Italia hub energetico e ponte Africa-Europa con Corridoio Sud idrogeno

Le due sponde del Mediterraneo si avvicinano. La dichiarazione congiunta di Italia, Germania, Austria sul Corridoio Meridionale dell’Idrogeno viene estesa all’Algeria e alla Tunisia.

La mega opera trasporterà idrogeno rinnovabile per oltre 3.300 chilometri dal Nord Africa all’Italia, all’Austria e alla Germania. I Paesi dichiarano l’intenzione di proseguire i lavori per lo sviluppo del ‘SouthH2 Corridor’ nel corso della prima Riunione Pentaministeriale, organizzata a Villa Madama dai ministri degli Esteri e dell’Ambiente, Antonio Tajani e Gilberto Pichetto.

L’idrogeno trasportato in Europa sarà green, se prodotto solo con energia elettrica, ma potrà essere anche blu, prodotto dal gas, “con la cattura però della CO2, che permette la decarbonizzazione pur utilizzando il gas“, precisa Pichetto. Un ulteriore passo verso la costruzione di un mix energetico in cui i fossili verranno gradualmente sostituiti dalle rinnovabili, con il fotovoltaico, l’eolico, il nuovo geotermico e, per dare continuità, “in futuro col nucleare” spiega il ministro. Il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo legge l’intesa come un goal politico e istituzionale, perché, sostiene, “ribadisce l’impegno nella cooperazione, volto alla realizzazione di un’opera decisiva per il futuro energetico di entrambi i Continenti“. Con l’Italia “pronta” a essere “centrale anche nel settore dell’idrogeno“, afferma.

Il SoutH2 Corridor è un modo per lavorare agli obiettivi di decarbonizzazione e indipendenza energetica “in modo concreto e pragmatico” per Tajani. Pensando al mix energetico indispensabile per l’indipendenza del Continente, il vicepremier ricorda che lo scorso 5 novembre la Farnesina ha ospitato la prima riunione del Gruppo Mondiale per l’Energia da Fusione, in partenariato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Il corridoio Sud dell’Idrogeno, ribadisce, “rafforzerà ulteriormente il ruolo del nostro Paese come ‘hub’ europeo dell’energia“.

In Nord Africa l’Italia avrà anche un ruolo negli investimenti per il fotovoltaico e per la cattura del carbonio. In altri termini: potremo contribuire a costruire l’infrastruttura di trasporto, ma potremo anche costruire le centrali: “Già adesso abbiamo il prelievo del gas, investiamo lì con Eni, c’è già un coinvolgimento italiano. Il piano Mattei che prevede un’azione di collaborazione, di integrazione, di sviluppo per quei territori prevede investimenti da parte dell’Italia e prevede investimenti utili, non solo cooperazione“, chiarisce Pichetto. Il Corridoio Sud dovrà entrare in funzione entro il primo gennaio 2030, ma è “in gran parte già pronto“, assicura il ministro, che prevede la possibilità, in futuro, di collegarlo con la pipeline che raggiunge la Libia, “da 13 miliardi e mezzo di metri cubi di gas“.

Al tavolo della ministeriale, con Tajani e Pichetto, siedono il ministro algerino dell’energia, delle miniere e delle energie rinnovabili, Mohamed Arkab, il segretario del ministero federale tedesco per l’Economia e l’azione climatica, Philipp Nimmermann, il direttore generale della Direzione Clima ed Energia del ministero austriaco per la protezione del clima, Jürgen Schneider, il segretario del Consiglio Federale svizzero per l’energia, Benoît Revaz, l’ambasciatore della Tunisia a Roma, Mourad Bourehla, a nome della Ministra dell’Industria, delle Miniere e dell’Energia, Fatma Thabet Chiboub, e il direttore generale Energia della Commissione Europea, Ditte Juul Jørgensen.

L’Unione europea è presente perché il progetto è uno dei corridoi di approvvigionamento di Idrogeno inclusi nel piano REPowerEU, “la sua importanza è stata riconosciuta sia con l’inclusione tra i Progetti di Interesse Comune sia con l’etichetta di Global Gateway“, afferma Pichetto, confidando che l’opera possa ottenere finanziamenti dal Meccanismo per connettere l’Europa, CEF-Energia.

Villa Madama ha aperto le porte non solo alle istituzioni, ma anche alle imprese, con un Forum che ha messo a confronto il mondo produttivo dei paesi firmatari. “La crescente attenzione verso il SouthH2Corridor testimonia la sua solidità e il suo potenziale per rafforzare contribuire a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione“, commenta Stefano Venier Ad di Snam, che gestisce per l’italia la partita del Corridoio Sud. È un “progetto chiave“, insiste Venier, che aiuterà l’Italia a diventare un “gateway energetico per l’Europa grazie alla collaborazione con i Paesi al di qua e al di là del Mediterraneo“. Basandosi su una partnership energetica di successo avviata negli anni ’60, il progetto sfrutta in parte le risorse esistenti, un know-how tecnico e solidi legami commerciali tra aziende internazionali che collaborano da decenni: “Questi legami storici saranno fondamentali per affrontare le complessità di un’iniziativa transcontinentale – prevede l’ad – che l’Europa stessa riconosce come cruciale, avendola riconosciuta come Progetto di Interesse Comune“. Alla Tunisia in particolare guarda Enel che con Eni lavora a un progetto pilota per la produzione di Idrogeno verde proprio nel Paese nordafricano: “Il perfetto esempio dello spirito di partenariato su cui si fonda il Piano Mattei, che punta sull’integrazione Nord Africa-Europa, con l’Italia snodo centrale per i bisogni energetici europei”, scandisce Salvatore Bernabei, Direttore di Enel Green Power e Thermal Generation. Sull’idrogeno verde però Eni mette in guardia dai prezzi ancora molto elevati: “E’ un tassello di questo mosaico, un tassello che genera forti aspettative, ma che deve ancora fare i conti con la sostenibilità dei costi“, avverte Lapo Pistelli, direttore Public Affairs del cane a sei zampe, chiedendo di fare attenzione a “investire in un vettore che aiuta la decarbonizzazione a discapito della competitività delle imprese“. Per quanto, ricorda Pichetto, “la decarbonizzazione è anche un obiettivo industriale, non solo di transizione”.

Energia, Tajani sigla accordo con Tunisia. 21/1 Roma riunione per corridoio idrogeno

Va avanti spedito il lavoro del governo per diversificare le fonti e i partner di approvvigionamento energetico. Antonio Tajani chiude alla Farnesina due accordi con l’omologo tunisino Mohammed Ali Nafti, anche nel campo della transizione energetica.

Il 21 gennaio Roma ospita a Villa Madama la riunione per il progetto del corridoio Mediterraneo dell’idrogeno, che prevede la costruzione di una rete di gasdotti tra l’Europa e l’Africa interamente dedicata al trasporto dell’idrogeno. Un progetto al quale partecipano, oltre all’Italia e alla Tunisia, anche la Germania, l’Austria e l’Algeria.

In queste ore in bilico tra la tregua e la guerra nel Medio Oriente, Tajani assicura che la Farnesina lavorerà sempre per perché “il Mediterraneo si trasformi in un mare di commercio e sviluppo e non di morte”. L’Italia vuole essere il ponte non solo geografico ma anche economico e politico tra l’Africa e l’Europa e, ricorda il vicepremier, “abbiamo deciso di rafforzare la collaborazione anche per far sì che la Tunisia possa essere interlocutore primario dell’Ue”. Il Paese è infatti uno dei principali del Piano Mattei.

Negli ultimi due anni i legami tra Roma e Tunisi sono cresciuti: “I nostri accordi sono un modello anche per il resto del continente africano”, scandisce il ministro degli Esteri. Con l’intesa per l’energia (“settore cruciale e ricco di potenzialità”) vengono firmati oggi anche un accordo per la conversione delle patenti (“molto atteso anche da tanti tunisini che vivono in Italia”) e una dichiarazione congiunta per un finanziamento per il triennio 2025-2027 di progetti di cooperazione fino a 400 milioni. “Raddoppiamo gli impegni – rivendica Tajani – a conferma della volontà di essere sempre di più al fianco di Tunisi e della sua crescita”.

Iniziamo il 2025 con nuove idee, molto importanti, che vanno nella direzione che vogliamo, una cooperazione a 360 gradi”, fa sapere Nafti, che spiega come gli accordi firmati oggi riflettano una “visione strategica, ma anche la volontà di garantire un’integrazione migliore con questo Paese amico“.

Al momento, l’Italia è il secondo partner commerciale della Tunisia, con un interscambio di sette miliardi e nel Paese operano mille imprese italiane. Una delle principali è Snam, che gestisce la partita del SoutH2 Corridor insieme TAG, GCA e bayernets. La rete comprende circa 3.300 chilometri di condotte e diverse centinaia di megawatt di capacità di compressione, destinati a diventare assets strategici per il passaggio e l’utilizzo di idrogeno entro il 2030. Lo sviluppo del corridoio fa parte della European Hydrogen Backbone e sarà fondamentale per la creazione di una spina dorsale dell’idrogeno interconnessa e diversificata nel sud e nel centro dell’Europa. Con una capacità di importazione di idrogeno di 4 Mtpa dall’Africa del Nord, il corridoio potrebbe coprire oltre il 40% dell’obiettivo complessivo di importazione fissato dal Piano REPowerEU. Il 22 gennaio, a Milano, Snam presenterà il Piano Strategico 2025-2029 e il SouthH2 Corridor sarà uno dei suoi progetti portanti.

Tra l’Italia e la Tunisia si sta costruendo però anche un vero e proprio “ponte energetico“, Elmed, che metterà in collegamento i sistemi elettrici. Il progetto nasce dalla sinergia e dalla cooperazione tra Terna e Steg, le società che gestiscono le reti elettriche dei due Paesi. Sarà la prima interconnessione in corrente continua tra l’Europa e l’Africa. Un’opera che, grazie alla bidirezionalità dei flussi, garantirà importanti benefici elettrici e ambientali. L’elettrodotto si snoderà tra la stazione elettrica di Partanna, in Sicilia, e quella di Mlaabi, nella penisola tunisina di Capo Bon, per una lunghezza complessiva di circa 220 chilometri (di cui circa 200 chilometri in cavo sottomarino), con una potenza di 600 megawatt e una profondità massima di circa 800 metri, raggiunti lungo il Canale di Sicilia.

La firma dell’accordo intergovernativo di oggi sulla transizione energetica, sulla realizzazione del cavo di interconnessione elettrica tra i due paesi e sulla possibilità per le imprese italiane di investire nelle energie rinnovabili in Tunisia, “segna una tappa fondamentale nella costruzione di un nuovo modello di cooperazione”, osserva Antonio Gozzi, special advisor di Confindustria con delega all’autonomia strategica europea, piano Mattei e competitività e Presidente di Interconnector Energy Italia. Interconnector è il Consorzio italiano che si occupa di realizzazione e finanziamento di infrastrutture di interconnessione con l’estero: “Abbiamo lavorato a stretto contatto con la Farnesina, il Ministero dell’Energia, la task force di Palazzo Chigi per il Piano Mattei, l’Ambasciata italiana a Tunisi e con il governo tunisino per portare a compimento questo progetto – afferma -. Si aprono ora interessanti opportunità per l’impegno e il coinvolgimento delle imprese italiane nel contesto più ampio del Piano Mattei“.

Presentata la strategia nazionale dell’Idrogeno: tre scenari al 2050

Tre scenari per la diffusione dell’idrogeno rinnovabile e a bassa emissione carbonica, prevedendo orizzonti temporali di breve, medio e lungo termine da qui al 2050. E’ la strategia nazionale dell’Idrogeno, presentata dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica nella sede del Gse a Roma. Un tassello del mix energetico nazionale verso l’obiettivo del Net Zero: “E’ una delle soluzioni fondamentali per la decarbonizzazione“, conferma Gilberto Pichetto. Il ministro rivendica di avere un piano più realistico di quello dell’Unione europea, che prevede di raggiungere le 20 milioni di tonnellate di idrogeno già nel 2030. Una strategia, osserva Pichetto, “difficile da raggiungere“, per quanto ammette: “La tecnologia va avanti molto velocemente e la politica può solo seguirla“. Il settore può già contare su risorse complessive superiori ai 6 miliardi, ma “ha ancora bisogno di sviluppare un mercato solido e va dunque accompagnato con nuovi strumenti, insieme a una forte coesione inter-istituzionale”, afferma il ministro.

La strategia del Mase stima una “domanda nazionale” tra 6 e 12 mega tonnellate equivalenti di petrolio, con una necessità di elettrolizzatori variabile da alcuni GW fino ad alcune decine di GW a seconda delle condizioni di contesto. Per decarbonizzare i consumi servirà la combinazione di diverse fonti, tra cui l’aumento della produzione da rinnovabili, lo sviluppo della ‘Carbon Capture Storage’, di biofuel, biometano e dell’idrogeno, anche eventualmente affiancato dalla ripresa della produzione nucleare. Solo così si riuscirà a soddisfare la domanda a fronte di fonti non programmabili e intermittenti, con la capacità di trasportare grandi quantità di energia su lunghe distanze e a costi competitivi. Per trasportare l’idrogeno bisognerà comunque adattare il sistema di utilizzo, che non può essere quello del gas. “È una vera e propria rivoluzione industriale”, scandisce Pichetto.

Sono indicate come variabili che incidono sull’idrogeno la decarbonizzazione degli usi finali (trasporto pesante, settore marittimo e aereo), l’integrazione del sistema energetico, la realizzazione di una filiera forte e competitiva. Altri aspetti da considerare sono l’aumento della sicurezza negli approvvigionamenti di energia e il relativo contributo dell’idrogeno, la realizzazione dell’obiettivo “Italia hub energetico nel Mediterraneo”, su cui molto incide l’attività di cooperazione, un sistema di certificazione che assicuri di non rilocalizzare le emissioni ma di contribuire concretamente alla loro riduzione, come anche lo sviluppo di ricerca e innovazione che possano creare nuovi prodotti e componenti.

Nel medio e lungo periodo – viene spiegato nella Strategia – lo sviluppo di una produzione ‘large scale’ e di una infrastruttura dedicata permetterà di abbattere i costi di produzione”, e altrettanto “una logistica su gomma di idrogeno gassoso e liquido potrà essere di supporto nel medio periodo”. Il progetto ‘Southern Hydrogen Corridor’, di cui la dorsale italiana è parte integrante, “renderà l’Italia un hub europeo dell’idrogeno, favorendo i flussi di importazione”, precisa il Mase.

Insieme al biometano “l’idrogeno dovrà sostituire la molecola gas perché ci sono delle utenze che non sono elettrificabili“, ricorda il presidente del GSE, Paolo Arrigoni. Il consumo prioritario è appannaggio del settore dei trasporti, aereo, ferroviario, trasporto pesante su gomma, autobus e poi anche i settori hard to abate, che sono ad alta intensità energetica. Arrigoni però fa presente che, perché si possa creare domanda, il prezzo deve scendere e non poco. Si dovrebbe passare dagli attuali 13,7 euro ai 2-2,5 euro al chilo.

Il mercato sta partendo, non c’è ancora lo scale-up significativo, ovvero tutte quelle tecnologie che vengono immesse sul mercato che consentono al prezzo di scendere per economie di scala“, spiega a GEA il presidente di H2IT, Alberto Dossi. Per avere elettrolizzatori più convenienti, afferma, “dobbiamo lavorare sulla ricerca“. La speranza è però anche quella di poter avere, nel decreto tariffe, “un incentivo sull’acquisto dell’energia elettrica che consenta all’Idrogeno, che è una filiera che sta partendo, di essere competitivo rispetto a tutti i combustibili fossili che sono da più di cent’anni sul mercato“.

Quanto ai primi treni a idrogeno, non si dovrà attendere troppo: i primi Coradia Stream H, progettati da Alstom, saranno inaugurati nel 2025.

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Report authority Ue: “Produzione idrogeno verde lontana da obiettivi europei al 2030”

Il mercato dell’idrogeno verde in Europa sta iniziando a prendere forma, sostenuto da strategie ambiziose a livello dell’Unione Europea e politiche nazionali. Tuttavia, nonostante i progressi significativi, permangono sfide per raggiungere gli obiettivi. E’ quanto emerge dal report di Acer, l’autorità di regolamentazione dell’energia dell’Unione europea. La Ue si è posta come obiettivo strategico di arrivare a consumare 20 milioni di tonnellate (Mt) di idrogeno rinnovabile entro il 2030. Tuttavia, il consumo attuale si attesta a 7,2 Mt, con il 99,7% dell’idrogeno ancora derivante da fonti fossili. La produzione tramite elettrolisi però è ancora marginale, pari a circa 22 kilotonnellate (kt). Anche se gli obiettivi europei in ambito energetico e di decarbonizzazione sono molto chiari, l’adozione di idrogeno rinnovabile da parte di settori come il trasporto e l’industria è lenta, rendendo difficile il raggiungimento del target per il 2030.

Attualmente, l’Europa conta su una capacità installata di elettrolizzatori di poco più di 200 MW. Tuttavia, progetti in costruzione porteranno una capacità aggiuntiva di 1,8 GW entro il 2026, e altri 60 GW di capacità sono stati annunciati, con inizio operazioni previsto entro il 2030, ma molti di questi sono in attesa di decisioni finali sugli investimenti. Sebbene gli strumenti di finanziamento stiano diventando sempre più accessibili, l’incertezza sulla domanda e sulle previsioni di costi dell’idrogeno rappresentano ancora rischi significativi per la loro realizzazione tempestiva.

Gli Stati stanno fissando i propri obiettivi di produzione di idrogeno, capacità degli elettrolizzatori e piani di espansione delle infrastrutture, concentrandosi principalmente sull’idrogeno rinnovabile. Certo è che i livelli di ambizione variano da paese a paese, portando a piani di sviluppo disomogenei. Questa frammentazione si riflette anche negli approcci regolatori: nessun Paese ha ancora integrato nel proprio ordinamento nazionale il pacchetto di decarbonizzazione del gas e dell’idrogeno recentemente pubblicato dall’Ue, sebbene ad esempio Danimarca e Germania abbiano avviato consultazioni su pianificazione delle reti e tariffe di accesso.

Uno degli ostacoli principali alla crescita dell’idrogeno rinnovabile è il suo costo. Attualmente, l’idrogeno prodotto tramite elettrolisi costa da due a tre volte di più rispetto a quello prodotto dal gas naturale. Ma la prima asta della Banca Europea dell’Idrogeno – sottolinea Acer – ha rivelato sviluppi promettenti, con alcuni acquirenti disposti a pagare prezzi vicini ai costi dell’idrogeno rinnovabile, anche sotto i 3 euro/kg. Questo dimostra che ci potrebbero essere riduzioni dei costi in futuro. Tuttavia, l’attuale gap di costo pone rischi per i primi investitori, causando ritardi nelle decisioni e nella presa di impegni a lungo termine.

Un elemento chiave per il successo del mercato dell’idrogeno sarà lo sviluppo di infrastrutture che colleghino i siti di produzione con i centri di domanda, anche se molte delle attuali pianificazioni delle reti si basano su proiezioni di domanda future, anziché su esigenze di mercato immediate, il che potrebbe portare a un sovradimensionamento delle infrastrutture e a un loro scarso utilizzo. E poi, conclude Acer, per raggiungere l’obiettivo di produzione di 10 Mt di idrogeno rinnovabile, l’Europa dovrà fare affidamento su quasi tre quarti dell’elettricità rinnovabile attualmente prodotta nell’Ue. Una necessità che comporterà investimenti significativi nelle infrastrutture di idrogeno ed elettricità per connettere gli elettrolizzatori con i siti di produzione di energia rinnovabile.

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Fabbisogno idrogeno green è 7 mln di tonnellate all’anno. Ma obiettivi Pniec sono al 3%

Circa 7,5 milioni di tonnellate di idrogeno sostenibile per i settori industriali e per i trasporti pesanti, difficilmente elettrificabili, cui se ne aggiungerebbero altri 7,7 se si volesse anche soddisfare il fabbisogno civile di riscaldamento: a tanto ammonterebbe, secondo una stima realizzata dall’E&S della School of Management del Politecnico di Milano, il fabbisogno annuale in Italia, considerando i settori principali di possibile adozione e convertendo l’attuale utilizzo di altre fonti, come ad esempio il metano.

All’industria sarebbero destinati 5,4 milioni di tonnellate, di cui 4,1 a quella hard-to-abate (che permetterebbero da soli di risparmiare fino a 27,37 Mt di emissione di CO2 l’anno a fronte dei 287,1 Mt totali previsti dal nostro Paese al 2030), i restanti 2,1 ai trasporti pesanti: una quantità che, per i ricercatori, “appare irraggiungibile se si considerano gli obiettivi decisamente poco ambiziosi del Pniec al 2030, che prevedono appena 0,115 Mt per utilizzi industriali e 0,136 Mt per i trasporti, cioè rispettivamente il 2,1% (2,8% se si considerano i soli settori hard-to-abate, come acciaio e fonderie, chimica, ceramica, carta e vetro) e il 6,4% del potenziale massimo di adozione“.

Per consentire la sola produzione annua di 7,5 milioni di tonnellate di idrogeno richiesti per industria e trasporto pesante servirebbero 250 GW aggiuntivi di rinnovabili, cioè circa 3 volte gli attuali obiettivi di fotovoltaico al 2030, 500 GW se si includono i consumi termici del settore civile”, commenta Vittorio Chiesa, direttore di E&S e tra gli estensori dell’Hydrogen Innovation Report 2024, presentato oggi al Politecnico insieme alle aziende partner della ricerca.

Negli ultimi anni – continua Chiesa – sono state messe a punto diverse ed eterogenee misure di sostegno, come gli investimenti del Pnrr, e altre sono in corso di implementazione (Decreto idrogeno attualmente in consultazione), ma resta non chiara la direzione di medio-lungo periodo che si intende percorrere, imprescindibile per permettere agli operatori di elaborare strategie di azione e per dare il via allo sviluppo di una filiera nazionale”.

Al contrario, in Europa si viaggia ad altre velocità: in Germania gli obiettivi di consumo di idrogeno sono stati rivisti al rialzo nel corso del 2023 e gran parte del fabbisogno sarà coperto da importazioni, mentre la Francia, che dispone di energia nucleare, punta a produrre localmente entro il 2030 più dell’80% di quanto le occorre. Quanto alla Spagna, si candida a diventare esportatore della ‘molecola verde’ (ruolo ambito anche da diversi Paesi del continente africano) puntando entro fine decennio a 11 GW di capacità di elettrolisi, sfruttando il proprio potenziale di disponibilità eolica e fotovoltaica.

L’idrogeno sostenibile rappresenta una componente cruciale nella transizione energetica verso un futuro a basse emissioni di carbonio – aggiunge Federico Frattini, vicedirettore di E&S e responsabile del Rapporto – perché può essere prodotto da fonti rinnovabili. Questa transizione riguarda sia i settori industriali che consumano idrogeno da combustibili fossili per i loro processi (raffinazione e industria chimica) sia quelli che oggi non possono sostituire diversamente il gas naturale per produrre il calore necessario a funzionare (come la carta, il vetro, la ceramica e la grande siderurgia). Per farlo, però, sono necessari ulteriori sviluppi tecnologici che rendano l’idrogeno ‘verde’ finalmente competitivo anche dal punto di vista economico”.

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L’idrogeno green non è sempre…così verde

E’ considerata una delle fonti di energia pulita più promettenti per il futuro, ma non sempre l’idrogeno verde – cioè prodotto a partire da fonti rinnovabili – è in grado di azzerare o quasi le emissioni di CO2.

A rivelarlo è una ricerca pubblicata su Nature Energy da Kiane de Kleijne della Radboud University e della Eindhoven University of Technology. “Se si calcola l’intero ciclo di vita della produzione e del trasporto dell’idrogeno verde, i guadagni in termini di CO2 risparmiata possono essere deludenti. Tuttavia, se l’idrogeno verde viene prodotto da elettricità molto pulita e a livello locale, può davvero contribuire a ridurre le emissioni”, spiega la ricercatrice.

L’Unione europea punta a produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde e a importarne altri 10 milioni entro il 2030. Merito, dice la scienziata, della sua “versatilità” e delle “sue numerose applicazioni. Ma purtroppo prevedo ancora alcuni ostacoli sulla strada”. Ostacoli che vanno ricercati nell’intero ciclo di vita di questa forma di energia per determinarne l’impatto ambientale globale in tutte le sue fasi.

Per oltre un migliaio di progetti di idrogeno verde, De Kleijne ha calcolato le emissioni di gas serra associate alla produzione, compresa quella, ad esempio, di pannelli solari, turbine eoliche e batterie per la fornitura di energia, nonché il trasporto tramite condutture o navi. L’idrogeno verde viene prodotto scindendo l’acqua in ossigeno e idrogeno in un elettrolizzatore utilizzando elettricità verde e può poi essere utilizzato come materia prima o come combustibile. Quello ricavato dal gas naturale è già ampiamente utilizzato come materia prima, ad esempio nell’industria chimica per produrre metanolo e ammoniaca per i fertilizzanti.

Il vantaggio dell’idrogeno verde è che quando si scinde l’acqua, oltre all’idrogeno, viene rilasciato solo ossigeno e niente CO2. “Tuttavia, ciò richiede grandi quantità di energia verde”, afferma la ricercatrice. “È possibile ridurre le emissioni solo se si utilizza energia verde, come quella eolica o solare. Ma anche in questo caso, le emissioni derivanti dalla produzione di turbine eoliche e pannelli solari si sommano notevolmente. Se si considera l’intero ciclo di vita in questo modo, l’idrogeno verde spesso, ma certamente non sempre, porta a un aumento di CO2″. I guadagni di CO2 sono di solito maggiori quando si utilizza l’energia eolica piuttosto che quella solare. La situazione migliorerà ulteriormente in futuro, poiché verrà utilizzata una maggiore quantità di energia rinnovabile per produrre, ad esempio, le turbine eoliche, i pannelli solari e l’acciaio per l’elettrolizzatore, dice la scienziata.

Ma non solo. La produzione di idrogeno produce le emissioni più basse nei luoghi in cui c’è molto sole o vento, come il Brasile o l’Africa. L’aspetto negativo è che l’idrogeno deve essere trasportato in Europa. Si tratta di un’operazione tecnologicamente impegnativa e che può creare molte emissioni aggiuntive.

Per De Kleijne, quindi, sarebbe scorretto affermare che questa forma di energia molto promettente sia net zero. “Esaminando le emissioni nell’intero ciclo di vita – conclude – possiamo cercare il compromesso migliore tra le tecnologie e identificare i punti in cui è possibile apportare miglioramenti nella catena”.

Alawneh (Centro Energia Giordania): “Vogliamo diventare hub idrogeno verde”

In merito “alla crisi dovuta alla guerra” nel Medioriente, “la Giordania è un paese importatore di petrolio e ora sta progettando di diventare l’hub della regione per quanto riguarda l’idrogeno verde”. Così a GEA Firas Alawneh, direttore del Centro nazionale sulla ricerca energetica della Giordania, durante la MeetMed Week in corso ad Hammamet in Tunisia, organizzata da Medener (che vede Roberta Boniotti di Enea come segretario generale), Anme (l’Agenzia Nazionale tunisina per la Gestione dell’Energia) e in partnership con Aprue (l’Agenzia Nazionale algerina per la Promozione e la Razionalizzazione dell’Uso dell’Energia).

“Abbiamo quindi un’iniziativa annunciata dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo per realizzare i primi piani per l’infrastruttura dell’idrogeno verde in Giordania. E credo che ora il ministero dell’Energia e delle Risorse stia valutando le offerte ricevute dai consulenti per selezionare partner giusto per questo lavoro”, prosegue Alawneh.
“La Giordania ha un piano per investire nell’idrogeno verde e ha bisogno di costruire o implementare 21 gigawatt di energia solare e di realizzare elettrolizzatori per produrre idrogeno dall’acqua proveniente dal Mar Rosso e di utilizzare l’ammoniaca. Ripeto – continua il direttore del Centro nazionale giordano sulla ricerca energetica – la Giordania sarà l’hub per la regione nei prossimi 10 anni, credo”.

 

Sostenibilità, il futuro industriale Ue tra acciaio pulito e idrogeno verde

Per raggiungere la neutralità bisogna investire e consentire la transizione, l’industria dell’acciaio può beneficiare di 700 milioni di euro per l’innovazione“. Il direttore generale di Dg Rtd (Research and Innovation) della Commissione Europea, Marc Lemaitre, mette in luce così il modo in cui l’industria siderurgica europea spingerà il futuro di lungo termine della sostenibilità ambientale di un settore da cui dipendono le ambizioni dell’Unione di arrivare a emissioni nette zero entro il 2050. All’evento ‘European Clean Steel: Stand up together for a future low emission industry’, organizzato a Venezia da Regione Veneto ed European Research Executive Agency (Rea), sono state tracciate le direttrici dello sviluppo sul campo dell’acciaio pulito, con l’alleato fondamentale dell’idrogeno verde, anche grazie alle priorità politiche e ai finanziamenti Ue.

Abbiamo una produzione di 150 milioni di tonnellate all’anno, più di 300 mila lavoratori specializzati impiegati e più di 2,5 milioni di lavoratori ne dipendono indirettamente”, ha esordito Lemaitre a proposito dei dati sull’industria siderurgica europea, ricordando che “questo settore deve essere decarbonizzato in un lasso di tempo ridotto, è arrivato il momento di agire e cambiarlo”. Proprio da Bruxelles può arrivare una spinta decisiva, considerato il fatto che “nel 2024 sono a disposizione 100 milioni di euro da Rfcs e 100 milioni da Horizon Europe”, contributi “fondamentali” per l’innovazione, che richiedono però “maggiore partecipazione attiva” nell’ambito del Fondo di ricerca carbone e acciaio (Rfcs).

Il 2024 “è un anno importante, con un bando che si chiude il 7 febbraio”, ha ricordato la direttrice dell’Agenzia esecutiva europea per la salute e il digitale (Hadea), Marina Zanchi, parlando dell’implementazione dei progetti di partnership sull’acciaio pulito, “uno strumento cruciale di collaborazione con le industrie”. L’Agenzia Ue sta finanziando 15 progetti per l’acciaio pulito in 3 aree principali: “Circolarità attraverso il miglioramento e la valorizzazione dei rottami, sviluppo e diffusione di tecnologie a bassa emissione di carbonio, e ottimizzazione del processo produttivo”, ha ricordato Zanchi. “I vecchi metodi di produzione non sono più in linea con le prospettive di un’Europa più verde” in termini di “efficienza, riduzione delle emissioni e creazione di un’economia competitiva”, le ha fatto eco il direttore dell’European Research Executive Agency (Rea), Marc Tachelet.

Al centro dell’interesse c’è in particolare l’idrogeno che, come assicurato dal direttore di Rea, “grazie al piano RePowerEu svolgerà ruolo fondamentale per la produzione pulita dell’acciaio”. Parole simili sono state scelte dal direttore generale Lemaitre: “L’idrogeno è un alleato cruciale per la produzione di acciaio pulito, il 30 per cento della produzione dovrà essere decarbonizzato entro il 2030 utilizzando proprio l’idrogeno”. In questo senso la ricerca e l’innovazione “serviranno per trovare anche altre soluzioni e per sostenere la diffusione delle nuove tecnologie per la neutralità energetica”, con la promessa al settore siderurgico che la Commissione creerà “un’agenda per una migliore e più veloce diffusione di queste tecnologie”.

Sul territorio l’interesse è “altissimo” su iniziative “come quelle sull’acciaio pulito legato all’idrogeno verde, che hanno l’obiettivo della decarbonizzazione”, ha confermato l’assessore all’Ambiente della Regione Veneto, Gianpaolo Bottacin, nel suo intervento di apertura dell’evento a Venezia. Proprio l’idrogeno può diventare “la sfida per il futuro” della regione e dell’intero continente: “L’acciaio è un’attività molto energivora, se riusciamo a sostituire la fonte energetica basata sui fossili con l’idrogeno, possiamo ottenere grandi risultati”, ha concluso Bottacin.

Inaugura in Francia SymphonHy: gigafactory idrogeno di Stellantis-Forvia-Michelin

Situato a Saint-Fons, nella regione di Auvergne-Rhône-Alpes in Francia, è il più grande sito di produzione di celle a combustibile integrate in Europa. Stiamo parlando della prima gigafactory SymphonHy, un centro di eccellenza tecnologica e industriale, inaugurata oggi da Symbio, joint venture paritaria tra Forvia, Michelin e Stellantis. Il sito comprende la sede principale del Gruppo, un impianto di produzione, un polo di innovazione di dimensioni senza precedenti e la Symbio Hydrogen Academy. Grazie alla sua innovazione tecnologica, SymphonHy dispone di un elevato livello di automazione e robotica che supporta la produzione industriale su larga scala ad un costo più competitivo. Questi sviluppi sono fondamentali per accelerare l’introduzione di mezzi di trasporto concorrenziali e ad alte prestazioni alimentati a idrogeno che contribuiscono alla transizione energetica e alle ambizioni europee di procedere verso l’azzeramento delle emissioni.

SymphonHy ha una capacità produttiva attuale di 16.000 unità, che raggiungerà le 50.000 unità entro il 2026. La superficie è di 26.000 m2, che diventeranno 40.000 m2 entro il 2026, con 7.000 m2 di superficie dedicati all’innovazione e 8.000 m2 di camere bianche certificate ISO 8. Oltre 450 gli ingegneri impiegati, di cui 100 dedicati all’innovazione e circa 20 dottorati che trattano un’ampia gamma di discipline (ingegneria elettrochimica, chimica, scienza dei materiali, ecc.), riuniti in un unico centro di innovazione globale. Il sito è autosufficiente dal punto di vista energetico e certificato ‘Very Good’ da BREEAM.

SymphonHy consentirà a Symbio di supportare i propri clienti nel rendere la mobilità a idrogeno a zero emissioni una realtà accessibile, senza compromettere le prestazioni. Con SymphonHy, Symbio è in grado di supportare i propri clienti nei loro piani di sviluppo, che si stanno già dimostrando promettenti nella vita reale. Stellantis è anche stata la prima azienda a commercializzare una soluzione a idrogeno a zero emissioni per i veicoli commerciali leggeri per i modelli Peugeot e-Expert, Citroën eJumpy e Opel Vivaro-e. L’azienda sta ampliando la sua gamma per includere grandi furgoni con un’architettura a media potenza, un’autonomia fino a 500 km e un tempo di ricarica inferiore a 10 minuti. Stellantis ha confermato inoltre l’intenzione di sviluppare una tecnologia a idrogeno per i suoi pick-up del brand Ram, in linea con l’obiettivo di elettrificare la sua gamma di veicoli con un’autonomia di 320 miglia ALVW o 200 miglia GCWR e un rifornimento rapido, senza compromettere la capacità di carico utile. Tutti questi veicoli saranno dotati di celle a combustibile prodotte da Symbio.

Symbio – commenta il ceo di Stellantis, Carlo Tavaresè la prova che tre aziende leader nei rispettivi settori e con radici francesi possono unire le forze e le competenze per essere all’avanguardia. L’inaugurazione di oggi rappresenta un passo importante, poiché l’idrogeno fa parte del mix di tecnologie che stiamo proponendo ai clienti dei veicoli commerciali. Questa tecnologia è un elemento costitutivo del potente ecosistema di elettrificazione che stiamo sviluppando per sostenere il nostro ambizioso obiettivo di raggiungere il 100% di vendite elettriche in Europa e il 50% negli Stati Uniti entro il 2030. Poiché lo scopo di Stellantis è quello di ‘guidare il modo in cui il mondo si muove’, l’idrogeno contribuirà a raggiungere il nostro ambizioso obiettivo di zero emissioni di anidride carbonica entro il 2038, anticipando la concorrenza nel nostro impegno contro il cambiamento climatico”.

Attualmente, Symbio è già alla ricerca di opportunità per espandersi e costruire una nuova gigafactory di celle a combustibile negli Stati Uniti, per sostenere la promettente dinamica della mobilità a idrogeno in Nord America. SymphonHy sta contribuendo a definire gli standard di produzione delle celle a combustibile che serviranno come modello industriale per i suoi nuovi siti, in linea con l’obiettivo di Symbio di produrre 200.000 unità in tutto il mondo entro il 2030.

Italgas presenta Nimbus: il primo contatore per idrogeno, segnalerà anche i terremoti

Sostenibile, all’avanguardia e, soprattutto, pronto per il futuro. Italgas presenta a Parigi Nimbus: il primo contatore al mondo per l’idrogeno, con un sistema di misura del flusso di gas con tecnologia statica, termo-massica in particolare, compatibile con gas naturale e miscele di metano-idrogeno fino ad oltre il 20%. A presentare il nuovo contatore, sviluppato in house da Italgas RETI e Bludigit, la tech company del Gruppo, a Enlit Europe, forum sulla transizione energetica in corso a Parigi, è stato Pier Lorenzo Dell’Orco, amministratore delegato di Italgas RETI (principale società operativa del Gruppo Italgas). “Nimbus – ha spiegato Dell’Orco – è il risultato di un intenso lavoro di ricerca, progettazione e sviluppo che ci ha visti mettere a frutto l’importante know-how acquisito in questi anni di complessiva trasformazione digitale di asset e processi. Siamo consapevoli di aver compiuto un nuovo salto tecnologico che permette non solo di confermarci benchmark globale, ma soprattutto di contribuire ai target di decarbonizzazione dei consumi abilitando una sempre più efficiente distribuzione dei gas rinnovabili. Nimbus, un progetto tutto italiano, sarà la nuova offerta per il mercato internazionale della distribuzione, ci avvicina alla net zero economy e offre una serie di funzioni innovative per una gestione integrata del servizio“.

Il nuovo misuratore si distinguerà sul piano della performance, della sicurezza e della sostenibilità. “L’involucro – ha evidenziato l’ad di Italgas Reti – è fatto di policarbonato riciclato: un passo avanti per l’ambiente. Nimbus ha un design più compatto rispetto suoi pari, quindi usa meno materiale e richiede meno spazio per il trasporto”. Sarà, inoltre, tema fondamentale in un territorio a rischio come quello italiano, anche una ‘sentinella’ per incendi e terremoti. Un sensore sismico e uno di rilevamento della temperatura esterna possono infatti consentire di interrompere l’erogazione del gas in caso di eventi tellurici e di incendi e abilitano la condivisione dei dati con gli enti preposti alla sicurezza del territorio. “Una volta installati, si parlerebbe di 5 milioni di sensori in tutto il Paese che permetterebbero il rilevamento di terremoti: un caso unico al mondo. Per questo c’è un tavolo di lavoro con l’Università di Pavia e l’Ingv” per capire come utilizzare i dati di questa maxi rete, è l’annuncio di Dell’Orco. Inoltre la durata della batteria prevista è di 15 anni, la più lunga del settore. Per finire, specifiche soluzioni anti-effrazione consentono di rilevare tempestivamente tentativi di manomissione e disconnessione dell’apparecchio e moduli di comunicazione basati su tecnologia NB-IoT e LoRaWAN come reti primarie e ulteriore canale di back-up basato su tecnologia mesh anche in assenza di segnale consente a un contatore di trasmettere sfruttando la connessione con lo smart meter più vicino, con l’obiettivo di massimizzare le performance di telelettura e telegestione sul campo.

La road map è segnata: “Stiamo già installando gli smart meter Nimbus, 10mila saranno installati entro Natale, diventeranno 20mila entro gennaio. Dopo faremo un periodo di test di 10 mesi per esaminare le performance. A fine 2024 inizieremo la produzione massiva. Il piano è di cominciare rimpiazzando i contatori più vecchi, quelli basati sulla tecnologia Gprs che è obsoleta. Il progetto è di installarne un milione entro il 2025 e 5 milioni entro il 2029”.