengono conto degli impatti non solo industriali ed economici ma anche sociali che possono seguire. Oggi piccole modifiche sono state fatte. Noi siamo un territorio che sull’attenzione alla sostenibilità, sul riciclo, sulla capacità di essere sostenibili a 360 gradi abbiamo fatto, stiamo facendo e faremo tanto. E’ un trend italiano su cui le industrie si distinguono. E’ sicuro che bisogna tenere chiaro l’obiettivo che condividiamo tutti, ma trovare un metodo che sia sostenibile anche dal punto di vista economico. Non stiamo guardando da lontano una cosa che non siamo in grado di cogliere. Stiamo guardando da vicino una cosa che stiamo già cogliendo, ma questo non può non tenere conto di una tradizione industriale e di una leadership culturale di competenze, di capacità di competere sul mercato”.

Dopo gli anni della pandemia e degli shock energetici causati dalla guerra in Ucraina le imprese sono più restie a proseguire sugli obiettivi di decarbonizzazione?

“Sul raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione noi siamo non d’accordo, d’accordissimo. Ma questa non può essere compiuta in maniera arbitraria e senza una politica industriale a discapito di quelle che sono le competenze e la capacità produttiva industriale di un territorio. Dovrebbe andare ad arricchire e trasformare e fare un percorso positivo, non a togliere con scelte arbitrarie. Perché poi i danni economici e sociali hanno un impatto che non è sostenibile”.

E quindi, cosa bisognerebbe fare? Rallentare sulle tempistiche?

“Sicuramente bisogna ragionare sui tempi, è importante. Ma è ancora più importante ragionare su una politica industriale che renda i tempi raggiungibili e che sia di consolidamento e coesione, non di separazione”.

Come presidente esecutivo di Digital Magics ha a che fare quotidianamente con startup. In questo ambito, soprattutto fra i più giovani, c’è un cambio di passo in tema di sostenibilità?

“I nuovi imprenditori ce l’hanno nel Dna. A volte devi fargli notare che stanno avendo un impatto positivo, perché per loro è l’unica maniera di fare impresa”.

E per le ‘vecchie’ generazioni di imprenditori? Anche per loro la sostenibilità e la necessità di decarbonizzare sono ormai interiorizzate o sono più una strategia di comunicazione?

“Sicuramente la partenza è stata portata dalla necessità, se no diremmo una cosa non vera. Poi credo che tutti quelli che sono partiti in questo percorso, e io come azienda ho fatto lo stesso, hanno scoperto che in realtà avevano già ottimi punti di forza. E quindi da lì è diventata una parte della crescita industriale che stiamo sostenendo. Probabilmente la partenza è stata molto stimolata, ma oggi credo sia molto consapevole. Ormai lo riteniamo una parte del nostro fare impresa. E’ stato interiorizzato anche in virtù di una evoluzione culturale dei manager, degli imprenditori, di cambi generazionali all’interno dei vertici delle aziende. La contaminazione positiva sta dando i suoi effetti. E’ un processo culturale che è iniziato, è stato interiorizzato ed è diventato parte del fare”.

A dare una spinta a decarbonizzazione e sostenibilità c’è anche il Pnrr. La situazione, però, è complessa al momento…

“Credo che oggi sia fondamentale parlare di come reindirizzare le risorse verso quegli investimenti e quelle attività che sono più velocemente realizzabili e con un impatto e un ritorno sull’investimento maggiore. Questo è quello che c’è da fare. Credo che il Governo stia lavorando molto intensamente in questa direzione. Il richiamo all’urgenza è un richiamo positivo, perché questo percorso si deve portare dietro le riforme che aspettiamo da 20-30 anni e che non si facevano perché non c’erano le risorse. Oggi le risorse ci sono e si devono fare le riforme che sono parte integrante del Pnrr italiano”.

Guardiamo in prospettiva. Oggi ci sono le risorse del Pnrr, e quando saranno finite?

“Si chiama NextGenerationEU: il nome ha sostanza. Se quello che facciamo, anche il reindirizzamento e la riorganizzazione, ha una strategia, allora saranno investimenti e non ci sarà il tema di cosa faremo quando finirà il Pnrr perché le aziende ne avranno beneficio, la società ne avrà beneficio e il Paese ne avrà un beneficio. Non parlo di tempi, perché allungarli lo trovo secondario se non c’è una strategia. Come ogni buon investimento, darà i suoi ritorni nel tempo e sarà un volano per la creazione del futuro”.

Cala mercato bici nel 2022 ma Italia ancora ‘in sella’: -10% le vendite ma boom e-bike

L’Italia a due ruote rallenta. L’onda lunga degli incentivi, le difficoltà globali di approvvigionamento, l’impennata inflattiva e l’incertezza economica hanno fisiologicamente frenato il mercato, ma l’Italia sale ancora in sella. L’andamento del mercato bici 2022, segna un -10% sull’anno precedente. Le stime delle vendite, presentate a Milano da Confindustria Ancma (Associazione Ciclo Motociclo Accessori), descrivono tuttavia un’Italia che sale ancora in sella dopo due anni di boom. Sono infatti oltre 1,7 milioni le biciclette vendute nel 2022, con le eBike che, grazie a 337.000 pezzi, volano a +14% (+72% dal 2019) e le bici muscolari che registrano 1.435.000 acquisti, fermandosi a -15%. A crescere è invece il volume d’affari generato dai negozi specializzati, dove si concludono oltre il 68% degli acquisti, dalla grande distribuzione e dalle vendite online, che insieme raggiungono il valore di 3,2 milioni di euro, pari a un + 18% sul 2021 (+52% rispetto al 2019). L’analisi della tipologia di bici conferma il successo di alcune delle ultime tendenze. Nel perimetro della pedalata assistita il 52% di biciclette sono infatti e-city, il 43% e-mtb, il 4% e-corsa/gravel, mentre le e-cargo salgono all’1%. Le eBike rappresentano ormai il 19% del totale un mercato bici complessivo, dove il 29% è composto da mountain bike, il 26% sono invece city-trekking, il 15% quelle da ragazzo, l’8% corsa-gravel e il 2% quelle pieghevoli.

Il presidente di Ancma Paolo Magri, commentando i dati, ha sottolineato “l’importanza del ruolo che le due ruote hanno conquistato nella mobilità e nello sport. Un valore che porta con sé una grandissima tradizione industriale, che è trainante, e le esigenze di tanti utenti della strada, che meritano sempre più sicurezza e infrastrutture ciclabili, come anche tante prospettive di business legate all’attrattività cicloturistica dell’Italia. È giunto il tempo di passare dagli incentivi all’acquisto a quelli all’utilizzo; come associazione chiediamo, sulla scorta dalla strategia industriale dell’UE, di abbassare l’aliquota IVA sulle bici e sui prodotti della filiera: un intervento che, insieme alla promozione della cultura della bici, può attivare processi virtuosi ben più strutturali ed efficaci degli incentivi all’acquisto”.

Anche gli indicatori industriali del comparto seguono l’andamento del mercato: segno più per la produzione di eBike, che sale del 10% rispetto all’anno precedente a seguito dell’aumento della domanda interna mentre, con 2.385.000 pezzi, scende del 18% la produzione nazionale di biciclette muscolari. Numeri che confermano tuttavia il primato dell’industria italiana del ciclo nel panorama europeo. È, infine, sulla lettura della bilancia commerciale del settore, ovvero il conto che registra le esportazioni e le importazioni, che pesano maggiormente gli effetti di fattori quali la difficoltà nella catena di approvvigionamento e l’aumento del costo delle materie prime. Sebbene si registri una naturale diminuzione del 20% di export di bici muscolari e del 14% di import, il 2022 è infatti contraddistinto da un aumento generale dei valori di queste voci, soprattutto per quanto riguarda le importazioni di parti bici che salgono del 50% circa. Tema, quest’ultimo, che ha spinto Ancma nelle ultime interlocuzioni con il Governo a considerare, anche in relazione all’indicazione del Parlamento europeo, di sostenere processi di reshoring, ovvero riportare la produzione in Italia e in Europa di componenti, proprio per l’importanza economica e strategica del settore ciclo e la sua potenziale crescita.

Energia, Pichetto: “Dipendenza è freno”. Confindustria: Più infrastrutture, 182 miliardi al 2030

Sicurezza e costi contenuti. E’ questa la strategia energetica del governo e non solo per superare la crisi, ma anche per gli anni a venire. Perché se c’è una cosa che le vicende geopolitiche recenti hanno insegnato è che la dipendenza energetica è il vero “freno a mano sulla crescita della nostra economia”, sottolinea Gilberto Pichetto Fratin. È cambiato il quadro di riferimento internazionale e questo esecutivo politico, assicura il ministro dell’Ambiente, “ha intenzione di affrontare seriamente la questione della sicurezza energetica“: “Non possiamo perdere un minuto“, insiste. Via i paraocchi ideologici e rispetto degli impegni internazionali assunti in materia di decarbonizzazione. La direzione presa è questa, anche se passa dai rigassificatori, dalle estrazioni di gas dai giacimenti già noti lungo le coste. Tutto per avere respiro che porti gradualmente ad abbandonare i fossili a vantaggio delle fonti rinnovabili. L’accelerazione sulla semplificazione per installare gli impianti lo dimostra.

In questo scenario, le infrastrutture hanno un ruolo centrale, “devono accompagnare la transizione ecologia, assecondarla, renderla possibile attraverso un sistema di distribuzione dell’energia che sia in linea con le mutate condizioni di generazione dell’energia stessa“, sostiene Pichetto. Parla della “sfida della generazione diffusa“, dove non c’è più un centro erogatore e una ramificazione verso la periferia ma molteplici fonti di energia che vanno messe in rete e “devono fare i conti con la discontinuità dell’accumulo di fonti come il solare o l’eolico“. Servirà creare infrastrutture in grado di sostenere l’affiancamento della mobilità elettrica a quella dei motori termici e sistemi di interscambio locale fra l’energia autoprodotta e quella diffusa in rete: “Sono tutti passaggi chiave per costruire un futuro di sostenibilità, indipendenza e sicurezza energetica“, ripete il ministro.

Lo scenario “sostenibilità integrata” elaborato da Confindustria Energia, per le scelte strategiche che il Paese dovrà compiere in questo settore, valuta in 182 miliardi di euro gli investimenti previsti nel periodo 2022-2030, che si traducono in un valore aggiunto totale di 320 miliardi di euro, nell’impiego di 380 mila ULA (unità di lavoro annue) ed in una riduzione di emissioni pari a -127 Mton CO2/anno nel 2030. “Un piano integrato di investimenti che presenta benefici sul sistema Paese in termini di crescita economica, di ricadute ambientali e occupazionali con investimenti valutati secondo criteri di neutralità tecnologica, finalizzati al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, di sicurezza energetica e di sostenibilità sociale, attraverso infrastrutture energetiche flessibili e resilienti”, osserva il presidente, Giuseppe Ricci. È la proposta di Confindustria Energia in vista dell’elaborazione del nuovo PNIEC e dell’adeguamento del PNRR al REPowerEU. Dal piano integrato, spiega il vicepresidente e coordinatore dello studio, Roberto Potì, emergono diverse “leve complementari tra di loro” che mirano ad una transizione sostenibile, a partire da una “posizione geografica ottimale per l’ulteriore crescita di fonti rinnovabili e per la diversificazione delle rotte di importazione del gas“. L’Italia, è convinto, “può contare su riserve di gas naturale non utilizzate, su capacità di stoccaggio incrementabili e su reti di trasporto e trasmissione diffuse nel territorio. La sua leadership in Europa nella produzione di biocarburanti e le importanti eccellenze nei processi di economia circolare, completano il quadro delle opportunità disponibili“.