Usa, Musk ministro di Trump: la folle scommessa politica dell’uomo più ricco del mondo

È stata una delle scommesse più azzardate della storia economica e politica recente, e ha dato i suoi frutti: Elon Musk ha visto premiato il suo convinto sostegno a Donald Trump con un posto di ministro per l”Efficacia di governo’. Il Presidente eletto ha annunciato che intende nominare il capo di Tesla, Space X e X, insieme all’uomo d’affari repubblicano Vivek Ramaswamy, in questo nuovissimo ministero.

La sua missione è quella di “mandare onde d’urto attraverso il sistema” deregolamentando tutto e operando tagli drastici al bilancio federale. Verrà pubblicata una “classifica delle spese più spaventosamente stupide”, che “sarà allo stesso tempo estremamente tragica e divertente”, ha annunciato Musk su X dopo l’annuncio della sua futura nomina. Resta da vedere come due personalità come Elon Musk e Donald Trump andranno d’accordo a lungo termine.

Nato il 28 giugno 1971 in Sudafrica da un padre ingegnere e una modella canadese, l’uomo più ricco del mondo – naturalizzato americano – è diventato la figura più controversa del neocapitalismo. Condivide le sue ambizioni extraplanetarie e le sue idee tecno-libertarie con oltre 200 milioni di follower sulla piattaforma che ha acquistato nel 2022, cambiandone il nome da “Twitter” a “X”. Elon Musk, 53 anni, nelle ultime settimane si è buttato a capofitto nella campagna elettorale di Donald Trump.

Le immagini del multimiliardario – Forbes stima la sua fortuna a più di 300 miliardi di dollari – che salta sul palco durante un comizio repubblicano in Pennsylvania sono diventate virali. Il suo comitato di sostegno ha organizzato una lotteria che offriva un milione di dollari al giorno agli elettori registrati negli Stati chiave che avessero accettato di firmare una petizione conservatrice a favore della libertà di espressione e del diritto di portare armi. Ha investito oltre 100 milioni di dollari nella campagna elettorale del Presidente eletto e ha usato il suo social network, su cui posta ininterrottamente, come cassa di risonanza. Oggi è ministro, oltre a essere a capo di Tesla, il principale produttore di veicoli elettrici al mondo, e di SpaceX, la sua azienda spaziale.

Elon Musk è a capo di una serie di altri progetti che illustrano la sua visione tecno-futuristica di un’umanità potenziata dalla scienza, destinata a prosperare su altri pianeti. Tra questi, Neuralink, una start-up che mira a collegare il cervello umano direttamente al computer. Diventato milionario prima dei 30 anni dopo aver venduto una società di software online creata insieme al fratello, Elon Musk ha poi fondato X.com, che si è poi fusa con PayPal ed è stata acquistata da eBay nel 2002. La sua linea libertaria e apertamente maschilista e la sua virulenta critica all’immigrazione lo hanno reso sempre più popolare nella destra americana. Ha conquistato Donald Trump, che lo ha definito un “super genio” nel suo discorso di vittoria. Musk è anche appassionato di teorie cospirative: quest’anno, ad esempio, ha affermato che il Partito Democratico starebbe “importando deliberatamente immigrati clandestini” per aumentare la propria base elettorale. A luglio ha annunciato a gran voce che avrebbe spostato la sede di SpaceX e X in Texas, per protestare contro l’approvazione di una legge sugli studenti transgender in California, uno Stato che i repubblicani criticano costantemente per le sue politiche progressiste.

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Usa 2024, Meloni sente Musk: “Amico Elon risorsa importante”. Ma aleggia spettro dazi

Il giorno dopo la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane, Giorgia Meloni sente anche “l‘amico Elon Musk” che, dopo essere stato cruciale in campagna elettorale, nell’amministrazione del tycoon dovrebbe ricoprire un ruolo di primo piano. “Sono convinta che il suo impegno e la sua visione potranno rappresentare un’importante risorsa per gli Stati Uniti e per l’Italia, in uno spirito di collaborazione volto ad affrontare le sfide future“, scrive la premier su X, il social del patron di Tesla. La frase fa da commento a una foto in cui i due sorridono e si abbracciano, in una delle visite di Musk a Palazzo Chigi.

Occhi puntati sui dazi ai prodotti italiani per il vicepremier Antonio Tajani, che continua a dirsi sicuro dell’amicizia con gli Stati Uniti: “Il governo italiano e la nuova amministrazione americana sapranno lavorare insieme per proteggere i nostri popoli“, scandisce sulle colonne del Corriere della Sera, mentre è impegnato nel viaggio in Cina con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
La partnership tra i due Paesi non cambieranno, garantisce, perché “i rapporti fra Stati Uniti e Italia sono talmente profondi, complessi e importanti che nulla potrebbe indebolirli“. Trump però, ammette il vicepremier, ha vinto la sua sfida con messaggi che “promettono un cambiamento radicale“.

L’incubo dei dazi aleggia, perché con questi l’imprenditore vorrebbe ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti con l’estero, alzandoli del 10% o addirittura del 20. Con la Cina si è parlato anche di dazi del 60% su tutti i loro prodotti. Ma anche per Paesi europei esportatori netti (Germania, Francia, Italia, Olanda) la nuova amministrazione vorrebbe queste penalizzazioni. “Dovremo evitare uno scontro“, chiosa il ministro degli Esteri, che punta al dialogo, perché l’interscambio Ue-Usa nel 2023 ha sfiorato gli 850 miliardi di euro, con un saldo commerciale a favore dell’Europa di 156 miliardi di euro.

La sola Italia ha avuto nel 2023 un saldo positivo di 40 miliardi di euro: “L’export è la vita stessa dell’Italia – ricorda Tajani -. Trump ha sempre dimostrato di guardare con occhio attento all’Italia, già in passato ha fatto scelte diverse per noi rispetto ad altri Paesi“.

L’elezione di Trump è una sfida di “alto profilo” per quanto riguarda la politica industriale e commerciale per l’Europa, fa eco il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, perché prevede “accentuerà quello che ha già fatto Biden nei confronti della Cina“. Se Biden ha aumentato i dazi alle auto elettriche cinesi al 100%, osserva Urso “verosimilmente questo accadrà sempre più in altri settori“, costringendo nel contempo l’Europa a riesaminare da subito la sua politica industriale e commerciale “come a nostro avviso deve fare”.

Da Pechino arriva l’invito di Xi Jinping alla collaborazione e al “rispetto reciproco” e quello, ancora più esplicito, della portavoce del ministero degli Esteri Mao Ning: “Come questione di principio – avverte -, vorrei ribadire che non ci sarebbero vincitori in una guerra commerciale, che non sarebbe nemmeno positiva per il mondo”.

‘Make Europa great again’ perché Bruxelles non può più dormire

Non ce ne vorrà il 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, se prendiamo a prestito il claim della sua campagna elettorale e lo adattiamo a questioni di casa nostra. Perché mai come adesso che è ri-diventato il capo della nazione più potente del pianeta, è indispensabile un risveglio da parte di chi a Bruxelles sta nella stanza dei bottoni. Eccoci dunque alla composizione del ‘Make Europa great again’, che è quasi un obbligo per non soccombere nel futuro prossimo e per ridare forza gravitazionale e non posticcia al Vecchio Continente.

Ancorché appesantita dalla crisi di Germania e Francia, ancorché mai veramente unita ma troppo spesso divisa da interessi di campanile, l’Europa deve tornare a essere importante senza la spocchia di sentirsi la migliore di tutti perché è tristemente svanito quel tempo dorato. Va sempre ricordato che mentre a Washington si scuciono e ricuciono i destini del mondo, in contemporanea a Bruxelles si tiene l’audizione del commissario alla pesca. Che, con tutto il rispetto, ci proietta in una dimensione quasi grottesca. La sensazione, infatti, è che mentre il vice-presidente (non nominato e non eleggibile perché sudafricano ma sostanzialmente designato dal tycoon) Elon Musk spara razzi sulla Luna e pensa alla conquista di Marte, qualcuno giocherella ancora con procedure burocratiche da ‘ancien regime’. Dicevano i latini, che proprio stupidi non erano: ‘dum differtur vita transcurrit’, che sarebbe un altro claim azzeccatissimo non avesse però un’accessibilità culturale di pochi. In sintesi, mentre rinvii, il tempo scorre.

Dunque: l’Europa deve destarsi dal Grande Sonno e deve farlo perché il nuovo inquilino della Casa Bianca non ci considera alleati ma sostanzialmente concorrenti. E, come tali, verremo trattati nei prossimi quattro anni, a cominciare dai dazi che intende applicare a stretto giro fino alle politiche energetiche che tengono in ostaggio l’Unione europea e, di conseguenza, le nostre industrie. Dal Gnl al petrolio, sulla base delle prevedibili connessioni commerciali con la Russia dell’amico Putin, che fine farà l’Europa? Bella domanda, che resta per il momento senza risposta ma che non può trovare Bruxelles ancora intorpidita dal sonno e dalle audizioni con il commissario sulla pesca. Tanto per capirsi, il dollaro vola, gli indici Dow Jones e Nasdaq viaggiano in positivo: sono le conseguenze dell’effetto Trump.

Sul tema climatico pare poi non ci sia possibilità di mediazione, The Donald è un negazionista per interesse di patria: ha già anticipato la ri-uscita dagli accordi di Parigi del 2015 e guarda alla prossima Cop29 come una inutile kermesse ideologica. Il paradosso è che il suo principale sponsor elettorale, Musk, è il paladino/produttore dell’auto elettrica, la Tesla. Tesla che ha come secondo mercato di vendita la Cina e che viene prodotta anche nella gigafactory di Shanghai. Paradossi, sì, e giochi ad incastri, con la fortuna per l’Italia del rapporto speciale tra la premier Giorgia Meloni e il visionario Musk. Metterà una buona parola, Elon?

Transizione ecologica e decarbonizzazione non possono essere terminologie che riguardano solo i 27 paesi membri dell’Unione ma devono essere ‘esportati’ anche al di là dell’Oceano. E a Pechino. E in India. Ma con lungimiranza e buonsenso, senza ideologie. Trump ne riderebbe. O riderà.