idrogeno

Report authority Ue: “Produzione idrogeno verde lontana da obiettivi europei al 2030”

Il mercato dell’idrogeno verde in Europa sta iniziando a prendere forma, sostenuto da strategie ambiziose a livello dell’Unione Europea e politiche nazionali. Tuttavia, nonostante i progressi significativi, permangono sfide per raggiungere gli obiettivi. E’ quanto emerge dal report di Acer, l’autorità di regolamentazione dell’energia dell’Unione europea. La Ue si è posta come obiettivo strategico di arrivare a consumare 20 milioni di tonnellate (Mt) di idrogeno rinnovabile entro il 2030. Tuttavia, il consumo attuale si attesta a 7,2 Mt, con il 99,7% dell’idrogeno ancora derivante da fonti fossili. La produzione tramite elettrolisi però è ancora marginale, pari a circa 22 kilotonnellate (kt). Anche se gli obiettivi europei in ambito energetico e di decarbonizzazione sono molto chiari, l’adozione di idrogeno rinnovabile da parte di settori come il trasporto e l’industria è lenta, rendendo difficile il raggiungimento del target per il 2030.

Attualmente, l’Europa conta su una capacità installata di elettrolizzatori di poco più di 200 MW. Tuttavia, progetti in costruzione porteranno una capacità aggiuntiva di 1,8 GW entro il 2026, e altri 60 GW di capacità sono stati annunciati, con inizio operazioni previsto entro il 2030, ma molti di questi sono in attesa di decisioni finali sugli investimenti. Sebbene gli strumenti di finanziamento stiano diventando sempre più accessibili, l’incertezza sulla domanda e sulle previsioni di costi dell’idrogeno rappresentano ancora rischi significativi per la loro realizzazione tempestiva.

Gli Stati stanno fissando i propri obiettivi di produzione di idrogeno, capacità degli elettrolizzatori e piani di espansione delle infrastrutture, concentrandosi principalmente sull’idrogeno rinnovabile. Certo è che i livelli di ambizione variano da paese a paese, portando a piani di sviluppo disomogenei. Questa frammentazione si riflette anche negli approcci regolatori: nessun Paese ha ancora integrato nel proprio ordinamento nazionale il pacchetto di decarbonizzazione del gas e dell’idrogeno recentemente pubblicato dall’Ue, sebbene ad esempio Danimarca e Germania abbiano avviato consultazioni su pianificazione delle reti e tariffe di accesso.

Uno degli ostacoli principali alla crescita dell’idrogeno rinnovabile è il suo costo. Attualmente, l’idrogeno prodotto tramite elettrolisi costa da due a tre volte di più rispetto a quello prodotto dal gas naturale. Ma la prima asta della Banca Europea dell’Idrogeno – sottolinea Acer – ha rivelato sviluppi promettenti, con alcuni acquirenti disposti a pagare prezzi vicini ai costi dell’idrogeno rinnovabile, anche sotto i 3 euro/kg. Questo dimostra che ci potrebbero essere riduzioni dei costi in futuro. Tuttavia, l’attuale gap di costo pone rischi per i primi investitori, causando ritardi nelle decisioni e nella presa di impegni a lungo termine.

Un elemento chiave per il successo del mercato dell’idrogeno sarà lo sviluppo di infrastrutture che colleghino i siti di produzione con i centri di domanda, anche se molte delle attuali pianificazioni delle reti si basano su proiezioni di domanda future, anziché su esigenze di mercato immediate, il che potrebbe portare a un sovradimensionamento delle infrastrutture e a un loro scarso utilizzo. E poi, conclude Acer, per raggiungere l’obiettivo di produzione di 10 Mt di idrogeno rinnovabile, l’Europa dovrà fare affidamento su quasi tre quarti dell’elettricità rinnovabile attualmente prodotta nell’Ue. Una necessità che comporterà investimenti significativi nelle infrastrutture di idrogeno ed elettricità per connettere gli elettrolizzatori con i siti di produzione di energia rinnovabile.

idrogeno

Fabbisogno idrogeno green è 7 mln di tonnellate all’anno. Ma obiettivi Pniec sono al 3%

Circa 7,5 milioni di tonnellate di idrogeno sostenibile per i settori industriali e per i trasporti pesanti, difficilmente elettrificabili, cui se ne aggiungerebbero altri 7,7 se si volesse anche soddisfare il fabbisogno civile di riscaldamento: a tanto ammonterebbe, secondo una stima realizzata dall’E&S della School of Management del Politecnico di Milano, il fabbisogno annuale in Italia, considerando i settori principali di possibile adozione e convertendo l’attuale utilizzo di altre fonti, come ad esempio il metano.

All’industria sarebbero destinati 5,4 milioni di tonnellate, di cui 4,1 a quella hard-to-abate (che permetterebbero da soli di risparmiare fino a 27,37 Mt di emissione di CO2 l’anno a fronte dei 287,1 Mt totali previsti dal nostro Paese al 2030), i restanti 2,1 ai trasporti pesanti: una quantità che, per i ricercatori, “appare irraggiungibile se si considerano gli obiettivi decisamente poco ambiziosi del Pniec al 2030, che prevedono appena 0,115 Mt per utilizzi industriali e 0,136 Mt per i trasporti, cioè rispettivamente il 2,1% (2,8% se si considerano i soli settori hard-to-abate, come acciaio e fonderie, chimica, ceramica, carta e vetro) e il 6,4% del potenziale massimo di adozione“.

Per consentire la sola produzione annua di 7,5 milioni di tonnellate di idrogeno richiesti per industria e trasporto pesante servirebbero 250 GW aggiuntivi di rinnovabili, cioè circa 3 volte gli attuali obiettivi di fotovoltaico al 2030, 500 GW se si includono i consumi termici del settore civile”, commenta Vittorio Chiesa, direttore di E&S e tra gli estensori dell’Hydrogen Innovation Report 2024, presentato oggi al Politecnico insieme alle aziende partner della ricerca.

Negli ultimi anni – continua Chiesa – sono state messe a punto diverse ed eterogenee misure di sostegno, come gli investimenti del Pnrr, e altre sono in corso di implementazione (Decreto idrogeno attualmente in consultazione), ma resta non chiara la direzione di medio-lungo periodo che si intende percorrere, imprescindibile per permettere agli operatori di elaborare strategie di azione e per dare il via allo sviluppo di una filiera nazionale”.

Al contrario, in Europa si viaggia ad altre velocità: in Germania gli obiettivi di consumo di idrogeno sono stati rivisti al rialzo nel corso del 2023 e gran parte del fabbisogno sarà coperto da importazioni, mentre la Francia, che dispone di energia nucleare, punta a produrre localmente entro il 2030 più dell’80% di quanto le occorre. Quanto alla Spagna, si candida a diventare esportatore della ‘molecola verde’ (ruolo ambito anche da diversi Paesi del continente africano) puntando entro fine decennio a 11 GW di capacità di elettrolisi, sfruttando il proprio potenziale di disponibilità eolica e fotovoltaica.

L’idrogeno sostenibile rappresenta una componente cruciale nella transizione energetica verso un futuro a basse emissioni di carbonio – aggiunge Federico Frattini, vicedirettore di E&S e responsabile del Rapporto – perché può essere prodotto da fonti rinnovabili. Questa transizione riguarda sia i settori industriali che consumano idrogeno da combustibili fossili per i loro processi (raffinazione e industria chimica) sia quelli che oggi non possono sostituire diversamente il gas naturale per produrre il calore necessario a funzionare (come la carta, il vetro, la ceramica e la grande siderurgia). Per farlo, però, sono necessari ulteriori sviluppi tecnologici che rendano l’idrogeno ‘verde’ finalmente competitivo anche dal punto di vista economico”.

idrogeno

L’idrogeno green non è sempre…così verde

E’ considerata una delle fonti di energia pulita più promettenti per il futuro, ma non sempre l’idrogeno verde – cioè prodotto a partire da fonti rinnovabili – è in grado di azzerare o quasi le emissioni di CO2.

A rivelarlo è una ricerca pubblicata su Nature Energy da Kiane de Kleijne della Radboud University e della Eindhoven University of Technology. “Se si calcola l’intero ciclo di vita della produzione e del trasporto dell’idrogeno verde, i guadagni in termini di CO2 risparmiata possono essere deludenti. Tuttavia, se l’idrogeno verde viene prodotto da elettricità molto pulita e a livello locale, può davvero contribuire a ridurre le emissioni”, spiega la ricercatrice.

L’Unione europea punta a produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde e a importarne altri 10 milioni entro il 2030. Merito, dice la scienziata, della sua “versatilità” e delle “sue numerose applicazioni. Ma purtroppo prevedo ancora alcuni ostacoli sulla strada”. Ostacoli che vanno ricercati nell’intero ciclo di vita di questa forma di energia per determinarne l’impatto ambientale globale in tutte le sue fasi.

Per oltre un migliaio di progetti di idrogeno verde, De Kleijne ha calcolato le emissioni di gas serra associate alla produzione, compresa quella, ad esempio, di pannelli solari, turbine eoliche e batterie per la fornitura di energia, nonché il trasporto tramite condutture o navi. L’idrogeno verde viene prodotto scindendo l’acqua in ossigeno e idrogeno in un elettrolizzatore utilizzando elettricità verde e può poi essere utilizzato come materia prima o come combustibile. Quello ricavato dal gas naturale è già ampiamente utilizzato come materia prima, ad esempio nell’industria chimica per produrre metanolo e ammoniaca per i fertilizzanti.

Il vantaggio dell’idrogeno verde è che quando si scinde l’acqua, oltre all’idrogeno, viene rilasciato solo ossigeno e niente CO2. “Tuttavia, ciò richiede grandi quantità di energia verde”, afferma la ricercatrice. “È possibile ridurre le emissioni solo se si utilizza energia verde, come quella eolica o solare. Ma anche in questo caso, le emissioni derivanti dalla produzione di turbine eoliche e pannelli solari si sommano notevolmente. Se si considera l’intero ciclo di vita in questo modo, l’idrogeno verde spesso, ma certamente non sempre, porta a un aumento di CO2″. I guadagni di CO2 sono di solito maggiori quando si utilizza l’energia eolica piuttosto che quella solare. La situazione migliorerà ulteriormente in futuro, poiché verrà utilizzata una maggiore quantità di energia rinnovabile per produrre, ad esempio, le turbine eoliche, i pannelli solari e l’acciaio per l’elettrolizzatore, dice la scienziata.

Ma non solo. La produzione di idrogeno produce le emissioni più basse nei luoghi in cui c’è molto sole o vento, come il Brasile o l’Africa. L’aspetto negativo è che l’idrogeno deve essere trasportato in Europa. Si tratta di un’operazione tecnologicamente impegnativa e che può creare molte emissioni aggiuntive.

Per De Kleijne, quindi, sarebbe scorretto affermare che questa forma di energia molto promettente sia net zero. “Esaminando le emissioni nell’intero ciclo di vita – conclude – possiamo cercare il compromesso migliore tra le tecnologie e identificare i punti in cui è possibile apportare miglioramenti nella catena”.

Alawneh (Centro Energia Giordania): “Vogliamo diventare hub idrogeno verde”

In merito “alla crisi dovuta alla guerra” nel Medioriente, “la Giordania è un paese importatore di petrolio e ora sta progettando di diventare l’hub della regione per quanto riguarda l’idrogeno verde”. Così a GEA Firas Alawneh, direttore del Centro nazionale sulla ricerca energetica della Giordania, durante la MeetMed Week in corso ad Hammamet in Tunisia, organizzata da Medener (che vede Roberta Boniotti di Enea come segretario generale), Anme (l’Agenzia Nazionale tunisina per la Gestione dell’Energia) e in partnership con Aprue (l’Agenzia Nazionale algerina per la Promozione e la Razionalizzazione dell’Uso dell’Energia).

“Abbiamo quindi un’iniziativa annunciata dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo per realizzare i primi piani per l’infrastruttura dell’idrogeno verde in Giordania. E credo che ora il ministero dell’Energia e delle Risorse stia valutando le offerte ricevute dai consulenti per selezionare partner giusto per questo lavoro”, prosegue Alawneh.
“La Giordania ha un piano per investire nell’idrogeno verde e ha bisogno di costruire o implementare 21 gigawatt di energia solare e di realizzare elettrolizzatori per produrre idrogeno dall’acqua proveniente dal Mar Rosso e di utilizzare l’ammoniaca. Ripeto – continua il direttore del Centro nazionale giordano sulla ricerca energetica – la Giordania sarà l’hub per la regione nei prossimi 10 anni, credo”.

 

Sostenibilità, il futuro industriale Ue tra acciaio pulito e idrogeno verde

Per raggiungere la neutralità bisogna investire e consentire la transizione, l’industria dell’acciaio può beneficiare di 700 milioni di euro per l’innovazione“. Il direttore generale di Dg Rtd (Research and Innovation) della Commissione Europea, Marc Lemaitre, mette in luce così il modo in cui l’industria siderurgica europea spingerà il futuro di lungo termine della sostenibilità ambientale di un settore da cui dipendono le ambizioni dell’Unione di arrivare a emissioni nette zero entro il 2050. All’evento ‘European Clean Steel: Stand up together for a future low emission industry’, organizzato a Venezia da Regione Veneto ed European Research Executive Agency (Rea), sono state tracciate le direttrici dello sviluppo sul campo dell’acciaio pulito, con l’alleato fondamentale dell’idrogeno verde, anche grazie alle priorità politiche e ai finanziamenti Ue.

Abbiamo una produzione di 150 milioni di tonnellate all’anno, più di 300 mila lavoratori specializzati impiegati e più di 2,5 milioni di lavoratori ne dipendono indirettamente”, ha esordito Lemaitre a proposito dei dati sull’industria siderurgica europea, ricordando che “questo settore deve essere decarbonizzato in un lasso di tempo ridotto, è arrivato il momento di agire e cambiarlo”. Proprio da Bruxelles può arrivare una spinta decisiva, considerato il fatto che “nel 2024 sono a disposizione 100 milioni di euro da Rfcs e 100 milioni da Horizon Europe”, contributi “fondamentali” per l’innovazione, che richiedono però “maggiore partecipazione attiva” nell’ambito del Fondo di ricerca carbone e acciaio (Rfcs).

Il 2024 “è un anno importante, con un bando che si chiude il 7 febbraio”, ha ricordato la direttrice dell’Agenzia esecutiva europea per la salute e il digitale (Hadea), Marina Zanchi, parlando dell’implementazione dei progetti di partnership sull’acciaio pulito, “uno strumento cruciale di collaborazione con le industrie”. L’Agenzia Ue sta finanziando 15 progetti per l’acciaio pulito in 3 aree principali: “Circolarità attraverso il miglioramento e la valorizzazione dei rottami, sviluppo e diffusione di tecnologie a bassa emissione di carbonio, e ottimizzazione del processo produttivo”, ha ricordato Zanchi. “I vecchi metodi di produzione non sono più in linea con le prospettive di un’Europa più verde” in termini di “efficienza, riduzione delle emissioni e creazione di un’economia competitiva”, le ha fatto eco il direttore dell’European Research Executive Agency (Rea), Marc Tachelet.

Al centro dell’interesse c’è in particolare l’idrogeno che, come assicurato dal direttore di Rea, “grazie al piano RePowerEu svolgerà ruolo fondamentale per la produzione pulita dell’acciaio”. Parole simili sono state scelte dal direttore generale Lemaitre: “L’idrogeno è un alleato cruciale per la produzione di acciaio pulito, il 30 per cento della produzione dovrà essere decarbonizzato entro il 2030 utilizzando proprio l’idrogeno”. In questo senso la ricerca e l’innovazione “serviranno per trovare anche altre soluzioni e per sostenere la diffusione delle nuove tecnologie per la neutralità energetica”, con la promessa al settore siderurgico che la Commissione creerà “un’agenda per una migliore e più veloce diffusione di queste tecnologie”.

Sul territorio l’interesse è “altissimo” su iniziative “come quelle sull’acciaio pulito legato all’idrogeno verde, che hanno l’obiettivo della decarbonizzazione”, ha confermato l’assessore all’Ambiente della Regione Veneto, Gianpaolo Bottacin, nel suo intervento di apertura dell’evento a Venezia. Proprio l’idrogeno può diventare “la sfida per il futuro” della regione e dell’intero continente: “L’acciaio è un’attività molto energivora, se riusciamo a sostituire la fonte energetica basata sui fossili con l’idrogeno, possiamo ottenere grandi risultati”, ha concluso Bottacin.

Inaugura in Francia SymphonHy: gigafactory idrogeno di Stellantis-Forvia-Michelin

Situato a Saint-Fons, nella regione di Auvergne-Rhône-Alpes in Francia, è il più grande sito di produzione di celle a combustibile integrate in Europa. Stiamo parlando della prima gigafactory SymphonHy, un centro di eccellenza tecnologica e industriale, inaugurata oggi da Symbio, joint venture paritaria tra Forvia, Michelin e Stellantis. Il sito comprende la sede principale del Gruppo, un impianto di produzione, un polo di innovazione di dimensioni senza precedenti e la Symbio Hydrogen Academy. Grazie alla sua innovazione tecnologica, SymphonHy dispone di un elevato livello di automazione e robotica che supporta la produzione industriale su larga scala ad un costo più competitivo. Questi sviluppi sono fondamentali per accelerare l’introduzione di mezzi di trasporto concorrenziali e ad alte prestazioni alimentati a idrogeno che contribuiscono alla transizione energetica e alle ambizioni europee di procedere verso l’azzeramento delle emissioni.

SymphonHy ha una capacità produttiva attuale di 16.000 unità, che raggiungerà le 50.000 unità entro il 2026. La superficie è di 26.000 m2, che diventeranno 40.000 m2 entro il 2026, con 7.000 m2 di superficie dedicati all’innovazione e 8.000 m2 di camere bianche certificate ISO 8. Oltre 450 gli ingegneri impiegati, di cui 100 dedicati all’innovazione e circa 20 dottorati che trattano un’ampia gamma di discipline (ingegneria elettrochimica, chimica, scienza dei materiali, ecc.), riuniti in un unico centro di innovazione globale. Il sito è autosufficiente dal punto di vista energetico e certificato ‘Very Good’ da BREEAM.

SymphonHy consentirà a Symbio di supportare i propri clienti nel rendere la mobilità a idrogeno a zero emissioni una realtà accessibile, senza compromettere le prestazioni. Con SymphonHy, Symbio è in grado di supportare i propri clienti nei loro piani di sviluppo, che si stanno già dimostrando promettenti nella vita reale. Stellantis è anche stata la prima azienda a commercializzare una soluzione a idrogeno a zero emissioni per i veicoli commerciali leggeri per i modelli Peugeot e-Expert, Citroën eJumpy e Opel Vivaro-e. L’azienda sta ampliando la sua gamma per includere grandi furgoni con un’architettura a media potenza, un’autonomia fino a 500 km e un tempo di ricarica inferiore a 10 minuti. Stellantis ha confermato inoltre l’intenzione di sviluppare una tecnologia a idrogeno per i suoi pick-up del brand Ram, in linea con l’obiettivo di elettrificare la sua gamma di veicoli con un’autonomia di 320 miglia ALVW o 200 miglia GCWR e un rifornimento rapido, senza compromettere la capacità di carico utile. Tutti questi veicoli saranno dotati di celle a combustibile prodotte da Symbio.

Symbio – commenta il ceo di Stellantis, Carlo Tavaresè la prova che tre aziende leader nei rispettivi settori e con radici francesi possono unire le forze e le competenze per essere all’avanguardia. L’inaugurazione di oggi rappresenta un passo importante, poiché l’idrogeno fa parte del mix di tecnologie che stiamo proponendo ai clienti dei veicoli commerciali. Questa tecnologia è un elemento costitutivo del potente ecosistema di elettrificazione che stiamo sviluppando per sostenere il nostro ambizioso obiettivo di raggiungere il 100% di vendite elettriche in Europa e il 50% negli Stati Uniti entro il 2030. Poiché lo scopo di Stellantis è quello di ‘guidare il modo in cui il mondo si muove’, l’idrogeno contribuirà a raggiungere il nostro ambizioso obiettivo di zero emissioni di anidride carbonica entro il 2038, anticipando la concorrenza nel nostro impegno contro il cambiamento climatico”.

Attualmente, Symbio è già alla ricerca di opportunità per espandersi e costruire una nuova gigafactory di celle a combustibile negli Stati Uniti, per sostenere la promettente dinamica della mobilità a idrogeno in Nord America. SymphonHy sta contribuendo a definire gli standard di produzione delle celle a combustibile che serviranno come modello industriale per i suoi nuovi siti, in linea con l’obiettivo di Symbio di produrre 200.000 unità in tutto il mondo entro il 2030.

Italgas presenta Nimbus: il primo contatore per idrogeno, segnalerà anche i terremoti

Sostenibile, all’avanguardia e, soprattutto, pronto per il futuro. Italgas presenta a Parigi Nimbus: il primo contatore al mondo per l’idrogeno, con un sistema di misura del flusso di gas con tecnologia statica, termo-massica in particolare, compatibile con gas naturale e miscele di metano-idrogeno fino ad oltre il 20%. A presentare il nuovo contatore, sviluppato in house da Italgas RETI e Bludigit, la tech company del Gruppo, a Enlit Europe, forum sulla transizione energetica in corso a Parigi, è stato Pier Lorenzo Dell’Orco, amministratore delegato di Italgas RETI (principale società operativa del Gruppo Italgas). “Nimbus – ha spiegato Dell’Orco – è il risultato di un intenso lavoro di ricerca, progettazione e sviluppo che ci ha visti mettere a frutto l’importante know-how acquisito in questi anni di complessiva trasformazione digitale di asset e processi. Siamo consapevoli di aver compiuto un nuovo salto tecnologico che permette non solo di confermarci benchmark globale, ma soprattutto di contribuire ai target di decarbonizzazione dei consumi abilitando una sempre più efficiente distribuzione dei gas rinnovabili. Nimbus, un progetto tutto italiano, sarà la nuova offerta per il mercato internazionale della distribuzione, ci avvicina alla net zero economy e offre una serie di funzioni innovative per una gestione integrata del servizio“.

Il nuovo misuratore si distinguerà sul piano della performance, della sicurezza e della sostenibilità. “L’involucro – ha evidenziato l’ad di Italgas Reti – è fatto di policarbonato riciclato: un passo avanti per l’ambiente. Nimbus ha un design più compatto rispetto suoi pari, quindi usa meno materiale e richiede meno spazio per il trasporto”. Sarà, inoltre, tema fondamentale in un territorio a rischio come quello italiano, anche una ‘sentinella’ per incendi e terremoti. Un sensore sismico e uno di rilevamento della temperatura esterna possono infatti consentire di interrompere l’erogazione del gas in caso di eventi tellurici e di incendi e abilitano la condivisione dei dati con gli enti preposti alla sicurezza del territorio. “Una volta installati, si parlerebbe di 5 milioni di sensori in tutto il Paese che permetterebbero il rilevamento di terremoti: un caso unico al mondo. Per questo c’è un tavolo di lavoro con l’Università di Pavia e l’Ingv” per capire come utilizzare i dati di questa maxi rete, è l’annuncio di Dell’Orco. Inoltre la durata della batteria prevista è di 15 anni, la più lunga del settore. Per finire, specifiche soluzioni anti-effrazione consentono di rilevare tempestivamente tentativi di manomissione e disconnessione dell’apparecchio e moduli di comunicazione basati su tecnologia NB-IoT e LoRaWAN come reti primarie e ulteriore canale di back-up basato su tecnologia mesh anche in assenza di segnale consente a un contatore di trasmettere sfruttando la connessione con lo smart meter più vicino, con l’obiettivo di massimizzare le performance di telelettura e telegestione sul campo.

La road map è segnata: “Stiamo già installando gli smart meter Nimbus, 10mila saranno installati entro Natale, diventeranno 20mila entro gennaio. Dopo faremo un periodo di test di 10 mesi per esaminare le performance. A fine 2024 inizieremo la produzione massiva. Il piano è di cominciare rimpiazzando i contatori più vecchi, quelli basati sulla tecnologia Gprs che è obsoleta. Il progetto è di installarne un milione entro il 2025 e 5 milioni entro il 2029”.

idrogeno

Al via prima asta europea per la produzione di idrogeno: pronti 800 milioni di euro

Prende il via oggi la prima asta – lanciata dalla Commissione Ue – nell’ambito della Banca europea dell’Idrogeno per sostenere la produzione di questa fonte rinnovabile nel Vecchio continente. L’importo iniziale è di 800 milioni di euro: si tratta di proventi derivanti dallo scambio di emissioni, convogliati attraverso il Fondo per l’innovazione. I produttori di idrogeno rinnovabile possono presentare domanda per ottenere un sostegno sotto forma di un premio fisso per chilogrammo di prodotto che ha lo scopo di colmare il divario tra il prezzo di produzione e quello che i consumatori sono attualmente disposti a pagare, in un mercato in cui l’idrogeno non rinnovabile è ancora più economico da produrre.

Con il piano per l’indipendenza energetica ‘REPowerEU’ l’Unione europea ha fissato l’obiettivo di produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno a livello nazionale entro il 2030.  Una nota dell’Esecutivo comunitario spiega che le offerte dovrebbero basarsi su un sovrapprezzo proposto per chilogrammo di idrogeno rinnovabile prodotto, fino a un tetto di 4,5 euro/kg. Le offerte fino a questo prezzo, e che soddisfano anche altri requisiti di qualificazione, verranno classificate dal prezzo di offerta più basso a quello più alto e riceveranno il supporto in questo ordine, fino all’esaurimento del budget dell’asta. I progetti selezionati riceveranno il sussidio concesso in aggiunta ai ricavi di mercato generati dalla vendita di idrogeno, per un massimo di 10 anni. Una volta firmati gli accordi di sovvenzione, i progetti dovranno iniziare a produrre idrogeno rinnovabile entro cinque anni. Bruxelles precisa ancora che non sarà possibile accumulare i sussidi con altri tipi di aiuti provenienti dagli Stati membri partecipanti.

“La Banca europea dell’idrogeno – dice il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Maros Sefcovicrappresenta una grande opportunità per sostenere la transizione a zero emissioni nette dell’industria europea”. “Il lancio di oggi riguarda il collegamento tra domanda e offerta di idrogeno rinnovabile. Si tratta di creare trasparenza sui prezzi, il che aiuterà a rilanciare un mercato europeo dell’idrogeno”, spiega, aggiungendo di sperare in “una risposta positiva da parte del mercato”.

Per il commissario europeo per l’azione per il clima, Wopke Hoekstra “l’idrogeno sarà una tecnologia chiave per decarbonizzare l’industria europea e contribuire a raggiungere i nostri obiettivi climatici per il 2030 e il 2050. La prima asta europea di oggi per la produzione di idrogeno rinnovabile invia un chiaro segnale che l’Europa è il luogo dove investire nella produzione di idrogeno rinnovabile e nelle industrie basate sull’idrogeno. Lo sviluppo di un solido mercato dell’idrogeno nell’UE ci renderà più competitivi, offrirà nuove opportunità di crescita all’industria e fornirà posti di lavoro di qualità alle aziende e ai cittadini europei”. 

Nella Ruhr tedesca l’industria pesante si affida all’idrogeno per la decarbonizzazione

Nel cuore di un complesso chimico nella regione tedesca della Ruhr, due dozzine di moduli elettrolitici scintillanti sono pronti a entrare in funzione. Il loro scopo: produrre idrogeno verde per l’industria pesante, che sta cercando di disintossicarsi dal carbone e di ridurre la sua dipendenza dal gas fossile. Le sottili membrane impilate che compongono ogni modulo formeranno il più grande elettrolizzatore d’Europa, che entrerà in funzione a Oberhausen tra pochi giorni per decarbonizzare gli impianti circostanti. In questa apparecchiatura, acqua ed elettricità si incontreranno: sotto l’effetto della corrente, gli atomi dell’acqua – idrogeno e ossigeno – si separeranno, consentendo la produzione di quantità industriali di idrogeno cosiddetto ‘verde’. A condizione che l’elettricità utilizzata sia a sua volta derivata da fonti energetiche non fossili, non verrà emessa praticamente nessuna CO2, il che è esattamente il contrario delle attuali tecniche di produzione dell’idrogeno, dette ‘grigie’ perché basate sul metano.

Nella regione del carbone e dell’acciaio della Ruhr, nella Germania occidentale, la vecchia industria renana sta cercando di decarbonizzarsi per sopravvivere, avendo contribuito in modo determinante al riscaldamento globale fin dall’inizio dell’era industriale. L’idrogeno verde è uno degli strumenti utilizzati dall’industria siderurgica per ridurre la propria impronta di carbonio. L’acciaieria tedesca Thyssenkrupp, seconda in Europa dopo ArcelorMittal, intende trasformare i suoi quattro storici altiforni a Duisburg. L’idrogeno sarà utilizzato per disossidare il minerale di ferro necessario per produrre acciaio, sostituendo il carbone che ha svolto questo ruolo per un secolo e mezzo. Questo primo sito di produzione di acciaio verde a ‘riduzione diretta’ lungo il Reno dovrebbe entrare in funzione alla fine del 2026. La decisione finale di investimento è stata presa “a settembre”, spiega Marie Jaroni, direttore della decarbonizzazione del produttore di acciaio. Thyssenkrupp, che ammette di essere responsabile da sola del “2,5% delle emissioni di CO2 della Germania“, ha ottenuto una sovvenzione europea di 2 miliardi di euro sui 3 miliardi di euro di investimento per questa prima unità. La potenza e il numero di elettrolizzatori di cui avrà bisogno non sono ancora stati resi noti. “Si tratta di un cambiamento totale nel modo di produrre l’acciaio”, sottolinea la signora Jaroni.

Tutti questi cambiamenti di processo equivalgono a una “rivoluzione industriale“, concorda il ministro dell’Industria francese Roland Lescure. La settimana scorsa era a Berlino per tenere a battesimo una società franco-tedesca di elettrolisi costituita da Siemens Energy e Air Liquide. La nuova gigafactory di Siemens Energy produrrà moduli di elettrolisi che Air Liquide utilizzerà per costruire elettrolizzatori. Il prossimo cliente sarà la raffineria TotalEnergies in Normandia. Per il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha partecipato all’inaugurazione della fabbrica, questo sviluppo è una “favola industriale”. In effetti, 12 elettrolizzatori hanno lo stesso beneficio climatico di 25 milioni di alberi, ha calcolato.

Abbiamo un’industria basata sull’energia e sulle risorse, ma molto basata sul carbone“, ammette Samir Khayat, direttore generale dell’agenzia responsabile dell’organizzazione della decarbonizzazione nello Stato della Renania Settentrionale-Vestfalia, dove si trova la Ruhr. Basato anch’esso sul gas, il 30% dell’industria chimica tedesca, uno dei principali consumatori, ha sede in questo Stato industriale, responsabile del 6% delle emissioni di gas serra del Paese. Ma la transizione è “una corsa contro il tempo“, ammette. “Non abbiamo molto tempo. Se non lo facciamo, siamo perduti“, aggiunge il funzionario. Ciò che resta da fare è trovare gli ingenti finanziamenti necessari per acquistare gli elettrolizzatori e aumentare la produzione di elettricità a zero emissioni di carbonio necessaria per farli funzionare. La situazione è resa ancora più delicata dal fatto che, con l’impennata dei prezzi dell’energia in Europa dall’inizio della guerra in Ucraina, alcuni produttori, come l’azienda chimica tedesca BASF, hanno abbandonato gli investimenti in Germania a favore della produzione negli Stati Uniti o in Cina, dove l’energia costa meno. “La disponibilità di elettricità diventerà un fattore chiave“, sottolinea Khayat. ThyssenKrupp afferma di aver già firmato contratti di fornitura di elettricità per il suo primo impianto di elettrolizzatori. “Ma ce ne sono altri tre in cantiere“, si preoccupa la signora Jaroni. In totale, l’acciaieria avrà bisogno di 140.000 tonnellate di idrogeno all’anno per ogni impianto di riduzione diretta del ferro installato, vale a dire più di 500.000 tonnellate alla fine. Proporzioni sproporzionate. A titolo di confronto, l’elettrolizzatore di Oberhausen, attualmente il più grande d’Europa, sarà in grado di produrre solo tra le 3.000 e le 6.000 tonnellate all’anno. “L’importante è testare la tecnologia, rifornire rapidamente i clienti e raccogliere dati operativi in modo da poter aumentare rapidamente la capacità“, afferma Gille Le Van, vicepresidente per le industrie pesanti e la transizione energetica di Air Liquide in Europa centrale. Per Anne-Laure de Chammard, una francese che dirige il ramo idrogeno di Siemens Energy, “i prossimi tre anni saranno decisivi” per determinare il decollo del mercato dell’idrogeno.

Autocarri a idrogeno: una via d’uscita incerta dal diesel

Mentre un camion attraversa il cuore di Berlino, il rumore del motore non copre gli applausi: il veicolo è alimentato a idrogeno e ha battuto un record di autonomia che evidenzia il potenziale di questa tecnologia a basse emissioni di carbonio. Daimler Truck, il principale produttore di autocarri al mondo, ha dato una dimostrazione di forza questa settimana guidando il suo prototipo ‘GenH2’ per 1.047 chilometri. Tra lo stabilimento del gruppo a Wörth am Rhein, vicino al confine francese, e la capitale tedesca, il veicolo ha compiuto il viaggio con una sola carica di idrogeno, un record di autonomia, secondo il produttore tedesco.

State dimostrando che un carico pesante può essere trasportato su una lunga distanza in modo sostenibile“, ha lodato Petra Dick-Walther, segretario di Stato del ministero dell’Economia, alla partenza del camion. Ma ci sono ancora molti ostacoli da superare prima che il trasporto su strada si converta a questa tecnologia, tra cui la mancanza di infrastrutture, di risorse di idrogeno, di costi e di sfide tecniche.

La produzione di massa è prevista “nella seconda metà del decennio“, spiega Andreas Gorbach, responsabile della tecnologia per autocarri di Daimler Truck. È necessario soddisfare una serie di condizioni, ammette: “La prima è l’infrastruttura per le stazioni di ricarica dell’idrogeno e la seconda è la redditività economica per i nostri clienti, grazie alla disponibilità di energia verde a un costo competitivo“.

Le celle a combustibile a idrogeno hanno un impatto ambientale ridotto, in quanto emettono solo vapore acqueo, mentre il gasolio utilizzato dai veicoli commerciali pesanti provoca un forte inquinamento. Tuttavia, l’idrogeno deve essere verde – prodotto da fonti di energia rinnovabili – e la produzione è attualmente marginale. Lo sviluppo degli autocarri a idrogeno è meno avanzato di quello dei veicoli pesanti a batteria, di cui Daimler e la svedese Volvo stanno già producendo esempi. Dal punto di vista del costruttore tedesco, le due tecnologie sono complementari. Le batterie sono preferite per i carichi più leggeri e le distanze più brevi, mentre l’idrogeno è riservato alle distanze più lunghe e offre tempi di ricarica molto più brevi. “Per decarbonizzare i trasporti, avremo bisogno di entrambe“, afferma Andreas Gorbach.

Le case automobilistiche europee sono sotto pressione per l’inasprimento degli standard, anche se gli obiettivi sono meno severi rispetto alle autovetture. Un regolamento della Commissione europea del 2019 prevede una riduzione del 30% delle emissioni inquinanti dei camion entro il 2030. Una nuova proposta suggerisce una riduzione del 90%, rispetto ai livelli del 2019, per i nuovi camion entro il 2040. Secondo un recente studio della Federazione europea per i trasporti e l’ambiente (T&E), i produttori europei “potrebbero perdere l’11% della quota di mercato dei veicoli commerciali pesanti entro il 2035” nel Vecchio Continente se non renderanno più ecologiche le loro gamme abbastanza rapidamente.

La start-up americana Nikola, cliente del produttore tedesco di attrezzature Bosch, ha già avviato la produzione di massa del suo modello di veicolo commerciale pesante alimentato a idrogeno dall’altra parte dell’Atlantico, sfruttando le sovvenzioni per l’acquisto pubblico previste dall’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden. Ad agosto, l’azienda vantava un totale di 202 ordini da parte di 18 clienti. Gli esperti avvertono che l’idrogeno farà breccia solo se i suoi costi diminuiranno. Per il momento, Daimler Truck stima il costo dei suoi modelli elettrici a batteria a circa 2,5 volte quello di un modello diesel equivalente. Per quanto riguarda l’idrogeno, è impossibile fare un calcolo perché l’infrastruttura di ricarica è inesistente.

Daimler ha unito le forze con diversi produttori di camion e fornitori di energia (Shell, BP, Total) in Europa e Nord America per sviluppare una rete di stazioni di ricarica per l’idrogeno. La rete dovrebbe essere pronta “entro la fine del decennio“. Rainer Müller, responsabile di Mercedes Benz Trucks, uno dei marchi del Gruppo Daimler, ci assicura che il costo di utilizzo di un camion a idrogeno sarà “simile” a quello di un camion diesel. Ma altri sono meno ottimisti. Secondo le proiezioni di T&E, l’idrogeno non diventerà competitivo fino al 2040, e solo a determinate condizioni.