Studio Sace su export e innovazione: 100 mld opportunità per imprese italiane

Cento miliardi di opportunità di investimento per far crescere le imprese italiane, 85 provenienti dall’export e 15 dall’innovazione. “I due comparti, insieme, possono contribuire alla crescita per il 4%”. Ad assicurarlo è Alessandra Ricci, amministratrice delegata di Sace, il gruppo assicurativo-finanziario partecipato dal ministero dell’Economia e delle Finanze che ha approfondito gli scenari di crescita delle nostre imprese in relazione alla Sace Growth map, il mappamondo interattivo che traccia le opportunità di mercato e dà accesso alle soluzioni di Sace.

E tra tutti i mercati da ‘attaccare’ ce ne sono 14 particolarmente interessanti e attrattivi per le nostre imprese. Si tratta dei 14 Paesi Gate, acronimo che sta per Growing Ambitious Transforming Entrepreneurial: Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto, Marocco, Algeria, Sudafrica, Serbia, Turchia, Vietnam, Singapore, Cina, India, Messico-Brasile, Colombia.

Il gruppo assicurativo pone l’accento specialmente sull’innovazione, dove oggi le imprese italiane investono mediamente lo 0,8% del Pil, meno della media europea (1,5%). “E’ un differenziale che corrisponde esattamente a quei 15 miliardi su cui le imprese italiane devono investire”, precisa l’ad. Su questo si può fare dunque molto di più. Oggi, ad esempio, solo un’impresa su tre in Italia investe in innovazione tecnologica e digitale. Troppo poco, visto che ogni impresa che investe in innovazione, e rafforza la propria filiera lavorando in partnership con altre aziende, offre una spinta alla crescita del proprio fatturato di 2 punti percentuali, rispetto a chi non investe.

Tra i settori a maggior opportunità di intervento ci sono tessile e abbigliamento, legno e arredo, alimentari e bevande, carta e stampa. Mentre tra le filiere di frontiera spiccano space & blue economy ed economia circolare, dove l’Italia vanta un buon posizionamento.

Altri 85 miliardi di opportunità riguardano invece l’export, che secondo Sace tornerà a crescere del 3% dopo un biennio di continuità su livelli record di 625 miliardi di euro. Particolarmente positivi i numeri sui mercati che stiamo approcciando solo più recentemente, come i Paesi Asean dove le nostre esportazioni hanno registrato un incremento del 10,3%, con il Vietnam che ha visto una crescita al 25%. Ma anche l’Arabia Saudita (+28%), gli Emirati Arabi Uniti (+20%), la Serbia (+16%), il Messico e il Brasile (+8%). “Il 2025 è l’anno per fare investimenti e prepararsi al fatto che ora ci sono più mercati – ribadisce Ricci – da qui nasce il tema dei 14 Paesi Gate, dove riteniamo che il tasso di crescita dell’export sia superiore al tasso di crescita medio”. E’ un buon viatico per contrastare i dazi Usa, su cui Sace non ha ancora fatto stime. “Cambiano in continuazione le cifre e i Paesi che vengono messi sotto dazi”, replica l’ad, che per il 2025 non vede impatti, “si vedranno in caso dal 2026“. Per questa ragione, la mission di Sace rimane quella di aumentare le capacità di esportazione come numero di Paesi possibili. “Non puoi mettere sotto tariffe tutto il mondo ma in questo modo potremo controbilanciare gli effetti negativi. Fare scenari sui dazi – conclude Ricci – rischia di rimanere un esercizio di scuola, come Sace dobbiamo invece cercare di aprire mercati”.

Imprese, Santoriello (Cnpr): Prorogata ‘Decontribuzione sud’

La Legge di Bilancio 2024 ha confermato la proroga della ‘Decontribuzione Sud’ fino al 31 dicembre 2024. La proroga si applica ai contratti di lavoro subordinato stipulati entro il 30 giugno 2024 e prevede l’esonero parziale dei contributi dovuti dai datori di lavoro del settore privato operanti nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. L’agevolazione resta soggetta all’autorizzazione della Commissione Ue per garantirne la compatibilità con la normativa in materia di aiuti di Stato.

“Fino ad oggi, l’autorizzazione comunitaria si è basata sui Quadri temporanei per gli aiuti di Stato introdotti in risposta alla crisi pandemica da Covid-19 e all’aggressione russa in Ucraina. Con la scadenza del Quadro temporaneo il 31 dicembre 2024 – sostiene Rosa Santoriello, consigliera d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – la Commissione ha stabilito che lo sgravio contributivo rimanga applicabile fino a tale data, limitatamente ai contratti stipulati entro il 30 giugno 2024”.

“Mentre il comma 404 della Manovra, destina parte delle risorse al finanziamento del Fondo per la riduzione del divario occupazionale e lo sviluppo imprenditoriale nelle aree svantaggiate – prosegue Santoriello – il comma 405 introduce ulteriori stanziamenti per il sostegno all’occupazione, aumentando i limiti di spesa per il Bonus giovani, il Bonus donne ed il Bonus Zona economica speciale per il Mezzogiorno (ZES unica)”. Gli oneri complessivi di 3,2 milioni per il 2024 saranno coperti attraverso la riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica (art. 10, comma 5, D.L. n. 282/2004).

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Nucleare, restano dubbi su costi e rischi. Ma per le imprese è fondamentale

Il nucleare è “fondamentale” per le imprese, ma restano diversi punti interrogativi su costi e rischi. L’indagine conoscitiva delle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera allarga ancora l’orizzonte verso la tecnologia scelta dal governo per arrivare all’ampliamento del mix energetico futuro dell’Italia.

A Montecitorio è Confindustria a spiegare il punto di vista delle aziende, con una premessa che è anche un allarme lanciato alle istituzioni: “Oggi paghiamo l’energia in maniera consistentemente maggiore rispetto ai partner europei. A gennaio il mercato dell’energia elettrica ha superato i 150 euro al megawattora e il gas naturale ha sfondato quota 50 euro: sono cifre sensibilmente maggiori degli altri Paesi Ue e stanno minando sensibilmente la competitività”, è l’incipit del ragionamento condotto dal delegato del presidente per l’Energia, Aurelio Regina. Il target che auspicano gli industriali è “integrare l’opzione nucleare, che riteniamo fondamentale, nei meccanismi che già oggi in parte operano sulle rinnovabili, in un mercato unico sganciato dalla produzione termoelettrica”.

Sugli strumenti, poi, l’attenzione è focalizzata sugli Small modular reactors, che si prevede entrino in funzione non prima del 2030, “anche se molto probabilmente non sarà ancora del tutto matura”, ammette l’esperto. Anche sui costi resta qualche incertezza. O meglio, al momento “l’unico studio a cui fare riferimento è quello sviluppato da Edison, secondo cui il costo al MWh del nucleare di nuova generazione è simile a quello delle rinnovabili”, dice Regina. Annunciando che entro pochi sarà presentato uno studio Confindustria-Enea proprio per chiarire diversi aspetti del tema, compreso quello economico.

Anche le pmi soffrono “costantemente del prezzo dell’energia, non solo in termini assoluti ma anche relativi”, avverte Confapi, rimarcando la “assoluta esigenza di creare una fonte di energia regolare” come il nucleare.

Ma c’è anche chi suggerisce di tirare il freno a mano su questa tecnologia, come la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Dati alla mano, “la produzione nel 2023 è stata più bassa di quella di vent’anni fa”, superata anche da eolico e fotovoltaico, mette in luce il responsabile Energia, Andrea Barbatella. Che prende a modello le cifre dell’Agenzia internazionale dell’energia: “Eolico e fotovoltaico dispacciano attorno ai 50-60 euro/MWh, mentre il nucleare oltre 160 euro/MWh”. Pure sugli Smr ha qualche dubbio: “Affidare le sorti del clima, quindi dell’umanità, a una promessa non testata dai fatti sembra un rischio eccessivo da correre”.

Altro aspetto che la Camera analizza è quello sanitario, con l’audizione del direttore del Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni e fisica computazionale dell’Istituto superiore di Sanità, Francesco Bochicchio. “Il Piano nazionale di emergenza che l’Italia ha prende in esame solo incidenti in impianti posti fuori dal territorio nazionale”, ma dovrebbe considerare anche quelli al suo interno, ecco perché “andrebbe rivisto completamente”. Non solo, ci sono anche altre criticità, come quella legata al trasporto di combustibile nucleare, necessario per i due terzi ogni anno, con “rischi durante questa fase maggiori, come probabilità, rispetto a incidenti o atti dolosi”. E lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, che hanno “entità delle radiazioni emesse e durata dei radionuclidi ben superiori rispetto a quella degli altri rifiuti per usi medici e industriali, anche per migliaia di anni”, spiega Bochicchio.

Il dibattito è in corso, ma il sentiero sembra essere ancora lungo da percorrere per il nucleare. Di certo, per ora, c’è che la strada è aperta.

Von der leyen

La Commissione Ue lancia la Bussola della competitività: innovazione, green e semplificazione

Tre aree principali di azione – innovazione, decarbonizzazione e sicurezza – e cinque abilitatori orizzontali – semplificazione, eliminazione delle barriere nel Mercato unico, finanziamenti, competenze, coordinamento. Sono gli elementi su cui la Commissione europea, provando a raccogliere il contenuto del rapporto dall’ex premier Mario Draghi, ha incentrato la Bussola della Competitività, presentata oggi a Bruxelles dalla presidente Ursula von der Leyen.

INNOVAZIONE. Il primo pilastro ha l’obiettivo di colmare il divario di innovazione. Qui, la Commissione proporrà iniziative ‘AI Gigafactories’ e ‘Apply AI’ per guidare lo sviluppo e l’adozione industriale dell’Intelligenza artificiale e presenterà piani d’azione per materiali avanzati, tecnologie quantistiche, biotecnologiche, robotiche e spaziali. A questo si aggiungono una strategia Ue per le start-up e le scale-up e un 28esimo regime giuridico, al posto dei 27 nazionali, per semplificare le norme per le aziende.

DECARBONIZZAZIONE. La seconda area è una tabella di marcia comune per la decarbonizzazione e la competitività, dove il ruolo centrale è giocato dai prezzi dell’energia. Rientrano in questo capitolo il prossimo Clean Industrial Deal, per definire un approccio alla decarbonizzazione basato sulla competitività; un Piano per l’energia accessibile (Affordable Energy Action Plan) per calmierare i costi dell’energia; e l’Industrial Decarbonisation Accelerator Act per estendere i permessi accelerati ai settori in transizione. Inoltre, ci saranno piani d’azione su misura per i settori ad alta intensità energetica, come acciaio, metalli e prodotti chimici.

RIDUZIONE DELLE DIPENDENZE. Terzo pilastro, la riduzione delle dipendenze eccessive e l’aumento della sicurezza per l’Ue, attraverso “partnership efficaci” per il commercio e gli investimenti puliti per aiutare a garantire la fornitura di materie prime, energia pulita, carburanti per il trasporto sostenibili e tecnologie pulite da tutto il mondo. Qui rientra la revisione delle norme sugli appalti pubblici, per introdurre una preferenza europea.

SEMPLIFICAZIONE, COMPETENZE E FINANZIAMENTI. I tre pilastri vengono completati da cinque abilitatori orizzontali. Il primo è quello della semplificazione, che mira ad alleggerire la rendicontazione sulla sostenibilità, la due diligence e la tassonomia. L’obiettivo è il taglio di almeno il 25% gli oneri amministrativi per le aziende e di almeno il 35% per le Pmi, per un risparmio di 37,5 miliardi di euro di costi ricorrenti fino alla fine del mandato. Il secondo punto riguarda l’abbassamento e l’eliminazione delle barriere nel Mercato unico europeo mentre i finanziamenti sono il terzo. Bruxelles presenterà un’Unione europea del risparmio e degli investimenti per creare nuovi prodotti di risparmio e investimento. Il quarto elemento è la promozione delle competenze e di posti di lavoro di qualità con un’iniziativa per costruire un’Unione delle competenze incentrata su investimenti, apprendimento degli adulti e permanente, creazione e mantenimento delle competenze. A concludere, il quinto punto riguarda il miglior coordinamento delle politiche a livello Ue e nazionale. A tal proposito la Commissione introdurrà uno strumento di coordinamento della competitività, che collaborerà con gli Stati per garantire l’attuazione a livello Ue e nazionale di obiettivi politici Ue condivisi, identificare progetti transfrontalieri di interesse europeo e perseguire riforme e investimenti correlati. Inoltre, nel prossimo quadro finanziario pluriennale, un Fondo per la competitività sostituirà i diversi strumenti finanziari Ue esistenti con obiettivi simili, per sostenere l’attuazione delle misure nello strumento di coordinamento della competitività.

ROBERTO CINGOLANI

Nucleare, spinta dal mondo produttivo. Cingolani: “Si può investire nella IV generazione”

Il nucleare resta il tema principale del dibattito sul futuro dell’energia. Il disegno di legge delega del governo è atteso in uno dei prossimi Consiglio dei ministri, ma già si accendono i riflettori del mondo politico, ma anche di quello produttivo.

In questa partita l’esecutivo può contare sull’appoggio di buona parte delle imprese, da tempo ormai impegnate in quella che un tempo sarebbe stata chiamata ‘l’arte dei salti mortali’ per resistere ai colpi del caro bollette. La parte più difficile – ma questo lo sanno bene dalle parti di Palazzo Chigi e del Mase – sarà semmai la campagna di comunicazione tra i cittadini per convincere gli italiani sull’utilità di inserire anche questa tecnologia nel nostro mix.

Già nelle sue vite precedenti, da professore e ministro dell’Ambiente, Roberto Cingolani è stato uno dei pochi a parlare di nucleare come fonte di approvvigionamento sicura, pulito e stabile, con impatti economici meno gravosi rispetto ad altre forme di energia. Oggi che è a capo di un colosso come Leonardo non ha di sicuro cambiato idea. Anzi: “Ho detto in tempi forse meno popolari che era la tecnologia che produceva meno anidride carbonica per unità di energia e aveva tutta una serie di altri parametri buoni”, ribadisce a margine della presentazione della Fondazione Leonardo Ets. Ma ora “tutti i Paesi stiano capendo che per accelerare la decarbonizzazione il nucleare va potenziato e credo che l’Italia si stia muovendo nella direzione di rivedere la sua posizione in materia”.

Leonardo, assieme a Enel e Ansaldo Energia sta dando vita a una newco che avrà il compito di approfondire la ricerca sul tema. Non c’è ancora la firma, ma Cingolani assicura “si sta procedendo, ci siamo scambiati l’ultima versione, l’accordo è quello, adesso dovremmo trovare il momento per chiudere”.

Il lavoro di questa nuova società potrebbe essere molto utile per le imprese. “La quarta generazione è quella che non fa utilizzo di Uranio 135 e in questo momento, secondo me, nella fase intermedia in attesa della fusione, potrebbe essere qualcosa su cui investire”, sottolinea infatti l’amministratore delegato di Leonardo. Mettendo l’accento sull’importanza di “costruire un percorso che ci porti da oggi alla fusione termonucleare, che sarà la soluzione per l’umanità in futuro. Che poi avvenga in tre decadi, in due decade o 5 decadi questo dipenderà da tante cose”.

Favorevole al nucleare, e non da oggi, è anche Davide Tabarelli. “In questo momento è la prima fonte di produzione in Europa, con circa il 25% e se venissero meno le 56 centrali saremmo messi malissimo: le bollette sarebbero molto più alte e di notte saremmo in blackout”, spiega il presidente di Nomisma Energia in audizione davanti alle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera. Osando quella che lui stesso definisce una “provocazione”, cioè “cominciare a pensare di riaprire la centrale di Caorso, mettendoci un nuovo reattore, piccolo o grande o quello che stanno costruendo in Polonia”. Proprio per rendere chiara a tutti l’urgenza di riprendere un percorso.

Di cui è straconvinto, ovviamente, il presidente dell’Associazione italiana Nucleare, Stefano Monti, che aspetta lo schema di legge dal governo con ansia. Per essere precisi, sono i decreti attuativi il suo obiettivo principale: “In particolare, è molto importante avanzare rapidamente sulla questione dell’autorità di sicurezza e della comunicazione o è impossibile avviare un programma nucleare nel nostro Paese”.

Due diligence e report di sostenibilità: Parigi chiede la sospensione delle direttive Ue

Stop alla direttiva sulla due diligence e a quella relativa alla ‘contabilità verde‘, volta ad armonizzare il modo in cui le aziende pubblicano i report di sostenibilità. La richiesta all’Ue arriva dalla Francia che, attraverso il ministro delegato per l’Europa, Benjamin Haddad, invoca “più semplificazione e meno burocrazia” e si fa portavoce di molte aziende europee “ansiose” di recuperare urgentemente un livello sufficiente di competitività di fronte alla Cina e agli Stati Uniti di Donald Trump. Altri Paesi, tra cui la Germania, chiedono un analogo alleggerimento normativo. La Commissione dovrebbe presentare misure in tal senso alla fine di febbraio, come promesso dalla presidente, Ursula von der Leyen, questa settimana a Davos.

A metà aprile dello scorso anno, il Parlamento europeo ha adottato un testo molto ambizioso che impone la due diligence ai produttori. L’obiettivo è quello di richiedere alle aziende di prevenire, identificare e porre rimedio alle violazioni dei diritti umani e sociali (lavoro minorile, lavoro forzato, sicurezza, ecc.) e ai danni ambientali, come deforestazione e inquinamento. Un “dovere di diligenza” che deve essere applicato a tutta la supply chain, quindi fornitori, subappaltatori e filiali. In base a questa direttiva, le aziende che non la rispettano saranno ritenute responsabili e dovranno risarcire interamente le vittime. In una nota congiunta, l’Associazione francese delle aziende private e il Deutsches Aktieninstitut, il suo equivalente tedesco, hanno chiesto l’“adattamento” e la “semplificazione” di diverse misure verdi di fronte all’“intensificarsi della concorrenza globale”.

Il secondo testo nel mirino di Parigi riguarda la “contabilità verde”, che mira ad armonizzare il modo in cui le aziende pubblicano i loro dati di sostenibilità (ambientale, sociale e di governance) in tutta Europa. È stato adottato durante la precedente legislatura europea sulla scia del Green Deal, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050, ma ha subito un attacco frontale da parte degli ambienti economici europei, ansiosi di recuperare con urgenza una sufficiente competitività di fronte agli Stati Uniti e alla Cina.

Mercoledì, la portavoce del governo francese Sophie Primas si è unita ai numerosi attori economici europei che attaccano la direttiva, denunciata come un peso per la competitività delle imprese. “Credo che l’Unione europea nel suo complesso si sia resa conto di essersi spinta un po’ troppo in là”, ha dichiarato la portavoce del governo francese, descrivendo la direttiva come un ‘inferno’ per le imprese. Il ministro francese per l’Europa, Benjamin Haddad, ha dichiarato che sarà “a Bruxelles questa settimana per far passare questo messaggio”. Lunedì Stéphane Séjourné, vicepresidente della Commissione europea con delega alla strategia industriale, ha dichiarato in un’intervista a France Inter che la direttiva CSRD “abolirà la rendicontazione” e ha confermato l’avvio, il 26 febbraio, di una “massiccia opera di semplificazione” nell’Ue. Tuttavia, le decisioni su questi temi sono ancora in discussione.

La decisione della Francia è stata fortemente criticata a sinistra e dalle Ong. Attaccare queste due direttive “significa distruggere l’unica legislazione europea concepita per stabilire le regole della globalizzazione”, spiega l’eurodeputata Manon Aubry. Co-presidente del gruppo della sinistra radicale, aveva condotto i negoziati sulla due diligence. “Con questa posizione, il governo francese fa un vero passo indietro rispetto alle sue ambizioni climatiche”, attacca Olivier Guérin di Reclaim Finance.

Imprese, ok in cdm al primo ddl sulle Pmi. Urso: Svolta strategica”

Via libera in consiglio dei ministri al primo disegno di legge annuale sulle Pmi, che introduce misure strategiche incentivando l’aggregazione, l’innovazione del sistema produttivo e l’accesso al credito.

Tra gli interventi principali, spiccano i ‘Mini Contratti di Sviluppo’ per il settore Moda, le Centrali consortili per coordinare le filiere produttive e nuovi incentivi fiscali per le reti d’impresa. Vengono promossi il ricambio generazionale con assunzioni agevolate di giovani, la tutela della concorrenza con norme contro le false recensioni online e il riordino della disciplina dei Confidi per semplificare l’accesso al credito.

Una svolta per la politica industriale del nostro Paese che valorizza il ruolo delle piccole e medie imprese, cuore pulsante dell’economia nazionale e dell’identità produttiva del Made in Italy, attraverso un sistema normativo mirato all’innovazione, alla competitività e alla crescita“, spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il ddl rappresenta la prima attuazione dell’art. 18 della Legge 180 del 2011, che aveva previsto l’adozione di una legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, “impegno disatteso da tutti i governi che ci hanno preceduto e che noi intendiamo rispettare puntualmente ogni anno, come stiamo facendo per la legge annuale sulla concorrenza, secondo una chiara visione strategica“, afferma Urso.

Nel dettaglio, vengono introdotte misure per incentivare forme di aggregazione tra imprese del settore Moda, per consentire alle Pmi del comparto di unire le forze e affrontare con maggiore efficacia le sfide del mercato globale, incrementando la capacità di investimento, di innovazione e la propria presenza sui mercati internazionali. A questo scopo sono destinati alle filiere del comparto Moda fino a 100 milioni di euro per i ‘Mini Contratti di Sviluppo’, finalizzati a sostenere programmi di investimento di importo non inferiore a 3 milioni di euro e non superiore a 20 milioni. Il disegno di legge introduce inoltre le ‘Centrali consortili’, nuovi enti giuridici che fungono da strutture di indirizzo e coordinamento per le micro, piccole e medie imprese già organizzate in consorzi di filiera. Questi enti mirano a rafforzare la competitività e l’innovazione delle imprese attraverso modelli di cooperazione efficienti e solidali. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy esercita la vigilanza esclusiva per garantire il rispetto delle finalità mutualistiche. La norma delega il Governo a disciplinare il funzionamento e la vigilanza delle Centrali consortili entro 12 mesi. Per favorire l’accesso al credito delle micro, piccole e media imprese, il disegno di legge attribuisce al Governo una delega per il riordino normativo della disciplina dei Confidi, a oltre vent’anni dall’emanazione della legge in materia. L’obiettivo dell’intervento è semplificare e riorganizzare le regole che disciplinano questo strumento, attraverso la revisione dei requisiti di iscrizione all’albo previsto dall’articolo 106 del Testo Unico Bancario (TUB), l’ampliamento delle attività consentite, la promozione di processi di aggregazione tramite agevolazioni normative e l’estensione delle possibilità operative per i Confidi iscritti. Sono inoltre previste misure per ridurre i costi di istruttoria nella valutazione del merito creditizio delle imprese e interventi volti a favorire l’integrazione tra consorzi, consentendo loro di partecipare ad altri enti senza modificare il proprio oggetto sociale.

Sono inoltre introdotti incentivi fiscali per le imprese che aderiscono a un contratto di “rete soggetto”, consentendo la sospensione d’imposta sulla quota di utili destinata a investimenti previsti dal programma comune di rete. L’agevolazione, finanziata fino a 45 milioni di euro dal 2027 al 2029, riguarda gli utili realizzati tra il 2026 e il 2028, destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio dedicato all’affare.

Per incrementare l’occupazione giovanile, il Ddl contiene una disposizione sulla “staffetta generazionale” nelle imprese, che mira a liberare in anticipo nuovi posti di lavoro mediante un sistema di pensionamento flessibile, che consenta al lavoratore anziano una migliore conciliazione vita/lavoro e, al contempo, attui il trasferimento delle competenze professionali a favore di giovani lavoratori assunti in sua parziale sostituzione. Viene quindi introdotto, per le imprese fino a 50 dipendenti, un sistema di trasferimento generazionale con part-time incentivato per l’accompagnamento alla pensione e assunzioni agevolate di giovani under 35, garantendo così il passaggio di know-how. Il neoassunto potrà sostituire integralmente la posizione lavorativa del lavoratore anziano, una volta cessato il rapporto di lavoro di quest’ultimo.

Per contrastare il fenomeno delle false recensioni online nel mercato della ristorazione e del turismo e per garantire una concorrenza leale ed equa, il Ddl interviene prevedendo l’obbligo di verificare l’attendibilità della recensione, assicurandosi che questa sia realmente scritta da un consumatore che abbia effettivamente usufruito del servizio o acquistato il prodotto recensito. La disposizione definisce che il consumatore potrà rilasciare una recensione motivata entro 15 giorni dalla data di utilizzo del servizio. L’impresa interessata potrà richiederne la cancellazione nel caso in cui il giudizio risulti falso o ingannevole, o qualora il commento non dovesse più essere attuale trascorsi i due anni dalla sua pubblicazione o in ragione dell’adozione di misure idonee a superare le criticità che avevano dato origine al giudizio espresso. Infine, a tredici anni dal primo “Startup Act”, il Ddl delega al Governo l’adozione di un decreto legislativo per la redazione di un testo unico in materia di startup, incubatori e Pmi innovative. L’obiettivo è coordinare le norme vigenti, apportando modifiche per migliorarne la coerenza giuridica, logica e funzionale, e abrogare espressamente le disposizioni obsolete o prive di contenuto normativo. Viene consolidata la figura del Garante per questo comparto di imprese e ampliati i suoi compiti, con lo scopo di promuovere la cultura, la formazione e la crescita dell’ecosistema italiano dell’innovazione tecnologica per massimizzarne la competitività.

GAS

In Italia 73.000 imprese sono più esposte ai rischi climatici, in particolare nell’oil&gas

Sono 73.000, secondo un’analisi Cerved, le imprese più esposte al rischio climatico in Italia, in particolare nell’oil&gas (sia estrazione e produzione che raffinazione e commercio), nella produzione di energia, nei settori del cemento, del ferro e acciaio, dei materiali da costruzione, nell’agricoltura. Seguono l’automotive, la chimica, il sistema moda, i trasporti e la logistica. Si tratta di aziende che già presentano debiti per 207 miliardi di euro e che per decarbonizzarsi e raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette al 2050 dovranno sostenere investimenti aggiuntivi per 226 miliardi di euro. Ben 15.000 di esse però, cioè più di 1 su 5 (21,4%), potrebbero farlo senza minare la propria sicurezza finanziaria, indebitandosi per 46 miliardi di euro.

Lo studio di Cerved, la tech-company che aiuta il Sistema Paese a proteggersi dai rischi e a crescere in maniera sostenibile, si basa sull’analisi dei dati 2023 relativi alle società di capitali, circa 750.000 aziende. Vengono considerati sia il rischio di transizione, che riguarda le possibili perdite economico-finanziarie legate al processo di aggiustamento verso un’economia a basse emissioni, sia quello ambientale, che misura il livello del potenziale impatto sull’ambiente delle attività di un determinato settore, a prescindere dalle eventuali azioni di mitigazione.

In un contesto globale segnato dal crescente rischio climatico, le aziende sono chiamate ad affrontare sfide senza precedenti – afferma Carlo Purassanta, Presidente Esecutivo di Cerved -. Per raggiungere l’obiettivo del net zero entro il 2050, e sostenere gli ingenti investimenti in tecnologie a basse emissioni, sono necessarie strategia e pianificazione. Solo un’azienda su cinque è oggi in grado di coniugare sostenibilità e competitività, mantenendo la propria stabilità finanziaria”.

L’analisi di Cerved tiene conto anche dell’andamento del rischio di credito, che sta tornando su livelli di medio periodo: i tassi di decadimento (rapporto tra le posizioni creditizie in sofferenza nel corso dell’anno e lo stock di impieghi a inizio periodo) mostrano infatti una crescita della rischiosità negli anni 2022-2024, mentre le previsioni Cerved per il biennio 2025-2026 vedono un generale assestamento che coinvolge tutti i settori produttivi, grazie alla discesa dei tassi di interesse.

Come anticipato, le imprese dei settori maggiormente impattati dalla transizione ecologica dovranno sostenere investimenti aggiuntivi per decarbonizzarsi, e raggiungere così l’obiettivo di zero emissioni nette al 2050, di 226 miliardi di euro: la quota più importante è in capo all’oil&gas (58,6 miliardi per exploration&production e 63,5 miliardi per refining&marketing, entrambi soggetti altamente sia al rischio di transizione che a quello ambientale), seguita da produzione di energia (74,7 miliardi), cemento (4), ferro e acciaio (7,3), materiali da costruzione (1,8), agricoltura e proteine animali (900 milioni), tutti ambiti più colpiti dal rischio ambientale che da quello di transizione. Chiudono la lista automotive (590 milioni), chimica (1,35 miliardi), sistema moda (350 milioni) e trasporti e logistica (13 miliardi), sottoposti a rischi inferiori, benché sempre alti, anche laddove le cifre sono consistenti.

All’interno di questo cluster di imprese sono state poi individuate quelle sicure dal punto di vista finanziario, cioè con un rapporto debiti finanziari/EBITDA inferiore o uguale a 2, per le quali è stato calcolato quanto potrebbero ancora indebitarsi senza perdere la stabilità finanziaria: sono 15.000 aziende, cioè il 21,4% del totale, che potrebbero aumentare i loro debiti per 46 miliardi di euro senza uscire dalla soglia di sicurezza. In particolare, si tratta di 5.379 aziende nel settore trasporti e logistica (6,5 miliardi di indebitamento aggiuntivo), 2.097 nell’agricoltura (1,3 miliardi), 1.911 nel sistema moda (4), 1.265 nei materiali da costruzione (2,7), 1.090 nell’oil&gas-refining&marketing (2,8), 996 nella chimica (7,3), 987 nella power generation (6), 761 nell’automotive (8,1), 528 nel ferro e acciaio (4,9), 495 nel cemento (1,6) e 15 nell’oil&gas-exploration&production (980 milioni).

Allarme World Economic Forum: “Dai rischi climatici -7% guadagni annuali delle aziende”

Le imprese devono agire subito per affrontare i crescenti rischi climatici o incorrere in forti perdite finanziarie. Le aziende che ritardano potrebbero veder vanificato fino al 7% degli utili annuali entro il 2035, un impatto simile a quello di interruzioni di livello Covid-19 ogni due anni. E’ l’avvertimento lanciato da due nuovi rapporti pubblicati dal World Economic Forum. I rapporti – Business on the Edge: Building Industry Resilience to Climate Hazards, realizzato con il supporto di Accenture, e The Cost of Inaction: A CEO Guide to Navigating Climate Risk, realizzato con il supporto del Boston Consulting Group (BCG) – forniscono una tabella di marcia per le aziende che vogliono affrontare i rischi climatici e sbloccare il valore a lungo termine attraverso la decarbonizzazione, la salvaguardia della natura, l’adattamento e la costruzione della resilienza.

Si prevede che entro il 2035 il caldo estremo e altri rischi climatici causeranno 560-610 miliardi di dollari di perdite annuali di capitale fisso per le società quotate in borsa, con le aziende di telecomunicazioni, servizi pubblici ed energia più vulnerabili. Le aziende dei settori ad alta intensità energetica che non riescono a decarbonizzarsi affrontano rischi di transizione crescenti con l’inasprimento delle normative climatiche globali, con il solo prezzo del carbonio che potrebbe ridurre fino al 50% degli utili entro il 2030. Questi rischi, uniti agli impatti a cascata sulle catene di approvvigionamento e sulle comunità, sottolineano la necessità cruciale di strategie di resilienza.

Per contro, le imprese che investono in adattamento, resilienza e decarbonizzazione stanno già ottenendo ritorni tangibili. Una ricerca dell’Alliance of CEO Climate Leaders, che comprende 131 amministratori delegati a livello mondiale in rappresentanza di 12 milioni di dipendenti, mostra che ogni dollaro investito nell’adattamento al clima e nella resilienza può generare fino a 19 dollari di perdite evitate, in base ai dati del CDP, che aiuta le aziende e le autorità pubbliche a divulgare il proprio impatto ambientale. Nonostante i rischi, il panorama climatico in evoluzione presenta notevoli opportunità di crescita. I mercati verdi sono destinati a crescere da 5.000 miliardi di dollari nel 2024 a 14.000 miliardi di dollari entro il 2030, con i primi a guadagnare vantaggi competitivi nelle soluzioni sostenibili e nelle offerte di adattamento. Questi mercati abbracciano settori e catene del valore, con i segmenti più grandi che sono l’energia alternativa (49%), i trasporti sostenibili (16%) e i prodotti di consumo sostenibili (13%). Tutti crescono ben oltre il PIL.

“I pionieri della transizione a zero emissioni e delle soluzioni positive per la natura stanno dimostrando come le imprese possano creare valore migliorando l’ambiente e sostenendo le comunità”, ha dichiarato Gim Huay Neo, direttore generale del World Economic Forum. “Affrontando in modo olistico e sistematico i rischi e le opportunità legate al clima, le imprese possono costruire operazioni più forti e sostenibili, salvaguardando e ripristinando gli ecosistemi e promuovendo la resilienza economica e sociale a lungo termine in un mondo sempre più complesso e incerto”.

Importanti scienziati, tra cui Johan Rockström dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico, avvertono che cinque sistemi terrestri si stanno avvicinando a punti di svolta irreversibili. I sistemi terrestri, come le calotte glaciali, le correnti oceaniche e il permafrost, sono processi naturali interconnessi che regolano il clima del pianeta, sostengono gli ecosistemi e forniscono servizi vitali come l’immagazzinamento del carbonio, il filtraggio dell’acqua e la stabilizzazione della temperatura che consentono alle società e alle economie di prosperare. Tra questi, il potenziale collasso delle calotte glaciali della Groenlandia e dell’Antartide occidentale, che potrebbero provocare un innalzamento del livello del mare fino a 10 metri e peggiorare l’insicurezza alimentare di almeno mezzo miliardo di persone.

Sebbene la scienza alla base di questi punti critici e dei rischi climatici sia allarmante, può essere difficile tradurla in rischi aziendali concreti. Questi rapporti mirano a colmare questa lacuna, fornendo ai leader aziendali una base per salvaguardare il valore degli stakeholder e contribuire al contempo a società sostenibili e resilienti. Entrambi i rapporti forniscono inoltre dettagli completi sulle metodologie, le fonti e i set di dati alla base dei risultati.

Cresce innovazione aziende ma solo 20% imprese ha ricevuto sostegni pubblici

Nel triennio 2020-2022, più di un’azienda su due ha investito in attività di innovazione, con un’incidenza pari al 58,6% delle imprese industriali e dei servizi con almeno 10 addetti, come fa sapere l’Istat. Un dato che conferma la crescente propensione delle imprese italiane, anche quelle di dimensioni più contenute, a intraprendere percorsi innovativi. Tra le piccole aziende con 10-49 addetti, il 55,8% ha infatti svolto attività di innovazione, segno che anche le realtà minori non sono escluse da questa tendenza.

Il settore industriale, in particolare, si conferma il più orientato all’innovazione, con il 65,1% delle imprese impegnate in attività di aggiornamento tecnologico e sviluppo. A seguire, i servizi (56,1%) e le costruzioni (46,7%), con un quadro che riflette una crescente attenzione all’innovazione anche in ambiti tradizionalmente meno tecnologizzati. Nel triennio analizzato, poi, il 32,8% delle imprese ha introdotto almeno un nuovo prodotto. A livello dimensionale poi, cresce l’impegno in questo campo nelle imprese più grandi: il 57% ha investito in nuovi prodotti, a fronte del 30,9% delle piccole. L’industria, in particolare, si distingue per l’adozione di innovazioni nel prodotto, con settori come l’elettronica, l’industria chimica, farmaceutica, la fabbricazione di autoveicoli e macchinari che vedono una percentuale di imprese innovatrici di oltre il 50%.

Se da un lato cresce l’investimento in innovazione, dall’altro, però, emergono delle criticità legate alla carenza di risorse, sottolinea l’istituto di statistica. Circa il 25,9% delle imprese ha dichiarato di non aver intrapreso ulteriori attività innovative a causa di limitazioni finanziarie o di personale. In termini di finanziamenti pubblici, solo il 20% delle aziende innovative ha ricevuto sostegni, con una prevalenza in quella di dimensione maggiore. L’industria in senso stretto risulta essere il settore che più di altri beneficia di risorse pubbliche per l’innovazione, con un 24% delle aziende che dichiarano di aver ricevuto contributi. Tra i settori più supportati ci sono quelli ad alta intensità tecnologica come la ricerca e sviluppo, l’informatica e la pubblicità.

Un altro aspetto analizzato dall’Istat riguarda infine la sostenibilità: nel periodo 2020-20222, il 40,1% delle imprese che hanno innovato ha perseguito anche obiettivi ambientali. In particolare, il 36,1% ha ottenuto benefici ambientali positivi in fase di produzione, mentre il 28,5% ha portato a benefici in fase di consumo e utilizzo dei prodotti. Gli interventi più diffusi riguardano la riduzione del consumo di energia e delle emissioni di Co2, con un’attenzione crescente alla sostenibilità, soprattutto nelle grandi imprese, che si confermano le più attive in questo campo.