Ancora braccio di ferro Usa-Cina. Trump al mondo: “Isolare Pechino per dazi più leggeri”

Pechino e Washington continuano il braccio di ferro sui dazi, alimentando l’incertezza sull’esito di una guerra commerciale che potrebbe causare una crisi degli scambi nell’intero pianeta, avverte l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Intanto, Donald Trump continua a dettare la linea: secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal, il presidente americano sta utilizzando le trattative sui dazi per mettere i partner commerciali al muro: per alleggerire le tariffe, la Casa Bianca chiede di isolare Pechino, limitando i legami economici con i cinesi.

Se gli Stati Uniti vogliono davvero risolvere il problema attraverso il dialogo e la negoziazione, devono smettere di minacciare, ricattare e litigare con la Cina sulla base”, afferma Lin Jian, un portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese. Solo ieri, la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt aveva affermato che la palla è ora “nel campo di Pechino. Trump “ha chiaramente affermato ancora una volta di essere aperto a un accordo con la Cina. Ma è la Cina che ha bisogno di un accordo con gli Stati Uniti” e non il contrario, ha spiegato alla stampa.

Intanto dal presidente della Federal Reserve, Jerome H. Powell, non arrivano buone notizie per la Casa Bianca: “Nonostante l’aumento dell’incertezza e dei rischi negativi, l’economia statunitense è ancora in una posizione solida“, ma i dati finora disponibili sul Pil “suggeriscono che nel primo trimestre la crescita è rallentata rispetto al solido ritmo dello scorso anno” e “le indagini condotte presso le famiglie e le imprese segnalano un forte calo del sentiment e un’elevata incertezza sulle prospettive, soprattutto a causa delle preoccupazioni legate alla politica commerciale“. Ovvero i dazi che, spiega Powell, potrebbero portare a un aumento dell’inflazione e un rallentamento della crescita.

L’incertezza sul commercio mondiale potrebbe in ogni caso “avere gravi conseguenze negative”, soprattutto per le economie più vulnerabili, commenta il direttore generale dell’Omc, Ngozi Okonjo-Iweala.

La sospensione temporanea dei dazi statunitensi più importanti attenua la contrazione degli scambi, ma il calo del commercio mondiale di merci potrebbe raggiungere fino all’1,5% in volume nel 2025, a seconda della politica protezionistica di Donald Trump, secondo le previsioni annuali dell’OMC.

Ma anche la Banca Mondiale stima che la guerra commerciale lanciata dal presidente degli Stati Uniti sta portando a un aumento “dell’incertezzache causerà un rallentamento della crescita rispetto a quella di qualche mese fa, ha detto il presidente dell’istituzione, Ajay Banga.

Inoltre, il Fitch Ratings ha drasticamente rivisto al ribasso le previsioni sulla crescita mondiale “in risposta alla recente escalation della guerra commerciale globale”. L’aggiornamento speciale del Global Economic Outlook trimestrale riduce la crescita mondiale nel 2025 di 0,4 punti e la crescita di Cina e Stati Uniti di 0,5 punti percentuali rispetto al report di marzo. Si prevede quindi che la crescita mondiale scenderà al di sotto del 2% quest’anno; escludendo la pandemia, questo sarebbe il tasso di crescita globale più debole dal 2009. Entrando nel dettaglio, la crescita annua degli Stati Uniti rimarrà positiva all’1,2% per il 2025, ma rallenterà lentamente nel corso dell’anno, attestandosi ad appena lo 0,4% su base annua nel quarto trimestre del 2025. Si prevede che la crescita della Cina scenderà al di sotto del 4% sia quest’anno che il prossimo, mentre la crescita nell’eurozona rimarrà ben al di sotto dell’1%.

Le nuove frontiere aperte da Donald Trump, che prendono di mira alcuni minerali e oggetti elettronici, pesano sulle borse mondiali, con i titoli tecnologici che soffrono in particolare delle restrizioni sui chip imposte al gigante americano del settore Nvidia.

La Borsa di New York ha aperto in ribasso, con il Dow Jones in calo dello 0,35%, il Nasdaq in calo dell’1,92% e l’indice S&P 500 in calo dell’1,01%. In Europa, nonostante una giornata in rosso, i mercati hanno chiuso per lo più in positivo, Francoforte ha guadagnato lo 0,27%, Londra lo 0,32% e Milano lo 0,62%. Parigi è rimasta in equilibrio (-0,07%). I mercati asiatici hanno invece chiuso in ribasso, come la borsa di Tokyo (-1,01%).

La Cina, che mercoledì ha pubblicato una crescita economica del 5,4% nel primo trimestre del 2025, più forte del previsto, ha inoltre sospeso la ricezione di tutti gli aerei prodotti dalla statunitense Boeing. Una mossa denunciata dal presidente americano, che ha affermato sul suo network Truth Social che la Cina si era ritirata per aerei che erano comunque “coperti da impegni fermi”. Secondo l’agenzia di stampa Bloomberg, Pechino ha anche chiesto alle compagnie aeree del paese “di interrompere qualsiasi acquisto di attrezzature e pezzi di ricambio per aerei da aziende americane”.

La Cina sembra anche determinata a colpire l’agricoltura americana: la federazione degli esportatori di carne americani ha confermato all’Afp che le licenze della maggior parte degli esportatori di carne bovina non sono state rinnovate da metà marzo.

Il presidente cinese Xi Jinping prosegue in Malesia il suo tour nel sud-est asiatico per cercare di organizzare una risposta coordinata ai dazi americani.

Washington ha imposto una tassa del 145% sui prodotti cinesi che entrano nel suo territorio, che si aggiungono a quelli esistenti prima del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, per un totale che può quindi raggiungere il 245%. Pechino ha risposto con una sovrattassa che ora raggiunge il 125% per i prodotti americani. Il presidente americano ha tuttavia mitigato le minacce, esentando computer, smartphone e altri prodotti elettronici, nonché i semiconduttori, la maggior parte dei quali proviene dalla Cina.

Per tutti gli altri paesi, i dazi reciproci superiori a una soglia minima del 10% sono stati sospesi per 90 giorni, aprendo la porta ai negoziati da parte del presidente americano.

Il presidente americano ha inoltre annunciato che prenderà parte ai negoziati previsti mercoledì a Washington con il ministro inviato dal Giappone, Ryosei Akazawa, per trovare un accordo sui dazi doganali.

Nelle discussioni che si annunciano, l’Unione Europea è “in posizione di forza”, ha assicurato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, alla rivista tedesca Die Zeit, perché “noi europei sappiamo esattamente cosa vogliamo e quali sono i nostri obiettivi”.

Un altro paese nel mirino di Trump, il Canada, ha fatto una concessione ai costruttori automobilistici: si tratterebbe di lasciar loro importare un certo numero di veicoli fabbricati negli Stati Uniti in cambio del loro impegno a mantenere la produzione in Canada, senza dazi doganali. Ottawa ha imposto dazi del 25% su questi prodotti come rappresaglia per il 25% imposto da Washington sulle automobili consegnate negli Stati Uniti.

Oltre alle automobili, Donald Trump ha anche imposto dazi del 25% su acciaio e alluminio. Potrebbe fare lo stesso con i semiconduttori e i prodotti farmaceutici nelle prossime settimane.

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Meloni in missione da Trump per conto dell’Ue: “Fase complessa, serve lucidità”

La trattativa è delicata e sarà fatta per conto dell’Unione europea. A poche ore dalla sua partenza per Washington, dove domani Donald Trump la attende alla Casa Bianca, Giorgia Meloni sente la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Al centro del colloquio il nodo dei dazi che il tycoon americano ha annunciato anche per i prodotti provenienti dall’Unione europea e poi messo in pausa per 90 giorni.

L’incontro è un bilaterale, ma Roma e Bruxelles confermano che la premier parla in stretto contatto e per conto di tutta l’Ue. La Commissione non divulga nessuna “lettura specifica” della telefonata tra Meloni e von der Leyen, ma assicura che “i messaggi sono in linea con quanto detto nei giorni precedenti, hanno coordinato questa visita”. Di certo, il viaggio della premier italiana non è visto come una spaccatura all’interno dell’Unione: “Qualsiasi azione di contatto con l’amministrazione statunitense è più che benvenuta”, chiarisce la portavoce della Commissione Arianna Podestà, ricordando però che la competenza negoziale è soltanto di Bruxelles.

In questa fase tanto complessa quanto in rapida evoluzione è necessario ragionare con lucidità, lavorare con concretezza, lavorare con pragmatismo“, commenta Meloni in un videomessaggio inviato all’Assemblea Generale del Consorzio per la Tutela del Formaggio Grana Padano.

Ieri sera, sul tema, la presidente del Consiglio ha convocato un vertice di governo con i vice Antonio Tajani e Matteo Salvini e il ministro della Difesa Guido Crosetto.

Sul tavolo con Trump, ci sarà anche la possibilità di un aumento dei volumi di Gnl acquistati dagli Stati Uniti, grandi esportatori di gas. Lo scorso anno, ricorda il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto, l’Europa ha acquistato la metà del Gnl da Washington: “L’interesse c’è”, conferma, ribadendo però che “il negoziato con le controparti è condotto dalla Commissione Europea, con il supporto e sotto il controllo degli Stati membri”.

E anche se per il momento la Casa Bianca sembra respingere la proposta dell’Ue per i dazi zero sull’industria, l’obiettivo del governo resta quello di “riunificare” l’Occidente, ridurre le tensioni e aprire la strada a una grande area di libero scambio tra Nord America, Stati Uniti, Canada, Messico e Unione europea. Perché, mentre davanti allo spettro dei dazi l’Italia ha guardato a Est per rafforzare i rapporti commerciali sulla via del Cotone con l’India, con i Paesi del Golfo e con il Giappone, ora la guerra commerciale si profila soprattutto su due blocchi: Washington e Pechino.

Trump chiede al mondo di isolare la Cina, per avere dei dazi più leggeri. Il faro italiano però, garantisce il governo, è puntato sull’area atlantica. “Quando c’è la tempesta, l’Italia guarda i valori fondamentali della nostra civiltà e manteniamo salda la bussola che va verso Occidente”, spiega il ministro delle Imprese, Adolfo Urso. “Altri invece – punta il dito – perdono il senso di marcia, o di navigazione, e finiscono a Oriente”. Poi la denuncia si fa più esplicita: “Sono preoccupato dalle reazioni che si possono innescare, come l’invasione anomala di prodotti nel nostro continente. Su questo, abbiamo già sollecitato nelle forme dovute la Commissione Ue per predisporre le misure di salvaguardia a fronte della strategia Usa per arginare i prodotti cinesi”. L’inquilino di Palazzo Piacentini si dice certo che la missione di Meloni a Washington possa facilitare confronto Usa-Ue : “La strada maestra è il dialogo, la nostra proposta strategica è un’area atlantica di libero scambio in modo da creare, quando ci saranno le condizioni, il più grande bacino commerciale del pianeta”, scandisce.

La presidente del Consiglio resterà a Washington solo una manciata di ore. Già domani sera ripartirà per Roma, dove venerdì la attende l’incontro con il vice di Trump, J.D. Vance.

Dazi, Meloni si prepara all’incontro con Trump: “So cosa cosa vado a difendere”

Dopo una sfilza di appuntamenti annullati per preparare al meglio il doppio bilaterale con i vertici degli Stati Uniti, Giorgia Meloni si concede una battuta durante la cerimonia di consegna dei Premi Leonardo a Roma. “Come potete immaginare, non sento alcuna pressione per i prossimi due giorni…”, dice sorridendo.

La premier vedrà il presidente Donald Trump a Washington il 17 aprile e il vice Jd Vance il giorno successivo, il 18 aprile, a Roma. L’ansia è plastica, ma la presidente del Consiglio è determinata. Il momento, ammette, è “difficile”, ma si dice “consapevole” di “quello che rappresento e di quello che sto difendendo”. “Abbiamo superato ostacoli ben peggiori”, ricorda, quasi a farsi forza. E promette: “Vedremo come andrà, ma faremo del nostro meglio”.

La incoraggiano le imprese: “Lei non è sola, gli imprenditori italiani e dell’Europa produttiva sono tutti con lei. Siamo fiduciosi nella missione che farà in questi giorni”, le assicura dal palco il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. L’industriale domanda “risposte concrete”, in un momento di incertezza come questo: “Speriamo e ci aspettiamo che il Presidente degli Stati Uniti nell’incontro con Meloni riesca a trovare una sintesi positiva per l’Europa”, fa sapere ai cronisti. Bene che la premier “vada a nome di tutta l’Europa”.

Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, rassicura le imprese, supportate dall’esecutivo con un “impegno politico”. “Il governo sta facendo di tutto per sostenerle a occupare spazi di mercato sempre più importanti, dialogando e cercando il confronto. Nessuna impresa deve sentirsi sola, le nostre ambasciate dovranno sempre più essere trampolino di lancio delle imprese nel mondo”, afferma Tajani. Solo il mese scorso, con le prime minacce del tycoon newyorkese, il governo ha presentato un Piano strategico per l’export, per allargare la cooperazione in nuovi mercati e rafforzare quelli in cui l’Italia è già presente. Il vicepremier torna da una missione in India e Giappone che aveva esattamente questo scopo.

L’inquilino della Farnesina invita a non farsi spaventare dalle difficoltà: “Il danno maggiore l’ha fatto il panico”, osserva, rivendicando: “Avevamo ragione a dire che dovevamo stare calmi, la calma è la virtù dei forti”. Guarda al viaggio della premier come a una “missione di pace commerciale”.

Meloni sarà a Washington “nello spirito europeo”, conferma il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, per “facilitare il negoziato in corso, consentendo a tutti di guardare ad una prospettiva positiva”.

A fine giornata, Meloni convoca a Palazzo Chigi un vertice di governo in vista della partenza. Alla riunione partecipano i vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, il ministro della Difesa Guido Crosetto e il ministro degli Affari europei Tommaso Foti.

Anche se per il momento la Casa Bianca sembra respingere la proposta dell’Unione europea per i dazi zero sull’industria, la bussola del governo resta quella di riunificare l’Occidente, ridurre le tensioni e aprire la strada a una grande area di libero scambio tra Nord America, Stati Uniti, Canada, Messico e l’Unione europea. La missione è tutt’altro che semplice. Sulla fune, in punta di piedi, Meloni dovrà anche tentare di non spezzare gli equilibri già fragili di Bruxelles.

Nessun passo avanti Ue-Usa. Washington respinge proposta zero dazi su industria

Due ore di riunione per esplorare le aree di un potenziale accordo tra Unione europea e Stati Uniti d’America sulla questione dei dazi, con l’offerta di Bruxelles a lavorare per tariffe reciproche zero-per-zero per tutti i beni industriali, comprese le automobili. E’ quanto fa sapere il portavoce della Commissione europea, Olof Gill, all’indomani dell’incontro del commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, a Washington con i suoi omologhi statunitensi, il segretario al Commercio Howard Lutnick e il rappresentante per il Commercio Jamieson Greer, finalizzata ad “avviare i negoziati Ue-Usa nell’ambito della finestra temporale di 90 giorni prevista per una soluzione concordata ai dazi ingiustificati statunitensi”.

Un incontro che ha fatto seguito alla decisione di Bruxelles di sospendere le contromisure adottate dall’Ue in risposta alla prima serie di dazi statunitensi su acciaio e alluminio e che, secondo quanto riferito da Bloomberg, ha visto le due parti fare “scarsi progressi”, con gli Stati Uniti che “hanno respinto la proposta europea di rimuovere tutti i dazi sui beni industriali, comprese le automobili, suggerendo invece che alcune imposte potrebbero essere compensate aumentando gli investimenti e le esportazioni”.

Intanto, Bruxelles chiede chiarezza e impegno da parte Usa. “Come sostenuto fin dal primo giorno, preferiamo i negoziati ai dazi”, ha ribadito Gill. L’incontro di ieri “ha toccato molti argomenti, dai dazi alle barriere non tariffarie”, e “ha esplorato le possibilità di un accordo equo e reciprocamente vantaggioso”. Al tavolo, il commissario Sefcovic “ha ribadito che l’Ue e gli Stati Uniti condividono molte sfide e potrebbero affrontarle congiuntamente a vantaggio di entrambe le parti”. In particolare, “l’attenzione si è concentrata sulla nostra offerta di lavorare per tariffe reciproche zero-per-zero per tutti i beni industriali, comprese le automobili; sulla sovraccapacità globale nei settori dell’acciaio e dell’alluminio; sulla resilienza delle nostre catene di approvvigionamento nei settori dei semiconduttori e dei prodotti farmaceutici”, ha spiegato il portavoce.

Fuori dal tavolo da gioco sono, invece, gli standard agroalimentari che Bruxelles definisce “sacrosanti”. Nel briefing quotidiano di mezzogiorno con la stampa, l’esecutivo Ue non ha avuto tentennamenti sull’argomento. “E’ essenziale ricordare che gli standard dell’Ue, in particolare quelli relativi ad alimentazione, salute e sicurezza, sono sacrosanti. Non fanno parte del negoziato e non lo faranno mai, né con gli Stati Uniti, né con nessun altro”, ha scandito Gill. Per l’Ue si tratta di “una linea rossa” e, per questo, “non fanno parte dei negoziati” così come non entrano nelle trattative “neanche le nostre normative in materia di tecnologia e mercati digitali: anche quelle non sono in discussione”.

Gli europei sanno bene che la strada è solo all’inizio: “L’Ue continuerà ad affrontare questi colloqui in modo costruttivo, al fine di individuare aree di interesse comune”, ed “è chiaro che saranno necessari significativi sforzi congiunti per raggiungere un risultato positivo entro la finestra temporale di 90 giorni”. Soprattutto, per Palazzo Berlaymont “l’Ue sta facendo la sua parte” e “ora è necessario che gli Stati Uniti definiscano la propria posizione” perché, “come in ogni negoziato, deve esserci un impegno a doppio senso, con entrambe le parti che apportano il proprio contributo”. Quella di ieri “non è stato certamente un dialogo tra sordi”, ma “un incontro molto concentrato e produttivo”, ha specificato Gill nel briefing. Nonostante ciò, “dobbiamo avere un’idea più chiara di quali siano i risultati preferibili dagli Usa in questi negoziati”. Come a dire che le carte Ue sono scoperte, “ma avremmo bisogno di un ulteriore livello di impegno da parte degli Stati Uniti per far proseguire il processo”. Ora si guarda ai prossimi passi e l’Ue ha proposto “che il lavoro prosegua a livello di esperti” dove “non è ancora prevista alcuna riunione aggiuntiva a livello del commissario, ma Sefcovic rimarrà in stretto contatto con le sue controparti” Usa. E ha ricordato che, in caso di fallimento del negoziato, “tutto rimane sul tavolo”.

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Stellantis, Elkann: “2024 anno difficile”. E sui dazi mostra fiducia: “Intesa Ue-Usa è possibile”

Il 2024 “non è stato un buon anno per Stellantis. I motivi sono stati in parte di nostra competenza, il che ha reso il risultato ancora più deludente”. John Elkann, aprendo l’Assemblea degli azionisti, rimarca quanto annunciato già a fine febbraio, cioè che lo scorso anno non è sicuramente da ricordare in positivo per le performance economiche. L’utile netto, infatti, è sceso a 5,5 miliardi di euro, in calo del 70%, quello operativo rettificato di a 8,6 miliardi di euro (-64% con un margine AOI del 5,5%). Calano anche i ricavi, pari a 156,9 miliardi di euro, segnando -17% rispetto al 2023. Le consegne sono diminuite del 12% a livello globale (sono state 5,4 milioni). L’Assemblea ha dato il via libera al bilancio.

A pesare, ricorda Elkann, è stato anche “il disallineamento tra il Consiglio di amministrazione e il nostro ceo Carlos Tavares”, situazione che lo ha portato “a lasciare l’azienda all’inizio di dicembre del 2024”. Da allora, dice il presidente di Stellantis, il Comitato esecutivo ad interim, “che il Consiglio mi ha chiesto di presiedere, ha lavorato con tutti i nostri team nella gestione quotidiana dell’azienda” e “sono state intraprese azioni importanti e decisive per garantire” che il gruppo “sia nella posizione più forte possibile quando verrà nominato il nostro nuovo Ceo”, entro la prima metà del 2025. E proprio quest’anno, spiega agli azionisti il presidente, “siamo concentrati sul lancio di nuovi prodotti e sul miglioramento delle nostre attività in un contesto molto difficile nei nostri due principali mercati”.

Già, e i motivi per cui il settore “è sotto pressione” e l’industria automobilistica “è a rischio”, non sono pochi e viaggiano tra le due sponde dell’Atlantico. Colpa, dice Elkann, di “scelte politiche e normative” dell’Europa e degli Stati Uniti, di un “percorso di tariffe dolorose e regolamenti troppo rigidi”. A cominciare dai dazi imposti dall’inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, che lo stesso presidente di Stellantis ha incontrato all’inizio di aprile a Washington. In quella occasione aveva chiesto maggiore chiarezza per poter lavorare sulla competitività. Il tema, infatti, è che “oltre al dazio del 25% imposto sui veicoli, siamo colpiti da una serie di dazi aggiuntivi, tra cui quelli su alluminio, acciaio e componenti”, dice Elkann. Uno spiraglio, però, forse c’è e “non è troppo tardi” se Usa e Ue intraprendono “le azioni urgenti necessarie per promuovere una transizione ordinata. Siamo incoraggiati da quanto indicato ieri dal presidente Trump sulle tariffe per l’industria automobilistica”. Il repubblicano, infatti, sta valutando di esentare temporaneamente le case automobilistiche dalle nuove imposte.

In Europa, invece, a pesare sono le normative sulle emissioni di CO2 che “hanno imposto un percorso irrealistico di elettrificazione, scollegato dalla realtà del mercato”. In effetti, precisa Elkann “i governi europei hanno ritirato, a volte bruscamente, gli incentivi all’acquisto e l’infrastruttura di ricarica rimane inadeguata. Di conseguenza, i consumatori tardano a passare ai veicoli elettrici”. Serve, quindi, un’inversione di rotta, è il ragionamento del presidente di Stellantis, altrimenti “sarebbe una tragedia, perché l’industria automobilistica è fonte di posti di lavoro, innovazione e comunità forte”.

Un terzo degli azionisti di Stellantis (il 33,07%), intanto, nel corso dell’Assemblea ha votato contro il Remuneration Report 2024, che include i compensi per i manager e la buonuscita dell’ex amministratore delegato Carlos Tavares, che riceverà 23,085 milioni di euro di compensi complessivi relativi al 2024 e una buonuscita totale di 12 milioni di euro, che sarà pagata nel 2025. Sul piede di guerra la Fiom: “Ancora una volta – dice il segretario generale Michele De Palma – vengono premiati i manager e gli azionisti di Stellantis mentre i lavoratori continuano ad essere in cassa integrazione”. 

 

 

Trump medita il rinvio dei dazi sulle auto. La Cina blocca le consegne di nuovi aerei Boeing

Donald Trump sta valutando di esentare temporaneamente le case automobilistiche dai dazi per dare loro il tempo di adattare le proprie catene di approvvigionamento, per fare in modo “di trasferire le produzioni da Canada e Messico e altri Paesi negli Stati Uniti”. Resta la minaccia su chip e farmaci, su cui il presidente americano “ha una timeline, che è in un futuro non tanto lontano”.

Intanto, spuntano nuove tariffe sui pomodori messicani, tassati del 20,9%, mentre la Cina avvia pesanti misure di ritorsione, prima bloccando l’export di terre rare e poi ordinando alle sue compagnie aeree di non accettare ulteriori consegne di aerei Boeing.

Seul, invece, stanzia 4,9 miliardi in funzione anti dazi Usa sui microchip, citando la “crescente incertezza” che sta attraversando il settore chiave a causa delle nuove imposte. La Corea del Sud esporta gran parte della sua produzione negli Stati Uniti e i suoi settori cruciali dei semiconduttori e dell’automotive soffrirebbero notevolmente a causa dei dazi del 25% che il presidente Donald Trump minaccia di imporre.

Dal canto suo, l‘Europa “è pronta a un accordo giusto, inclusa la reciprocità attraverso zero tariffe sui beni industriali. Ma servirà un significativo sforzo da entrambe le parti”, ha detto il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic dopo un incontro con l’omologo americano Lutnick. Accordo che, secondo quanto riferisce Bloomberg, Trump è pronto a rispedire al mittente. “Sto valutando qualcosa per aiutare alcune case automobilistiche in questo” ha detto Trump ai giornalisti riuniti nello Studio Ovale. Il presidente ha affermato che i produttori di auto hanno bisogno di tempo per spostare la produzione da Canada, Messico e altri paesi. “Produrranno qui, ma serve un po’ di tempo“, ha spiegato. Un’apertura che ha portato le Borse europee a chiudere in rialzo. La Borsa di Parigi ha registrato +0,86%, Francoforte +1,43%, Londra +1,41% e Milano +2,39%.

La Cina, intanto, resta sempre il bersaglio preferito del repubblicano. La visita del presidente Xi Jinping nel Sudest Asiatico, cominciata in Vietnam, proseguita oggi in Malesia e che prevede come ultima tappa la Cambogia, è stata oggetto di pesanti critiche. La Cina e il Vietnam stanno cercando “di capire come fregare gli Stati Uniti d’America”, ha scritto Trump sul social Truth. Pechino, ha detto il presidente Usa, “è stata brutale con i nostri agricoltori” che “vengono sempre messi in prima linea con i nostri avversari, come la Cina, ogni volta che c’è una negoziazione commerciale o, in questo caso, una guerra commerciale”. Noi, ha aggiunto, “li proteggeremo”.

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Cina, boom di esportazioni prima dei dazi americani: a marzo +12,4% per 313 mld

Secondo i dati ufficiali pubblicati oggi, le esportazioni cinesi sono aumentate del 12,4% a marzo su base annua, riflettendo un aumento delle spedizioni poco prima dell’entrata in vigore dei dazi astronomici di Washington sui prodotti cinesi.

Una cifra che supera di gran lunga le previsioni (+4,6%) degli economisti intervistati dall’agenzia Bloomberg. Secondo la dogana, le esportazioni cinesi hanno raggiunto un totale di 313 miliardi di dollari a marzo.

Pechino si è posta l’ambizioso obiettivo di una crescita economica del 5% circa per il Paese nel 2025, nonostante la persistente crisi immobiliare e la fiducia delle famiglie in calo. L’obiettivo è però minacciato dai colossali dazi doganali imposti dall’amministrazione del presidente americano Donald Trump su gran parte dei prodotti cinesi, al termine di una gara al rialzo tra le due principali potenze mondiali. Anticipando queste tariffe supplementari, gli esportatori cinesi hanno spedito beni per 40,1 miliardi di dollari negli Stati Uniti lo scorso mese, con un aumento di circa il 9% rispetto a marzo 2024. “I produttori si sono affrettati a spedire merci negli Stati Uniti”, ha osservato Julian Evans-Pritchard, analista dell’economia cinese presso Capital Economics. Ma “le spedizioni dovrebbero diminuire nei prossimi mesi e trimestri”, ha aggiunto.

Nel contempo, le importazioni cinesi sono diminuite del 4,3% a marzo su base annua, segnalando un consumo interno ancora debole. La seconda economia mondiale continua a essere confrontata con una persistente crisi immobiliare e con un calo della fiducia delle famiglie, che pesano sui consumi. Queste difficoltà interne erano state finora compensate da esportazioni vigorose, ora minacciate dall’aggravarsi delle tensioni commerciali con Washington. L’amministrazione Trump ha annunciato dazi doganali del 145% sui prodotti cinesi, mentre Pechino ha risposto imponendo dazi doganali del 125% sui prodotti americani. Venerdì Washington ha dato segni di allentamento, concedendo esenzioni per smartphone, laptop e semiconduttori, di cui la Cina è uno dei principali produttori. Da parte sua, il governo cinese ha dichiarato che non reagirà più a qualsiasi nuova sovrattassa imposta dal presidente Donald Trump. Nonostante tutto, “potrebbero volerci anni prima che le esportazioni cinesi tornino ai livelli attuali”, ha stimato Julian Evans-Pritchard. “Si osservano già segnali di ri-indirizzamento delle spedizioni attraverso paesi terzi – le esportazioni verso Vietnam e Thailandia sono aumentate notevolmente nel mese scorso”, ha rilevato.

Di fronte a queste sfide esterne, la Cina spera di fare del consumo interno uno dei nuovi motori della crescita del paese. Lo scorso anno i leader cinesi avevano annunciato una serie di misure per rilanciare l’economia, tra cui un taglio dei tassi di interesse e un aumento del tetto del debito delle amministrazioni locali. “Dopo un inizio anno lento, la domanda interna ha iniziato a riprendersi di recente, grazie a un nuovo aumento del sostegno di bilancio”, ha sottolineato Julian Evans-Pritchard. Ma il surplus commerciale cinese continuerà a costituire “una fonte di continue tensioni con molti partner commerciali della Cina“, ha rilevato. “A breve termine, prevedo il caos nelle catene di approvvigionamento”, ha avvertito Zhiwei Zhang, economista di Pinpoint Asset Management. In questo contesto, “ci vorrà un miracolo per raggiungere l’obiettivo di crescita del 5% fissato dal governo”, ha commentato per l’AFP Sarah Tan, economista di Moody’s Analytics.

Dazi, Trump non cede: “Presto anche su farmaci e semiconduttori”. Missione di Xi in Vietnam

Photo credit: AFP

Incoraggiati dall’annuncio di Washington di esenzioni per i prodotti ad alta tecnologia, i mercati finanziari hanno registrato andamenti positivi, nonostante Donald Trump abbia continuato a esercitare pressioni sui partner commerciali degli Stati Uniti, primo fra tutti la Cina. Il presidente americano ha avvertito che nessun Paese è “fuori pericolo” di fronte alla sua offensiva doganale, “soprattutto non la Cina che, di gran lunga, ci tratta peggio”, ha tuonato sul suo social network Truth. L’avvertimento arriva all’indomani dell’esenzione dai dazi – fino al 145% per la Cina – concessa dalle autorità statunitensi su prodotti high-tech, in primis smartphone e computer, e sui semiconduttori. Il leader americano dichiara però che annuncerà “entro la settimana” nuove sovrattasse sui semiconduttori che entrano negli Stati Uniti, che “saranno in vigore in un futuro non troppo lontano”. Stesso discorso per i prodotti farmaceutici: “Andremo a produrre i nostri farmaci e le nostre industrie farmaceutiche dovranno battere posti come la Cina”. Per questo “io ho una timeline, in un futuro non troppo distante”, ha confermato parlando ai giornalisti durante un bilaterale alla Casa Bianca con l’omologo di El Salvador, Nayib Bukele.  Per quanto riguarda gli smartphone e gli altri dispositivi elettronici, “saranno annunciati molto presto, ne discuteremo, ma parleremo anche con le aziende”, ha aggiunto il leader, senza entrare nei dettagli, a bordo dell’Air Force One. “Sai, bisogna mostrare una certa flessibilità” per “certi prodotti”, ha aggiunto. In precedenza, il suo segretario al Commercio, Howard Lutnick, aveva accennato alle imminenti tariffe settoriali sui semiconduttori, “probabilmente tra un mese o due”, nonché sui prodotti farmaceutici. “Non possiamo contare sulla Cina per i beni fondamentali di cui abbiamo bisogno. I nostri medicinali e semiconduttori devono essere prodotti in America”, ha dichiarato Lutnick in un’intervista ad ABC. Annunci americani in contrasto con quanto richiesto dalla Cina, in un momento in cui il conflitto commerciale innescato dagli Stati Uniti sta facendo impazzire i mercati finanziari, con azioni che vanno su e giù come montagne russe, prezzi dell’oro ai massimi e il mercato del debito americano sotto pressione. Se il Ministero del Commercio cinese ha riconosciuto il “piccolo passo” fatto da Washington con la sua posizione ammorbidita sui prodotti high-tech, “esortiamo gli Stati Uniti a fare un grande passo per correggere i loro errori, annullare completamente la cattiva pratica dei dazi reciproci e tornare sulla retta via del rispetto reciproco”, ha dichiarato domenica un portavoce in un comunicato. Il protezionismo “non porta da nessuna parte”, ripete il presidente cinese Xi Jinping, in un discorso riportato lunedì dall’agenzia ufficiale China News. “I nostri due Paesi devono salvaguardare fermamente il sistema commerciale multilaterale, la stabilità delle catene industriali e di approvvigionamento globali e un ambiente internazionale di apertura e cooperazione”, ha sottolineato il leader, che lunedì ha iniziato una visita in Vietnam, prima di dirigersi in Malesia e Cambogia, per rafforzare le relazioni commerciali del suo Paese. Durante un colloquio con il leader vietnamita To Lam il presidente cinese ha invitato il Vietnam ad unirsi alla Cina per “opporsi congiuntamente alle prepotenze”. “Dobbiamo rafforzare le nostre relazioni strategiche, opporci congiuntamente alle intimidazioni e mantenere la stabilità del sistema globale di libero scambio, nonché delle catene industriali e di approvvigionamento”, ha detto Xi . In questo contesto di tensione, l’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC) ha leggermente rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita della domanda di petrolio per il 2025, citando in particolare i dazi doganali statunitensi, secondo il suo rapporto mensile pubblicato lunedì. Pur continuando a colpire la Cina nel corso della settimana, il miliardario newyorkese sembra aver concesso un po’ di tregua agli altri partner commerciali degli Stati Uniti, esentandoli mercoledì per 90 giorni dalle tasse doganali annunciate poco prima e aggiungendo loro solo il 10% di dazi doganali. In una prima critica all’offensiva doganale di Donald Trump, il giorno prima, Pechino si era posta a difesa dei paesi poveri rendendo pubblico un appello con il direttore generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) Ngozi Okonjo-Iweala, durante il quale la Cina aveva messo in guardia contro “i gravi danni” che questi dazi avrebbero causato ai paesi in via di sviluppo, “in particolare a quelli meno sviluppati”. Secondo il ministro del Commercio cinese Wang Wentao, “potrebbero persino scatenare una crisi umanitaria”. Nonostante queste forti tensioni commerciali tra le due principali potenze economiche mondiali, venerdì Trump ha dichiarato di essere “ottimista” su un accordo commerciale con Pechino. Secondo i dati di Pechino, gli Stati Uniti assorbono il 16,4% delle esportazioni cinesi totali, per un totale di scambi di 500 miliardi di dollari, con un ampio deficit per gli Stati Uniti.

Bankitalia smorza l’allarme dazi: -1% fatturato per chi esporta negli Usa

L’imposizione dei dazi da parte degli Stati Uniti potrebbe pesare sulle imprese italiane esportatrici, ma alcuni fattori strutturali del nostro sistema produttivo potrebbero attenuarne gli effetti più critici. È quanto emerge dal secondo Bollettino economico della Bankitalia, che analizza le prospettive economiche italiane alla luce delle recenti tensioni commerciali internazionali. Secondo le proiezioni contenute nel documento, il Prodotto interno lordo dell’Italia crescerà dello 0,6% nel 2025, dello 0,8% nel 2026 e dello 0,7% nel 2027.

Queste stime includono già una prima, seppur parziale, valutazione degli effetti derivanti dai dazi annunciati dagli Stati Uniti lo scorso 2 aprile. Tuttavia, non considerano possibili contromisure da parte dell’Europa o altre conseguenze sui mercati internazionali, né la sospensione parziale dei dazi annunciata il 9 aprile. L’impatto principale sull’economia italiana sarà un rallentamento della domanda estera, che influenzerà negativamente il Pil.

A contrastare questo effetto interverrà però la crescita dei consumi interni, favorita dall’andamento positivo dei redditi reali. Gli investimenti saranno sostenuti dalle misure del Pnrr, anche se potrebbero essere frenati dall’incertezza derivante dalle tensioni commerciali e dalla fine degli incentivi all’edilizia residenziale. L’inflazione al consumo dovrebbe mantenersi stabile attorno all’1,5% nel 2025 e nel 2026, per poi salire al 2% nel 2027. Bankitalia avverte che ulteriori peggioramenti dello scenario potrebbero derivare da un inasprimento delle politiche commerciali, con ripercussioni su domanda estera, fiducia degli operatori economici e mercati finanziari.

Gli Stati Uniti rappresentano uno sbocco strategico per le esportazioni italiane, con un valore complessivo di 60 miliardi di euro nel 2024, pari al 10,4% del totale. Tuttavia, l’impatto dei dazi va valutato anche tenendo conto delle catene globali del valore, che rendono rilevante non solo l’esposizione diretta, ma anche quella indiretta, legata all’uso di componenti italiane da parte di altri Paesi che esportano verso gli Usa. Secondo le analisi di Via Nazionale, circa l’8,1% del valore aggiunto generato dalla manifattura italiana – ovvero l’1,2% del Pil – è destinato direttamente o indirettamente al mercato statunitense. I settori più esposti risultano essere la farmaceutica e quello dei mezzi di trasporto, in particolare cantieristica e aerospazio. Nonostante l’esposizione significativa, il sistema produttivo italiano presenta caratteristiche che potrebbero però mitigare gli effetti negativi nel breve periodo, sottolinea Bankitalia. Solo un terzo delle imprese esportatrici vende direttamente negli Stati Uniti, ma oltre la metà delle esportazioni verso questo mercato è realizzata da aziende di grandi dimensioni, con almeno 250 addetti, che godono di una maggiore diversificazione. L’impatto dei dazi sarà comunque legato a due fattori principali: la capacità delle imprese statunitensi di sostituire i prodotti italiani e quella delle aziende italiane di assorbire i rincari riducendo i margini di profitto. Da questo punto di vista, la natura multilaterale dei dazi imposti dagli Stati Uniti limita le possibilità di sostituzione con beni provenienti da altri Paesi, anch’essi colpiti da misure simili. Inoltre, il 92% dei prodotti italiani esportati è di fascia medio-alta o alta, meno soggetta a una riduzione della domanda legata al prezzo, poiché destinata a consumatori benestanti o imprese di fascia alta. Questo posizionamento qualitativo è superiore a quello della maggior parte dei concorrenti Ocse, ad eccezione di Francia e Germania, evidenzia Via Nazionale. Nel dettaglio, secondo Bankitalia le imprese italiane che esportano negli Usa registrano in media il 5,5% del loro fatturato proprio da questo mercato, con margini operativi lordi pari al 10% del totale. Anche in caso di rincari dovuti ai dazi, la riduzione media del fatturato sarebbe contenuta a circa l’1%. Per tre quarti delle imprese, i margini scenderebbero al massimo di mezzo punto percentuale. Solo una piccola quota di aziende vedrebbe i propri margini virare in negativo, mentre la percentuale di imprese con perdite elevate crescerebbe di circa 4 punti percentuali, colpendo soprattutto le realtà più piccole.

Tajani in India per rafforzare Via del Cotone: Presto a Trieste incontro con Paesi Imec

Nell’attesa di capire le reali intenzioni di Donald Trump con i dazi sui prodotti europei, Antonio Tajani guarda a Est e parte in missione per l’India e il Giappone.

L’obiettivo è incontrate gli imprenditori locali e quelli italiani che hanno deciso di produrre nei due Paesi sui quali l’Italia punta molto per tutelare le esportazioni e compensare eventuali perdite dagli Stati Uniti. Perché nel 2024 Washington è stato il secondo mercato di destinazione dei beni prodotti in Italia, che hanno assorbito il 10,4% dell’export, per 64,8 miliardi. “India e Giappone sono Paesi chiave per la politica estera italiana, soprattutto alla luce degli ottimi rapporti politici, economici ed imprenditoriali”, spiega Tajani, che inserisce entrambi i Paesi fra i mercati extra-Ue da sviluppare del ‘Piano d’azione per l’export italiano’.

A Nuova Delhi, il vicepremier viene ricevuto dalla presidente della Repubblica, Droupadi Murmu e incontra l’omologo Subrahmanyam Jaishankar con il ministro del Commercio e dell’Industria, Shri Piyush Goyal, per co-presiedere un Forum Imprenditoriale, Scientifico e Tecnologico per favorire le relazioni tra le aziende italiane, le agenzie governative e le associazioni industriali indiane al fine di approfondire politiche, obiettivi e progetti nell’ambito scientifico-tecnologico. Transizione energetica, connettività, manifattura avanzata, difesa, sicurezza, turismo, migrazione e mobilità sono alcuni degli ambiti che il ministro punta a promuovere nel periodo 2025-2029.

L’interscambio commerciale tra Italia e India ha totalizzato oltre 14 miliardi di euro nel 2024, con una crescita delle esportazioni italiane che negli ultimi sette anni è stata di oltre il 30%. “Lo spirito della mia missione a Nuova Delhi è imprimere un ulteriore slancio a questi rapporti”, afferma, ricordando che il legame tra i due Paesi risale a tempi antichi: “Oggi, l’Italia e l’India sono più vicine che mai”. Il ministro chiarisce che per rafforzare la Via del Cotone, il corridoio economico europeo indo-italiano, è stato nominato un inviato speciale per l’Imec, l’ambasciatore Francesco Talò. “Guiderà l’Italia in questo importante progetto”, afferma Tajani, che annuncia un incontro a Trieste con tutti i ministri degli Esteri del corridoio, “importante per rafforzare gli scambi commerciali”.

Nello stesso giorno, SolarPower Europe e la National Solar Energy Federation of India firmano un nuovo Memorandum d’intesa per sbloccare la cooperazione nella produzione di energia solare e “costruire catene del valore più diversificate e resilienti”. L’iniziativa servirà a individuare “opportunità commerciali e di finanziamento per progetti manifatturieri e la promozione dello scambio di conoscenze e del rafforzamento delle capacità tra le due regioni”. Per quanto riguarda i quadri normativi, le associazioni si sosterranno a vicenda nell’affrontare le questioni relative all’accesso al mercato delle apparecchiature solari e “faciliteranno gli scambi con i responsabili politici competenti sulle opportunità di supporto ai progetti di cooperazione Ue-India nel settore della produzione di energia solare”. Il protocollo d’intesa riflette gli impegni del partenariato India-Ue per l’energia pulita e il clima, e la recente promessa del presidente Modi e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di approfondire la collaborazione in materia di energia pulita e catene di approvvigionamento.

L’India, osserva Tajani intervenendo al Forum, è un’economia con “un potenziale enorme”: “Per questo siamo qui, vogliamo investire di più, vogliamo esportare di più e vogliamo più investimenti indiani nel nostro Paese, e anche più aziende indiane che lavorano con l’India“.

Nei prossimi giorni, il 13 e 14 aprile, la missione del ministro si sposterà ancora più a Est, a Osaka, per l’inaugurazione del Padiglione italiano all’Expo e per partecipare a iniziative collegate al Piano Export per l’Asia e alle Olimpiadi di Milano Cortina 2026.