Bozza vertice Ue: Corridoio dinamico gas e acquisti congiunti

Esplorare un corridoio di prezzo dinamico temporaneo per il gas naturale e sviluppare un nuovo benchmark che rifletta più accuratamente le condizioni del mercato del gas in Europa. Poi ancora, fare acquisti congiunti di gas e negoziare con i partner affidabili dell’Ue forniture a prezzi vantaggiosi per entrambi. E’ quanto proporranno i capi di stato e governo dell’Ue riuniti a Bruxelles giovedì e venerdì (20-21 ottobre), secondo l’ultima bozza di conclusioni del vertice Ue (datata 16 ottobre) di cui GEA ha preso visione.

Il documento è solo una bozza, sarà discussa tra gli ambasciatori dei 27 nel comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue e subirà verosimilmente delle modifiche da qui alla riunione di giovedì dei leader dell’Ue, ma è indicativo di quali saranno i temi al centro della riunione. Per accelerare la risposta dell’Ue contro il caro bollette, il Consiglio europeo propone una serie di misure, tra cui acquistare congiuntamente il gas” e “accelerare i negoziati con partner affidabili per cercare partenariati reciprocamente vantaggiosi”; sviluppare un nuovo parametro di riferimento per il gas naturale liquefatto “che rifletta più accuratamente le condizioni del mercato del gas”, quindi alternativo al mercato olandese Ttf di Amsterdam; “esplorare un corridoio di prezzo dinamico temporaneo per il gas naturale per limitare i prezzi fino all’introduzione del parametro di riferimento”.

Si apre anche all’idea di “esplorare un quadro temporaneo dell’UE per limitare il prezzo del gas nella produzione di elettricità”, ovvero pensare di estendere il modello di price-cap iberico (introdotto da Spagna e Portogallo) a tutta l’Ue (diversi Stati membri, come l’Italia, sono contrari a questa misura perché andrebbe finanziata con risorse nazionali). Nella bozza si legge ancora che l’Ue dovrebbe “aumentare gli investimenti in infrastrutture energetiche pronte per il futuro, comprese le interconnessioni” e “accelerare i lavori sulla riforma strutturale del mercato dell’energia elettrica”, una proposta che la Commissione europea dovrebbe avanzare nel primo trimestre del 2023.

Sulla questione energetica la bozza apre quindi a diverse opzioni, ma lo fa perché i governi sono nei fatti in attesa della presentazione da parte della Commissione europea della nuova proposta legislativa contro il caro energia, che avverrà dopo l’adozione del collegio riunito a Strasburgo. La proposta dell’esecutivo, secondo le indiscrezioni, dovrebbe prevedere un limite di prezzo dinamico e temporaneo a tutte le transazioni nel Dutch Title Transfer Facility (Ttf), il mercato olandese di riferimento per gli scambi del gas in Europa; una misura temporanea fino all’introduzione di un nuovo parametro di riferimento per il gas naturale liquefatto (GNL) da rendere operativo entro la fine del 2022 e acquisti congiunti di gas obbligatori per il riempimento di almeno il 15% delle riserve europee. Per ora Bruxelles sembra invece escludere l’idea di estendere il ‘cap’ iberico applicato in Spagna e Portogallo anche al resto dell’Ue.

I leader dovrebbero fissare tra le priorità quella di proteggere famiglie e imprese dai rincari energetici. E farlo “coordinando strettamente le nostre risposte politiche” ma anche rimanendo pronti “a sviluppare soluzioni comuni a livello europeo”. La bozza di conclusioni del Vertice Ue del 20-21 ottobre sembra aprire all’idea di sviluppare soluzioni economiche comuni di fronte alle sfide energetiche che la guerra di Russia in Ucraina ha portato con sé. Il passaggio citato è parte del quarto paragrafo sulle ‘Questioni economiche’, in cui si legge che di fronte alla crisi la priorità immediata dell’Ue deve essere quella di proteggere famiglie e imprese, “in particolare i soggetti più vulnerabili delle nostre società, preservando la competitività globale dell’Unione e mantenendo condizioni di parità e integrità” del mercato unico. Il Consiglio europeo si impegna dunque “a coordinare strettamente le risposte politiche, rimanendo al contempo pronto a sviluppare soluzioni comuni a livello europeo”.

Una questione aperta ormai due settimane fa da una proposta dei commissari per l’Economia, Paolo Gentiloni, e per il mercato interno, Thierry Breton, di introdurre uno strumento simile a Sure (varato durante il Covid-19 per il sostegno temporaneo contro la perdita di posti di lavoro e rischi di disoccupazione) contro il caro bolletta. Nella sostanza, hanno evocato la necessità di emettere nuovo debito comune (come è stato fatto per il Next Generation Eu) per finanziare la risposta alla crisi dei prezzi dell’energia attraverso nuovi prestiti ai governi, dopo il varo da parte della Germania dello scudo da 200 miliardi di euro per famiglie e aziende. Una questione aperta ma al momento divisiva, su cui, stando alla bozza di conclusioni, i leader si confronteranno.

Fonderie e crisi energetica. Assofond: Senza misure strutturali punto di non ritorno

Oltre 1.000 imprese, 30.000 addetti, 7 miliardi di fatturato. Sono i numeri del settore delle fonderie italiane che sta affrontando una crisi energetica senza precedenti. E chi più delle imprese così altamente energivore può soffrire la situazione economica e geopolitica attuale? Il tema è infatti il focus del 36esimo Congresso Nazionale di Fonderia, in corso a Torino fino a domenica e organizzato da Assofond, associazione di Confindustria. Il primo a lanciare l’allarme è Fabio Zanardi, presidente di Assofond, spiegando che “senza misure strutturali, in tempi brevi arriveremo al punto di non ritorno: il mercato, che già è in fase di rallentamento, potrebbe sgonfiarsi repentinamente e portare di conseguenza anche nel nostro settore fermi produttivi”. Il titolo del Congresso, ‘Al timone con l’inflazione: come mantenere la rotta?’, evidenzia il contesto in cui si sta muovendo l’industria di fonderia italiana, la cui sostenibilità è messa in discussione proprio dai costi insostenibili di energia elettrica e gas.

Sostenibilità sotto tutti i punti di vista: economico, sociale e ambientale. Dell’aspetto economico-finanziario parla Claudio Teodori, docente di economia aziendale al Dipartimento di Economia e Management dell’Università degli Studi di Brescia, secondo cui, in un contesto di rallentamento dell’economia e inflazione, con costi elevati di materie prime ed energia, “l’unica arma a disposizione delle imprese è fare tutto il possibile per difendere la redditività che tende a contrarsi, anche grazie a investimenti in digitalizzazione e innovazione, che permettano l’incremento del valore aggiunto”. Per quanto riguarda la sostenibilità sociale, Maria Raffaella Caprioglio, presidente di Umana S.p.a., spiega come “oggi trovare personale in linea con le esigenze delle imprese è sempre più difficile”, soprattutto per i settori industriali che i giovani neolaureati sentono distanti dalle loro aspettative.

Infine, ma non per ordine di importanza, il tema della sostenibilità ambientale, che nell’attuale contesto è fortemente influenzata dalla crisi energetica. Secondo il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, l’Europa dovrà intraprendere un percorso difficile: “La realtà è che siamo in un’economia di guerra, ma in Europa si discute per lo più di soluzioni tampone, che forse possono migliorare la situazione, ma che non sono adatte a risolvere il problema. La politica ha impiegato troppo tempo per rendersi conto della crisi. Ora bisogna tornare ai fondamentali, che sono quelli che contano: i prezzi sono esplosi non per la speculazione, ma perché manca il 40% di offerta di un bene, il gas, che è essenziale, e che è impossibile sostituire con qualcos’altro in pochi mesi”. Secondo Tabarelli “il prezzo non è alto, perché la domanda non crolla, sta cominciando a farlo solo in questi giorni. Per questo fra le possibili soluzioni c’è quella di fare pressione ai governi per dare segnali dal lato della domanda, essendo pronti anche a fare razionamento. Perché questo riduce la domanda. E’ inutile che l’Europa si scanni su tetto, extra profitti, disaccoppiamento prezzi. Quello che conta veramente è dare un segnale sulla domanda, dire che siamo pronti a fare razionamento”.

commissione Ue

Stock comuni e limite ai prezzi, il 18 ottobre piano Ue contro il caro energia

Martedì 18 ottobre. C’è, infine, una data per la presentazione da parte della Commissione europea di un nuovo pacchetto di misure per affrontare il caro energia, che conterrà una proposta per lanciare nell’effettivo gli acquisti congiunti di gas e sviluppare un indice dei prezzi alternativo al Ttf di Amsterdam.

Il pacchetto dovrebbe contenere anche un meccanismo di controllo dei prezzi del gas, anche se non è chiaro ancora in che forma. A confermarlo è stata la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson, da Praga dove ieri e oggi si è tenuto il Consiglio informale dell’energia. Una riunione dei ministri che non è riuscita a sciogliere il nodo del tetto al prezzo del gas. In primo luogo, la commissaria estone ha confermato che nel pacchetto ci sarà una proposta per un parametro di riferimento alternativo al Ttf di Amsterdam, il mercato olandese di riferimento per lo scambio di gas (che oggi si applica al gas da gasdotto), dal momento che non è “più rappresentativo della realtà del mercato energetico dell’UE e gonfia artificialmente i prezzi”.

Il nuovo indice dei prezzi, secondo l’Ue, non sarà operativo prima della stagione di riempimento delle riserve di gas, ovvero la primavera. Serve quindi un intervento più immediato e “temporaneo per limitare i prezzi”. Quale tipo di meccanismo è ancora incerto. Al vaglio di Bruxelles ci sono già diverse opzioni di tetto al prezzo del gas, vanno dalla proposta di un tetto su tutto il gas importato o solo sul gas importato dalla Russia (su cui spinge Bruxelles), un “corridoio dinamico” per il prezzo (come suggerito dall’Italia, Polonia, Grecia e Belgio in un non-paper trasmesso a Bruxelles), o ancora un tetto massimo per il gas usato per la produzione di energia elettrica, sul modello iberico (un’opzione su cui l’Italia è contraria perché nei fatti andrebbe finanziata da risorse pubbliche). Quest’ultima opzione, però, sembra superata dal momento che a livello Ue non sembra esserci un consenso. Rispondendo a una domanda su questa ipotesi, Simson ha chiarito che la proposta Ue “conterrà elementi su cui avremo il massimo sostegno consensuale da parte dei governi, quindi vedremo nel weekend come procedere con l’idea di fissare un tetto sul prezzo del gas per la produzione di energia elettrica. Se è possibile trovare una maggioranza in quella fase“.

L’idea di un price cap sul gas usato per generare energia elettrica era stata scoraggiata già da Italia, Polonia, Belgio e Grecia e oggi anche da Paesi Bassi e Germania, che hanno presentato al Consiglio un non-paper per contribuire al dibattito di oggi riproponendo la via del cap solo sul gas russo. Bruxelles avverte, però, che qualunque tipo di intervento sul mercato del gas per mitigare i prezzi richiederà un’ulteriore riduzione della domanda di gas. Anche qui non ci sono dettagli sulla forma che potrebbe assumere l’intervento ma “un’opzione potrebbe essere attivare l’allerta UE” e dunque rendere “obbligatorio l’obiettivo di riduzione della domanda di gas del 15%” rispetto alla media degli ultimi cinque anni. Andare quindi verso l’obbligo di riduzione della domanda di gas, oggi su base volontaria. La terza misura riguarderà la solidarietà, la Commissione “proporrà un accordo per garantire che gli accordi di solidarietà” siano attivi nel momento di bisogno, ovvero carenza di approvvigionamento. Al momento gli accordi di solidarietà sono solo su base volontaria e ce ne sono meno di dieci stipulati a livello comunitario. In ultimo, il piano conterrà una proposta per facilitare gli acquisti congiunti di gas attraverso la piattaforma lanciata ad aprile e mai effettivamente entrata in funzione. “Ciò consentirà all’UE di utilizzare il nostro potere d’acquisto collettivo per limitare i prezzi ed evitare che gli Stati membri si sorpassino a vicenda sul mercato, aumentando così i prezzi”, ha detto la commissaria. Le misure che saranno presentate la prossima settimana saranno oggetto di confronto tra i capi di stato e governo che si incontreranno a Bruxelles il 20-21 ottobre in un Vertice Ue in cui il dossier energia sarà centrale.

C’è speranza per le bollette: prezzo del gas torna ai livelli di fine giugno

L’intensificarsi del conflitto in Ucraina rovina la discesa del prezzo del gas al mercato di Amsterdam. Lunedì mattina il Ttf, il principale indicatore della quotazione del metano in Europa, aveva iniziato le contrattazioni confermando il calo delle ultime settimane scendendo sotto i 150 euro/MWh, un valore che non si vedeva da fine giugno. A influire sul calo del valore del gas, come sottolinea Ole Hansen su Twitter (commoditiy strategist di Saxo Bank), ci sono i “forti arrivi di Gnl, il clima autunnale mite e la distruzione della domanda. La capacità di shock della Russia si è notevolmente ridotta con flussi in calo del 78% su base annua”. In effetti le importazioni di carichi di Gnl in Europa nord-occidentale hanno raggiunto il livello più alto in questo periodo dell’anno dal 2016, secondo Bloomberg. Inoltre le temperature non dovrebbero essere fresche, nella maggior parte dell’Europa, nelle prossime due settimane, suggeriscono i modelli citati da Oilprice.com, il che allevierebbe la pressione rialzista sulla domanda di gas per riscaldamento ed elettricità. A proposito di elettricità, la leggera ripresa della produzione nucleare in Francia sta aiutando la fornitura ai Paesi vicini, frenando così una parte della domanda di gas per la corrente.

I livelli di ieri mattina sono stati quelli, appunto, di tre mesi fa, quando l’Arera – l’authority per l’energia – stabilì lultimo rialzo delle bollette del gas. La stessa Arera, a fine settembre, ipotizzava un +70% per il metano a novembre. Però se il prezzo rimanesse a questi livelli o inferiori potrebbero esserci speranze di aumenti inferiori. La struttura della bolletta del gas è cambiata: sarà mensile e le tariffe verranno stabilite ex post, nel senso che il prezzo del consumo di ottobre sarà deciso a novembre calcolato sulla base della media aritmetica delle quotazioni di ogni singolo giorno sul mercato di riferimento, che sia il Ttf o il Psv. Già, ultima questione benché non secondaria. Le nostre bollette non si baseranno più sul Ttf, ma sull’italiano Psv, che generalmente quota un 20 euro in meno rispetto al titolo olandese.

La speranza di una frenata del caro-bollette sbatte però con la guerra in Ucraina. I lavoratori russi si bloccano e Kiev comunica che dovrà rallentare se non bloccare l’export di energia elettrica. Questo annuncio ha fatto così sobbalzare il prezzo del Ttf, che poi però è tornato a scendere chiudendo a 159 euro/MWh, in rialzo di “soli” due punti percentuali nei confronti di venerdì. Dall’Ucraina passa anche il gasdotto che porta metano fino all’Italia, a quantità ridotte ma fondamentali per garantire l’equilibrio raggiunto – a colpi di acquisti a prezzi elevatissimi sul mercato spot olandese – riempendo gli stoccaggi in vista dell’inverno.

L’apertura della Germania a un fondo europeo, sul modello pandemico del Sure, apre tuttavia la strada a bollette meno pesanti in futuro. Da capire il valore dell’eurobond che sarebbe emesso per finanziare prestiti agli Stati. La trattativa fra governi pare appena cominciata.

Draghi in pressing su Ue per misure concrete su energia: “Soddisfatto, cose si muovono”

L’intesa in Europa non c’è ancora, ma sul fronte energia “le cose si stanno muovendo. Uscendo dal vertice informale di Praga, al termine del suo mandato di governo, Mario Draghi si dice “soddisfatto.

Nella riunione, il premier ha ripercorso le tappe del dibattito europeo da marzo ad oggi. Ha ricordato come già sette mesi fa l’Italia avesse avanzato una proposta sul price cap e sottolineato che ora ci sono Paesi che hanno esaurito il proprio spazio fiscale. Per l’ex capo della Bce, insomma, l’Europa si trova di fronte a una scelta. E’ per questo che spinge Commissione e leader dei Paesi a dare una risposta forte e comune per far fronte alla crisi energetica. Il che significa anche poter disporre di fondi comuni, in modo che tutti i Paesi europei possano stare sullo stesso terreno di gioco sul piano finanziario. Al termine del vertice di Praga, il prezzo del gas è sceso a 155 euro, -12% al Ttf.

Dopo il maxi piano tedesco, da 200 miliardi di euro, è infatti difficile non immaginare un nuovo strumento di debito comune, per evitare frammentazioni. In questo senso, Draghi condivide la proposta dei commissari per l’Energia, Paolo Gentiloni, e per il Mercato interno, Thierry Breton, di rilanciare “l’Europa della solidarietà” dando vita a un nuovo prestito congiunto da parte dell’Unione Europea, sulla falsariga di quello emesso durante la pandemia da Covid-19 con Sure. E’, in fondo, quello che lo stesso Draghi aveva avanzato “cinque o sei mesi fa” , rivendica parlando ai cronisti a margine dell’incontro: “E’ molto naturale in questa situazione, soprattutto dopo la decisione tedesca. E’ quello che serve per cercare di mettere tutti i Paesi, sia quelli che hanno spazio fiscale sia quelli che non hanno spazio fiscale, su un livello uguale“.

Al Consiglio Ue, il 20 e 21 ottobre, la Commissione porterà una proposta per “tentare di diminuire i prezzi, avere un elemento di solidarietà nel meccanismo e iniziare la riforma del mercato dell’elettricità“, fa sapere. Però ammette di aspettarsi di più per quell’appuntamento: “Non più vaghe proposte, ma qualcosa di chiaro e concreto e in parte, addirittura, già proposte di regolamento“. “È in gioco l’unità tra di noi, a livello europeo” ha ricordato Draghi nel suo intervento, invitando a dare alla Commissione un “mandato ampio” per presentare quanto prima le proposte sui temi all’ordine del giorno del dossier energetico.

Tra le opzioni al vaglio del vertice per far fronte al caro energia, c’era anche la proposta di Italia, Belgio, Polonia e Grecia, di applicare un “corridoio dinamico di prezzo” a tutte le transazioni all’ingrosso di gas, non solo a quello importato dalla Russia e non solo sul gas usato per la generazione di energia elettrica. Un’idea che Gentiloni appoggia: “Un price cap bloccato può avere delle controindicazioni nel senso che l’andamento dei mercati, il trattamento verso i Paesi, richiedono uno strumento abbastanza sofisticato – ha spiegato su Radio 1 -. Un price cap dinamico potrebbe andare incontro a questa necessità“. Per il momento, confessa Draghi, non si è parlato nel dettaglio di tutte le proposte, perché si attende che la presidenza ceca convochi, prima del 20 ottobre, “tanti consigli dell’energia quanti sono necessari ad arrivare a una proposta concreta“.

Nube metano Nord Stream

Da Nord Stream nube metano su Europa. L’esperto: Contributo a cambiamento climatico

Non solo problemi di approvvigionamento energetico, ma anche ambientali. Le esplosioni e la fuga di gas nei gasdotti Nord Stream hanno infatti creato una “grande nuvola di metano” su Norvegia e Svezia che si teme possa arrivare anche sull’Italia. A dare la notizia sono stati i media dei due Paesi. Secondo i calcoli di Stephen Matthew Platt, scienziato del clima presso l’istituto norvegese di ricerca sull’aria Nilu, si tratta di circa 40.000 tonnellate di metano rilasciate dal sospetto sabotaggio: il doppio delle emissioni annue di metano nazionali norvegesi dell’industria petrolifera e del gas. “Sono livelli record, non abbiamo mai visto niente di simile prima in Norvegia e Svezia”, ha riferito Platt, sottolineando tuttavia che l’elevata concentrazione di metano non rappresenta un grave pericolo per le persone. L’allarme è immediatamente scattato in Italia, anche se, secondo l’esperto del Cnr e amministratore del consorzio Lamma Bernardo Gozzini, contattato da GEA, “non è sicuro che la nube di metano arriverà in Italia”, visto che, secondo una ricostruzione fatta al computer, “avrebbe avuto una traiettoria divisa in due parti, una è andata verso le isole Svalbard, l’altra verso la Gran Bretagna e la Francia”. In ogni caso, se anche arrivasse, sarebbe molto diluita” sull’Italia. Il rischio non sarebbe immediato, ma l’incremento di metano nell’atmosfera contribuisce all’effetto serra. Questo, appunto, il problema anche secondo Alessandro Di Menno, ricercatore Ispra, che spiega a GEA come “il metano è un gas serra, non un inquinante atmosferico tradizionale. Non ha un effetto diretto sulla salute umana, come ad esempio il monossido di carbonio. Ma è nella nube c’è una quantità di gas serra potente, molto più climalterante della Co2“. “E’ una cosa nuova, gli effetti non li vedremo nell’immediato, diciamo che è un altro bel contributo sul cambiamento climatico, è come aver emesso una grande, grandissima, quantità di Co2 tutta in una volta – precisa -. La nube ad ogni modo si disperderà, arriverà in forma molto diluita“.

Intanto, al netto dell’aspetto ambientale e climatico, continua il rimpallo di accuse sul presunto sabotaggio a Nord Stream che ha causato la perdita. Secondo un rapporto ufficiale presentato da Svezia e Danimarca alle Nazioni Unite, a causare le quattro perdite nel Mar Baltico sarebbero state esplosioni sottomarine equivalenti a “centinaia di chilogrammi” di TNT. “La magnitudo delle esplosioni è stata misurata rispettivamente a 2.3 e 2.1 della scala Richter, il che probabilmente equivale a una carica esplosiva di centinaia di chili“, hanno dichiarato i due Paesi scandinavi in una comunicazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che si riunirà venerdì a New York su richiesta della Russia. “Tutte le informazioni disponibili indicano che queste esplosioni sono il risultato di un atto deliberato“, hanno scritto Svezia e Danimarca nella loro lettera al segretario generale delll’Onu, senza nominare alcun Paese responsabile. Mosca, da parte sua, prima ha rivolto tramite il capo del Servizio di intelligence estero della Federazione Russa, Sergei Naryshkin, le sue attenzioni su una “impronta occidentale nell’organizzazione e nell’attuazione di questo atto terroristico”, poi lo stesso presidente Vladimir Putin ha accusato gli “anglosassoni” che “organizzando esplosioni sui gasdotti internazionali hanno di fatto iniziato a distruggere le infrastrutture energetiche europee“. Immediata la risposta del segretario di Stato americano Antony Blinken che giudica le accuse una “oltraggiosa disinformazione”, mentre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg conferma che l’Alleanza continua a sostenere “gli sforzi di investigazione per capire chi è dietro a questi attacchi”.

Photo credits: ICOS Integrated Carbon Observation System

Il re del petrolio è preoccupato: “I giacimenti calano del 6% l’anno”

Parla poche volte, per questo quando interviene dà sempre una rotta. Ci riferiamo ad Amin H. Nasser, Presidente e Ceo di Saudi Aramco, ovvero la più grande azienda petrolifera del mondo. Ieri è intervenuto in Svizzera allo Schlumberger Digital Forum 2022. Due i messaggi lanciati al pianeta, soprattutto all’Europa afflitta dalla crisi energetica: 1) servono più investimenti altrimenti i giacimenti rischiano di non sopportare la domanda petrolifera quando ripartirà il ciclo economico; 2) la transizione energetica è fondamentale ma deve essere pratica, proponendo una ricetta a suo dire sostenibile.

Il Vecchio continente è alle prese col caro-bollette, tuttavia secondo Nasser gli interventi degli ultimi settimane non risolvono il problema. Poiché prima bisognerebbe ricordare le cause che hanno portato a questa emergenza. Intanto – ricorda il potente saudita – “gli investimenti in petrolio e gas sono crollati di oltre il 50% tra il 2014 e l’anno scorso, da 700 miliardi a poco più di 300 miliardi di dollari. Gli aumenti di quest’anno sono troppo piccoli, troppo tardivi, troppo a breve termine. Nel frattempo però – ha aggiunto – il piano di transizione energetica è stato minato da scenari irrealistici e ipotesi errate. Ad esempio, uno scenario ha portato molti a supporre che i principali settori di utilizzo del petrolio sarebbero passati ad alternative quasi dall’oggi al domani, e quindi la domanda di petrolio non sarebbe mai tornata ai livelli pre-Covid”.

In realtà, una volta che l’economia globale ha iniziato a uscire dai blocchi, la domanda di petrolio è tornata a crescere, e così anche il gas. Queste – ha sottolineato Nasser – sono le vere cause di questo stato di insicurezza energetica: scarsi investimenti in petrolio e gas; alternative non pronte; e nessun piano di riserva”. Ora, “poiché gli investimenti in gas a minore intensità di carbonio sono stati ignorati e la pianificazione di emergenza ignorata, si prevede che il consumo globale di carbone aumenterà quest’anno a circa 8 miliardi di tonnellate. Questo lo riporterebbe al livello record di quasi un decennio fa. Nel frattempo – ha continuato Nasser – le scorte di petrolio sono basse e la capacità inutilizzata globale effettiva è ora circa l’uno e mezzo percento della domanda globale. Altrettanto preoccupante è che i giacimenti petroliferi in tutto il mondo stanno diminuendo in media di circa il 6% ogni anno e di oltre il 20% in alcuni giacimenti più vecchi l’anno scorso. A questi livelli, semplicemente mantenere stabile la produzione richiede molto capitale di per sé, mentre aumentare la capacità richiede molto di più. Eppure, incredibilmente, un fattore di paura sta ancora causando una contrazione degli investimenti critici di petrolio e gas in grandi progetti a lungo termine. Ma quando l’economia globale si riprenderà – ha insistito il numero uno di Saudi Aramco possiamo aspettarci un ulteriore rimbalzo della domanda, eliminando la poca capacità di produzione di petrolio disponibile. E quando il mondo si sveglia con questi punti ciechi, potrebbe essere troppo tardi per cambiare rotta. Ecco perché sono seriamente preoccupato”.

Vorrei essere chiaro“, ha puntualizzato Nasser: “Non stiamo dicendo che i nostri obiettivi climatici globali dovrebbero cambiare a causa di questa crisi. Ma il mondo merita una risposta molto migliore a questa crisi. Questo è il momento di aumentare gli investimenti in petrolio e gas. E almeno questa crisi ha finalmente convinto le persone che abbiamo bisogno di un piano di transizione energetica più credibile. A sua volta, credo che ciò richieda un nuovo consenso energetico globale basato su tre pilastri strategici solidi e a lungo termine, ovvero 1) riconoscimento da parte dei responsabili politici e di altre parti interessate che la fornitura di energia convenzionale ampia e conveniente è ancora necessaria a lungo termine, 2) ulteriori riduzioni dell’impronta di carbonio dell’energia convenzionale e una maggiore efficienza nell’uso dell’energia, con la tecnologia che consente entrambe, 3) nuova energia a basse emissioni di carbonio, che integra costantemente le comprovate fonti convenzionali. In Aramco, ci stiamo rivolgendo a tutti e tre”.

E quindi? Quindi ecco il piano d’azione: “Stiamo lavorando per aumentare la nostra capacità di produzione di petrolio a 13 milioni di barili al giorno entro il 2027. Stiamo anche aumentando la nostra produzione di gas, aumentandola potenzialmente di oltre la metà fino al 2030 con un mix di gas convenzionale e non convenzionale. Allo stesso tempo, stiamo lavorando per abbassare la nostra intensità di carbonio a monte, il nostro gas flaring e la nostra intensità di metano, che sono già tra le più basse al mondo. È importante sottolineare – ha concluso il presidente di Saudi Aramco – che stiamo costantemente aggiungendo nuova energia a basse emissioni di carbonio al nostro portafoglio come idrogeno blu e ammoniaca blu, energie rinnovabili ed elettrocombustibili. Questo è il nostro piano per far parte di una transizione energetica pratica, stabile e inclusiva”.

Via libera al dl Aiuti ter: 14 miliardi per famiglie e imprese contro il caro energia

Altri 14 miliardi per combattere il caro energia. Con il decreto Aiuti ter approvato venerdì 16 settembre in Consiglio dei ministri sale a 60 miliardi il conto complessivo delle risorse messe in campo dal governo Draghi per far fronte alla nuova, stringente emergenza che sta mettendo in difficoltà famiglie e imprese italiane. Confermato il bonus una tantum ai lavoratori, che riceveranno 150 euro a fronte di uno stipendio di 1.538 euro nella busta paga di novembre, anche autonomi oltre ai nuclei beneficiari del reddito di cittadinanza: nel complesso una platea di 22 milioni di cittadini. Rinnovata fino al quarto trimestre dell’anno anche la misura del credito di imposta: fino al 30 settembre al 25% per le imprese energivore, al 15% per le altre con consumo maggiore di 16,5 megawatt, mentre per ottobre e novembre la soglia sale al 25% per le aziende energivore e gasivore e al 40% per tutte quelle che consumano gas. “L’insieme degli interventi supera ampiamente un eventuale scostamento di bilancio di 30 miliardi“, dice Mario Draghi al termine del Cdm. Togliendosi anche qualche sassolino dalle scarpe: “A meno che non si pensi di farne uno ogni mese, le risposte all’emergenza sono state date“.

Il nuovo dl Aiuti, inoltre, stanzia circa 190 milioni di euro per il sostegno alle aziende agricole, con interventi per la riduzione dei costi del gasolio agricolo, dei trasporti e dell’alimentazione delle serre; rimpingua con altri 100 milioni il fondo per il Trasporto pubblico locale; elargisce contributi alle scuole paritarie per fronteggiare il costo dei rincari di energia; mette a disposizione 50 milioni in favore dello sport e 40 milioni per cinema, teatri e luoghi della cultura. Accolta anche la norma che prevede fondi da destinare al Terzo settore per le bollette. Nel testo ci sono, poi, 400 milioni per il Servizio sanitario nazionale, suddiviso tra Regioni e Province autonome per far fronte ai rincari nel settore ospedaliero, comprese le Rsa e le strutture private. Non restano fuori nemmeno gli enti locali, ai quali vanno 200 milioni di euro: 160 ai Comuni e 40 a Città metropolitane e Province. Il taglio delle accise sui carburanti viene, invece, prorogato fino alla fine del mese di ottobre, così come nel provvedimento è inserita la garanzia statale sui prestiti alle imprese in crisi di liquidità per il caro bollette, con accordi da sviluppare con le banche per offrire i prestiti al tasso più basso, in linea con il Btp.

Un altro passaggio importante è quello che riguarda il rigassificatore di Piombino. Tema su cui lo stesso Draghi si sofferma con toni decisi: “Il provvedimento prevede tempi rapidi e certi di installazione“, perché l’impianto galleggiante “è essenziale, è una questione di sicurezza nazionale“. Concetto ribadito anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, accanto al premier in conferenza stampa, assieme al ministro dell’Economia, Daniele Franco, e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli. “Sono proprio i territori a rendersi conto di quanto è cruciale la loro scelta, e a conti fatti non credo che si prendano la responsabilità di mettere a rischio la sicurezza energetica nazionale – sottolinea il responsabile del Mite -. Troveremo sicuramente un punto di arrivo, perché la posta in gioco è molto seria“. Ma non fa drammi se i tempi di installazione e avviamento dovessero dilatarsi di qualche settimana: “L’ipotesi è che fosse operativo a inizio del 2023, si sono persi un paio di mesi per i fatti che tutti conoscono, che poi si sono ripercossi sul piano che aveva fatto Snam per mettere la macchina. Non credo, però, che sia un problema preoccupante se avverrà a gennaio o ad aprile“.

Cingolani, chiamato in causa anche sul livello degli stoccaggi di gas, fornisce un particolare in più. Anzi, una novità: “Sulle quantità il lavoro governo ha messo in sicurezza l’Italia: siamo all’86,6%, l’obiettivo è arrivare al 90 entro fine ottobre“. Ma “ho firmato una lettera che dà incarico a Snam di andare un po’ oltre: se arrivassimo al 92-93% sarebbe meglio“. Restando in tema, in Cdm arriva il via libera a proseguire nella realizzazione di sei impianti eolici: 4 in Puglia, 1 in Sardegna e 1 in Basilicata. In questo modo viene superata la soglia dei 2.185 megawatt autorizzati dal governo, mentre nel complesso sono 45 gli impianti a cui è stato concesso il disco verde e altri 14 lo avranno successivamente. “Contiamo di autorizzarli nelle settimane che restano“, spiega Draghi. Per il capo del governo la “diversificazione energetica dal gas russo e verso le rinnovabili è essenziale per sopravvivere, purtroppo – aggiunge, facendo riferimento alle alluvioni nelle Marchelo vediamo concretamente con quanto è accaduto negli ultimi due giorni”. Dunque, “la lotta ai cambiamenti climatici è fondamentale“.

Con il decreto Aiuti ter dovrebbe esaurirsi anche la spinta propulsiva del governo uscente. Il 25 settembre si riapriranno le urne e a ottobre dovrebbe esserci il nuovo esecutivo. Che non sarà guidato da Draghi, o almeno così assicura il diretto interessato, al pari dei suoi ministri, Franco e Cingolani. Ma un consiglio a chi verrà dopo di lui lo lascia, implicitamente: “E’ importante che ci siano crescita ed equilibrio, occorre che il Pnrr, e gli investimenti associati al Piano, continuino; che le riforme, sia quelle che fanno parte del Pnrr sia quelle che non ne fanno parte, continuino. Quello è l’ambiente favorevole alla crescita. I governi possono al massimo creare e mantenere un ambiente favorevole alla crescita“. Un promemoria prezioso, per chiunque verrà.

Carollo (esperto petrolio e gas): “Abbandonare Ttf subito o l’economia rischia grosso”

Salvatore Carollo è stato un dirigente Eni e ora è analista e trader specializzato in petrolio e gas. È una sorta di autorità in materia. Recentemente sulla Rivista Energia ha lanciato una proposta per uscire dal dramma dei prezzi del Ttf, la Borsa olandese che ha visto schizzare fino a 350 euro/Mwh: abbandonare la piazza dei Paesi Bassi e legare il parametro delle nostre bollette all’Henry Hub, piattaforma americana, dove le quotazioni sono 7-8 volte inferiori a quelle europee.

Dottor Carollo, perché il Ttf non va bene e perché sforna prezzi così imprevedibili?

“La natura del Ttf non è tale da essere punto di riferimento del mercato europeo del gas. Io la chiamo fiera di Paese e molti mi hanno bacchettato, dicendo che esce da un meccanismo degno di una borsa. Bene, non la chiamerò più allora fiera di paese, ma miniatura di un Borsa… La Borsa petrolifera di Londra o di New York, ogni giorno vede transazioni per 2-3mila miliardi di dollari. C’è una liquidità straordinaria, che consente a tutti di operare, mentre ad Amsterdam la liquidità è di 1 miliardo. In Europa però il mercato del gas è più grande di quello petrolifero. Come fa allora un indicatore di un miliardo a rispondere a esigenze di un mercato da centinaia di miliardi?”.

Già, come è possibile? Per questo si parla di speculazione?

“Il Ttf è inadeguato per l’Europa. Mi spiego: la maggior parte del gas, 90-95%, va direttamente dall’origine alla destinazione finale, non ci sono intermediazioni, le forniture sono stabilite con contratti anche decennali. Per cui su quali scambi di volumi si basano le contrattazioni di Amsterdam? Pochi metri cubi, quelli fra Olanda, Belgio e Renania… Ora, se io e lei fossimo grandi traders avremmo modo di manipolare una Borsa così piccola: ci presentiamo la mattina e vogliamo 5 miliardi di contratti, la Borsa dice che 4 miliardi di domanda non sono stati soddisfatti, che era a corto di offerta, così il prezzo schizza in alto. La mattina dopo chiediamo di comprare 10 miliardi di contratti. Risultato: manca offerta e prezzo schizza alle stelle. Così hanno portato il prezzo da 20 a 380 euro in un anno e mezzo”.

Intanto l’economia, che paga bollette legate al Ttf, soffre…

“È una cosa grave e drammatica, che grida vendetta stiamo mettendo a repentaglio l’economia italiana ed europea perché difendiamo il Ttf. Capisco molti interessi, gli extra-profitti, tutti quelli del mare del Nord che stanno facendo il bagno nell’oro, però c’è un silenzio imbarazzante sul Ttf”.

Lei propone di legare il calcolo delle tariffe di luce e gas all’Henry Hub americano, come si può fare?

“L’Arera, l’authority per l’energia, dovrebbe definire il prezzo al consumo in base alla media pesata dei prezzi d’acquisto delle società italiane sul mercato internazionale, loro hanno l’obbligo di comunicarlo. E se si smettesse di riferirsi al Ttf, la Borsa olandese andrebbe in crisi, scenderebbe il prezzo e tutti i contratti basati su quell’indice produrrebbero tariffe inferiori”.

Ma perché proprio Henry Hub?

“Noi principalmente importiamo gas allo stato gassoso, via tubo. Il gas liquefatto, Gnl, per il processo tecnologico con cui si produce – fra raffreddamento, trasporto e ritorno allo stato gassoso, senza contare che il 30% evapora – è più caro di quello che arriva da un gasdotto. Questo è un dato oggettivo. Allora prendiamo il prezzo del gas liquido più caro che ci sia: ecco l’Henry Hub, terminale dal quale il gas viene esportato in tutto il mondo, un prezzo di mercato indiscutibile, usiamo quello come tetto per determinare le bollette. Se Arera vede che un operatore ha comprato a un prezzo più alto, a quel punto lo tira fuori dalla media pesata”.

L’Italia ha demandato all’Europa la grana energia…

“Quello che io propongo va fatto tutto in Italia, la politica energetica è materia esclusiva al 100% dei singoli Paesi”.

Come vede i prezzi futuri del gas?

“Se l’Italia smette di nascondersi dietro la foglia di fico dell’Europa, il problema si risolve subito. Se però la classe politica non ha coraggio di intervenire, chiaro che il mercato resterà pazzo. Quanti cittadini italiani hanno capito se abbiamo gas o non ce l’abbiamo? Assistiamo a uno scontro fra propagande, ma i pipeline che da Ucraina vengono in Europa non hanno smesso di portarci gas. La scorsa settimana, infine, Eni ha dichiarato a Gastech che porterà 20 miliardi di metri cubi di gas in più. Allora da dove nasce il problema della mancanza di gas? Perchè tagli e ristrettezze? Vedo dunque una crisi del prezzo più che dei volumi, ma il prezzo dipende dalle nostre scelte politiche. Andiamo a vedere gli interessi che ci legano al Ttf e poi ne riparliamo…”.

gas stoccaggio

Gli stoccaggi gas in Italia sono a livello del 2021 e -11% sul 2020

Da Cernobbio, qualche giorno fa, il commissario europeo agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, affermava che la Ue “è pronta allo stop del gas”, dato che sono “aumentati gli stoccaggi. Nelle ultime settimane infatti le scorte sono cresciute, una corsa agli acquisti su spinta degli Stati che ha anche contribuito all’impennata dei prezzi sulla borsa di Amsterdam. Per cui all’8 settembre, in base ai dati dell’Aggregated Gas Storage Inventory (Agsi), gli stoccaggi della Ue sono pieni all’82,77%. Nel dettaglio la Germania è all’86,95%, la Francia al 94%, la Spagna all’85,96% e l’Italia all’84,46%, sopra dunque la media europea ma sotto quella dei principali Stati dell’Unione. Se però confrontiamo il dato degli stoccaggi con quelli dell’8 settembre di due anni fa, anno pandemico per eccellenza, notiamo che le scorte in realtà erano addirittura superiori a quelle attuali, quando il prezzo del gas era di appena 14-15 euro per megawattora.

L’8 settembre del 2020, sempre secondo i dati Agsi, la percentuale di riempimento degli stoccaggi nella Ue era al 92,4%. La Germania si posizionava al 93,78%, la Francia al 95,89%, la Spagna al 93% e l’Italia addirittura 95,26 per cento. Rispetto a due anni fa, il nostro Paese è sotto di un 11% circa insomma.
E l’8 settembre 2021? Effettivamente, come sostiene Gentiloni, la situazione è nettamente migliorata a livello Ue. Un anno fa le scorte di gas dell’intera Unione erano piene al 69,5%. La Germania addirittura si fermava al 61,6%. Meglio la Spagna col suo 72,4%. La Francia invece era già all’86% e l’Italia stava all’83%, quindi più o meno in linea con il tasso di riempimento attuale. Un anno fa il prezzo del gas era intanto già raddoppiato rispetto al 2020, essendo salito a 30 euro/MWh.

Il confronto però nasconde una insidia non proprio trascurabile: mentre nel 2020 e nel 2021 il flusso di gas dalla Russia era blindato, adesso gli approvvigionamenti sono crollati (vedi Tarvisio) o addirittura spariti, basti considerare che il North Stream che alimenta la Germania è bloccato a tempo indeterminato. Per cui, nonostante proclami e annunci roboanti, siamo nella stessa condizione di un anno fa a livello di stoccaggi, solo che ci arriva meno gas. Tuttavia i consumi di metano, almeno in Italia, sono scesi di pochissimi punti percentuali negli ultimi mesi e il piano di contenimento dei consumi annunciato dal ministro Cingolani prevede risparmi per 8 miliardi di metri cubi circa fino a fine marzo. Per compensare il taglio di forniture dalla Russia, grazie agli accordi stretti dal governo, stanno aumentando i flussi da Algeria e Azerbaigian (via Tap), tuttavia rimane un gap di una quindicina di miliardi di metri cubi che non potranno essere coperti da un extra proveniente dagli stoccaggi, visto che sono gli stessi o addirittura inferiori rispetto agli scorsi anni.